mercoledì 31 luglio 2019

Dialogo in guardaroba - Bombeck Erma

Ieri ho attaccato in guardaroba il seguente cartello:

Tutti i capi di vestiario abbandonati in questo posto per più di novanta giorni verranno rimossi a spese del proprietario e venduti all'asta.

«Che cos'è questa storia?» mi ha chiesto il più piccolo dei miei figli.

«Significa che in fondo al tuo mucchio di vestiti ci sono ancora i pannolini, e hai tredici anni. Significa che non ne posso più di vederti vestire tutte le mattine sopra il tostapane. Significa che i tuoi vestiti hanno un posto e io voglio vederceli.»

«Avevo proprio intenzione di parlarti di questa storia», ha detto lui. «Si può sapere perché hai messo i miei blue jeans in lavatrice?»
«Perché erano in mezzo alla stanza, sul pavimento.»
«Erano accovacciati?»
«Accovacciati?»
«Sì, come se avessi appena sfilato le gambe dai buchi.» 
Annuii. «Cosa c'entra questo?»
«Quando sono così accovacciati significa che non sono sporchi.»
«E come faccio a sapere quando lo sono?»
«Quelli sporchi li butto sotto il letto con un calcio.»
«E perché non li metti sul letto?»
«Perché non voglio mescolarli ai vestiti puliti.»
«Invece di dormirci, con i vestiti puliti, perché non li metti in un cassetto?»
«Perché nei cassetti ci tengo la biancheria sporca che ho intenzione di indossare ancora.»
Respirai profondamente. «E perché mai dovresti indossare della biancheria sporca?» «Perché porta fortuna.» «A chi?» chiesi seccamente.
«Suppongo che vorresti che mettessi la biancheria nella cesta della biancheria?» mi chiese.
«Devo ammettere di averci pensato.»
«I miei vestiti si sciuperebbero a contatto con tutti quegli asciugamani bagnati.» «Veramente gli asciugamani bagnati dovrebbero stare sul portasciugamani.» «E che cosa dovrei fare di tutti i tuoi collant e golfini?»
«METTERLI IN GUARDAROBA», urlai.
«Questo significa che non posso più vestirmi sopra il tostapane?» mi chiese.
Gli piazzai con fermezza una mano sul sedere. «No, significa che la biancheria sporca ha smesso di portarti fortuna.»

- Erma Bombeck -
Fonte: “Se la vita è un piatto di ciliegie, perché a me capitano solo i noccioli?” di Erma Bombeck







"Non ho mai capito come può un bambino baciare un cane sulle labbra, prendere una gomma già masticata dal portacenere, appoggiare la bocca a una pompa da giardino tutta sporca di fango... e poi rifiutare di bere dallo stesso bicchiere del fratello!"

(da "Se la vita è un piatto di ciliegie, perché a me solo i noccioli?" di Erma Bombeck)





«Per quanto ricordi, la nostra casa ha sempre ospitato un quarto bambino… Non-lo-so. Tutti lo vedono tranne me. 
Io so soltanto una cosa, che è odioso. “Chi ha lasciato aperta la porta d’ingresso?”. “Non-lo-so”. “Chi ha lasciato il sapone a mollo nell’acqua?”. “Non-lo-so”. [...] 
Sinceramente, Non-lo-so mi farà diventare matta. 
Ha perso due ombrelli, quattro paia di stivali e una bicicletta. [...]. 
Stamattina a colazione ho detto a mio marito: “Chi vuole il fegato per cena?”. Lui ha alzato gli occhi e ha detto: “Per-me-è-lo-stesso”. 
Questo può significare soltanto una cosa. Non-lo-so ha un fratello».

