giovedì 30 settembre 2021

L'Assicurazione - don Bruno Ferrero

C'era una volta un brav'uomo che si chiamava Romoletto e che abitava in una villetta sulle rive del Tevere. Un mattino di primavera, Romoletto si accorse che l'acqua del fiume lambiva la porta di casa. Aveva piovuto molto e il Tevere era gonfio di acqua gialla e minacciosa.
La radio lo spaventò un po': "Tutti coloro che abitano nelle vicinanze del Tevere devono lasciare le loro abitazioni: sta per arrivare una piena del fiume", ripeteva il Giornale Radio.
Romoletto era molto pio e aveva una grande fiducia nel Signore. Così si inginocchiò e cominciò a pregare.
"Signore, salvami!".
In quel momento sentì una voce proveniente dall'alto.
"Non avere paura, Romoletto! Ci penso io a te!". Era la voce del Signore.
Romoletto, pieno di gioia, si rialzò e cominciò a sbrigare le faccende quotidiane, come se niente fosse. Alle undici l'acqua del fiume gli arrivò alle spalle e Romoletto si rifugiò al piano superiore. Passò una lancia dei pompieri. Uno di essi lo vide e gridò: "Presto, venga via con noi! E pericoloso rimanere!".
"No. Ho un'assicurazione superiore!", rispose Romoletto, indicando il cielo.
Alle quindici, l'acqua era più alta del letto e Romoletto si rifugiò in soffitta. Passò una barca della Protezione Civile e una voce gridò: "Venga via subito! L'acqua salirà ancora!".
Romoletto rifiutò ostinatamente: "Ho un protettore, io!", rispondeva.
Alle diciassette e un quarto l'acqua era più alta delle grondaie e Romoletto salì sui tetto. Passò un gommone della Croce Rossa che cercava gli ultimi da salvare. Invano cercarono di portar via Romoletto. Lui si attaccò al camino come il caprifoglio ad un albero. "Non ne ho bisogno. Ho chi mi salva, io!".
L'acqua continuò a salire e alle diciotto meno dieci Romoletto annegò.
Appena si ritrovò in Paradiso, Romoletto andò su tutte le furie. Si presentò dal Signore e protestò: "Hai detto che pensavi a me? E invece sono bell'e morto!".
Il Signore lo fissò con il suo sguardo pieno di bontà.
"Ma io ho pensato a te, Romoletto. Tre barche ti ho mandato!".

Era un poveraccio e dalla vita aveva preso solo bastonate. Ma continuava a pregare: "Signore, ti prego, fammi almeno vincere la lotteria".
Le cose andavano sempre peggio, ma lui pregava: "Signore, dammi una mano, aiutami, fammi vincere la lotteria".
Ogni giorno la sua preghiera saliva al cielo: "Signore, dammi una mano... fammi vincere la lotteria".
Finché una notte, la voce di Dio lo svegliò: "E dammela tu una mano: compra almeno il biglietto!".

- don Bruno Ferrero -
da: " Solo il Vento lo sa", Ed. Elledicì





Date retta a me – vecchio incredulo che se ne intende! – il capolavoro della propaganda anticristiana è l'essere riusciti a creare nei cristiani e nei cattolici soprattutto una cattiva coscienza, l'avere instillato l'imbarazzo e la vergogna per la loro storia, a convincerli di essere i responsabili di tutti o quasi i mali del mondo… io agnostico, ma storico, che cerca di essere oggettivo, vi dico che dovete reagire in nome della verità; spesso infatti non è vero, e se talvolta del vero c'è, è anche vero che in un bilancio di venti secoli di cristianesimo, le luci prevalgono di gran lunga sulle ombre; perché non chiedere a vostra volta il conto a chi lo presenta a voi? 
Sono forse stati migliori i risultati di ciò che è venuto dopo? Da quali pulpiti ascoltate, contriti, certe prediche? 
Se fosse vera quella vergognosa menzogna dei secoli bui perché ispirati dalla fede del Vangelo, perché allora tutto ciò che ci resta di quei tempi è di così fascinosa bellezza e sapienza? 
Anche nella storia vale la legge di causa ed effetto.

- Léo Moulin -



Non temete di affrontare le situazioni difficili, i momenti di crisi, le prove della vita, perché il Signore vi accompagna, è con voi! 
Vi incoraggio a crescere nell’amicizia con Lui attraverso la lettura frequente del Vangelo e di tutta la Sacra Scrittura, la partecipazione fedele all’Eucaristia come incontro personale con Cristo, l’impegno all’interno della comunità ecclesiale, il cammino con una valida guida spirituale. 
Trasformati dallo Spirito Santo potrete sperimentare l’autentica libertà, che è tale quando è orientata al bene. 
In questo modo la vostra vita, animata da una continua ricerca del volto del Signore e dalla volontà sincera di donare voi stessi, sarà per tanti vostri coetanei un segno, un richiamo eloquente a far sì che il desiderio di pienezza che sta in tutti noi si realizzi finalmente nell’incontro con il Signore Gesù.

