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venerdì 14 febbraio 2025

Amati, chiamati ad amare - + Card. Carlo Maria Martini

 La verità di noi stessi è che siamo fatti per amare e abbiamo bisogno di essere amati.
La verità di Dio è che Dio è amore, un amore misterioso ed esigente, ma insieme tenerissimo e misterioso.
Questo amore con cui Dio ci avvolge è la chiave della nostra vita, 
il segreto di ogni nostro agire.
Noi siamo chiamati ad agire per amore, 
a spendere volentieri la nostra vita per i nostri fratelli e sorelle, e lasciare esplodere la nostra creatività e ad esercitare la nostra intelligenza nel servizio degli altri.

- Card. Carlo Maria Martini - 



 Oggi, il discernimento è importantissimo per tanti motivi, essendo l'unico modo che permetta di orientarsi in una società complessa, l'unico modo per non perdersi d'animo di fronte alle grandi visuali oscure - secolarizzazione, immoralità dilagante, che rischiano di non farci mai decollare.  

- Card. Carlo Maria Martini -
da: “Quale prete per la Chiesa di oggi”, ed. In Dialogo                                               




Siamo chiamati a contrastare il criterio che giudica la bontà di un sistema solo dalla produttività economica e non invece, e anzitutto, dalla qualità di vita che esso sa diffondere. 

- Card. Carlo Maria Martini - 
Da: “Affrontare la tempesta con serenità e con forza”




Dalla Croce Gesù propone in positivo un altro tipo di umanità: è l'umanità di chi vive la beatitudine dei miti e degli operatoti di pace, di chi accetta di portare la croce quotidiana dietro al suo Signore.

- Card. Carlo Maria Martini -

Preghiera per l'Europa

Padre dell'umanità, Signore della storia, 
guarda questo continente europeo 
al quale tu hai inviato tanti filosofi, 
legislatori e saggi, 
precursori della fede nel tuo Figlio morto e risorto.
Guarda questi popoli 
evangelizzati da Pietro e Paolo, 
dai profeti, dai monaci, dai santi; 
guarda queste regioni bagnate dal sangue dei martiri 
e toccate dalla voce dei Riformatori.
Guarda i popoli uniti da tanti legami 
ma anche divisi, nel tempo, 
dall'odio e dalla guerra. 
Donaci di lavorare per una Europa dello Spirito 
fondata non soltanto sugli accordi economici, 
ma anche sui valori umani ed eterni.
Una Europa capace di riconciliazioni etniche ed ecumeniche, 
pronta ad accogliere lo straniero, 
rispettosa di ogni dignità. 
Donaci di assumere con fiducia 
il nostro dovere di suscitare 
e promuovere un' intesa tra i popoli 
che assicuri per tutti i continenti, 
la giustizia e il pane, la libertà e la pace.

- Card. Carlo Maria Martini -


Buona giornata a tutti. :-)

mercoledì 12 febbraio 2025

L’anarchia del potere - Pier Paolo Pasolini

 Nulla è più anarchico del potere, il potere fa praticamente ciò che vuole. E ciò che il potere vuole è completamente arbitrario o dettato da sua necessità di carattere economico, che sfugge alle logiche razionali. 
Io detesto soprattutto il potere di oggi. Ognuno odia il potere che subisce, quindi odio con particolare veemenza il potere di questi giorni. 
È un potere che manipola i corpi in un modo orribile, che non ha niente da invidiare alla manipolazione fatta da Himmler o da Hitler. 
Li manipola trasformandone la coscienza, cioè nel modo peggiore, istituendo dei nuovi valori che sono dei valori alienanti e falsi, i valori del consumo, che compiono quello che Marx chiama un genocidio delle culture viventi, reali, precedenti. Sono caduti dei valori, e sono stati sostituiti con altri valori. 
Sono caduti dei modelli di comportamento e sono stati sostituiti da altri modelli di comportamento. 
Questa sostituzione non è stata voluta dalla gente, dal basso, ma sono stati imposti dal nuovo potere consumistico, cioè la nostra industria italiana pluri-nazionale e anche quella nazionale degli industrialotti, voleva che gli italiani consumassero in un certo modo, un certo tipo di merce, e per consumarlo dovevano realizzare un nuovo modello umano.