- Erma Bombeck -




Buongiorno a tutti:-).. anzi a tutte! :-)))


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martedì 30 luglio 2019

Il bicchiere – Paulo Coelho

Il vino rendeva le cose più facili per lui. E per me.  
– Perché ti sei interrotto all’improvviso? Perché non vuoi parlare di Dio, della Vergine, del mondo spirituale?
– Voglio parlare di un altro tipo di amore – insistette lui. – Quello che  provano un uomo e una donna, e in cui pure si manifestano i miracoli.
Presi le sue mani. Poteva anche conoscere i grandi misteri della Dea – ma di amore ne sapeva quanto me. Anche se aveva viaggiato tanto.
E io avrei dovuto pagare un prezzo: l’iniziativa. Perché la donna paga il prezzo più alto: la resa.
Restammo lì tenendoci per mano a lungo. 
Leggevo nei suoi occhi le paure ancestrali che il vero amore suscita come prove da vincere. 
Vi lessi il ricordo del rifiuto della sera precedente, il lungo tempo che avevamo trascorso separati, gli anni nel monastero alla ricerca di un mondo dove queste cose non accadevano.
Leggevo nei suoi occhi le migliaia di volte in cui si era prefigurato questo momento, gli scenari che aveva creato intorno a noi, la pettinatura che avrei potuto avere in quel momento e il colore dei miei vestiti. Io avrei voluto dirgli che “sì”, sarebbe stato il benvenuto, che il mio cuore aveva vinto la battaglia. Avrei voluto dirgli quanto lo amavo, quanto lo desideravo in quel momento.
Ma rimasi in silenzio. Assistetti, come se fosse un sogno, alla sua lotta interiore. Vidi che aveva davanti a sé il mio “no”, la paura di perdermi, le dure parole che aveva udito in momenti simili – perché ci passiamo tutti, e accumuliamo cicatrici.
I suoi occhi cominciarono a brillare. Sapevo che stava superando tutte quelle barriere.
Allora liberai una delle mie mani, presi un bicchiere e lo spostai sul bordo del tavolo.
– Cadrà – disse lui.
– Proprio così. Voglio che tu lo faccia cadere.
– Rompere un bicchiere?
Sì, rompere un bicchiere. Un gesto apparentemente semplice, ma che implicava certi terrori che non riusciremo mai a comprendere bene. Cosa c’è di sbagliato nel rompere un bicchiere di poco valore – quando a tutti è capitato di farlo nella vita?
– Rompere un bicchiere? – ripetè lui. – Perché?
– Potrei darti varie spiegazioni – risposi. - Ma, in realtà, è solo per romperlo.
– Per te?
– Ovviamente no.
Guardava il bicchiere di vetro sul bordo del tavolo – preoccupato che cadesse.
"È un rito di passaggio, come dici anche tu”, mi venne voglia di dirgli. 
“ È ciò che è proibito. I bicchieri non si rompono di proposito. 
Quando entriamo in un ristorante, o anche quando siamo a casa, stiamo attenti a che i bicchieri non finiscano sul bordo del tavolo. Il nostro universo esige da noi che si faccia attenzione a che i bicchieri non cadano a terra.
Eppure - continuai a pensare - se involontariamente li rompiamo, ci accorgiamo che non era poi così tanto grave. 
Il cameriere dice “non ha importanza”, e a me non è mai capitato di vedere che un bicchiere rotto venisse incluso nel conto di un ristorante. 
Rompere bicchieri fa parte della vita, e non causiamo alcun danno a noi, al ristorante, o al prossimo.
Diedi uno spinta al tavolo. Il bicchiere ondeggiò, ma non cadde.
– Attenzione! – esclamò lui, istintivamente.
– Rompi il bicchiere – insistetti.
Rompi questo bicchiere, pensavo fra me e me, perché è un gesto simbolico. Cerca di capire che io, dentro di me, ho rotto cose ben più importanti di un bicchiere, e ne sono felice. 
Pensa alla tua lotta interiore e rompi questo bicchiere.
Perché i nostri genitori ci hanno insegnato a fare attenzione con i bicchieri, e con i corpi. 
Ci hanno insegnato che le passioni dell’infanzia sono impossibili, che non si devono allontanare gli uomini dal sacerdozio, che gli uomini non fanno miracoli, e che nessuno parte per un viaggio senza conoscere la meta.
Rompi questo bicchiere, ti prego – e liberaci da tutti questi maledetti concetti, da questa mania che tutto si deve spiegare e che si deve fare solo quello che gli altri approvano.
– Rompi questo bicchiere – lo pregai ancora una volta.
Fissò i suoi occhi nei miei. Poi, lentamente, fece scivolare la mano sul ripiano del tavolo, fino a sfiorare il bicchiere. Con un movimento rapido, lo fece cadere a terra.
Il rumore del vetro che andava in frantumi attirò l’attenzione di tutti. 
Invece di dissimulare il gesto con una richiesta di scuse, lui mi guardava sorridendo – e io ricambiavo il suo sorriso.
– Non ha importanza – esclamò il giovane che serviva ai tavoli.

