domenica 31 dicembre 2023

Foglie di palma - Charles Bukowski

                                                            A mezzanotte in punto
1973-74
Los Angeles
ha cominciato a piovere sulle
foglie di palma fuori dalla mia finestra
i clacson e i fuochi d’artificio
sono partiti
e tuonava.
Ero andato a letto alle 21.00
spente le luci
tirate su le coperte –
la loro letizia, la loro felicità,
le loro urla, i loro cappelli di carta,
le loro automobili, le loro donne,
i loro ubriachi dilettanti…
la notte di Capodanno mi atterrisce
sempre
la vita non sa nulla degli anni.

Adesso i clacson si sono ammutoliti
e i fuochi d’artificio e i tuoni…
tutto è finito in cinque minuti…
odo soltanto la pioggia
sulle foglie di palma,
e penso:
non capirò mai gli uomini,
ma è andata
anche questa.

- Charles Bukowski - 



L' anno 

Gira attorno al sole il mondo,
va la terra attorno al sole:
l'anno è un lungo tempo tondo,
lo chiamiamo con parole.
Quando spuntan foglie e fiori
Primavera lo si dice;
quando i frutti son maturi
è l'Estate, e siam felici;
quando cadono le foglie
tutti Autunno lo chiamiamo,
finché il gelo non si scioglie
nell'Inverno ci troviamo.
Queste sono le stagioni
e tre mesi ha ciascheduna:
sono tutti mesi buoni
per giocare la fortuna.


- Roberto Piumini - 






Le tradizioni religiose, le tradizioni giuridiche, le tradizioni filosofiche, dicono tutte che ciascuno nasce con un debito a suo carico.
Un debito morale, penale, economico, che va saldato lavorando duramente, come sostiene anche la promessa fatta ad Adamo.
Un debito che alcune teologie prevedono estinguibile solo con un intervento esterno divino tramite la ritualità sacrificale. Ma si tratta di un equivoco.
La salvezza non cade dal cielo come una fortunata opzione per i condannati, ma nasce dall'interno. 
La salvezza non è un merito o un successo, ma soltanto la normale conseguenza della fedeltà a se stessi.
Ogni persona sa bene cosa si intende per fedeltà a se stessi.
Per salvarsi basta compiersi, diventare ciò che si è senza ingannarsi.

-  Alessandro Pucci -





«Cari fratelli e sorelle! L’anno che si chiude e quello che si annuncia all’ orizzonte sono posti entrambi sotto lo sguardo benedicente della Santissima Madre di Dio. Ci richiama la sua materna presenza anche l’artistica scultura lignea policroma posta qui, accanto all’altare, che la raffigura in trono con il Bambino benedicente. Celebriamo i Primi Vespri di questa solennità mariana, e numerosi sono in essi i riferimenti liturgici al mistero della divina maternità della Vergine...»

- papa Benedetto XVI - 
omelia per la celebrazione dei Vespri e del “Te Deum” di ringraziamento per la fine dell'anno - 31 dicembre 2008


Anno vecchio e anno nuovo

Tin-tin, l'orologio rintocca.
Tin-tin, quanti colpi ha suonato?
Tin-tin, qual è l'ora che scocca?
Tin-tin, qualcheduno ha bussato!
Anno vecchio, tin-tin, ti saluto!
Anno nuovo, tin-tin. benvenuto!



TE DEUM 

Noi ti lodiamo, Dio,
ti proclamiamo Signore.
O eterno Padre,
tutta la terra ti adora.
A te cantano gli angeli
e tutte le potenze dei cieli:
Santo, Santo, Santo
il Signore Dio dell’universo.
I cieli e la terra
sono pieni della tua gloria.
Ti acclama il coro degli apostoli
e la candida schiera dei martiri;
le voci dei profeti si uniscono nella lode;
la santa Chiesa proclama la tua gloria,
adora il tuo unico Figlio
e lo Spirito Santo Paraclito.
O Cristo, re della gloria,
eterno Figlio del Padre,
tu nascesti dalla Vergine Madre
per la salvezza dell’uomo.
Vincitore della morte,
hai aperto ai credenti il regno dei cieli.
Tu siedi alla destra di Dio, nella gloria del Padre.
Verrai a giudicare il mondo alla fine dei tempi.
Soccorri i tuoi figli, Signore,
che hai redento col tuo Sangue prezioso.
Accoglici nella tua gloria
nell’assemblea dei santi.
Salva il tuo popolo, Signore,
guida e proteggi i tuoi figli.
Ogni giorno ti benediciamo,
lodiamo il tuo nome per sempre.
Degnati oggi, Signore,
di custodirci senza peccato.
Sia sempre con noi la tua misericordia:
in te abbiamo sperato.