- Papa Benedetto XVI - 
dal Discorso del 19 giugno 2011



Buona giornata a tutti. :-)

mercoledì 29 settembre 2021

Antica supplica a san Michele


I. Gloriosissimo arcangelo s. Michele, che pieno di fede, di umiltà, di riconoscenza, di amore, lungi dall’aderire alle suggestioni del ribelle Lucifero, o di intimidirvi alla vista degli innumerevoli suoi seguaci, sorgeste anzi pel primo contro di lui ed animando alla difesa della causa di Dio tutto il restante della Corte celeste, ne riportaste la più completa vittoria, ottenetemi, vi prego, la grazia di scoprire tutte le insidie, e resistere a tutti gli assalti di questi angioli delle tenebre, affinché, trionfando a vostra imitazione dei loro sforzi, meriti di risplendere un giorno sopra quei seggi di gloria da cui furono essi precipitati per non risalirvi mai più. Gloria.



II. Gloriosissimo arcangelo s. Michele, che destinato alla custodia di tutto il popolo Ebreo, lo consolaste nelle afflizioni, lo illuminaste nei dubbi, lo provvedeste di tutti i bisogni, fino a dividere i mari, a piover manna dalle nubi, a stillar acqua dai sassi, illuminate, vi prego, consolate, difendete, e sovvenite in tutti i bisogni l’anima mia, affinché, trionfando di tutti gli ostacoli che ad ogni passo s’incontrano nel pericoloso deserto di questo mondo, possa arrivare con sicurezza a quel regno di pace e di delizie, di cui la terra promessa ai discendenti di Abramo non era che una smorta figura. Gloria.

III. Gloriosissimo arcangelo s. Michele, che, costituito capo e difensore della cattolica Chiesa, la rendeste sempre trionfatrice della cecità dei gentili colla predicazione degli Apostoli, della crudeltà dei tiranni colla fortezza dei Martiri, della malizia degli eretici colla sapienza dei Dottori, e del mal costume del secolo colla purità delle Vergini, la santità dei Pontefici e la penitenza dei confessori, difendetela continuamente dagli assalti de’ suoi nemici, liberatela dagli scandali de’ suoi figliuoli, affinché, mostrandosi sempre in aspetto pacifico e glorioso, ci teniamo sempre più fermi nella credenza de’ suoi dogmi, e perseveriamo sino alla morte nell’osservanza de’ suoi precetti. Gloria.






IV. Gloriosissimo arcangelo s. Michele, che state alla destra dei nostri altari per portare al trono dell’Eccelso le nostre preghiere e i nostri sacrifizii, assistetemi, vi prego, in tutti gli esercizii della cristiana pietà, affinché compiendoli con costanza, con raccoglimento e con fede, meritino di essere di vostra mano presentati all’Altissimo, e da Lui ricevuti come l’incenso in odore di grata soavità. Gloria.

V. Gloriosissimo arcangelo s. Michele, che, dopo Gesù Cristo e Maria, siete il più potente mediatore tra Dio e gli uomini, al cui piede s’inchinano confessando le proprie colpe le dignità le più sublimi di questa terra, riguardate, vi prego, con occhio di misericordia la miserabile anima mia dominata da tante passioni, macchiata da tante iniquità, ed ottenetemi la grazia di superare le prime, e detestare le seconde, affinché, risorto una volta, non ricada mai più in uno stato sì indegno e luttuoso. Gloria.


VI. Gloriosissimo arcangelo s. Michele, che, come terror dei demoni, siete dalla divina bontà destinato a difenderci dai loro assalti nell’estrema battaglia, consolatemi, vi prego, in quel terribile punto colla vostra dolce presenza, ajutatemi col vostro insuperabil potere a trionfare di tutti quanti i miei nemici, affinché, salvato per mezzo vostro dal peccato e dall’Inferno, possa esaltare per tutti i secoli la vostra potenza e la vostra misericordia. Gloria.

VII. Gloriosissimo arcangelo s. Michele, che con premura più che paterna discendete pietosamente nel tormentoso regno del Purgatorio per liberarvi le anime elette, e seco voi trasportate nella eterna felicità, fate, vi prego, che, mediante una vita sempre santa e fervorosa, io meriti di andare esente da quelle pene sì atroci. Che se, per le colpe non conosciute, o non abbastanza piante e scontate, siccome già lo preveggo, mi vi andassi condannato per qualche tempo, perorate in allora presso il Signore la mia causa, movete tutti i miei prossimi a suffragarmi, affinché il più presto possibile voli al cielo a risplendere di quella luce santissima che fu promessa ad Abramo ed a tutti i suoi discendenti. Gloria.



VIII. Gloriosissimo arcangelo s. Michele, destinato a squillare la tromba annunziatrice del gran Giudizio, ed a precedere colla Croce il Figliuolo dell’uomo nella gran valle, fate che il Signore mi prevenga con un giudizio di bontà e di misericordia in questa vita, castigandomi a norma delle mie colpe, affinché il mio corpo risorga insieme coi giusti ad una immortalità beata e gloriosa, e si consoli il mio spirito alla vista di quel Gesù che formerà il gaudio e la consolazione di tutti quanti gli eletti. Gloria.



