venerdì 10 novembre 2017

San Leone I, detto Magno - memoria liturgica 10 novembre

Tre cose rientrano nelle pratiche religiose:
la preghiera, il digiuno e l'elemosina.

Infatti, con la preghiera si cerca di rendere propizio Dio;
con il digiuno si estingue la concupiscenza della carne;
con le elemosine si redimono i peccati;
e simultaneamente in tutto ciò
viene rinnovata in noi l'immagine di Dio,
se siamo sempre pronti alla sua lode,
se siamo solleciti di purificarci incessantemente,
se ci dedichiamo senza esitazioni a sostentare il prossimo.


Questa triplice pratica ha in sé gli effetti di tutte le virtù.

E’ essa che fa giungere all’ immagine e somiglianza di Dio
e rende inseparabili dallo Spirito santo.
Con le preghiere resta integra la fede,
con i digiuni la vita si conserva innocente,
con le elemosine diventa benigna la mente


- San Leone Magno, papa -
  Fonte: Sermone 12,4



Leone non dovette solo combattere contro i nemici dell’ortodossia cattolica, ma anche contro nemici armati... di armi vere e proprie. 
Le invasioni barbariche.
Girava già un nome che incuteva terrore: Attila e i suoi Unni. Dove passava lui e le sue orde di guerrieri “non nasceva più erba” tanta era la distruzione che portavano. Questo era possibile ormai perché sembrava inarrestabile il lento declino di quella che era stata la Roma imperiale, sicura della forza delle proprie legioni, un tempo invincibili.
Fu lo stesso imperatore Valentiniano III a pregare Leone di guidare lui l’ambasceria incontro ad Attila e ai suoi Unni.
Questi avevano ormai già iniziato la devastazione del Nord Italia e puntavano, naturalmente, su Roma. 
L’incontro ed il faccia a faccia Leone-Attila avvenne vicino a Mantova. 
E fu positivo. Leone aveva risparmiato Roma da un altro saccheggio (dopo quello del 410 dei Visigoti di Alarico). 
Gli storici ci dicono che non furono solamente le forti parole e il prestigio politico di Leone a fermare Attila e a fargli invertire la rotta. 
C’erano anche considerazioni politico-militari. Un’altra versione (immortalata da un quadro di Raffaello) afferma che Attila vide in visione, dietro Leone a difenderlo gli apostoli Pietro e Paolo, armati... di armi vere e proprie!


Colui che è misericordia vuole che tu sia misericordioso, e colui che è giustizia vuole che tu sia giusto, perché il Creatore brilli nella sua creatura. 

- San Leone Magno, papa -




 Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! 
Non c’è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. 
Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti perché il nostro Signore, vincitore del peccato e della morte, non avendo trovato nessuno libero da colpa, è venuto per la liberazione di tutti. 
Esulti il santo, perché si avvicina al premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita. 


- San Leone Magno, papa -
Discorso 1 per il Natale 



Non ti arrendere mai,
neanche quando la fatica si fa sentire,
neanche quando il tuo piede inciampa,
neanche quando i tuoi occhi bruciano,
neanche quando i tuoi sforzi sono ignorati,
neanche quando la delusione ti avvilisce,
neanche quando l'errore ti scoraggia,
neanche quando il tradimento ti ferisce,
neanche quando il successo ti abbandona,
neanche quando l'ingratitudine ti sgomenta,
neanche quando l'incomprensione ti circonda,
neanche quando la noia ti atterra,
neanche quando tutto ha l'aria del niente,
neanche quando il peso del peccato ti schiaccia...
 Invoca il tuo Dio, stringi i pugni, sorridi... e ricomincia!

 +San Leone Magno,papa


Buona giornata a tutti. :-)







giovedì 9 novembre 2017

da: " Niente e così sia" - Oriana Fallaci

Tutti coloro che entrarono nel villaggio avevano in mente di uccidere.
L'ordine era distruggere MyLai fino all'ultima gallina, non doveva restare nulla di vivo. Ma per noi non erano civili, erano vietcong o simpatizzanti vietcong. 
Quando arrivai vidi una donna e un uomo e un bambino che scappavano verso una capanna. Nella loro lingua gli dissi di fermarsi ma loro non si fermarono e io avevo l'ordine di sparare e sparai. Sì, è ciò che feci:
- Sparai. Li ammazzai. -
Anche la signora e il bambino. Avrà avuto due anni.- 
(Dalla testimonianza del soldato Varnado Simpson della Compagnia CHarlie.)