Pietà di noi, Signore,
pietà di noi.
Tu sei la nostra speranza,
non saremo confusi in eterno.



«Il Signore ti dia un anno splendido di grazie, di luce e d’incontenibile amore per la vita. Ti dia la capacità di additare sempre traguardi lontani e ti abiliti a portare con gioia il cielo in una stanza». 

+ Don Tonino Bello 

Buon anno!  Oggi entriamo in una chiesa e preghiamo per la pace, per la fine delle guerre in corso. Forse non ce ne rendiamo conto, ma ci stiamo avviando a grandi passi  verso una terza guerra mondiale e verso un conflitto nucleare.  Preghiamo che il Signore ci benedica, ci custodisca e ci protegga.


Pace! Buon 2024
- Stefania -

sabato 30 dicembre 2023

da: "La Morte del Tempo" - Giancarlo Petrella

Ed ecco Lucifero dalle ali stupendamente blu; occhi finissimi, zigomi accentati, pelle bianchissima più de le nuvole del suo infinito oppositore, labbra carnose di odio, naso perfetto come 'l suono perpetuo dei suoi fiumi infernali allattati dal pianto dei dannati. Capelli color dell'oro ove punte di sangue innocente trovano luogo e denti bianchi ribelli alle tenebre. 

I demoni, affogati dalla saliva dell'odio, lo venerano, Padre lo chiamano, ed in questa valle sconsolata, il punto più in basso dell'universo, lo adorano; ma lui è per sé solo. 
Non meno angosciato è il Dio dei cieli che diletta i secoli con l'indifferenza; e di indifferenza governa la terra. Queste anime dannate, l'una verso l'altra di amore si cibavano, imperano questo regno del pianto; per orgoglio rimangono eretti nei propri troni, credendo di essere l'un più in alto dell'altro; perché a seconda del punto di vista si vede in profondità l'altro. 
Così Lucifero, volgendo li occhi al cielo, che per lui è sotto di lui, ricorda il suo amato e così, con non minore amore, il Dio volge li occhi stupendi alla sua anima ritrovando Lucifero venerato. 
Il Dio possiede un trono bellissimo, con oro che disgusterebbe persino il più avaro fra li uomini, il celeste regna come nelle sue pupille, giacinto giunto dal regno dell'azzurro; il suo volto eternamente fanciullo ha fatto innamorare Venere e l'intero creato si muove come atto di preghiera; la sua magnificenza è tale che giustamente gli scarafaggi umani lo venerano. 
Entrambi per amore tollerano l'esistenza dell'altro. Egli venera l'amato Lucifero; nel silenzio della sua anima. Ecco! parliamo di quell'anima che gli eserciti degli angeli da secoli hanno tentato di penetrare con i loro sguardi capaci di comprendere gli universi; i suoi capelli neri hanno saziato la notte, mentre il dorato trova nella sua pelle luogo e tempo. 
Tutte le sofferenze di tutti i secoli e di tutte le lande del pianto degli umani sono un nulla di fronte alle lacrime di Lucifero: di lui il popolo dei morti, tormentato dal castigo eterno della fine del desiderio, ne ha compassione e non solo per se stesso piange, ma soprattutto per il suo imperatore; splendono di più le lacrime che le stelle. Oh Lucifero, maladetta aurora, dimentica le cose del giorno; abbracciati, poiché nessuno questa notte ti abbraccerà.

