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domenica 29 dicembre 2024

Per ultima venne la morte - Piero Gribaudi

La morte non voleva credere alle proprie orecchie quando le fu comunicato che il suo dominio universale stava per finire. 
Pur riconoscendosi la più inamabile di tutte le creature, un po' di riguardo l'avrebbe gradito da parte dell'Arcangelo messaggero. 
Non era mica l'ultima delle ancelle di Dio, anzi. Il suo ruolo nei piani del Creatore era fondamentale.
"E continuerà ad esserlo", le aveva garantito il messo celeste, "per tutte le creature viventi, tranne che per l'uomo".
"Perché?" gli aveva domandato la Morte, "diventerà immortale?".

"Non fare troppe domande... tu non capiresti".

Era stato a questo punto che la Morte si era gravemente offesa. 
Che oltre a fare un lavoraccio infame, la si giudicasse imbecille, non lo poteva tollerare! 
Di essere perdente non le importava affatto, tanto il suo lavoro le era ingrato, ma come sarebbe avvenuta la metamorfosi?
Le bastò uno sguardo circolare sulla superficie terrestre per individuare il punto. 
Forse nessuno, davanti alla grotta di Betlemme, provò maggior sbalordimento della Morte. 
Eppure, ora che lo aveva davanti, il progetto le appariva chiaro e di un'incredibile semplicità: quel batuffolo di carne, per il solo fatto di essere vita, era già sua preda. 
La Morte desiderò a quel punto che il Creatore avesse scelto un'altra strada, per non essere chiamata in causa. Ma fu allora che, dal sonno profondo in cui era immerso, il Bimbo le sorrise. 
E la Morte si sentì vinta e capì come sarebbe stata vinta: da un amore talmente intenso che proprio attraverso di lei sarebbe passato, per dimostrare all'universo la propria potenza e la propria vastità.

- Piero Gribaudi -
da: "Fiabe della Notte Santa"



...Maria si mette in cammino in fretta dopo l'Annunciazione per andare a far visita alla sua parente Elisabetta; i pastori si affrettano a raggiungere la mangiatoia; Pietro e Giovanni corrono dal Risorto. 
Questa fretta però non ha niente a che vedere con la frenesia di chi è assillato da scadenze pressanti. 
E' il suo contrario. Significa che la fretta ingiustificata non ha più ragione di essere quando si presentano davanti a noi le cose che sono davvero grandi e importanti. 
E' la gioia che mette le ali ai piedi dell'uomo. Sant'Ambrogio dice che la grazia dello Spirito Santo non conosce pesi che la possano trattenere. 
Ciò significa che le cose che appesantiscono il cuore e il passo nel nostro camminare verso Dio finiscono per staccarsi da noi. Significa che se ne vanno da noi i dubbi, la saccenteria e la falsa erudizione che rendono così difficoltoso il nostro cammino verso di lui. Significa che impariamo a camminare sulle ali della gioia. 
Questa fretta non nasce dalla precipitazione, bensì dalla scomparsa della precipitazione, nasce dalla leggerezza del cuore. Chesterton ha detto molto argutamente che gli angeli possono volare perché non si prendono troppo sul serio...

card. Joseph Ratzinger - dalla "Omelia per il Natale 1980" -



"Essere stati amati tanto profondamente ci protegge per sempre,
anche quando la persona che ci ha amato non c'è più.
È una cosa che ci resta dentro, nella pelle."

- Joanne Kathleen Rowling -



Il cuore dell'uomo vive 
finché ha qualcosa,
qualcuno da amare. 

Così come il fuoco arde,
finché ha qualcosa da bruciare.