IX. Gloriosissimo arcangelo s. Michele, che costituito governatore di tutta l’umana natura, siete in modo speciale il Custode della cattolica Chiesa, e del visibil suo Capo, riunite al seno di questa eletta Sposa di Gesù Cristo, tutte le pecore erranti, gli infedeli, i turchi, gli ebrei, gli scismatici, i peccatori, affinché, adunati tutti in un sol ovile, possano cantare unitamente per tutti i secoli le sovrane misericordie: sostenete nella via della santità, e difendete da tutti i nemici l’infallibile interprete de’ suoi voleri, il suo Vicario sopra la terra il Romano Pontefice, affinché obbedendo sempre alla voce di questo pastore universale, non mai si allontanino sai pascoli della salute, ma crescano anzi ogni giorno nella giustizia così i sudditi come i magistrati, così i popoli come i Re, e compongano su questa terra quella società concorde, pacificata e indissolubile, che è l’immagine, il preludio e la caparra di quella perfetta ed eterna che comporranno con Gesù Cristo tutti i beati nel cielo. Gloria.

Oremus. Da nobis, omnipotens Deus, beati Michaeli Arcangeli honore ad summa proficere; ut cujus in terris gloriam praedicamus, ejus quoque precibus adjuvemur in coelis. Per Dominum, etc.

Giaculatoria a s. Michele: O glorioso o forte, arcangiol san Michele, siatemi in vita e in morte, proteggitor fedele.





"La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti ". 
(Efesini 6:12)






La battaglia del cristiano è spirituale: “Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.


Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio. Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza e pregando per tutti i santi, e anche per me, perché quando apro la bocca mi sia data una parola franca, per far conoscere il mistero del vangelo, del quale sono ambasciatore in catene, e io possa annunziarlo con franchezza come è mio dovere.”


Lettera agli Efesini (6, 11-20)




Buona giornata a tutti. :-)



lunedì 27 settembre 2021

San Vincenzo de' Paoli - Preghiera dei Vincenziani e biografia

"La bontà divina vuole da noi che non facciamo mai del bene in nessun luogo per metterci in evidenza; dobbiamo invece guardare sempre a Dio solo, direttamente e immediatamente e senza secondi fini in tutte le nostre azioni. Ciò mi dà motivo di raccomandarvi due cose.
La prima, che evitiate, quanto vi sarà possibile, di mettervi in mostra.
La seconda che non facciate mai cosa alcuna per rispetto umano.
Riguardo a ciò è giusto in ogni maniera che onoriate per un po' di tempo la vita nascosta di nostro Signore. Non pochi tesori sono racchiusi in essa, poiché il Figlio di Dio dimorò per trent'anni sopra la terra come un povero artigiano prima di manifestarsi al mondo. E così Egli benedice sempre molto di più gli inizi umili che non quelli che fanno grande rumore.
Mi direte forse: Che opinione avrà di noi questa corte e che si dirà di noi a Parigi? Lasciate pensare e dire tutto quello che vorranno, e siate certo che le massime di Gesù Cristo e gli esempi della sua vita non portano mai all'errore e daranno il loro frutto a tempo debito.

Tutto invece riesce male a chi opera con massime contrarie. Questa è la mia fede e questa è la mia esperienza. Considerate anche voi questo come infallibile, e vivete nel massimo nascondimento".

- san Vincenzo de' Paoli



Vincenzo de' Paoli, nome originale Vincent de Paul (1581-1660), fino a quindici anni fece il guardiano di porci per poter pagarsi gli studi. 
Ordinato sacerdote a 19 anni, nel 1605 mentre viaggiava da Marsiglia a Narbona fu fatto prigioniero dai pirati turchi e venduto come schiavo a Tunisi. Venne liberato dal suo stesso «padrone», che convertì. Da questa esperienza nacque in lui il desiderio di recare sollievo materiale e spirituale ai galeotti. Nel 1612 diventò parroco nei pressi di Parigi. E’ stato fondatore e ispiratore di numerose congregazioni religiose come la Congregazione della Missione i cui membri sono comunemente denominati “Lazzaristi”, le Figlie della Carità ricordate come le “Dame della Carità” (1633) e la Società San Vincenzo de’ Paoli comunemente denominata “La San Vincenzo”. Diceva ai sacerdoti di S. Lazzaro: «Amiamo Dio, fratelli miei, ma amiamolo a nostre spese, con la fatica delle nostre braccia, col sudore del nostro volto». Per lui la regina di Francia inventò il Ministero della Carità. 
E da insolito «ministro» organizzò gli aiuti ai poveri su scala nazionale. Papa Benedetto XIII lo ha proclamato beato il 13 agosto 1729 e papa Clemente XII lo ha canonizzato il 16 giugno 1737. Attualmente il suo corpo è esposto  nella Cappella dei Lazzaristi,  95, rue de Sèvres a Parigi. La sua memoria liturgica è il 27 settembre. È considerato il più importante riformatore della carità della Chiesa cattolica. La sua opera ispirò Giuseppe Benedetto Cottolengo, fondatore della Piccola Casa della Divina Provvidenza.



Signore, fammi buon amico di tutti,
fa' che la mia persona ispiri fiducia
a chi soffre e si lamenta.
A chi cerca luce lontano da Te,
a chi vorrebbe cominciare e non sa come,
a chi vorrebbe confidarsi e non se ne sente capace.

Signore aiutami,
perché non passi accanto a nessuno
con il volto indifferente, con il cuore chiuso,
con il passo affrettato.


Signore, aiutami ad accorgermi subito
di quelli che mi stanno accanto,
di quelli che sono preoccupati e disorientati,
di quelli che soffrono senza mostrarlo,
di quelli che si sentono isolati senza volerlo.