- Oriana Fallaci -  
da: " Niente e così sia", 1969, ed. Rizzoli


Foto terribili, foto di guerra le sue: Horst Faas, leggendario fotoreporter dell'agenzia Associated Press

C'era un vecchio dentro un rifugio. Era tutto raggomitolato dentro. 
Un vecchio molto vecchio. IL sergente David Mitchell gridò: ammazzatelo! Così uno lo ammazzò. Raggruppammo uomini donne bambini e neonati al centro del villaggio, come un'isoletta. 
Piombò il tenente Calley e disse: sapete cosa dovete farne, no? E io dissi sì e lui si allontanò e dopo dieci minuti tornò e disse: perché non li avete ancora ammazzati? E io gli dissi che credevo volesse farceli sorvegliare e basta. E lui disse no no, li voglio morti. E incominciò a sparargli. E mi disse di sparargli anch'io. 
E infilai nel mio M16 quattro caricatori per un totale di sessantotto colpi e glieli sparai addosso e ne avrò ammazzati non so, dieci o quindici. E poi si trovò altra gente e la si buttò dentro una capanna e si gettò una bomba a mano dentro la capanna. E poi i ragazzi portarono altre settanta o settantacinque persone, così ci aggiungemmo le nostre e il tenente Calley mi disse: Meadlo, abbiamo un altro lavoro da fare. 
E andò verso quella gente e si mise a pigiarla, a spingerla, a spararla, e anche noi si spingeva e si pigiava e infine gli si scaricò addosso i colpi delle nostre armi automatiche.

Il giorno dopo misi un piede su una mina. E persi il piede. E pensai: Dio mi punisce. 
(Dalla testimonianza del soldato Paul David Meadlo della Compagnia Charlie.)

- Oriana Fallaci -  
da: " Niente e così sia", 1969, ed. Rizzoli



«Si sparava a tutti, a tutto, anche senza ragione, per esempio alle capanne che bruciavano, a molte capanne s'era dato fuoco. Si sparava anche ai bambini. La mia squadra radunò le donne e i bambini, per spararli, ma uno dei miei uomini disse: io non posso ammazzar questa gente. Allora gli dissi di consegnarli al capitano Medina. 
A una curva incontrammo sei civili coi pionieri. Si misero a correre impauriti, chi verso di noi, chi scappando da noi, e non si distingueva gli uomini dalle donne perché indossavano tutti lo stesso pigiama nero, sicché io e la mia squadra si aprì il fuoco con gli M16.
Lasciando il villaggio passammo accanto a un bambino che piangeva. Era ferito a un braccio e a una gamba. Un GI disse: e di lui che ne facciamo? 
Senza rispondere, un altro GI imbracciò il suo M16 e sparò nella testa del bambino. Il bambino cadde. No, non cercai di impedirlo. 
La nostra era una missione Cerca-e-Distruggi, e avevamo gli ordini, e se qualcuno dev'essere giudicato in Corte Marziale dev'essere qualcuno più in alto di noi. 
Quel giorno io pensavo da militare e pensavo alla sicurezza dei miei uomini e pensavo che era una brutta cosa dover uccidere quella gente ma se dicessi che mi dispiaceva per quella gente direi una bugia. 
Prima di partire il capitano Medina ci aveva detto che quella sarebbe stata una buona occasione per vendicare i nostri compagni uccisi.
(Dalla testimonianza del sergente Charles West della Compagnia Charlie.)

- Oriana Fallaci -  
da: " Niente e così sia", 1969, ed. Rizzoli






mercoledì 8 novembre 2017

La morte e altre poesie – Rabindranath Tagore

La morte, Tua schiava, è alla mia porta.
Ha attraversato il mare sconosciuto
e ha recato alla mia casa il Tuo richiamo.
La notte è buia e il mio cuore è spaurito
eppure prenderò la lampada, aprirò le porte
e m’inchinerò dandole il benvenuto.
E’ il tuo messaggero che sta alla mia porta,
l’adorerò a mani giunte, e in lacrime.
L’adorerò ponendo ai suoi piedi
il tesoro del mio cuore.
Fatta la commissione, se ne ritornerà
lasciando un’ombra oscura sul mio mattino;
e nella mia casa desolata rimarrà
solo il mio corpo abbandonato
come mia ultima offerta a Te.