Buona giornata a tutti. :-)

www.leggoerifletto.it


venerdì 20 dicembre 2024

L'occhio del falegname - don Bruno Ferrero

C'era una volta, tanto tempo fa, in un piccolo villaggio, la bottega di un falegname. Un giorno, durante l'assenza del padrone, tutti i suoi arnesi da lavoro tennero un gran consiglio.
La seduta fu lunga e animata, talvolta anche veemente. Si trattava di escludere dalla onorata comunità degli utensili un certo numero di membri.
Uno prese la parola: "Dobbiamo espellere nostra sorella Sega, perché morde e fa scricchiolare i denti. Ha il carattere più mordace della terra".
Un altro intervenne: "Non possiamo tenere fra noi sorella Pialla: ha un carattere tagliente e pignolo, da spelacchiare tutto quello che tocca".
"Fratel Martello - protestò un altro - ha un caratteraccio pesante e violento. Lo definirei un picchiatore. E' urtante il suo modo di ribattere continuamente e dà sui nervi a tutti. Escludiamolo!".
"E i Chiodi? SI può vivere con gente così pungente? Che se ne vadano. E anche Lima e Raspa. A vivere con loro è un attrito continuo. E cacciamo anche Cartavetro, la cui unica ragion d'essere sembra quella di graffiare il prossimo!".
Così discutevano, sempre più animosamente, gli attrezzi del falegname. Parlavano tutti insieme. Il martello voleva espellere la lima e la pialla, questi volevano a loro volta l'espulsione di chiodi e martello, e così via. Alla fine della seduta tutti avevano espulso tutti.
La riunione fu bruscamente interrotta dall'arrivo del falegname. Tutti gli utensili tacquero quando lo videro avvicinarsi al bancone di lavoro. L'uomo prese un asse e lo segò con la Sega mordace. Lo piallò con la Pialla che spela tutto quello che tocca. Sorella Ascia che ferisce crudelmente, sorella Raspa che dalla lingua scabra, sorella Cartavetro che raschia e graffia, entrarono in azione subito dopo.

Il falegname prese poi i fratelli Chiodi dal carattere pungente e il Martello che picchia e batte.
Si servì di tutti i suoi attrezzi di brutto carattere per fabbricare una culla.
Una bellissima culla per accogliere un bambino che stava per nascere. 
Per accogliere la Vita.

Dio ci guarda con l'occhio del falegname.

- don Bruno Ferrero -
da: “Cerchi nell'acqua”, Ed. Elledicì


La mangiatoia .....il bue e l’asino..... diventerebbe in certo qual modo l’arca dell’alleanza, in cui Dio, misteriosamente custodito, è in mezzo agli uomini, e davanti alla quale per «il bue e l’asino», per l’umanità composta di Giudei e gentili, è giunta l’ora della conoscenza di Dio.
Nella singolare connessione tra Isaia 1,3; Abacuc 3,2; Esodo 25,18-20 e la mangiatoia appaiono quindi i due animali come rappresentazione dell’umanità, di per sé priva di comprensione, che, davanti al Bambino, davanti all’umile comparsa di Dio nella stalla, arriva alla conoscenza e, nella povertà di tale nascita, riceve l’epifania che ora a tutti insegna a vedere.
L’iconografia cristiana già ben presto ha colto questo motivo. Nessuna raffigurazione del presepe rinuncerà al bue e all’asino.

- Papa Benedetto XVI - 
Da: “ L’infanzia di Gesù”,2012



Dal vostro Santo Natale, o Dio-Bambino, abbiamo appreso tre grandi lezioni. Abbiamo imparato che non c'è pace in Terra senza di Voi. Che l'autentico uomo di buona volontà non è colui che ama l'uomo per l'uomo, ma colui che lo ama per amor Vostro. E che la vostra Pace include la cessazione di tutte le lotte tranne la vostra incessante e gloriosa guerra contro il Demonio e i suoi alleati, il mondo e la carne.

- Plinio Correa de Oliveira - 

Buona giornata a tutti. :-)


domenica 15 dicembre 2024

Le scarpe di Natale – don Bruno Ferrero

 C'era una volta una città i cui abitanti amavano sopra ogni cosa l'ordine e la tranquillità. Avevano fatto delle leggi molto precise, che regolavano con severità ogni dettaglio della vita quotidiana. 
Tutte le fantasie, tutto quello che non rientrava nelle solite abitudini era mal visto o considerato una stranezza. E per ogni stranezza era prevista la prigione.
Gli abitanti della città non si dicevano mai «buongiorno» per la strada; nessuno diceva mai «per piacere»; quasi tutti avevano paura degli altri e si guardavano sospettosamente.
C'erano anche quelli che denunciavano i vicini, se trovavano un po' troppo bizzarro il loro comportamento.
Il commissario Leonardi, capo della polizia, non aveva mai abbastanza poliziotti per condurre inchieste, sorvegliare, arrestare, punire...
Già nella scuola materna, i bambini imparavano a stare ben attenti alle loro chiavi. E c'erano chiavi per ogni cosa: per le porte, per l'armadietto, per la cartella, per la scatola dei giochi e perfino per la scatola delle caramelle!
La sera, la gente aveva paura. 
Rientravano tutti a casa correndo e poi sprangavano le porte e chiudevano ben bene le finestre.