Signore, dammi una sensibilità
che sappia andare incontro ai cuori.

Signore, liberami dall'egoismo,
perché ti possa servire,
perché ti possa amare,
perché ti possa ascoltare,
in ogni fratello che mi fai incontrare.


- San Vincenzo de’ Paoli -




Buona giornata a tutti. :-)

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domenica 26 settembre 2021

Prenditi tempo


Prenditi tempo
per amare ed essere amato
perché questo è il privilegio dato da Dio.
Prenditi tempo
per essere amabile
perché questo è il cammino della felicità.
Prenditi tempo
per ridere
perché il riso è la musica dell’anima.
Prenditi tempo
per dare
perché il giorno è troppo corto
per essere egoista.

(da “Tomate Tiempo”, poesia uruguayana)



"... Ma cavoli, basta sollevare gli occhi al cielo di notte per intuire che la vita di tutto questo universo è un mistero grandioso e noi che siamo uomini e abbiamo e possiamo avere la coscienza di ciò sprechiamo il nostro tempo afflitti da piccole banalità e da piccoli dolori, senza chiederci, perchè ci fa troppa paura ascoltarci per un attimo, ascoltare quella voce che parla in noi, che grida che la vita non può non avere un senso, senza chiederci perchè ci siamo, perchè siamo fatti così uno diverso dall'altro, eppure al fondo tutti con lo stesso desiderio.

Dio mio, ma perchè se queste domande e desideri ci sono, noi ci rassegniamo, viviamo in fondo disperati cioè non attendendoci niente dal domani, chiudendoci in una gabbia che diventa la nostra tomba e al limite concedendoci qualche ricordo nostalgico dei bei tempi, ma quali tempi! "

(da una lettera di Lidia Macchi)


Chiuso fra cose mortali. (Anche il cielo stellato finirà). Perché bramo Dio? 

(Ungaretti)


Il cielo era così pieno di stelle, così luminoso che, gettandovi uno sguardo, senza volerlo si era costretti a domandare a se stessi: è mai possibile che sotto un cielo simile possa vivere ogni sorta di gente collerica e capricciosa? 
Anche questa è una domanda da giovani, amabile lettore, molto da giovani, ma voglia il Signore mandarvela il più sovente possibile nell’anima! …

(Fedor Dostoevsky)







Buona giornata a tutti :-)


venerdì 24 settembre 2021

L’ uomo che volle guarire - Dino Buzzati

Intorno al grande lebbrosario sulla collina, a un paio di chilometri dalla città, correva un alto muraglione e in cima al muraglione le sentinelle camminavano su e giù. Tra queste guardie ce n’erano di altezzose e intrattabili, altre invece avevano pietà. Perciò al crepuscolo i lebbrosi si raccoglievano ai piedi del bastione e interrogavano i soldati più alla mano. “Gaspare” per esempio dicevano “che cosa vedi questa sera? C’è qualcuno sulla strada? Una carrozza, dici? E com’è questa carrozza? E la reggia è illuminata? Hanno acceso le torce sulla torre? Che sia tornato il principe?” Continuavano per ore, non erano mai stanchi e, benché il regolamento lo vietasse, le sentinelle di buon cuore rispondevano, spesso inventando cose che non c’erano, passaggio di viandanti, luminarie, incendi, eruzioni perfino del vulcano Ermac, poiché sapevano che qualsiasi novità era una deliziosa distrazione per quegli uomini condannati a non uscire mai di là. Anche i malati gravi, i moribondi partecipavano al convegno portati in barella dai lebbrosi ancora validi.

Soltanto uno non veniva, un giovane entrato nel lazzaretto da due mesi. Era un nobile, un cavaliere, uomo già stato bellissimo, a quanto si poteva indovinare perchè la lebbra lo aveva attaccato con una violenza rara, in poco tempo deturpandogli la faccia. Si chiamava Mseridon.

“Perché non vieni?” gli chiedevano passando dinanzi alla sua capanna “perché non vieni anche tu a sentire le notizie? Ci devono essere questa sera i fuochi artificiali e Gaspare ha promesso che ce li descriverà. Sarà bellissimo, vedrai.”
“Amici” lui rispondeva dolcemente, affacciandosi alla soglia e si copriva la faccia leonina con un pannolino bianco “capisco che per voi le notizie che vi dà la sentinella siano una consolazione. Questo è l’unico legame che vi resta col mondo esterno, con la città dei vivi. È vero o no?”
“Sì certo, è vero.”
“Questo vuol dire che vi siete già rassegnati a non uscire mai di qui. Mentre io…”
“Tu che cosa?”
“Mentre io invece guarirò, io non mi sono rassegnato, io voglio, capite, voglio tornare come prima.”