- Rabindranath Tagore -

Alexandre Cabanel (1823-1889), L'Angelo della Sera

«Quanto più uno vive solo, sul fiume o in aperta campagna, tanto più si rende conto che non c’è nulla di più bello e più grande del compiere gli obblighi della propria vita quotidiana, semplicemente e naturalmente. 
Dall’erba dei campi alle stelle del cielo, ogni cosa fa proprio questo; c’è tale pace profonda e tale immensa bellezza nella natura, proprio perché nulla cerca di trasgredire i suoi limiti». 

- Rabindranath Tagore -



Vita della mia vita,
sempre cercherò di conservare
puro il mio corpo,
sapendo che la tua carezza vivente
mi sfiora tutte le membra.
Sempre cercherò di allontanare
ogni falsità dai miei pensieri,
sapendo che tu sei la verità
che nella mente
mi ha acceso la luce della ragione.
Sempre cercherò di scacciare
ogni malvagità dal mio cuore,
e di farvi fiorire l'amore,
sapendo che hai la tua dimora
nel più profondo del cuore.
E sempre cercherò nelle mie azioni
di rivelare te,
sapendo che è il tuo potere
che mi dà la forza di agire.



- Rabindranath Tagore -

Julius Rolshoven (1858-1930), Mujer desnuda bajo la luz suave


Buona giornata a tutti. :-)






martedì 7 novembre 2017

La ginnastica vista da un genitore che ha capito...

"La ginnastica vista da un genitore che ha capito...
Un amico chiede: "Perchè continui a pagare soldi per far fare ginnastica ai tuoi figli?"
Beh, devo confessarvi che io non pago per far fare ginnastica ai miei figli; personalmente non può importarmi di meno della ginnastica.
Quindi se non sto pagando per la ginnastica per cosa sto pagando?
» Pago per quei momenti in cui i miei figli son così stanchi che vorrebbero smettere ma non lo fanno;
» Pago per quei giorni in cui i miei figli tornano a casa da scuola troppo stanchi per andare in palestra ma ci vanno lo stesso;
» Pago perchè i miei figli imparino la disciplina;
» Pago perchè i miei figli imparino ad aver cura del proprio corpo;
» Pago perchè i miei figli imparino a lavorare con gli altri e a essere buoni compagni di squadra;
» Pago perchè i miei figli imparino a gestire la delusione quando non ottengono la vittoria che speravano di avere ma devono ancora lavorare duramente;
» Pago perchè i miei figli imparino a crearsi degli obiettivi e a raggiungerli;
» Pago perchè i miei figli imparino che ci vogliono ore ed ore ed ore di duro lavoro e allenamento per creare una ginnasta, e che il successo non arriva da un giorno all'altro.. 
» Pago per l'opportunità che hanno e avranno i miei figli, di fare amicizie che durino una vita intera;
» Pago perchè i miei figli possano stare su una pedana anzichè davanti a uno schermo. 


Potrei andare avanti ancora ma, per farla breve, io non pago per la ginnastica ; pago per le opportunità che la ginnastica da ai miei figli di sviluppare qualità che serviranno loro per tutta la vita e per dar loro l'opportunità di far del bene alla vita degli altri. 
E da quello che ho visto finora penso che sia un buon investimento."



“Lasciateci descrivere l'educazione dei nostri uomini. Come deve quindi essere l'educazione? Forse potremo difficilmente trovare qualcosa di meglio di quanto ha già scoperto l'esperienza del passato, la quale consiste, io credo, nella ginnastica, per il corpo, e nella musica per la mente.” 

- Platone -



Dunque, gli appassionati di uno sport sostengono che quello sport è intrinsecamente migliore di un altro. 
Per me, tutti gli sport sono occasioni in cui altri esseri umani ci spingono ad eccellere. 

da: L'attimo fuggente



Sapete perché la gente ama lo sport? Perché nello sport c'è giustizia. Perché nello sport, prima o poi, trionfa la giustizia. Perché nello sport, prima o poi, i conti tornano, arrivano i nostri, vincono i buoni. 