Cristiana aveva i capelli biondi.
Erano rimasti tuttavia dei ragazzi che sapevano ancora scambiarsi qualche strizzata d'occhi e anche degli insegnanti che li incoraggiavano... Ma, soprattutto, c'era Cristiana.
Cristiana aveva i capelli biondi come il sole, gli occhi scintillanti come laghetti di montagna e non pensava mai: «Chissà che cosa dirà la gente?». Nella città si facevano molte dicerie sul suo conto. 
Perché Cristiana aiutava tutti quelli che avevano bisogno di aiuto, consolava i bambini che piangevano e anche i vecchietti rimasti soli, perché accoglieva tutti coloro che chiedevano un po' di denaro o anche solo qualche parola di speranza.
Tutto questo era scandaloso per la città. Non potevano proprio sopportare ulteriormente quel modo di vivere così diverso dal loro. E un giorno il commissario Leonardi, con venti poliziotti, andò ad arrestare Cristiana, o Cri-Cri, come l'avevano soprannominata gli amici. E per essere sicuro che non combinasse altre stranezze, la fece mettere in prigione. 
Questo accadde qualche giorno prima di Natale. Natale era una festa, ma molti non sapevano più di chi o di che cosa. 
Sapevano soltanto che in quei giorni si doveva mangiare bene e bere meglio. Ma senza esagerare, per non prendersi qualche malattia... 
Soprattutto, la sera della vigilia di Natale, tutti dovevano mettere le proprie scarpe davanti al camino, per trovarle piene di doni il giorno dopo. Una cosa questa che, nella città, facevano tutti, ma proprio tutti. Così fu anche quel Natale.

Una gran confusione
All'alba, tutti si precipitarono dove avevano messo le scarpe, per trovare i loro regali. Ma... che era successo? Non c'era l'ombra di un regalo. Neanche un torrone o un cioccolatino!
E poi... le scarpe!
In tutta la città, le scarpe risultavano spaiate. Il commendator Bomboni si trovò con una scarpina da ballo, una vecchia ottantenne aveva una scarpa bullonata da calcio, un bambino di cinque anni aveva una scarpa numero 43, e così di seguito. Non c'erano due scarpe uguali in tutta la città! 
Allora si aprirono porte e finestre e tutti gli abitanti scesero in strada. Ciascuno brandiva la scarpa non sua e cercava quella giusta. Era una confusione allegra e festosa. Quando i possessori delle scarpe scambiate si trovavano, avevano voglia di ridere e di abbracciarsi.
Si vide il commendator Bomboni pagare la cioccolata a una bambina che non aveva mai visto e una vecchietta a braccetto con un ragazzino.
Solo qualche finestra restava ostinatamente chiusa. 
Come quella del commissario Leonardi. Quando però il commissario sentì il gran trambusto che veniva dalla strada, pensò a una rivoluzione e corse a prendere le armi che teneva sul camino. Immediatamente il suo sguardo cadde sulle scarpe che aveva collocato davanti al camino. E anche lui si bloccò, sorpreso. Accanto alla sua pesante scarpa nera c'era... una pantofola rossa di Cri-Cri. Stringendo la pantofola rossa in mano, il commissario corse alla prigione.
La cella dove aveva rinchiuso Cri-Cri era ancora ben chiusa a chiave. Ma la ragazza non c'era. 
Ai piedi del tavolaccio, perfettamente allineate c'erano l'altra scarpa del commissario e l'altra pantofola rossa. Dal finestrino, protetto da una grossa inferriata, proveniva una strana luce. Il commissario si affacciò. Nella strada la gente continuava a scambiarsi le scarpe e ad abbracciarsi.
Con un'insolita commozione, il commissario si accorse che la luce che veniva dal finestrino era bionda e calda come il sole e aveva dei luccichii azzurri, come succede nei laghetti di montagna.
E incominciò a capire.