Tra gli altri, dinanzi alla capanna di Mseridon, passava il saggio e vecchio Giacomo, patriarca della comunità. Aveva almeno centodieci anni ed era quasi un secolo che la lebbra lo smangiava. Non aveva più membra di sorta, non si distinguevano più la testa nè le braccia né le gambe, il corpo si era trasformato in una specie di asta del diametro di tre quattro centimetri che si teneva chissà come in equilibrio, con in cima un ciuffo di capelli bianchi e assomigliava, in grande, a quegli scacciamosche che adoperano i nobili abissini. Come ci vedesse, parlasse, si nutrisse era un enigma perché la faccia era distrutta né si vedevano aperture nella crosta bianca che lo rivestiva, simile alla corteccia di betulla. Ma questi sono i misteri dei lebbrosi. In quanto al camminare, scomparse tutte le articolazioni, se la cavava saltellando sull’unico piede, tondo anch’esso come il puntale di un bastone. Anziché macabro, l’aspetto complessivo era grazioso. Praticamente, un uomo trasformato in vegetale. E siccome era molto buono e intelligente, tutti gli usavano riguardo.

All’udire le parole di Mseridon, il vecchio Giacomo si fermò e gli disse: “Mseridon, povero ragazzo, io sono qui da quasi cento anni e di quanti io trovai o entrarono dipoi nessuno è mai uscito. Tale è la nostra malattia. Ma anche qui, vedrai, possiamo vivere. C’è chi lavora, c’è chi ama, c’è chi scrive poesie, c’è il sarto, c’è il barbiere. Si può anche essere felici, per lo meno non si è molto più infelici degli uomini di fuori. Tutto sta nel rassegnarci. Ma guai, Mseridon, se l’animo si ribella e non si adatta e pretende una guarigione assurda, allora ci si riempie il cuore di veleno”. E così dicendo il vecchio scuoteva il suo bel pennacchio bianco.

“Ma io” ribatté Mseridon “io ho bisogno di guarire, io sono ricco, se tu salissi sulle mura potresti vedere il mio palazzo, ha due cupole d’argento che scintillano. Laggiù ci sono i miei cavalli che mi aspettano, e i miei cani, e i miei cacciatori, e anche le tenere schiave adolescenti mi aspettano che torni. Capisci, saggio bastoncello, io ho bisogno di guarire.”
“Se per guarire bastasse averne bisogno, la cosa riuscirebbe molto semplice” fece Giacomo con una bonaria risatina. “Chi più chi meno, tutti sarebbero guariti.”
“Ma io” si ostinò il giovane “io per guarire ho il mezzo, che gli altri non conoscono.”
“Oh lo immagino” fece Giacomo “ci sono sempre dei bricconi che ai nuovi venuti offrono a caro prezzo unguenti segreti e prodigiosi per guarire. Anch’io ci cascai quando ero piccolo.”
“No, non uso unguenti io, io adopero semplicemente la preghiera.”
“Tu preghi Dio che ti guarisca? E sei perciò convinto di guarire? Ma tutti noi preghiamo, cosa credi? Non passa sera che non si rivolga il pensiero a Dio. Eppure chi…”
“Tutti pregate, è vero, ma non come me. Voi alla sera andate ad ascoltare il notiziario della sentinella, io invece prego. Voi lavorate, studiate, giocate a carte, voi vivete come vivono pressa poco gli altri uomini, io invece prego, tranne il tempo strettamente indispensabile per mangiare, bere e dormire, io prego senza soluzione di continuità e del resto anche mentre mangio io prego e perfino mentre dormo; tanta è infatti la mia volontà che da qualche tempo sogno di essere inginocchiato e di pregare. La preghiera che fate voi è uno scherzo. L’autentica preghiera è una fatica immensa, io alla sera arrivo estenuato dallo sforzo. E come è duro all’alba, appena sveglio, riprendere subito a pregare, la morte talora mi sembra preferibile. Ma poi mi faccio forza e mi inginocchio. Tu, Giacomo, che sei vecchio e saggio, dovresti saperle queste cose. ”

A questo punto Giacomo cominciò a dondolare come se stentasse a mantenere l’equilibrio e calde lacrime rigarono la sua scorza cinerina.
“È vero, è vero” singhiozzava il vecchio “anch’io quando avevo la tua età… anch’io mi gettai nella preghiera e tenni duro sette mesi e già le piaghe si chiudevano e la pelle tornava bella liscia… stavo guarendo… Ma a un tratto non ce la feci più e tutta la fatica andò perduta… lo vedi in che stato son ridotto…”
“E allora” disse Mseridon “tu non credi che io…”
“Dio ti assista, non posso dirti altro, che l’Onnipotente ti dia forza” mormorò il vecchio, e a piccoli saltelli si avviò alle mura, dove la folla era riunita.

Chiuso nella sua capanna, Mseridon continuò a pregare, insensibile ai richiami dei lebbrosi. A denti stretti, col pensiero fisso a Dio, tutto in sudore per lo sforzo, lottava contro il male e a poco a poco ie immonde croste si accartocciavano al bordo e poi cadevano, lasciando che la Carne sana rinascesse. Intanto la voce si era sparsa e attorno alla capanna stazionavano sempre gruppi di curiosi. Mseridon aveva ormai fama di santo.

Avrebbe vinto o tanto impegno non sarebbe servito a niente? Si erano formati due partiti, pro e contro il giovane ostinato. Finché, dopo quasi due anni di clausura, Mseridon un giorno uscì dalla capanna. Il sole finalmente gli illuminò la faccia, la quale non aveva più segni di lebbra, non assomigliava ai muso di un leone, bensì risplendeva di bellezza.
“È guarito, è guarito!” gridò la gente incerta se mettersi a piangere di gioia o lasciarsi divorare dall’invidia. Era guarito infatti Mseridon ma per poter lasciare il lebbrosario doveva avere un documento.