- Pier Paolo Pasolini -

Amos Cassioli (1832 - 1891), "Donne che giocano a biliardo"

Stupenda e misera città,
che m'hai insegnato ciò che allegri e feroci
gli uomini imparano bambini,

le piccole cose in cui la grandezza
della vita in pace si scopre, come
andare duri e pronti nella ressa

delle strade, rivolgersi a un altro uomo
senza tremare, non vergognarsi
di guardare il denaro contato

con pigre dita dal fattorino
che suda contro le facciate in corsa
in un colore eterno d'estate;

a difendermi, a offendere, ad avere
il mondo davanti agli occhi e non
soltanto in cuore, a capire

che pochi conoscono le passioni
in cui io sono vissuto:
che non mi sono fraterni, eppure sono

fratelli proprio nell'avere
passioni di uomini
che allegri, inconsci, interi

vivono di esperienze
ignote a me. Stupenda e misera
città che mi hai fatto fare

esperienza di quella vita
ignota: fino a farmi scoprire
ciò che, in ognun, era il mondo.


- Pier Paolo Pasolini -
(Il Pianto della Scavatrice, 1956)




“L’occhio guarda… è l’unico che può accorgersi della bellezza…la bellezza si vede perchè è viva, e quindi reale. 
Diciamo meglio, che può capitar di vederla. Dipende da dove si svela. Il problema è avere gli occhi e non saper vedere, non guardare le cose che accadono. Occhi chiusi. Occhi che non vedono più. 
Che non sono più curiosi. Che non si aspettano che accada più niente. forse perchè non credono che la bellezza esista. Ma, sul deserto delle nostre strade lei passa, rompendo il finito limite e riempiendo i nostri occhi di infinito desiderio.”

- Pier Paolo Pasolini - 




“Io posso essere uno che non crede, ma uno che non crede ha nostalgia per qualcosa in cui credere”.

- Pier Paolo Pasolini -
























«Amo ferocemente, disperatamente la vita. E credo che questa ferocia, questa disperazione mi porteranno alla fine. 
Amo il sole, l’erba, la gioventù. 
L’amore per la vita è divenuto per me un vizio più micidiale della cocaina. 
Io divoro la mia esistenza con un appetito insaziabile. 
Come finirà tutto ciò? Lo ignoro».


- Pier Paolo Pasolini -
“Il cinema in forma di poesia”



Buona giornata a tutti. :-)

mercoledì 5 febbraio 2025

da: "Castelli di rabbia" - Alessandro Baricco

Eppure, per quanto indubitabilmente sia meravigliosa la luce della sera, c'è qualcosa che ancora riesce ad essere più bello della luce della sera, ed è per la precisione quando, per incomprensibili giochi di correnti, scherzi di venti, bizzarrie del cielo, sgarbi reciproci di nubi difettose, e circostanze fortuite a decine, una vera collezione di casi, e di assurdi - quando, in quella luce irripetibile che è la luce della sera, inopinatamente, piove. 
C'è il sole, il sole della sera, e piove. Quello è il massimo. 
E non c'è uomo, per quanto limato dal dolore o sfinito dall'ansia, che di fronte a un'assurdità del genere non senta da qualche parte rigirarsi un'irrefrenabile voglia di ridere.
Poi magari non ride, veramente, ma se solo il mondo fosse un sospiro più clemente, riuscirebbe a ridere. Perche è come una colossale e universale gag, perfetta e irresistibile. 

Una cosa da non crederci. 
Perfino l'acqua, quella che ti casca sulla testa, a minute gocce prese di infilata dal sole basso sull'orizzonte, non sembra neanche acqua vera. 
Non ci sarebbe da stupirsi se ad assaggiarla si scoprisse che è zuccherata. Per dire. Comunque acqua non regolamentare. 
Tutt'una generale e spettacolare eccezione alle regole, una grandiosa presa per il culo di qualsiasi logica. Un'emozione. Tanto che tra tutte le cose che poi finiscono per dare una giustificazione a questa altrimenti ridicola abitudine di vivere certo figura anche questa, in cima alle più nitide, alle più pulite: esserci, quando in quella luce irripetibile che è la luce della sera, inopinatamente, piove. 
Almeno una volta, esserci.