Luogo è dall'albe remoto; nel centro dell'universo l'oscurità sogna e l'incubo vien tradito da lucciole che sono le lacrime dei dannati. Si intravede, attraverso un blu nervosamente, un colle ove sopra regna, nero come un livido, come un capezzolo di un'arpia, un maestoso castello relitto di tempi eterni; mura malefiche, come peccati taciuti o promesse rinnegate, si alzano al cielo come bestemmie; piante malefiche, di un verde cinereo, si strusciano come lingue di peccatrici alzandosi fra le mura come urla; di lontano, sull'orizzonte, si intravedono le crudeli cupole del globo che fan da cappello alla lordura delle basiliche. A nessuno, neppure ai demoni più fedeli, neppure ai segugi infernali che allietano il male che non dorme mai, è concesso di entrare: nella sala più vasta, nel trono imperiale, rosso di sangue, impossibile che la mente guardi altro che, in qualche modo, lì è reso perfetto e rassicura dell'oscurità che lo circonda, lo 'mperator del doloroso regno si erge. 
Ghigna il sudore, estraneo così a qualunque minatore di inferni artificiali; come quando un treno passaci così velocemente accanto che l'aria regola e qualità non possiede, così il naso non detiene argomenti; la lingua sente il peso di una gravità nuova che la inchioda, nessuna favella, incatenate nell'animo come un mastino infernale che ha poteri sovrumani ma la sua frenesia ammutolita dal greve suono delle catene; pur li occhi tradiscono un desiderio infinito. Come i fulmini nascono dall'incontro della crosta terrestre con le reliquie del cosmo; così la paura è tale che false ombre crea. Ah come lacrimano gli occhi; esistono enti indefinibili, eppure, nominandoli, li distinguiamo (mirate un'ondulazione sopra un suolo bollente, intuirete) così lo sguardo non si possiede, eppur sa di vedere. Nel trono dell'imperatore, tali parole si possono leggere:

È giusto; dimenticano i viventi
le parole retro le quali torme
indistinte dell'esistenza vivono;
eppur il mio popolo ancora sogna,
e non può fa' altro che 'l sognare il sempre.

Nervosamente, senz'alcun movimento umano, Lucifero muove i capelli, e sì facendo un suono stridulo ne esce; che le orecchie si dilaniano ed in un mare di sangue trovano l'agognato silenzio. Appare l'ultima volta, accanto a Lucifero, Maldoror, che rappresenta la perpetuità, che simboleggia il sempre, ci guardiamo ne li occhi e ci giuriamo un amore dilaniante. Qui termina il podere dello spazio esteso: uno Shinigami dalle ali nere come il tradimento e dai denti sporchi come la falsità dei cieli, con le unghie carche di secoli di angoscia, scrive questo nome sul suo braccio e ghigna per la fiera preda che ottiene; ma non smette di vaneggiar la valle d'abisso nel mio desiderio.
  
da:  La Morte del Tempo di Giancarlo Petrella, ed. Feltrinelli



Ah, Faust,
Adesso non hai che un'ora da vivere,
E poi sarai dannato in eterno.
Sfere celesti in moto perpetuo, fermatevi,
Che il tempo possa cessare e mezzanotte mai giungere.
Occhio lieto della Natura, sorgi, sorgi ancora e fai
Un giorno eterno: o lascia quest'ora essere
Un anno, un mese, una settimana, un giorno,
Che Faust possa pentirsi, e l'anima salvare.
'O lente lente currite noctis equi'

C. Marlowe - 
da: Il Dottor Faust


La morte degli innamorati

Lui sapeva della morte solo
quello che tutti sanno: che ci prende
e nella muta dimora ci spinge.
Ma quando lei da lui, no, non strappata,

ma lievemente sciolta dai suoi occhi,
scivolò ad ombre ignote, e lui sentì
che laggiù il suo sorriso di fanciulla
era come una luna a far del bene;

Allora i morti a lui furono noti,
quasi per lei di loro con ognuno
fosse parente: e lasciò parlare gli altri,

Senza prestarvi fede, e quella terra
Dolcissima  chiamò, ed ameno luogo.
E  la tastò per giungere ai suoi piedi.

- Rainer Maria Rilke -


Buona giornata a tutti. :-)



 

venerdì 29 dicembre 2023

Se vuoi riempire la tua brocca - Rabindranath Tagore

 Se vuoi riempire la tua brocca, vieni, vieni al mio lago.
L'acqua bagnerà i tuoi piedi e ti mormorerà
il suo segreto.
La traccia della pioggia vicina è già sulla sabbia,
le nuvole sono basse sulla linea azzurra
degli alberi come i folti capelli sopra i tuoi occhi.
Conosco bene il ritmo dei tuoi passi:
batte nel mio cuore.
Vieni, vieni al mio lago, se devi riempire la tua brocca.

Se vuoi startene oziosa e sedere indolente,
lasciando che la tua brocca galleggi nell'acqua,
vieni al mio lago.
Il declivio erboso è verdeggiante, i fiori di campo
sono innumerevoli.
I pensieri voleranno via dai tuoi occhi neri
come gli uccelli dal loro nido.
Il velo ti cadrà ai piedi,
vieni, oh vieni al mio lago, se vuoi sedere indolente.