- Marco Pastonesi -


Buona giornata a tutti. :-)






lunedì 6 novembre 2017

Il dolore - Khalil Gibran

E una donna parlò dicendo: «Spiegaci il dolore».
E lui disse:
«Il dolore per voi è lo spezzarsi del guscio che racchiude la vostra comprensione.
Come il nocciolo del frutto deve rompersi affinché il suo cuore sia esposto al sole, così voi dovete conoscere il dolore.
Se solo conservaste in cuore lo stupore per i quotidiani miracoli della vita, il dolore non vi parrebbe meno meraviglioso della gioia;
E accettereste le stagioni del cuore come avete accettato sempre le stagioni che sui campi si susseguono.
Così attraversereste serenamente gli inverni del vostro dolore.
Molto del dolore che provate è da voi stessi scelto.
E’ l’amara pozione con cui il medico che sta in voi guarisce l’infermo che anche è in voi.
Confidate dunque nel medico, e bevete il suo rimedio in sereno silenzio:
Poiché la sua mano, seppur pesante e dura, è guidata da quella tenera dell’Invisibile.
E la coppa che vi porge, benché bruci le vostre labbra, è fatta con la creta che il Vasaio ha inumidito con le Sue stesse lacrime».

- Khalil Gibran -
Fonte :  "Il Profeta" di Khalil Gibran



Quando ho piantato il mio dolore nel campo della pazienza, ho raccolto il frutto della felicità.

- Khalil Gibran -



La mia anima si alza come l'alba
da dentro di me.
Nuda e leggera.
È come il mare agitato.
Il mio cuore getta lontano da sé
i frantumi dell'uomo e della Terra.
Non mi attacco a ciò che si attacca 
a me, poiché desidero raggiungere 
quello che oltrepassa le mie capacità.

- Kahlil Gibran - 


Buona giornata a tutti. :-)





domenica 5 novembre 2017

Il primo servizio: ascoltare l’altro - Dietrich Bonhoeffer

Il primo servizio che si deve agli altri nella comunione, consiste nel prestar loro ascolto. 
L’amore per Dio comincia con l’ascolto della sua parola, e analogamente l’amore per il fratello comincia con l’imparare ad ascoltarlo. 
L’amore di Dio agisce in noi, non limitandosi a darci la sua Parola, ma prestandoci anche ascolto. 
Allo stesso modo l’opera di Dio si riproduce nel nostro imparare a prestare ascolto al nostro fratello. 
I cristiani, soprattutto quelli impegnati nella predicazione, molto spesso pensano di dover “offrire” qualcosa agli altri con cui si incontrano, e ritengono che questo sia il loro unico compito. 
Dimenticano che l’ascoltare potrebbe essere un servizio più importante del parlare. 
Molti cercano un orecchio disposto ad ascoltarli, e non lo trovano fra i cristiani, che parlano sempre, anche quando sarebbe il caso di ascoltare. 
Ma chi non sa più ascoltare il fratello, prima o poi non sarà più nemmeno capace di ascoltare Dio, e anche al cospetto di Dio non farà che parlare.
Qui comincia la morte della vita spirituale, e alla fine non rimane che futile chiacchiericcio religioso, quella degnazione pretesca, che soffoca tutto il resto sotto un cumulo di parole devote. 
Chi non sa ascoltare a lungo e con pazienza, non sarà neppure capace di rivolgere veramente all’altro il proprio discorso, e alla fine non si accorgerà più nemmeno di lui. 
Chi pensa che il proprio tempo sia troppo prezioso perché sia speso nell’ascolto degli altri, non avrà mai tempo per Dio e per il fratello, ma lo riserverà solo a se stesso, per le proprie parole e i propri progetti ...
C’è anche un modo di ascoltare distrattamente, nella convinzione di sapere già ciò che l’altro vuole dire. 
È un modo di ascoltare impaziente, disattento, che disprezza il fratello e aspetta solo il momento di prendere la parola per liberarsi di lui. questo non è certo il modo di adempiere al nostro incarico, e anche qui il nostro modo di riferirci al fratelli rispecchia il modo di riferirci a Dio 

- Dietrich Bonhoeffer -
Vita comune, Queriniana, Brescia 2003, pp. 75-76)





Questo è un mondo senza misura e senza gloria, perché si è perso il dono e l'uso della contemplazione... civiltà del frastuono. 
Tempo senza preghiera. 
Senza silenzio e quindi senza ascolto... 
E il diluvio delle nostre parole soffoca l'appassionato suono della sua Parola.