- Alessandro Baricco - 
da: "Castelli di rabbia" , Ed. Universale Economica Feltrinelli



Eravamo nello stesso amore,
in quel momento.
Non abbiamo fatto altro, per anni.
La sua bellezza, i suoi pianti, la mia forza,
i suoi passi, il mio pregare
- eravamo nello stesso amore -
La sua musica, i miei libri, i miei ritardi,
i suoi pomeriggi da solo
- eravamo nello stesso amore -
L’aria in faccia, il freddo nelle mani,
le sue dimenticanze, le mie certezze
- eravamo nello stesso amore.

- Alessandro Baricco -



Io ti ho amato, André, e non saprei immaginare come si possa amare di più. Avevo una vita, che mi rendeva felice, e ho lasciato che andasse in pezzi pur di stare con te. Non ti ho amato per noia, o per solitudine, o per capriccio. Ti ho amato perché il desiderio di te era più forte di qualsiasi felicità. E lo sapevo che poi la vita non è abbastanza grande per tenere insieme tutto quello che riesce ad immaginarsi il desiderio. Ma non ho cercato di fermarmi, né di fermarti. Sapevo che lo avrebbe fatto lei. E lo ha fatto. E' scoppiata tutto d'un colpo. C'erano cocci ovunque, e tagliavano come lame. 

- Alessandro Baricco -

da: "Oceano Mare"




...quante discussioni e incomprensioni ci risparmieremmo se riuscissimo a dare più importanza alla presenza di chi amiamo più che al 'terriccio' che porta con sè!




Buona giornata a tutti. :-)

www.leggoerifletto.it




 

mercoledì 29 gennaio 2025

Lettera d'amore di Frida Kahlo a Diego Rivera (1939)