Andò dal medico fiscale che faceva ogni settimana l’ispezione, si spogliò e si fece visitare.
“Giovanotto, puoi dirti fortunato” fu il responso “devo ammettere che sei quasi guarito.”
“Quasi? Perché” chiese il giovane con amara delusione.
“Guarda, guarda qui la brutta crosticina” fece il medico additando con una bacchetta, per non toccarlo, un puntino colore della cenere non più grande di un pidocchio, sul mignolo di un piede “bisogna che tu elimini anche questa se vuoi che io ti lasci libero.”
Mseridon tornò alla sua capanna e mai seppe neppur lui come fece a superare lo sconforto. Credeva di essere ormai salvo, aveva allentato tutte le energie, già si apprestava al premio: e doveva invece riprendere il calvario.

“Coraggio” lo incitava il vecchio Giacomo “ancora un piccolo sforzo, il più l’hai fatto, sarebbe pazzesco rinunciare proprio adesso.”
Era una rugosità microscopica sui mignolo ma sembrava che non volesse arrendersi. Un mese e poi due mesi di ininterrotta potentissima preghiera. Niente. Un terzo, un quarto, un quinto mese.
Niente. Mseridon stava per mollare quando una notte, passandosi, come faceva ormai meccanicamente, una mano sul piede malato, non incontrò più la crosticina.

I lebbrosi lo portarono in trionfo. Era ormai libero. Dinanzi al corpo di guardia ci furono i commiati. Poi soltanto il vecchio Giacomo, saltellando, lo accompagnò alla porta esterna. Furono controllati i documenti, la chiave cigolò girando nella serratura, la sentinella spalancò la porta.

Apparve il mondo nel sole del primo mattino, così fresco e pieno di speranze. I boschi, le praterie verdi, gli uccellini che cantavano, e in fondo biancheggiava la città con le sue torri candide, le terrazze orlate di giardini, gli stendardi fluttuanti, gli altissimi aquiloni a forma di draghi e di serpenti; e sotto, che non si vedevano, miriadi di vite e di occasioni, le donne, le voluttà, i lussi, le avventure, la corte, gli intrighi, la potenza, le armi, il regno dell’uomo!

Il vecchio Giacomo osservava la faccia del giovane, curioso di vederla illuminata dalla gioia. Sorrise infatti Mseridon al panorama della libertà. Ma fu un istante. Subito il giovane cavaliere impallidì.
“Che hai?” gli chiese il vecchio supponendo che l’emozione gli avesse tolto il fiato. E la sentinella: “Su, su svelto, giovanotto, passa fuori che io devo subito richiudere, non ti farai pregare, spero!”
Invece Mseridon fece un passo indietro e si coprì gli occhi con le mani: “Oh è terribile!”
“Che hai?” ripeté Giacomo. “Stai male?”
“Non posso!” disse Mseridon. Dinanzi a lui, di colpo, la visione era cambiata. E al posto delle torri e delle cupole, giaceva adesso un sordido groviglio di catapecchie polverose, grondanti di sterco e di miseria, e invece degli stendardi, sopra i tetti, nugoli caliginosi di tafani come un infetto polverone.

Il vecchio domandò: “Che cosa vedi, Mseridon? Dimmi: vedi marcio e luridume dove prima tutto era glorioso? Al posto dei palazzi vedi ignobili capanne? È cosi, Mseridon?”
“Sì, sì, tutto è diventato orribile. Perché? Cosa è successo?”
“Io lo sapevo” fece il patriarca “lo sapevo ma non osavo dirtelo. Questo è il destino di noi uomini, tutto si paga a caro prezzo. Non ti sei mai chiesto chi ti dava la forza di pregare? Le tue preghiere erano di quelle a cui non resiste neanche la collera del cielo. Tu hai vinto, sei guarito. E adesso paghi.”
“Pago? E perché?”
“Perché era la grazia che ti sosteneva. E la grazia dell’Onnipotente non risparmia. Sei guarito ma non sei più lo stesso di una volta. Di giorno in giorno, mentre la grazia lavorava in te, senza saperlo tu perdevi il gusto della vita. 

Tu guarivi, ma le cose per cui smaniavi di guarire a poco a poco si staccavano, diventavano fantasmi, cimbe natanti sopra il mar degli anni! Io lo sapevo. Credevi di essere tu a vincere, e invece era Dio che ti vinceva. Così hai perso per sempre i desideri. Sei ricco ma adesso i soldi non ti importano, sei giovane ma non ti importano le donne. La città ti sembra un letamaio. Eri un gentiluomo, sei un santo, capisci come il conto torna? Sei nostro, finalmente, Mseridon! L’unica felicità che ti rimane è qui tra noi, lebbrosi, a consolarci… Su, sentinella, chiudi pure la porta, noi rientriamo.”
La sentinella tirò a sé il battente.

- Dino Buzzati - 

dalla raccolta “Sessanta racconti”


Padre Damiano de Veuster (1840-1889) era missionario nelle isole Sandwich. 

Lì sentì parlare dell’« Isola maledetta », Molokai, dove venivano segregati e abbandonati alla morte i lebbrosi. 