- Padre David Maria Turoldo -



Quale meravigliosa "seduzione" emanava la persona di Gesù, che trascinava dietro di sé folle che dimenticavano persino di mangiare per essere accanto a lui ed ascoltare la sua parola! 
Quale desiderio irresistibile di avvicinarsi alla fonte della Vita per soddisfare le ansie più profonde del cuore umano! 
Che sensibilità ed umanità quelle di Gesù, al quale la predicazione del Regno di Dio non fa dimenticare il bisogno del sostentamento giornaliero di coloro che lo seguono!

- san Giovanni Paolo II, papa - 
Omelia, 7 maggio 1990, Città del Messico


Buona giornata di ascolto a tutti. :-)







sabato 4 novembre 2017

Cardinale Carlo Maria Martini, La preghiera di san Carlo -

È noto a tutti che san Carlo Borromeo è stato un uomo di grande preghiera. Carlo Bascapè, il suo biografo più famoso, che fu anche testimone oculare della sua vita, scrisse in Vita e opere di Carlo, Arcivescovo di Milano e cardinale di S. Parassede (1592): «Fu molto assiduo nella preghiera e nella contemplazione delle cose celesti. 
Quando meditava, soleva concentrarsi con la mente e il cuore e, se ne aveva il tempo, tanto s’immergeva nel profondo delle verità spirituali che, pur così incredibilmente occupato, si mostrava del tutto astratto da ogni cosa». 
Presso i contemporanei il raccoglimento di quest’uomo lasciò dunque una profonda impressione.
E il Bascapè continua: «Poiché di giorno era occupato dagli affari, pregava durante la notte; e quando erano in corso questioni di particolare importanza, trascorreva in orazione notti intere. 
Per questo esercizio di pietà si era preparato un luogo vicino alla sua camera, e non così isolato che qualcuno dei famigliari non sentisse spesso i gemiti delle sue preghiere».

Questo luogo isolato, un piccolo oratorio, esiste ancora nel Palazzo arcivescovile di Milano, e non lo si può visitare senza provare una grande emozione, pensando alle lunghe preghiere diurne e notturne di San Carlo in quel luogo.

Altri uomini e donne famosi dell’epoca di San Carlo furono di grande orazione, e ci hanno lasciato memorie autobiografiche della loro vita interiore, talora di livello altissimo. Basta pensare, per esempio, alla autobiografia di santa Teresa d’Avila. 


Il Libro della sua vita terminato nel 1565 – lo stesso anno in cui san Carlo entrava in Milano – è il racconto ancora oggi vivissimo, scritto in prima persona in uno stile davvero inimitabile, delle grazie di orazione di santa Teresa. La prima edizione a stampa di questo libro è del 1588, quattro anni dopo la morte di san Carlo, tuttavia nel Cinquecento era pienamente affermato l’uso di scrivere un proprio diario spirituale autobiografico, nella linea già iniziata dal grande sant’Agostino con le Confessioni.

Insieme all’illustre esempio di santa Teresa se ne potrebbero citare altri.

Ne ricordo uno che non poteva non essere in qualche modo noto anche al Borromeo. È la breve autobiografia di sant’Ignazio di Loyola, detta anche Il racconto del pellegrino. Sant’Ignazio lo scrisse o, meglio, dettò al proprio segretario tra il 1553 e il 1555. Vi è compreso un breve racconto della sua vita, dall’episodio famoso di Pamplona (1521) all’anno del suo arrivo a Roma (1538). 
La prima edizione a stampa di quest’opera anche stavolta è di molto posteriore, ma fin dalle origini ne circolavano numerose copie manoscritte, e san Carlo – che fin dal primo soggiorno a Roma fu molto intimo dei Gesuiti – certamente potè conoscere questo scritto.