La mia notte è come un grande cuore che pulsa. Sono le tre e trenta del mattino.
La mia notte è senza luna. 
La mia notte ha grandi occhi che guardano fissi una luce grigia che filtra dalle finestre. 
La mia notte piange e il cuscino diventa umido e freddo. 
La mia notte è lunga e sembra tesa verso una fine incerta. 
La mia notte mi precipita nella tua assenza. Ti cerco, cerco il tuo corpo immenso vicino al mio, il tuo respiro, il tuo odore. 
La mia notte mi risponde: vuoto; la mia notte mi dà freddo e solitudine. Cerco un punto di contatto: la tua pelle. Dove sei? Dove sei? Mi giro da tutte le parti, il cuscino umido, la mia guancia vi si appiccica, i capelli bagnati contro le tempie. Non è possibile che tu non sia qui. La mie mente vaga, i miei pensieri vanno, vengono e si affollano, il mio corpo non può comprendere. 
Il mio corpo ti vorrebbe. 
Il mio corpo, quest’area mutilata, vorrebbe per un attimo dimenticarsi nel tuo calore, il mio corpo reclama qualche ora di serenità. 
La mia notte è un cuore ridotto a uno straccio. 
La mia notte sa che mi piacerebbe guardarti, seguire con le mani ogni curva del tuo corpo, riconoscere il tuo viso e accarezzarlo. 
La mia notte mi soffoca per la tua mancanza. 
La mia notte palpita d’amore, quello che cerco di arginare ma che palpita nella penombra, in ogni mia fibra. 
La mia notte vorrebbe chiamarti ma non ha voce. Eppure vorrebbe chiamarti e trovarti e stringersi a te per un attimo e dimenticare questo tempo che massacra. Il mio corpo non può comprendere. Ha bisogno di te quanto me, può darsi che in fondo, io e il mio corpo, formiamo un tutt’uno. Il mio corpo ha bisogno di te, spesso mi hai quasi guarita. 
La mia notte si scava fino a non sentire più la carne e il sentimento diventa più forte, più acuto, privo della sostanza materiale. La mia notte mi brucia d’amore. Sono le quattro e trenta del mattino.
La mia notte mi strema. Sa bene che mi manchi e tutta la sua oscurità non basta a nascondere quest’evidenza che brilla come una lama nel buio, la mia notte vorrebbe avere ali per volare fino a te, avvolgerti nel sonno e ricondurti a me. Nel sonno mi sentiresti vicina e senza risvegliarti le tue braccia mi stringerebbero. 
La mia notte non porta consiglio. 
La mia notte pensa a te, come un sogno a occhi aperti. 
La mia notte si intristisce e si perde. 
La mia notte accentua la mia solitudine, tutte le solitudini. Il suo silenzio ascolta solo le mie voci interiori. 
La mia notte è lunga, lunga, lunga. 
La mia notte avrebbe paura che il giorno non appaia più ma allo stesso tempo la mia notte teme la sua apparizione, perché il giorno è un giorno artificiale in cui ogni ora vale il doppio e senza di te non è più veramente vissuta. 
La mia notte si chiede se il mio giorno somiglia alla mia notte. Cosa che spiegherebbe la mia notte, perché tempo anche il giorno. La mia notte ha voglia di vestirmi e di spingermi fuori per andare a cercare il mio uomo. 
Ma la mia notte sa che ciò che chiamano follia, da ogni ordine, semina disordine, è proibito. 
La mia notte si chiede cosa non sia proibito. Non è proibito fare corpo con lei, questo, lo sa, ma si irrita nel vedere una carne fare corpo con lei sul filo della disperazione. Una carne non è fatta per sposare il nulla. 
La mia notte ti ama fin nel suo intimo, e risuona anche del mio. 
La mia notte si nutre di echi immaginari. Essa, può farlo. Io, fallisco. 
La mia notte mi osserva. Il suo sguardo è liscio e si insinua in ogni cosa. 
La mia notte vorrebbe che tu fossi qui per insinuarsi anche dentro di te con tenerezza. 
La mia notte ti aspetta. Il mio corpo ti attende. 
La mia notte vorrebbe che tu riposassi nell’incavo della mia spalla e che io riposassi nell’incavo della tua. 
La mia notte vorrebbe essere spettatrice del mio e del tuo godimento, vederti e vedermi fremere di piacere. 
La mia notte vorrebbe vedere i nostri sguardi e avere i nostri sguardi pieni di desiderio. 
La mia notte vorrebbe tenere fra le mani ogni spasmo. 
La mia notte diventerebbe dolce. 
La mia notte si lamenta in silenzio della sua solitudine al ricordo di te. 
La mia notte è lunga, lunga, lunga. Perde la testa ma non può allontanare la tua immagine da me, non può dissipare il mio desiderio. Sta morendo perché non sei qui e mi uccide. 
La mia notte ti cerca continuamente. Il mio corpo non riesce a concepire che qualche strada o una qualsiasi geografia ci separi. Il mio corpo diventa pazzo di dolore di non poter riconoscere nel cuore della notte la tua figura o la tua ombra. Il mio corpo vorrebbe abbracciarti nel sonno. Il mio corpo vorrebbe dormire in piena notte e in quelle tenebre essere risvegliato al tuo abbraccio. La mia notte urla e si strappa i veli, la mia notte si scontra con il proprio silenzio, ma il tuo corpo resta introvabile. Mi manchi tanto, tanto. Le tue parole. Il tuo colore.
Fra poco si leverà il sole."

- Frida Kahlo -  
Lettera di Frida Kahlo a Diego Rivera, Città del Messico, 12 settembre 1939. Mai spedita.




Anche se mi dici che ti vedi molto brutto quando ti guardi allo specchio con i tuoi capelli corti, io non ci credo, so quanto tu sia comunque bello e l' unica cosa che rimpiango è di non essere lì a baciarti e a prendermi cura di te, anche se ogni tanto ti disturberei con i miei brontolii. 
Ti adoro, Diego mio. 
Mi sento come se avessi lasciato il mio bambino e sento che tu hai bisogno di me... Non posso vivere senza il mio chiquito lindo , la casa senza di te non è niente. Senza di te tutto mi sembra orribile. 
Ti amo più che mai e ogni momento di più. Ti mando tutto il mio amore.

- Frida Kahlo a Diego Rivera -



"Non ci sono canoni o bellezze regolari, armonie esteriori, ma tuoni e temporali devastanti che portano ad illuminare un fiore, nascosto, di struggente bellezza.”

- Frida Kahlo - 



"Dove non puoi amare, non soffermarti." 