Ma lui non mi udì. Si era alzato, mi aveva afferrata per i capelli e mi stava baciando.

Afferrai anch’io i suoi capelli, lo abbracciai con tutta la forza, morsi le sue labbra, sentii la sua lingua muoversi nella mia bocca. 

Era un bacio che avevo atteso a lungo – che era nato presso i fiumi della nostra infanzia, quando ancora non comprendevamo il significato dell’amore. 
Un bacio che era rimasto in sospeso quando eravamo cresciuti, che aveva viaggiato nel mondo attraverso il ricordo di una medaglia, che era rimasto nascosto dietro pile di libri di studio per un concorso pubblico. 
Un bacio che si era smarrito tante volte e che ora era stato ritrovato. 
In quel minuto di bacio c’erano anni di ricerche, di delusioni, di sogni impossibili. 

Lo baciai con forza. Le poche persone presenti nel bar devono averci guardato, e forse pensavano di assistere a un semplice bacio. 
Non sapevano che in quel minuto di bacio c’era la somma della mia vita, della vita di lui, della vita di chiunque speri, sogni e ricerchi il proprio cammino sotto il sole.
Nel minuto di quel bacio c’erano tutti i momenti di gioia che ho vissuto.

- Paulo Coelho -
Fonte: "Sulla sponda del fiume Piedra mi sono seduta e ho pianto", di Paulo Coelho


Buona giornata a tutti. :-)