Un altro diario, un vero e proprio giornale spirituale, tenuto da Ignazio di Loyola tra il 2 febbraio 1544 e il 27 febbraio 1545, è conservato in due quadernetti, dove il Santo annotava ogni giorno l’argomento delle proprie meditazioni, le grazie ricevute nella meditazione o nella messa, le emozioni interiori, le difficoltà dell’orazione, le lacrime, e qua e là anche episodi della vita quotidiana (come una volta che qualcuno correndo per le scale lo aveva disturbato). È un diario interessantissimo, uno specchio giorno per giorno di questo Santo di poco anteriore al Borromeo. E, anzi, questi due quadernetti probabilmente rappresentano quanto resta di un diario molto più ampio, durato lunghi anni.
Anche allora, dunque, c’era l’uso di tenere un diario spirituale. E io mi sono chiesto spesso in questi anni: possibile che non esista un diario spirituale di san Carlo Borromeo, dove egli annotò giorno dopo giorno le sue meditazioni, le sue preghiere, l’oggetto dei suoi desideri, ciò che nell’intimo lo commuoveva? 
Possibile che non esista una specie di itinerario spirituale, scritto di suo pugno o almeno dettato a qualche contemporaneo?
A prima vista sembrerebbe impossibile che tra l’immensa quantità di manoscritti risalenti a san Carlo Borromeo, o direttamente, e cioè autografi, oppure dettati o scritti da segretari, o copie di cose da lui firmate – quantità ancora oggi inesplorata (si parla di circa 60.000 lettere soltanto per la corrispondenza) –, non sia ancora emerso qualche frammento di diario spirituale o di note di orazioni.

Non è escluso che tra i fondi esistenti , magari proprio in questi anni, salti fuori qualcosa. 
Però la lettura delle prime pagine della citata biografia del Bascapè, suo intimo collaboratore, non lascia molte speranze al proposito, perché vi leggiamo: «Da quando infatti mi sono posto alla scuola di Carlo, come di un ottimo padre, osservando con animo quasi presago ciò che egli faceva di giorno in giorno, ho diligentemente conservato quanto, presto o tardi, mi sarebbe stato utile per un incarico di tal genere, dovuto alla mia dimestichezza con lui». 
Per nostra fortuna, dunque, il biografo contemporaneo aveva già raccolto note giorno per giorno. Il Bascapè afferma poi di aver consultato, per stendere la biografia, più di 30.000 lettere. E aggiunge: «Se accanto a questi documenti esterni, potessimo conoscere ciò che, volendo nascondere la propria virtù, probabilmente Carlo non rese noto ad alcuno, avremmo senza dubbio un materiale più abbondante perché le anime pie lodino la divina bontà».

Queste frasi si leggono nelle prime pagine della Vita di Carlo e provano con certezza che l’autore della biografia non conosceva alcun diario spirituale o appunti di orazione di San Carlo Borromeo, e anche che egli riteneva verosimile che il Santo non avesse appositamente voluto lasciare niente di simile.
Si fa avanti allora un’altra domanda: dobbiamo dunque rassegnarci a una ignoranza assoluta su questo punto? Dobbiamo rassegnarci a ritenere che le lunghissime ore di preghiera di san Carlo, le lunghe adorazioni al Crocifisso, le notti passate a venerare la memoria della Passione nella chiesa del Santo Sepolcro a Milano, le giornate dei suoi esercizi spirituali a Varallo e altrove siano e rimangano un segreto che conosceremo solo nella vita eterna?
Dopo lunghe riflessioni io penso che esista una via mediante la quale ci è giunto qualcosa di tale segreto, e che san Carlo ci inviti a ripercorrere questa via proprio nel suo quarto centenario. Vorrei perciò invitarvi a percorrere con me almeno un tratto di questo cammino, per cercare se è possibile una metodologia che ci serva a ricostruire alcuni frammenti di una autobiografia spirituale di Carlo Borromeo.