- Frida Kahlo -


Buona giornata a tutti. :-)






giovedì 23 gennaio 2025

da: "I Promessi Sposi" - Alessandro Manzoni

Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un'ampia costiera dall'altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l'Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. 
La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, l'uno detto di san Martino, l'altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega: talché non è chi, al primo vederlo, purché sia di fronte, come per esempio di su le mura di Milano che guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più oscuro e di forma più comune. 
Per un buon pezzo, la costa sale con un pendìo lento e continuo; poi si rompe in poggi e in valloncelli, in erte e in ispianate, secondo l'ossatura de' due monti, e il lavoro dell'acque. Il lembo estremo, tagliato dalle foci de' torrenti, è quasi tutto ghiaia e ciottoloni; il resto, campi e vigne, sparse di terre, di ville, di casali; in qualche parte boschi, che si prolungano su per la montagna. 
Lecco, la principale di quelle terre, e che dà nome al territorio, giace poco discosto dal ponte, alla riva del lago, anzi viene in parte a trovarsi nel lago stesso, quando questo ingrossa: un gran borgo al giorno d'oggi, e che s'incammina a diventar città. 
Ai tempi in cui accaddero i fatti che prendiamo a raccontare, quel borgo, già considerabile, era anche un castello, e aveva perciò l'onore d'alloggiare un comandante, e il vantaggio di possedere una stabile guarnigione di soldati spagnoli, che insegnavan la modestia alle fanciulle e alle donne del paese, accarezzavan di tempo in tempo le spalle a qualche marito, a qualche padre; e, sul finir dell'estate, non mancavan mai di spandersi nelle vigne, per diradar l'uve, e alleggerire a' contadini le fatiche della vendemmia.



Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell'anno 1628, don Abbondio, curato d'una delle terre accennate di sopra: il nome di questa, né il casato del personaggio, non si trovan nel manoscritto, né a questo luogo né altrove. 
Diceva tranquillamente il suo ufizio, e talvolta, tra un salmo e l'altro, chiudeva il breviario, tenendovi dentro, per segno, l'indice della mano destra, e, messa poi questa nell'altra dietro la schiena, proseguiva il suo cammino, guardando a terra, e buttando con un  piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel sentiero: poi alzava il viso, e, girati oziosamente gli occhi all'intorno, li fissava alla parte d'un monte, dove la luce del sole già scomparso, scappando per i fessi del monte opposto, si dipingeva qua e là sui massi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze di porpora. Aperto poi di nuovo il breviario, e recitato un altro squarcio, giunse a una voltata della stradetta, dov'era solito d'alzar sempre gli occhi dal libro, e di guardarsi dinanzi: e così fece anche quel giorno. 
Dopo la voltata, la strada correva diritta, forse un sessanta passi, e poi si divideva in due viottole, a foggia d'un ipsilon: quella a destra saliva verso il monte, e menava alla cura: l'altra scendeva nella valle fino a un torrente; e da questa parte il muro non arrivava che all'anche del passeggiero. 
I muri interni delle due viottole, in vece di riunirsi ad angolo, terminavano in un tabernacolo, sul quale eran dipinte certe figure lunghe, serpeggianti, che finivano in punta, e che, nell'intenzion dell'artista, e agli occhi degli abitanti del vicinato, volevan dir fiamme; e, alternate con le fiamme, cert'altre figure da non potersi descrivere, che volevan dire anime del purgatorio: anime e fiamme a color di mattone, sur un fondo bigiognolo, con qualche scalcinatura qua e là. 
Il curato, voltata la stradetta, e dirizzando, com'era solito, lo sguardo al tabernacolo, vide una cosa che non s'aspettava, e che non avrebbe voluto vedere. Due uomini stavano, l'uno dirimpetto all'altro, al confluente, per dir così, delle due viottole: un di costoro, a cavalcioni sul muricciolo basso, con una gamba spenzolata al di fuori, e l'altro piede posato sul terreno della strada; il compagno, in piedi, appoggiato al muro, con le braccia incrociate sul petto. L'abito, il portamento, e quello che, dal luogo ov'era giunto il curato, si poteva distinguer dell'aspetto, non lasciavan dubbio intorno alla lor condizione. Avevano entrambi intorno al capo una reticella verde, che cadeva sull'omero sinistro, terminata in una gran nappa, e dalla quale usciva sulla fronte un enorme ciuffo: due lunghi mustacchi arricciati in punta: una cintura lucida di cuoio, e a quella attaccate due pistole: un piccol corno ripieno di polvere, cascante sul petto, come una collana: un manico di coltellaccio che spuntava fuori d'un taschino degli ampi e gonfi calzoni: uno spadone, con una gran guardia traforata a lamine d'ottone, congegnate come in cifra, forbite e lucenti: a prima vista si davano a conoscere per individui della specie de' bravi. 