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lunedì 29 luglio 2019

da: "L'ultima beatitudine, la morte come pienezza di vita" - Padre Alberto Maggi

Introduzione:
La morte di una persona cara è un dramma che segna per sempre l’esistenza degli individui, sia per quelli che pensano che la morte sia la fine di tutto, sia per quanti credono nella risurrezione o in altre forme di sopravvivenza. Ma la sofferenza per la perdita della persona amata è paradossalmente più dolorosa proprio per i credenti, a causa delle confuse o errate idee religiose che accompagnano la morte, e degli intenti consolatori di parenti, amici e conoscenti, specialmente se questi sono persone religiose.
Nell’istante del lutto sono molti gli interrogativi riguardo a tutto quel che circonda la morte (Perché proprio a lui o lei? Perché ora? Perché così giovane e così buono?). Ma, soprattutto, è inquietante l’interrogativo: dove è ora il defunto? Com’è? Che cos’è? Che cosa fa? È sufficiente la tradizionale risposta che i nostri cari, nella migliore delle ipotesi, sono in Cielo e contemplano beati il Signore per tutta l’eternità? Che godono della Requiem aeternam in una sorta di Casa di Riposo celeste?
Il momento del lutto non è tempo di parole ma di silenzio, di presenza che supplisca l’assenza, di forza che si faccia carico della debolezza.
Quale parola potrà infatti mai confortare la persona afflitta dalla perdita di un proprio caro? Ogni parola e ogni frase, anche se formulate con le migliori intenzioni, saranno inadeguate e inopportune, come denuncia Giobbe agli amici venuti a consolarlo: «Ne ho udite già molte di cose simili! Siete tutti consolatori molesti. Non avranno termine le parole campate in aria? O che cosa ti spinge a rispondere? Anch’io sarei capace di parlare come voi, se voi foste al mio posto: comporrei con eleganza parole contro di voi e scuoterei il mio capo su di voi. Vi potrei incoraggiare con la bocca e il movimento delle mie labbra potrebbe darvi sollievo» (Gb 16,2-5).
Nel tempo del lutto c’è solo da com-piangere, piangere con chi piange («Piangete con quelli che sono nel pianto», Rm 12,11), circondare le persone di caldo affetto e tanto amore. A chi è affranto per la morte che l’ha colpito nei suoi affetti più cari non servono parole, ma occorre fargli sperimentare la forza della vita. Poi, dopo qualche tempo, può venire il momento del dialogo, per cercare di dare un significato a quel che sembra insensato, come appunto è la morte, per tentare di capire che quel che appare come un annichilimento in realtà è un potenziamento della persona. Ma ci vuole tempo, pazienza, discrezione e tanta delicatezza. Un approccio maldestro, seppure animato da buoni propositi, può causare danni devastanti e spesso irreparabili.
Quel che occorre fare subito, al momento del lutto, è evitare accuratamente le persone pie, devote, bigotte, quelle che su tutto pontificano con frasi preconfezionate, sentenze, certezze che non attingono dalla loro esperienza ma dalla dottrina.
Sono quelle che alla persona distrutta dal dolore sentenziano: «Il Signore l’ha chiamato», «L’ha preso» e, se il morto era conosciuto per la sua bontà, affermano sicure, accompagnando la frase con un rassegnato sospiro: «Eh, sono sempre i migliori che se ne vanno!» oppure, con aria quasi soddisfatta: «I più buoni il Signore li vuole con sé», o in alternativa: «Era già maturo per il paradiso».
Nel caso il defunto sia molto giovane, questi becchini del dolore affermano impudentemente che «I fiori più belli il Signore li vuole con sé…».
Se poi è un bambino in tenera età, consolano i genitori dicendo che il loro bimbo «È un angioletto in paradiso…».
Queste espressioni consolatorie precedono il cristianesimo e sono note fin dall’antichità.
È di Menandro, famoso commediografo greco vissuto tre secoli prima di Cristo, la celebre frase «Muore giovane colui che gli dèi amano» (frammento 111 K.-Th), ripresa da Giacomo Leopardi, come epigrafe per il suo Amore e morte (XXVII): «Muore giovane colui ch’al cielo è caro».
Nel Libro della Sapienza, la morte del giovane viene giustificata così: «Il giusto, anche se muore prematuramente, si troverà in un luogo di riposo […]. Divenuto caro a Dio, fu amato da lui e, poiché viveva fra peccatori, fu portato altrove. Fu rapito, perché la malvagità non alterasse la sua intelligenza o l’inganno non seducesse la sua anima […]. Giunto in breve alla perfezione, ha conseguito la pienezza di tutta una vita» (Sap 4,7.10-11.13).
A chi non accetta e non si rassegna a questo lutto, e protesta, dicendo che l’angioletto se lo sarebbero tenuto ben volentieri nella loro famiglia, ecco tutto un fuoco di sbarramento a forza di «Accetta la croce che Dio ti ha mandato», «È la volontà del Signore», «È il Signore che pota», «Il Signore ha dato, il Signore ha tolto», «La felicità non è di questo mondo», con tutto l’inesauribile repertorio dell’infinito stupidario religioso del quale si alimentano insaziabili i pii devoti, più beoti che beati.
Frasi che non solo non consolano, ma gettano nel più profondo sconforto quanti sono nel lutto e nel pianto, facendo nascere un sordo rancore verso questo Dio spietato che toglie, coglie, manda croci, pota vite e persone, e la cui volontà coincide sempre con la sofferenza degli uomini e mai, neanche una sola volta, con la loro felicità.

 - Padre Alberto Maggi -
frate dell’Ordine dei Servi di Maria 
Da: “L’ultima Beatitudine” La morte come pienezza di vita, Garzanti editore





Riappropriarsi della morte Per vivere serenamente la pur dolorosa esperienza della morte, è importante per prima cosa riappropriarsi del morire, il momento decisivo nella vita dell’individuo ma dal quale si è stati a poco a poco espropriati. Verso gli anni Trenta del secolo scorso, è iniziato il gran mutamento nel concetto del morire e della morte, che è coinciso con lo spostamento del luogo dove si muore. Il progresso in campo medico e il rinnovo delle strutture ospedaliere, che da precari ricoveri assumevano via via sempre più l’aspetto di cliniche ben organizzate, hanno fatto sì che il morire non avvenga più in casa, tra i propri familiari. Il decesso avviene quasi sempre in ospedale, tra medici e infermieri, lasciando così il morente da solo nella tappa fondamentale e più delicata di tutta la sua esistenza. 
Proprio nel momento nel quale è importante più che mai essere accompagnati, ci si sente abbandonati. 
Nelle foto e nei dipinti dei secoli passati, la stanza del morente era sempre affollata di persone, dal prete ai familiari, parenti, amici, bambini compresi, che oggi vengono invece comunemente allontanati per non impressionarli con la vista del cadavere, salvo poi lasciarli da soli per ore davanti al televisore a impressionarsi di video truci dove ogni istante qualcuno muore nei modi più violenti. 
L’iconografia dell’Ars moriendi, l’arte del morire, del XV e XVI secolo, presenta infatti il momento del decesso come una vera e propria cerimonia pubblica. Il morente, che è del tutto conscio della sua fine imminente, attorniato da familiari e amici, dal prete che gli ha amministrato l’estrema unzione, vi partecipa, lasciando non solo l’ultima immagine di sé, ma anche le sue ultime volontà, che saranno custodite come preziose reliquie dai familiari.
  