Se vuoi interrompere il tuo gioco e tuffarti
nell'acqua, vieni, vieni al mio lago.
Lascia il tuo mantello azzurro sulla riva.
L'acqua azzurra, nascondendoti, ti coprirà.
Le onde si alzeranno in punta di piedi
per baciarti il collo e mormorare ai tuoi orecchi.
Vieni, oh vieni al mio lago, se vuoi tuffarti
nell'acqua.

Se vuoi essere folle e cercare la morte in acqua,
vieni, vieni al mio lago.
E' freddo e profondo.
E' scuro come un sonno senza sogni.
Nei suoi abissi sono uguali le notti e i giorni,
e i canti sono silenzio.
Vieni, vieni al mio lago, se vuoi darti
in braccio alla morte.

 - da Il Giardiniere -


"La ninfa di Düssel", Edward Steinbruck

Lei è vicina al mio cuore
come il fiore alla terra.
Lei è dolce come il sonno che viene
per il corpo stanco.

- Rabindranath Tagore - 


Joseph-Charles Francère, "Silfide"

Quando a sera l'anfora
Del giorno si vuota,
viene gettata nella corte
delle stelle.
La notte la purifica nel buio
Affinché possa riempirsi ancora
Della nuova ambrosia
Dell'aurora. 

- Rabindranath Tagore - 

Immagine: Édouard Bisson (1856 - 1939)

Non partire, mio amore, senza avvertirmi.
Ho vegliato tutta la notte e ora i miei occhi
sono pesanti di sonno.
Ho paura di perderti mentre dormo.
Non partire, amore mio, senza avvertirmi.

Mi sveglio e stendo le mani per toccarti.
Ti sento e mi domando: «E un sogno?»
Oh, potessi stringere i tuoi piedi col mio cuore
e tenerli stretti al mio petto!
Non andartene, mio amore, senza avvertirmi.

- da Il Giardiniere -



Buona giornata a tutti :-)





giovedì 28 dicembre 2023

Non bisogna farsi piacere per forza la notte - Luigi Maria Epicopo Ft

 "Non bisogna farsi piacere per forza la notte.
Certe volte il buio che si avverte è insopportabile. E il Natale ne acuisce il dolore, perché è il tempo in cui il vuoto di 'chi' o di 'cosa' ci manca si fa sentire di più.
So bene che a Natale c'è gente che soffre di più, e non prova nessuna gioia perché non vede nessuna nascita, nessuna speranza.
Il vero problema è che nessuna nostra parola può aiutare queste persone che hanno tutto il diritto di star male nella loro notte. Eppure la fede ci dice che Gesù nasce in una notte.
Non c'è luce, ma buio. ì
Non c'è accoglienza, ma porte chiuse per Lui.
Non c'è "posto adatto", ma "posto arrangiato".
Se Gesù è venuto, lo ha fatto innanzitutto per coloro che non trovano nemmeno più parole per dire il loro dolore.
E che cosa ha fatto per loro?
Si è nascosto nella loro notte affinché al fondo di quel buio non ci fosse più un vuoto, ma Qualcuno.
E perché non lo sentono?
Perché certe volte il dolore ci toglie il realismo vero delle cose e ci fa sentire solo ciò che si vede.
E' per loro che voglio pregarti questa sera, a poche ore dal Natale. Per loro ti prego Signore, Vieni! Rompi la monotonia dei pensieri negativi e fai nascere il dubbio che forse c'è speranza. Strappali dalla passività di chi non vuole fare più nulla e spingili a uscire dai recinti dove si sono chiusi a chiave.
Fagli alzare gli occhi a guardare bene il buio e dona loro un firmamento di stelle, che seppur nella nostalgia possa strappare loro lacrime di gratitudine.
Quel pianto, almeno quello, sia un pianto di riconciliazione, e ogni lacrima li possa accompagnare fin davanti a te, che hai nascosto la tua Gloria nella debolezza di un bambino.
Possano accorgersi che loro, così lontani dalla gioia, sono il posto che tu hai scelto per venire al mondo.
E i più infelici dell'universo sappiano che sono il pensiero fisso della Tua venuta in mezzo a noi.