card. Carlo Maria Martini, La preghiera di san Carlo






Il segreto di san Carlo
Vi propongo un itinerario, la cui prima tappa prende in considerazione la scuola di orazione, di preghiera e di meditazione, a cui san Carlo si è assoggettato a partire dal 1563 – quando venne ordinato sacerdote, il 17 luglio, nella chiesa di san Pietro in Montorio a Roma. 
Celebrò la sua prima messa il 15 agosto di quell’anno. Già da tre anni era arcivescovo di Milano, o meglio suo amministratore apostolico, senza essere né diacono né prete. Difatti, a Milano, si diede la notizia il 15 agosto 1563 dicendo: «Il nostro arcivescovo ha detto la prima messa», e fu una grande gioia per il popolo.
San Carlo decise di passare il periodo tra il 17 luglio e il 15 agosto in esercizi spirituali. Già prima aveva avuto forti desideri di conversione, ma si può datare ad allora l’inizio della sua scuola di preghiera, di quella profonda disciplina interiore che lo rese capace di pregare intensamente e a lungo.
Fece dunque un intero mese di esercizi per prepararsi alla prima messa; lo fece sotto la direzione di un gesuita, il padre Ribera, seguendo il libretto degli Esercizi di sant’Ignazio, che era ormai pubblico dal 1548, quando un Breve di Paolo III ne aveva raccomandato l’utilità per il popolo cristiano. Possiamo quindi pensare che in quel mese di preghiera egli abbia avuto possibilità di assimilare il metodo e i contenuti di questo modo di pregare.
Come si sa, anche in seguito Carlo Borromeo rimase fedelissimo a questa pratica e a questo metodo. I biografi riferiscono che soleva fare gli esercizi spirituali due volte l’anno, per parecchi giorni di seguito. Gli ultimi esercizi della sua vita, per esempio, li fece al Sacro Monte di Varallo (e per questo il papa ha compreso Varallo nelle tappe del suo pellegrinaggio). Li cominciò il 15 ottobre, e – a quanto risulta – li aveva preventivati di quindici giorni. Due esercizi spirituali all’anno, per molti giorni di seguito.
Conosciamo alcuni luoghi dei suoi esercizi spirituali, come qualche eremo camaldolese, il Sacro Monte di Varallo, a Milano san Barnaba (andava volentieri dai preti fondati da sant’Antonio Maria Zaccaria) e altri luoghi ancora, ad esempio il noviziato dei Gesuiti di Arona, un’altra casa di religiosi. In queste case si ritirava volentieri per i due esercizi annuali, ma qualche volta invece, li faceva in barca, perché gli piaceva molto viaggiare così e, in quella calma, poteva anche fare gli esercizi. Oppure alternava barca e lettiga, proprio per poter pregare con tranquillità.
Conosciamo anche i nomi di alcuni dei suoi direttori, che dopo padre Rivera furono ordinariamente dei Padri Gesuiti. Tra le lettere conservate, alcune sono appunto dirette ai Padri provinciali della Compagnia per chiedere che l’uno o l’altro venisse a dirigere i suoi esercizi spirituali. Fra i più famosi il padre Venturini e il padre Adorno, di nobile famiglia genovese, che gli fu molto vicino e lo assistette anche negli ultimi esercizi di Varallo fino alla morte. Nella minuta di una lettera al Padre provinciale dei Gesuiti di Venezia, ad esempio, scrive: «Avrei qualche inclinazione di portare con me il padre Antonio di Nuvolara nel viaggio che sto per fare a Roma, in barca ovvero in lettiga per valermi dell’opera sua in alcuni esercizi spirituali».
Citiamo ancora qualche fonte dell’epoca. Il Lancitius, uno scrittore spirituale dell’inizio del secolo XVII, raccogliendo le tradizioni dei Gesuiti del suo tempo afferma: «Faciebat Sanctus Carolus exercitia spiritualia Societatis Jesu quolibet anno» (faceva gli esercizi spirituali nel modo usato nella Compagnia di Gesù ogni anno). «Per questo mezzo cresceva sempre di più nel fervore dello spirito e si perfezionava molto nelle sante virtù. E poi li fece due volte all’anno, e in questa abitudine persistette fino alla morte».
Aggiungo una curiosità. I Gesuiti per statuto facevano gli esercizi spirituali due volte nel noviziato e poi nei grandi momenti dei voti. La pratica annuale di essi derivò ai Gesuiti dall’abitudine di san Carlo di farli due volte l’anno, perché il suo esempio si impresse nell’animo di coloro che, avendoglieli insegnati per la prima volta, si sentirono poi spronati a farli essi stessi. Questo ci mostra quanto egli conoscesse e vivesse, nella sua preghiera personale questo mondo di preghiera.
E non soltanto li faceva personalmente, ma li raccomandava agli altri. Nel quarto Concilio provinciale di Milano e di tutta la Lombardia – che come provincia ecclesiastica era allora in parte più ampia di quella attuale – egli impose a tutto il clero gli esercizi di un mese, sia a chi, in età avanzata, non li aveva ancora fatti sia a coloro che dovevano ricevere suddiaconato, diaconato, sacerdozio. E insisté perché si facesse un mese intero di esercizi prima delle grandi tappe della ordinazione, e poi ancora una volta nella vita.
Una minuta di lettera al cardinale Paleotti, del settembre 1582, ci dice qual era la prassi, che in realtà, come succede, era un po’ meno rigida della teoria. 
Vi si legge: «Quanto agli esercizi spirituali che fanno gli ordinandi ai Sacri Ordini, il tempo determinato dal Visitatore Apostolico e dal Concilio nostro provinciale IV era di un mese circa, mentre la pratica è di quindici giorni circa, ad arbitrio del padre spirituale e confessore che guida quelli che fanno questi Esercizi. Intorno poi al modo, si cerca di imitare i Padri Gesuiti e pigliar lume dalle Regole loro, i quali hanno anco una certa forma dal padre Ignazio stampata in quel libretto che dev’esser notissimo a Vostra Signoria Illustrissima».
Ma c’è ancora di più. Non soltanto era prescritto che tutti i preti facessero per un mese, e poi di fatto almeno per quindici giorni, parecchie volte in vita questi esercizi, ma nel V Concilio provinciale del 1579 gli esaminatori del clero dovevano interrogare ogni ecclesiastico, tra le altre cose, anche sulla sua maniera di meditare: se avesse pratica costante della preghiera, quali meditazioni facesse, quale fosse il suo modo nella preghiera, quale il suo frutto, quale l’utilità che egli ne conseguiva, quali le parti della sua preghiera, quali le regole della preparazione, ecc. San Carlo voleva che l’esaminando fosse in grado di descrivere la sua preghiera, ne avesse dunque una pratica approfondita.