- Don Bruno Ferrero -
Da: “Storie di Natale, d’Avvento e d’Epifania”, ed. Elledicì



Oggi si è indotti talvolta a pensare che la verità, la giustizia e la pace siano utopie e che esse si escludano mutuamente. Conoscere la verità sembra impossibile e gli sforzi per affermarla appaiono sfociare spesso nella violenza. D’altra parte, secondo una concezione ormai diffusa, l’impegno per la pace si riduce alla ricerca di compromessi che garantiscano la convivenza fra i Popoli, o fra i cittadini all’interno di una Nazione. Al contrario, nell’ottica cristiana esiste un’intima connessione tra la glorificazione di Dio e la pace degli uomini sulla terra, così che la pace non sorge da un mero sforzo umano, bensì partecipa dell’amore stesso di Dio. Ed è proprio l’oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a generare la violenza. Infatti, quando si cessa di riferirsi a una verità oggettiva e trascendente, come è possibile realizzare un autentico dialogo? In tal caso come si può evitare che la violenza, dichiarata o nascosta, diventi la regola ultima dei rapporti umani? In realtà, senza un’apertura trascendente, l’uomo cade facile preda del relativismo e gli riesce poi difficile agire secondo giustizia e impegnarsi per la pace...

- papa Benedetto XVI - 
dal "Discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede" 07 gennaio 2013 -


O Signore, fa' che io comprenda quale grande pace e sicurezza ha il cuore che non desidera cosa alcuna di questo mondo. Infatti, se il mio cuore brama di ottenere i beni terreni, non può essere né tranquillo né sicuro, perché cerca di avere quello che non ha o di non perdere quello che possiede.

- San Gregorio Magno -


Buona giornata a tutti. :-)


mercoledì 11 dicembre 2024

Il trattino – don Bruno Ferrero

 L’incisore di lapidi funerarie alzò lo scalpello e disse: “Ho finito”.
L'uomo esaminò la pietra: la foto del padre, le due date 1916 e 2000 separate da un trattino di un paio di centimetri. Poi scosse la testa e disse: "Non so come spiegarmi, ma mi sembra così poco. Vede, mio padre ha avuto una vita piena, lunga, avventurosa. Vorrei si intuisse in qualche modo la sua infanzia in una grande famiglia, la campagna ricca di verde e di animali, i lavori pesanti, la soddisfazione di un buon raccolto, le preoccupazioni per i temporali estivi, la siccità... Poi la guerra, le divise, le tradotte, la ferita, la fuga da un campo di prigionia, l'incontro con mia madre... I figli che nascono, crescono, si sposano, i nipotini che arrivano uno dopo l'altro... Poi la vecchiaia serena, la malattia, certo, ma anche l'affetto, l'amore, l'entusiasmo, la passione, le lunghe giornate di lavoro, le ansie, le preoccupazioni, le gioie...". 
L'incisore ascoltava con attenzione, poi impugnò lo scalpello e il martello e con quattro rapidi colpi allungò il trattino tra la data di nascita e quella di morte di quasi mezzo centimetro. 
Si voltò verso l'uomo e fece: "Va meglio così?..."

La vita non può essere un trattino tra due date.
Abbraccia ogni istante della tua vita. Adesso.
La vita è tutto quello che hai.

- don Bruno Ferrero - 

Da: “ 365 piccole storie per l’anima”, Bruno Ferrero, ed. ElleDiCi 



"Un'anima imperfetta come la mia, come può aspirare al possesso della pienezza dell'Amore? O Gesù, mio primo ed unico Amico, te che amo unicamente, dimmi dunque, che cos'è questo mistero? 
"Iustorum animae in manu Dei sunt, non tanget illos tormentum malitiae, visi sunt oculis insipientium mori... illi autem sunt in pace" (Sap 3,3). 