- Luigi Maria Epicopo Ft - 


"Non c'è bisogno che vi dica quanto sia forte la nostalgia che provo per la libertà e per voi tutti. Ma voi ci avete preparato per decenni feste di Natale tanto meravigliose che il loro ricordo riconoscente è abbastanza forte da illuminare anche questo Natale buio. È in tempi come questi che si dimostra veramente che cosa significhi possedere un passato e una eredità interiore che non dipendono dal mutare dei tempi e degli eventi. La consapevolezza di essere sorretti da una tradizione spirituale che si estende nei secoli dà una salda sensazione di sicurezza davanti a qualsiasi transitoria difficoltà. Credo che chi sa di possedere siffatte riserve di forza non ha bisogno di vergognarsi nemmeno dei sentimenti più teneri, che peraltro a mio giudizio sono propri degli uomini migliori e più nobili, quando siano suscitati dal ricordo di un passato bello e ricco. Chi si tiene saldo a quei valori che mai nessun uomo può carpirgli non sarà sconfitto."

 - Dietrich Bonhoeffer - 

Resistenza e resa


Buona giornata a tutti :-)


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mercoledì 27 dicembre 2023

Dove finirono l'oro, l'incenso e la mirra? - don Bruno Ferrero

 Anche se non lo davano a vedere, i più eccitati erano l'asino e il bue. Non riuscivano ad addormentarsi. Quella notte e quella giornata erano state meravigliosamente caotiche: la nascita del bambino, gli angeli, i pastori, la stella e poi l'arrivo dei tre re con i manti di stoffe ricamate e le pellicce e i loro strani quadrupedi con la gobba. E soprattutto il luccichio degli scrigni che racchiudevano i doni portati dai tre re. Li avevano ammirati tutti e ora stavano là, abbandonati sulla paglia, mentre la donna cullava dolcemente il bambino e l'uomo dalle mani grandi e forti attizzava il fuoco e porgeva un po' di fieno alle due bestie.
Tra le fessure sconnesse della baracca, altri due occhi fissavano eccitati i doni dei re. Erano occhi pieni di ingenua astuzia. Non avevano perso un solo attimo della giornata e ora osservavano con interesse il primo sbadiglio di stanchezza fiorito sulla bocca dell'uomo. Erano gli occhi di Disma, il più bravo dei ladruncoli di Betlemme, agile e svelto come un furetto.
Il bambino si addormentò per primo, poi la madre si assopì sul mucchio di paglia che l'uomo aveva preparato e rassettato. L'uomo aspettò che il fuoco si spegnesse, poi si abbandonò anche lui sulla paglia con un sospiro di stanchezza e si addormentò. L'asino e il bue lo imitarono. Un silenzio profondo avvolse la baracca.
Un fagotto tintinnante.
Disma scivolò nell'ombra e si avvicinò alla porta. Era sbarrata da un robusto paletto. Non poteva scardinarla: avrebbe svegliato tutti. Esaminò le pareti, sfiorandole con la mano. Un' assicella si mosse. Disma intuì che poteva allargare la fessura quel tanto che bastava per permettergli di infilarsi dentro la vecchia stalla. Con consumata abilità, il ragazzo spostò l'asse cercando di non farlo cigolare e si infilò nel varco con le movenze sinuose di un gatto.
Si mosse leggero, cercando di abituare gli occhi all'oscurità. I tre scrigni erano sotto la culla improvvisata del bambino, illuminati dall'ultimo bagliore delle braci del fuoco.
Il bue sbuffò nel sonno e l'asino scalciò nella paglia. Sognavano anche loro. Disma trattenne il fiato, immobile. Nella stalla i respiri ripresero regolari.
Il ragazzo si mosse rapidamente. 
Afferrò i tre scrigni e li infilò nella bisaccia di tela che portava a tracolla. Diede un'occhiata al bambino e gli parve di vedere sul suo piccolo viso un sorriso, scosse le spalle e uscì dalla fessura che aveva aperto. 
Quando fu fuori della stalla, sorridendo rimise a posto l'assicella che aveva spostato per entrare, poi si allontanò di corsa. Faceva grandi balzi di gioia, tenendo con le due mani il fagotto tintinnante della refurtiva. 
Ripassava a memoria il contenuto e pensava eccitato alla bella somma che ne avrebbe ricavato. 
Il più grosso degli scrigni conteneva monili, bracciali e monete d'oro, il secondo era pieno di purissimo incenso e il terzo conteneva una fiala di preziosissima mirra. 
Un colpo di fortuna incredibile. Doveva solo essere prudente e nascondere tutto bene. Il mondo era pieno di ladri.