card. Carlo Maria Martini, La preghiera di san Carlo





Lettera Lumen caritatis di Benedetto XVI

Quella di san Carlo Borromeo fu anzitutto la carità del Buon Pastore, che è disposto a donare totalmente la propria vita per il gregge affidato alle sue cure, anteponendo le esigenze e i doveri del ministero a ogni forma di interesse personale, comodità o tornaconto. 
Così l’Arcivescovo di Milano, fedele alle indicazioni tridentine, visitò più volte l’immensa Diocesi fin nei luoghi più remoti, si prese cura del suo popolo nutrendolo continuamente con i Sacramenti e con la Parola di Dio, mediante una ricca ed efficace predicazione; non ebbe mai timore di affrontare avversità e pericoli per difendere la fede dei semplici e i diritti dei poveri. San Carlo fu riconosciuto, poi, come vero padre amorevole dei poveri. 
La carità lo spinse a spogliare la sua stessa casa e a donare i suoi stessi beni per provvedere agli indigenti, per sostenere gli affamati, per vestire e dare sollievo ai malati. Fondò istituzioni finalizzate all’assistenza e al recupero delle persone bisognose; ma la sua carità verso i poveri e i sofferenti rifulse in modo straordinario durante la peste del 1576, quando il santo Arcivescovo volle rimanere in mezzo al suo popolo, per incoraggiarlo, per servirlo e per difenderlo con le armi della preghiera, della penitenza e dell’amore. 
La carità, inoltre, spinse il Borromeo a farsi autentico e intraprendente educatore. 
Lo fu per il suo popolo con le scuole della dottrina cristiana. 
Lo fu per il clero con l’istituzione dei seminari. 
Lo fu per i bambini e i giovani con particolari iniziative loro rivolte e con l’incoraggiamento a fondare congregazioni religiose e confraternite laicali dedite alla formazione dell’infanzia e della gioventù… In tutta la sua esistenza possiamo dunque contemplare la luce della carità evangelica, la carità longanime, paziente e forte che «tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1Cor 13, 7).




"Con quanto studio allevate i buoi, le pecore, i cavalli! E dei vostri figli non vi date pensiero? Non è forse dalla loro buona educazione che dipende la felicità delle vostre famiglie, del vostro paese, di tutta questa valle?"

- San Carlo Borromeo - 



Buona giornata a tutti. :-)


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