Che i due descritti di sopra stessero ivi ad aspettar qualcheduno, era cosa troppo evidente; ma quel che più dispiacque a don Abbondio fu il dover accorgersi, per certi atti, che l'aspettato era lui. Perché, al suo apparire,  coloro s'eran guardati in viso, alzando la testa, con un movimento dal quale si scorgeva che tutt'e due a un tratto avevan detto: è lui; quello che stava a cavalcioni s'era alzato, tirando la sua gamba sulla strada; l'altro s'era staccato dal muro; e tutt'e due gli s'avviavano incontro. Egli, tenendosi sempre il breviario aperto dinanzi, come se leggesse, spingeva lo sguardo in su, per ispiar le mosse di coloro; e, vedendoseli venir proprio incontro, fu assalito a un tratto da mille pensieri. Domandò subito in fretta a se stesso, se, tra i bravi e lui, ci fosse qualche uscita di strada, a destra o a sinistra; e gli sovvenne subito di no. Fece un rapido esame, se avesse peccato contro qualche potente, contro qualche vendicativo; ma, anche in quel turbamento, il testimonio consolante della coscienza lo rassicurava alquanto: i bravi però s'avvicinavano, guardandolo fisso. Mise l'indice e il medio della mano sinistra nel collare, come per raccomodarlo; e, girando le due dita intorno al collo, volgeva intanto la faccia all'indietro, torcendo insieme la bocca, e guardando con la coda dell'occhio, fin dove poteva, se qualcheduno arrivasse; ma non vide nessuno. (..) continua....

- Alessandro Manzoni -
da: "I Promessi Sposi"



Buona giornata a tutti. :-)





domenica 15 dicembre 2024

Le scarpe di Natale – don Bruno Ferrero

 C'era una volta una città i cui abitanti amavano sopra ogni cosa l'ordine e la tranquillità. Avevano fatto delle leggi molto precise, che regolavano con severità ogni dettaglio della vita quotidiana. 
Tutte le fantasie, tutto quello che non rientrava nelle solite abitudini era mal visto o considerato una stranezza. E per ogni stranezza era prevista la prigione.
Gli abitanti della città non si dicevano mai «buongiorno» per la strada; nessuno diceva mai «per piacere»; quasi tutti avevano paura degli altri e si guardavano sospettosamente.
C'erano anche quelli che denunciavano i vicini, se trovavano un po' troppo bizzarro il loro comportamento.
Il commissario Leonardi, capo della polizia, non aveva mai abbastanza poliziotti per condurre inchieste, sorvegliare, arrestare, punire...
Già nella scuola materna, i bambini imparavano a stare ben attenti alle loro chiavi. E c'erano chiavi per ogni cosa: per le porte, per l'armadietto, per la cartella, per la scatola dei giochi e perfino per la scatola delle caramelle!
La sera, la gente aveva paura. 
Rientravano tutti a casa correndo e poi sprangavano le porte e chiudevano ben bene le finestre.

Cristiana aveva i capelli biondi.
Erano rimasti tuttavia dei ragazzi che sapevano ancora scambiarsi qualche strizzata d'occhi e anche degli insegnanti che li incoraggiavano... Ma, soprattutto, c'era Cristiana.
Cristiana aveva i capelli biondi come il sole, gli occhi scintillanti come laghetti di montagna e non pensava mai: «Chissà che cosa dirà la gente?». Nella città si facevano molte dicerie sul suo conto. 
Perché Cristiana aiutava tutti quelli che avevano bisogno di aiuto, consolava i bambini che piangevano e anche i vecchietti rimasti soli, perché accoglieva tutti coloro che chiedevano un po' di denaro o anche solo qualche parola di speranza.
Tutto questo era scandaloso per la città. Non potevano proprio sopportare ulteriormente quel modo di vivere così diverso dal loro. E un giorno il commissario Leonardi, con venti poliziotti, andò ad arrestare Cristiana, o Cri-Cri, come l'avevano soprannominata gli amici. E per essere sicuro che non combinasse altre stranezze, la fece mettere in prigione. 
Questo accadde qualche giorno prima di Natale. Natale era una festa, ma molti non sapevano più di chi o di che cosa. 
Sapevano soltanto che in quei giorni si doveva mangiare bene e bere meglio. Ma senza esagerare, per non prendersi qualche malattia... 
Soprattutto, la sera della vigilia di Natale, tutti dovevano mettere le proprie scarpe davanti al camino, per trovarle piene di doni il giorno dopo. Una cosa questa che, nella città, facevano tutti, ma proprio tutti. Così fu anche quel Natale.