- don Bruno Ferrero - 
da: "Storie di Natale"


La sorpresa

Entrò in casa dal tetto, come faceva di solito. Non aveva né padre né madre e il vecchio parente che lo teneva in casa non si curava di lui.
Nella sua stanzetta, sotto il pavimento ricoperto di paglia, Disma aveva scavato una nicchia in cui nascondeva le sue cose preziose.
«Terrò nascosti per qualche mese l'oro, l'incenso e la mirra. Poi li venderò un poco alla volta, a Gerusalemme o anche a Damasco, dove non desterà sospetti...» pensava.
Accese una lampada ad olio finemente incisa che proveniva dall'atrio della casa del centurione romano, che la stava ancora cercando, ed esaminò il bottino. Aprì con cautela il primo scrigno e non riuscì a trattenere un'imprecazione stizzita: «Ma che diavolo è successo?». 
Spalancò con furia gli altri due astucci, guardò, annusò e poi imprecò ancora più rabbiosamente. Qualcuno gli aveva giocato uno scherzo terribile. Forse quell'uomo era molto più furbo di quanto desse a vedere. 
Invece dell'oro, lo scrigno conteneva un grosso martello, al posto dell'incenso c'erano tre grossi chiodi e la bottiglietta, invece della mirra raffinata, conteneva volgare aceto.
«Accidenti, accidenti! Che me ne faccio di questa robaccia? La rifilerò ai soldati romani per qualche moneta...».

- don Bruno Ferrero - 
da: "Storie di Natale"



Tre croci

Passarono gli anni. Disma era diventato il più ricco e sfrontato predone del deserto. I suoi uomini compivano razzie nelle più ricche città d'Oriente e l'esercito di Roma era stato costretto più volte a scendere a patti con lui. 
Ma un giorno, arrivò da Roma un governatore ambizioso di nome Ponzio Pilato che, per fare carriera e ingraziarsi i notabili di Gerusalemme, decise di catturare Disma. Ci riuscì con un tranello e Disma fu condannato alla pena più terribile ed infamante: la morte mediante crocifissione.
Erano in tre a salire sul Golgota, il luogo delle condanne, poco fuori Gerusalemme, dove erano state preparate tre croci. Disma conosceva il vecchio brigante legato con lui, ma non riusciva a spiegarsi il terzo condannato. Aveva il volto nobile e pieno di bontà, anche sotto i segni della tortura. Dicevano che era un profeta di Galilea di nome Gesù, che faceva miracoli, che era stato condannato perché si era proclamato Figlio di Dio e Messia.
Gli occhi gelidi e feroci di Disma si incontrarono con quelli del terzo condannato. Per il bandito tutto divenne stranamente diverso: la sua rabbia feroce svanì e si sentì stranamente in pace.
Il boia cominciò il suo miserabile compito con il profeta galileo: impugnò un grosso martello e tre grossi chiodi, mentre un soldato inzuppava una spugna di aceto. Improvvisamente Disma capì: eccoli i doni dei re che lui aveva rubato tanti anni prima in una stalla di Betlemme, dove c'erano un uomo e una madre e un bambino. Quel bambino era il Messia! Quindi anche lui aveva contribuito a crocifiggere il Figlio di Dio... 
Con le lacrime agli occhi, Disma sentì che Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno».
Con la solita insensibilità, i soldati si misero a litigare per dividersi le vesti dei condannati. 
Quando le tre croci furono innalzate con il loro carico di dolore, la gente cominciò a farsi beffe dei condannati. Si accanivano particolarmente contro Gesù. 
I capi del popolo lo schernivano: «Ha salvato tanti altri, ora salvi se stesso, se egli è veramente il Messia scelto da Dio». Anche i soldati lo schernivano: si avvicinavano a Gesù, gli davano da bere aceto e gli dicevano: «Se tu sei davvero il re dei Giudei salva te stesso!».
L'altro bandito crocifisso si era unito agli schernitori e insultava Gesù: «Non sei tu il Messia? Salva te stesso e noi!». Disma lo rimproverò con asprezza: «Tu che stai subendo la stessa condanna non hai proprio nessun timore di Dio? Per noi due è giusto scontare il castigo per ciò che abbiamo fatto, lui invece non ha fatto nulla di male».
Poi aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo regno».
Gli occhi del Messia torturato e morente guardarono Disma con bontà infinita, poi il feroce bandito udì le parole più belle e amorevoli di tutta la sua vita disperata: «Ti assicuro che oggi sarai con me in paradiso».

- Don Bruno Ferrero - 
Da: "Storie di Natale" di don Bruno Ferrero, ed. Elledicì


Buona giornata a tutti. :-)