- Padre Alberto Maggi -

frate dell’Ordine dei Servi di Maria 
Da: “L’ultima Beatitudine” La morte come pienezza di vita, Garzanti editore


Buona giornata a tutti. :-)







domenica 28 luglio 2019

L'incidente - don Bruno Ferrero

Una giovane donna tornava a casa dal lavoro in automobile. 
Guidava con molta attenzione perché l'auto che stava usando era nuova fiammante, ritirata il giorno prima dal concessionario e comprata con i risparmi soprattutto del marito che aveva fatto parecchie rinunce per poter acquistare quel modello.
Ad un incrocio particolarmente affollato, la donna ebbe un attimo di indecisione e con il parafango andò ad urtare il paraurti di un'altra macchina.
La giovane donna scoppiò in lacrime. Come avrebbe potuto spiegare il danno al marito? 

Il conducente dell'altra auto fu comprensivo, ma spiegò che dovevano scambiarsi il numero della patente e i dati del libretto.
La donna cercò i documenti in una grande busta di plastica marrone. Cadde fuori un pezzo di carta.
In una decisa calligrafia maschile vi erano queste parole: "In caso di incidente..., ricorda, tesoro, io amo te, non la macchina!".





Lo dovremmo ricordare tutti, sempre. 
Le persone contano, non le cose. 
Quanto facciamo per le cose, le macchine, le case, l'organizzazione, l'efficienza materiale! 
Se dedicassimo lo stesso tempo e la stessa attenzione alle persone, il mondo sarebbe diverso. 
Dovremmo ritrovare il tempo per ascoltare, guardarsi negli occhi, piangere insieme, incoraggiarsi, ridere, passeggiare...
Ed è solo questo che porteremo con noi davanti a Dio. Noi e la nostra capacità d'amare. Non le cose, neanche i vestiti, neanche questo corpo...





Un papà e il suo bambino camminavano sotto i portici di una via cittadina su cui si affacciavano negozi e grandi magazzini. 
Il papà portava una borsa di plastica piena di pacchetti e sbuffò, rivolto al bambino. 
"Ti ho preso la tuta rossa, ti ho preso il robot trasformabile ti ho preso la bustina dei calciatori... Che cosa devo ancora prenderti?".

- don Bruno Ferrero - 
da: "A volte basta un raggio di sole" , Editore Elledici


La più grande scoperta della mia generazione è che l’uomo può cambiare la propria vita semplicemente cambiando il proprio atteggiamento mentale. 

- William James - 



Buona giornata a tutti. :-)






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sabato 27 luglio 2019

Preghiera alla Madonna delle Grazie, preghiera di intercessione

Ave Maria, ricolma di carità il Signore è dentro di te tu sei benedetta fra tutte le donne per il frutto del tuo grembo e Beata sei tu a motivo della tua fede.


Santuario del silenzio, in cui si ode l'unica parola del Padre, fiore dell'umanità piantato in Paradiso, tu, porti Dio nella nostra vita.

Donna rivestita di sole, creatura eccelsa che contiene il Creatore, fà che le nostre anime, non si eclissino dietro l'ombra del male, che a volte pare prendere il sopravvento sulle debolezze e le nostre fragili speranze.

Spargi o Madre, piena di grazia, nei cuori dei tuoi figli granelli di pace, che la pioggia farà germogliare affinché risplenda la gloria, dell'ineffabile Eterno Amore del Padre per il figlio.

Aurora dei cieli, nuovi splendore, che nulla toglie alla luce di Cristo, perché trasparenza a Dio vieni nelle nostre case, insegnaci ad accogliere la volontà di Dio, e ad amarci gli uni agli altri sull'esempio del Crocifisso Risorto, per fare di tutti una cosa sola come in cielo così in terra.

