Può essere anche una buona cena e un buon bicchiere di vino. Ma questo non soddisfa i miei bisogni più profondi.
È questo ciò che mi fa veramente bene, che risveglia in me la mia vita personale, assolutamente unica, non basata sulle aspettative degli altri e sulle richieste del mio SuperIo, ma originaria e autentica.
Posso essere aiutato in questo dall’adozione di uno stile di vita personale, uno stile di vita sano che mi fa sentire bene, mi dà la sensazione di vivere personalmente e non fatto vivere da altri, di organizzare personalmente le mie giornate e la mia vita, di vivere nel momento presente, pienamente me stesso, pienamente presente a ciò che sto facendo e in grado di imprimere la mia forma a tutto ciò che faccio.
La sensazione di essere fatti vivere, trascinati e determinati da altri, ci rende infelici.
L’amore per noi stessi consiste nell’usare bene il nostro tempo, affrontare le sue sfide e fare veramente nostro ciò che ci viene offerto dall’esterno.
C’è qualcosa di estraneo che domina la nostra vita. L’amore dovrebbe trasformare ciò che è estraneo in qualcosa di proprio, di personale.
Se accetto liberamente come una sfida proveniente da Dio un lavoro che mi viene imposto dall’esterno, esso non è più per me un peso che mi grava sullo stomaco, del quale sbarazzarmi il prima possibile, ma diventa il mio lavoro. L’oggetto del lavoro mi è imposto da altri e al riguardo io non posso fare nulla. Ma il come lo faccio dipende da me. E prendendo personalmente in mano il come, trasformo anche l’oggetto.
La pietra che scolpisco esprime ciò che c’è dentro di me.
Il lavoro che mi viene imposto dall’esterno è una pietra in cui posso esprimere ciò che c’è dentro di me attraverso il mio modo di lavorarla.
L’amore modella e plasma il dato, trasformandolo in una parte di me.
Amare se stessi significa accettarsi.
Amare significa avere caro, maneggiare bene: è qualcosa che ha a che fare con le mani. Anche l’accettare richiede le mani; posso accettare solo con le mani: quando prendo qualcosa in mano, esso diventa parte di me.
Mi tratto bene, quando tratto bene il mio corpo; non devo rammollirlo, ma fare in modo che possa lasciare trasparire Dio.
Devo ascoltarlo. Attraverso la malattia, le menomazioni, le sofferenze mi dice qualcosa su me stesso. Devo accettare, prendere in mano, far diventare una parte di me ciò che mi dice e riconciliarmi con esso.
Lo stesso vale per i pensieri che affiorano in me.
Devo accoglierli e accettarli come una parte di me. Ma devo anche rendermi conto se i pensieri mi assalgono dall’esterno e mi impediscono di essere me stesso. In questo caso devo combattere anche contro i pensieri e introdurre in me solo i pensieri buoni, quelli che possono guarirmi.
I monaci cercavano di riempirsi di buoni pensieri leggendo la Bibbia.
La loro lettura della Bibbia non era dettata solo dall’amore per Dio, ma anche dall’amore per se stessi. Infatti, la Bibbia scaccia i nostri pensieri negativi e ci guarisce con i pensieri di Dio, che ci permettono di scoprire il nostro vero nucleo.
Ogni forma di ascesi è, in definitiva, amore di se stessi.
Ci trattiamo bene, cerchiamo di incrementare il nucleo buono e di ridurre con gli strumenti ascetici ‑ disciplina, preghiera, lettura della Bibbia, digiuno, ecc. ‑ quel groviglio di spine che ci impedisce di svilupparci e di fiorire.
Solo l'amore di Dio non ne conosce.
Esigono anche, però, che li osserviamo e parliamo con essi e che, attraverso questa percezione, accettiamo noi stessi nella nostra unicità.
I sentimenti sono un invito a intraprendere un emozionante viaggio di scoperta nella nostra interiorità.
Spesso non vediamo progressi nel rapporto spezzato.
Dovremmo però avere la speranza che, prima o poi, ciò che è spezzato guarisca e ciò che si è intorbidato si chiarifichi.