Aveva allora 33 anni, era sano e faceva ovunque un mucchio di bene. Ma volle rinchiudersi in quell’isola del dolore e condividere in tutto la vita di 800 lebbrosi. 

A forza di sacrifici, di solidarietà e d’amore trasformò quell’inferno di morte in un sereno angolo di pace e di rassegnazione; fu così che l’imitazione di Gesù gli donò la vita eterna: morì lebbroso tra i suoi lebbrosi.



La malattia di Hansen meglio conosciuta come lebbra è una malattia infettiva causata da un batterio bacilliferico chiamato Mycobacterium leprae. È una malattia che colpisce principalmente il sistema nervoso periferico, la pelle, il tratto respiratorio e il sistema oculare. Oggi è una malattia che ha una cura fintanto che viene rilevata nelle prime fasi per evitare la morte e l'invalidità, sebbene nei tempi antichi fosse una delle cause della mortalità.

A livello storico, la lebbra è stata una malattia molto antica in cui i malati venivano trattenuti nel lebbrosario e venivano spesso ripudiati dalla società per paura del contagio. Un punto di svolta nella gestione di questa patologia fu negli anni '1940 quando fu sviluppato un farmaco chiamato "dapsone".

È stato un trattamento cronico o per molti anni che ha reso difficile aderire al trattamento. Il problema si manifestò intorno al 1960 quando il Mycobacterium Leprae sviluppò un farmaco di resistenza, quindi i nuovi farmaci dovettero essere riqualificati. Fu allora che furono scoperte rifampicina e clofazimina che permisero di trattare di nuovo efficacemente questa malattia.

L'Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1981 ha raccomandato un trattamento multimedicamento con dapsone, clofazimina e rifampicina con una durata compresa tra 6 e 12 mesi a seconda del tipo di bacillo. Questo trattamento consente al paziente di essere curato e di sterminare il Mycobacterym Leprae.

Sebbene dal 2000 la lebbra non sia considerata un problema di salute pubblica, l'Organizzazione Mondiale della Sanità offre attualmente un trattamento gratuito a tutti i pazienti affetti da lebbra.

 Il bacillo Mycobacterium Leprae si riproduce molto lentamente, quindi il periodo di incubazione può arrivare fino a cinque anni, facendo sì che la sintomatologia impieghi fino a un anno e anche venti nei casi più lenti. Ciò può rendere difficile dove e quando la malattia potrebbe essere contratta.

Un'alta percentuale di persone che entrano in contatto con il bacillo non sviluppa la malattia perché il sistema immunitario è in grado di far fronte all'infezione.

Il modo di trasmissione della malattia di Hansen è attraverso le goccioline di Flügge (le goccioline che si diffondono tossendo o parlando) quando una persona è infetta o per contatto con i fluidi corporei di una persona infetta.

Secondo gli ultimi dati, nel 2017 sono stati registrati 211.009 casi di lebbra in tutto il mondo secondo i dati dell'Organizzazione mondiale della sanità.

 

Bibliografia:

who.int Organizzazione mondiale della sanità [Internet] Centro stampa, note descrittive. [aggiornato il 10 settembre 2019, citato il 9 gennaio 2020]. Disponibile su: https://www.who.int/es/news- room / fact-sheet / detail / leprosy

Medlineplus.gov. Biblioteca nazionale di medicina degli Stati Uniti. [Internet] Enciclopedia medica. [aggiornato il 27 settembre 2017, citato il 9 gennaio 2020]. Disponibile su: https://medlineplus.gov/spanish/ency/article/001347.htm



Buona giornata a tutti :-)




 


giovedì 23 settembre 2021

La favoletta di Don Camillo - Giovannino Guareschi

Don Camillo raccontò questa favoletta: «Un feroce lupo pieno di fame girava per la campagna e arrivò a un gran prato recinto da una altissima rete metallica. 

Dentro pascolavano tranquille le pecorelle. 
Il lupo girò tutt’attorno per vedere se qualche maglia si fosse allentata nella rete, ma non trovò buchi. 
Scavò con le zampe per fare un buco nella terra e passar sotto la rete, ma ogni fatica fu vana. 
Tentò di saltare la siepe, ma non riusciva neppure ad arrivare a metà. 
Allora si presentò alla porta del recinto e gridò: “Pace! Siamo tutti creature di Dio e dobbiamo vivere secondo le sue leggi!”. 
Le pecorelle si appressarono e allora il lupo disse con voce ispirata: “Viva la legalità! Finisca il regno della violenza! Facciamo una tregua!”. “Bene!”, risposero le pecorelle. “Facciamo una tregua!”. 
Il lupo si accucciò davanti alla porta del recinto e passava il tempo cantando. Ogni tanto si levava e andava a brucare l’erba ai piedi della rete metallica. “Uh! Guarda, guarda!”, si stupirono le pecore. “Mangia l’erba anche lui, come noi! Non ci avevano mai detto che i lupi mangiano l’erba!…”. “Io non sono un lupo!”, rispose il lupo. “Io sono una pecora come voi. Una pecora di un’altra razza”. 
Poi spiegò che le pecore di tutte le razze avrebbero dovuto fare causa comune. “Perché”, disse alla fine, “non fondiamo un Fronte Pecorale Democratico? ("Fronte popolare democratico" era il nome dell'alleanza politico-elettorale ).
Io ci sto volentieri e non pretendo nessun posto di comando. 
È ora che ci uniamo contro chi ci tosa, ci ruba il latte e ci manda al macello!”. “Parla bene!”, osservarono alcune pecore. “Bisogna fare causa comune!”. 
E aderirono al Fronte Pecorale Democratico e, un bel giorno, aprirono le porte. 
Il lupo, diventato capo del piccolo gregge, cominciò, in nome dell’Idea, la epurazione di tutte le pecore antidemocratiche e le prime furono quelle che gli avevano aperto la porta. 
Alla fine l’opera di epurazione terminò, e quando non rimase più neppure una pecora il lupo esclamò trionfante: “Ecco finalmente il popolo tutto unito e concorde! 
Andiamo a democratizzare un altro gregge!”»