Ti affidiamo tutti gli uomini e le donne, a cominciare dai più deboli: i bimbi mai nati perché rifiutati, o non ancora venuti alla luce e quelli nati in condizioni di povertà e di sofferenza, i giovani alla ricerca di senso, le persone prive di lavoro e quelle provate dalla fame e dalla malattia.

Ti affidiamo le famiglie dissestate, gli anziani privi di assistenza e quanto sono soli, senza un domani.

O Madre, che conosci le sofferenze e le speranze della Chiesa e del Mondo, assisti i tuoi figli nelle quotidiane prove, che la vita riserva e resta accanto a ciascuno fino a quando ci accoglierai nel Regno della Santissima Trinità.

In te nuova Eva, possano compiersi anche oggi le promesse ai nostri Padri, ad Abramo e a tutta la sua discendenza per sempre.
Amen.




Atto di Affidamento a Maria, Madre della Speranza.
Maria, Madre della speranza, a Te con fiducia ci affidiamo.
Con Te intendiamo seguire Cristo, Redentore dell'uomo:
la stanchezza non ci appesantisca, né la fatica ci rallenti,
le difficoltà non spengano il coraggio, né la tristezza la gioia del cuore.
Tu Maria, Madre del Redentore continua a mostrarti Madre per tutti,
veglia sul nostro cammino e aiuta i tuoi figli,
perché incontrino, in Cristo, la via di ritorno al Padre comune! Amen.

- san Giovanni Paolo II, papa -


Chi ama currit, volat, laetatur.
Amare significa correre con il cuore verso l'oggetto amato. 
Ho iniziato ad amare la Vergine Maria prima ancora di conoscerla... le sere al focolare sulle ginocchia materne, la voce della mamma che recitava il rosario.


- Venerabile Giovanni Paolo I, papa - 



Buona giornata a tutti. :-)







venerdì 26 luglio 2019

Alle porte della vita - Rabindranath Tagore

Mi è sconosciuto il momento 
in cui arrivai 
alle porte della vita 
nella grande casa 
di questo mondo strano. 
Neppure conosco quale forza 
mi abbia fatto fiorire nel seno 
di questo mistero immenso, 
a mezzanotte, 
come un bocciolo nella vasta foresta. 

Tuttavia quando all'aurora, 
alzata la testa 
aperti gli occhi 
vidi il mondo 
coperto d'azzurro 
vestito di raggi d'oro, 
vidi la terra 
coperta di gioia e dolore, 
allora in un attimo 
lo sconosciuto mistero infinito 
mi è apparso 
come il seno di una madre, 
tanto conosciuto, tutto mio. 

La paurosa forza 
informe, incomprensibile, 
si è rivelata 
immagine della madre.

Rabindranath Tagore - 


“Gesù sta al centro di tutto, assume tutto
e si fa carico di tutto,
tutto soffre.
E’ impossibile colpire
un qualunque essere
senza colpire Lui,
è impossibile umiliare qualcuno o annientarlo,
senza umiliare Lui,
maledire o assassinare
uno qualsiasi,
senza maledire o uccidere Lui."

- Léon Bloy -




«I bambini e gli anziani costruiscono il futuro dei popoli; i bambini perché porteranno avanti la storia, gli anziani perché trasmettono l'esperienza e la saggezza della loro vita» (n. 447). 
Questo rapporto, questo dialogo tra le generazioni è un tesoro da conservare e alimentare!

- Papa Francesco -
Angelus/L'ora di Maria Venerdì, 26 luglio 2013








Concedi ch’io possa sedere
per un momento al tuo fianco.
Le opere cui sto attendendo
potrò finirle più tardi.
Lontano dalla vista del tuo volto
non conosco né tregua né riposo
e il mio lavoro
diventa una pena senza fine
in un mare sconfinato di dolori.
Oggi l’estate è venuta
alla mia finestra
con i suoi sussurri e sospiri,
le api fanno i menestrelli
alla corte del boschetto in fiore.
Ora è tempo di sedere tranquilli
a faccia a faccia con te
e di cantare la consacrazione
della mia vita
in questa calma straripante e silenziosa. 
Rabindranath Tagore - 


Buona giornata a tutti. :-)


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