Una gran confusione
All'alba, tutti si precipitarono dove avevano messo le scarpe, per trovare i loro regali. Ma... che era successo? Non c'era l'ombra di un regalo. Neanche un torrone o un cioccolatino!
E poi... le scarpe!
In tutta la città, le scarpe risultavano spaiate. Il commendator Bomboni si trovò con una scarpina da ballo, una vecchia ottantenne aveva una scarpa bullonata da calcio, un bambino di cinque anni aveva una scarpa numero 43, e così di seguito. Non c'erano due scarpe uguali in tutta la città! 
Allora si aprirono porte e finestre e tutti gli abitanti scesero in strada. Ciascuno brandiva la scarpa non sua e cercava quella giusta. Era una confusione allegra e festosa. Quando i possessori delle scarpe scambiate si trovavano, avevano voglia di ridere e di abbracciarsi.
Si vide il commendator Bomboni pagare la cioccolata a una bambina che non aveva mai visto e una vecchietta a braccetto con un ragazzino.
Solo qualche finestra restava ostinatamente chiusa. 
Come quella del commissario Leonardi. Quando però il commissario sentì il gran trambusto che veniva dalla strada, pensò a una rivoluzione e corse a prendere le armi che teneva sul camino. Immediatamente il suo sguardo cadde sulle scarpe che aveva collocato davanti al camino. E anche lui si bloccò, sorpreso. Accanto alla sua pesante scarpa nera c'era... una pantofola rossa di Cri-Cri. Stringendo la pantofola rossa in mano, il commissario corse alla prigione.
La cella dove aveva rinchiuso Cri-Cri era ancora ben chiusa a chiave. Ma la ragazza non c'era. 
Ai piedi del tavolaccio, perfettamente allineate c'erano l'altra scarpa del commissario e l'altra pantofola rossa. Dal finestrino, protetto da una grossa inferriata, proveniva una strana luce. Il commissario si affacciò. Nella strada la gente continuava a scambiarsi le scarpe e ad abbracciarsi.
Con un'insolita commozione, il commissario si accorse che la luce che veniva dal finestrino era bionda e calda come il sole e aveva dei luccichii azzurri, come succede nei laghetti di montagna.
E incominciò a capire.

- Don Bruno Ferrero -
Da: “Storie di Natale, d’Avvento e d’Epifania”, ed. Elledicì



Oggi si è indotti talvolta a pensare che la verità, la giustizia e la pace siano utopie e che esse si escludano mutuamente. Conoscere la verità sembra impossibile e gli sforzi per affermarla appaiono sfociare spesso nella violenza. D’altra parte, secondo una concezione ormai diffusa, l’impegno per la pace si riduce alla ricerca di compromessi che garantiscano la convivenza fra i Popoli, o fra i cittadini all’interno di una Nazione. Al contrario, nell’ottica cristiana esiste un’intima connessione tra la glorificazione di Dio e la pace degli uomini sulla terra, così che la pace non sorge da un mero sforzo umano, bensì partecipa dell’amore stesso di Dio. Ed è proprio l’oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a generare la violenza. Infatti, quando si cessa di riferirsi a una verità oggettiva e trascendente, come è possibile realizzare un autentico dialogo? In tal caso come si può evitare che la violenza, dichiarata o nascosta, diventi la regola ultima dei rapporti umani? In realtà, senza un’apertura trascendente, l’uomo cade facile preda del relativismo e gli riesce poi difficile agire secondo giustizia e impegnarsi per la pace...

- papa Benedetto XVI - 
dal "Discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede" 07 gennaio 2013 -


O Signore, fa' che io comprenda quale grande pace e sicurezza ha il cuore che non desidera cosa alcuna di questo mondo. Infatti, se il mio cuore brama di ottenere i beni terreni, non può essere né tranquillo né sicuro, perché cerca di avere quello che non ha o di non perdere quello che possiede.

- San Gregorio Magno -


Buona giornata a tutti. :-)