(Giovannino Guareschi), 
Fonte: da “Don Camillo e il suo gregge”




…. I  Padri Costituenti sono vissuti in un’epoca di stermini di massa e sapevano bene che per sterminare una persona devi prima allontanarla dal suo lavoro e che, quindi, la perdita del lavoro è il primo degli arbitri tremendi che portano alla distruzione, condizione indispensabile e sufficiente all’annientamento. 

Il primo lockdown, non ha avuto nessun senso dal punto di vista sanitario, anzi ha avuto il senso di peggiorare la salute di tutti, per la reclusione, per l’incuria e per la disperazione. 

Cancro e malattie degenerative  non sono state più curate, in più rinchiudere le persone in casa fa crollare il sistema immunitario che è uno dei due motivi per cui i casi di cancro sono saliti alle stelle, non solo il fatto che non li curavano più. Rinchiudere è uno dei passi verso la distruzione. 

Siamo un popolo che non serve più. È spiegato nel Grande Reset: le linee produttive vanno spostate in Cina. Noi non serviamo più. Ognuno di noi, nel suo blocchetto di plexiglass, con la connessione a Netflix e a YouPorn e magari il reddito di cittadinanza, fino a quando non scompare. Per questo il lavoro è così importante. Per questo è così grave che ce lo stiano togliendo.

Per questo è così grave che non ti lascino lavorare a meno che tu non abbia questa ridicola carta che segnala se hai fatto o no un farmaco che non serve a immunizzare quindi non blocca il contagio di una malattia che sarebbe curabile, segnala solo la tua sottomissione e che hai in corpo qualcosa che altri volevano che tu avessi in corpo. Perché. Perché ci tengono così tanto?

dal blog di Silvana De Mari

https://www.silvanademaricommunity.it/2021/09/18/sorci-di-tuto-il-mondo-uniamoci/


Buona giornata a tutti :-)



mercoledì 22 settembre 2021

Nel silenzio

Un uomo che lavorava in una fabbrica di ghiaccio, perse un prezioso orologio.
Vari colleghi lo aiutarono alla ricerca, per quest'uomo quell'oggetto aveva un grande valore affettivo, c'è chi gridava :
"cerchiamo di qui."
altri gridavano:
"cerchiamo di qua."
Resta il fatto che cercarono per più di due ore ma senza successo.
Andarono a pranzare e quando tornarono videro un bambino che si recava verso di loro con l'orologio che cercavano. Lo fermarono e gli chiesero:
"Come hai avuto questo orologio?"
rispose il bambino :
"Ho visto che eravate talmente presi da frenesia nel cercare l'orologio che ho approfittato della pausa pranzo per cercarlo con tranquillità; infatti a differenza vostra sono stato in silenzio ad ascoltare il TIC TAC dell'orologio e lo trovato." 

In che posto cerchiamo Dio? Molte volte siamo talmente presi dalla stressante quotidianità nel mondo, siamo talmente avvolti nelle generalità delle cose che, nell'agitazione e nel disordine spirituale nel quale viviamo, non siamo capaci di fermarci ad ascoltare la voce del Signore. 

Dio parla nel silenzio! Impariamo ad ascoltarlo e scopriremo il più grande tesoro della nostra vita.


Chiesero a un saggio: «Parlaci della Preghiera».
Il maestro rispose: «La dottrina della Preghiera è suddivisa in dieci capitoli. Se farai attenzione, te ne dirò qualcosa: “parlare poco” è l’argomento del primo, “tacere” è quello degli altri nove». 
Se la tua anima prenderà l’abitudine di tacere, ogni atomo ti parlerà. 
Tu mormori come un torrente, ma solo se imparerai a tacere diventerai oceano. E chi in questo oceano vorrà cogliere la perla della parola di Dio dovrà tuffarsi e trattenere il respiro.




Guarda come la natura – gli alberi, i fiori, l’erba – cresce in silenzio; guarda le stelle, la luna, il sole muoversi in silenzio… Abbiamo bisogno di silenzio per riuscire a toccare le anime.

- Madre Teresa di Calcutta -



Spesso l'uomo grida: ma Dio non vede? Perchè Dio tace? Perchè il silenzio di Dio? 
Non si può dire: il silenzio di Dio.
Dobbiamo dire: il silenzio degli uomini, poichè essi non utilizzano lo strumento per cogliere le risposte che Dio dà ai loro interrogativi.

- Don Oreste Benzi - 





Buona giornata a tutti. :-)