Sembra agli occhi degli stolti che i Servi di Dio muoiano afflitti e contro voglia, come muoiono i mondani; ma no, che Dio sa ben consolare i figli suoi nella loro morte; ed anche tra i dolori della morte fa loro sentire certe grandi dolcezze, come saggi del paradiso che tra poco vuol loro dare. Siccome quei che muoiono in peccato, cominciano sin da sopra quel letto a sentire certi saggi d'inferno, di rimorsi, di spaventi e di disperazione; così all'incontro i Santi cogli atti d'amore che allora fanno più spesso verso Dio, col desiderio e colla speranza che tengono di presto goderlo, già prima di morire cominciano a sentire quella pace, che pienamente poi goderanno in cielo. La morte a' Santi non è castigo, ma premio: "Cum dederit dilectis suis somnum, ecce hereditas Domini" (Ps 126,2). La morte di chi ama Dio, non si chiama morte, ma sonno, sicché ben egli potrà dire: "In pace in idipsum dormiam, et requiescam" (Ps 4,9).

Apparecchio alla morte, Sant'Alfonso Maria De' Liguori



Ché, se non ti prendi cura di te stesso ora, chi poi si prenderà cura di te? Questo è il tempo veramente prezioso; sono questi i giorni della salvezza; è questo il tempo che il Signore gradisce (2Cor 6,2). Purtroppo, invece, questo tempo tu non lo spendi utilmente in cose meritorie per la vita eterna. 
Verrà il momento nel quale chiederai almeno un giorno o un'ora per emendarti; e non so se l'otterrai. Ecco, dunque, mio caro, di quale pericolo ti potrai liberare, a quale pericolo ti potrai sottrarre, se sarai stato sempre nel timore di Dio, in vista della morte. 
Procura di vivere ora in modo tale che, nell'ora della morte, tu possa avere letizia, anziché paura; impara a morire al mondo, affinché tu cominci allora a vivere con Cristo; impara ora a disprezzare ogni cosa, affinché tu possa allora andare liberamente a Cristo; mortifica ora il tuo corpo con la penitenza, affinché tu passa allora essere pieno di fiducia.

Imitazione di Cristo, Capitolo XXIII



 Atto di accettazione della morte (con indulgenza plenaria)

Signore mio Dio, fin da ora spontaneamente e volentieri 
accetto dalle vostre mani qualsiasi genere di morte 
con cui vi piacerà colpirmi, con tutti i dolori, le pene,
gli affanni che l'accompagneranno, in unione all'agonia 
e alla morte di nostro Signore Gesù Cristo.

Con approvazione eccesiastica
Vicenza, 3 Settembre 1926

Chinque confessato e comunicato reciterà questa o simile orazione, ne avrà revocata la protesta già fatta, lucrerà l'indulgenza plenaria "in articulo mortis" (san Pio X). Recitandola dopo la comunione, si acquista l'indulgenza di anni 7 e 7 quarantene una volta al mese (papa Benedetto XV).


 Buona giornata a tutti. :-)



mercoledì 20 novembre 2024

Tutte le sere

 Uno dei ricordi più vivi della mia infanzia si riferisce a quando mio padre tornava a casa dal lavoro alle sei e mezzo di sera. 
Io e mio fratello lo sentivamo suonare il campanello più e più volte, per gioco, fino a quando uno di noi due non andava ad aprirgli la porta.
Di solito, noi eravamo in cucina, a fare i compiti o a guardare la televisione e lanciavamo grida d'entusiasmo nel sentire quel familiare scampanellio.
Ci precipitavamo giù per le scale, spalancavamo la porta di casa e a quel punto lui ci diceva:
"Be', come mai ci avete messo tanto?"
Era il momento migliore della giornata quando lui tornava a casa.
C'è un altro ricordo che mi accompagnerà per sempre e si riferisce a quello che per lui era un vero rito quotidiano: la cena.
Ci accomodavamo a tavola tutti insieme e poi lui, posando una mano sul braccio della mamma, diceva:
"Ma voi due lo sapete che avete la mamma più straordinaria del mondo?"
Era una frase che amava ripetere tutte le sere.

Si possono chiamare: gli esercizi del cuore, i riti sono gli esercizi del cuore.



Insegnami a gridare verso di Te

Cristo,
Signore della creazione,
insegnami a gridare verso di Te,
strappami dal mio peccato.

Signore di perdono,
tu sei la misericordia che salva.

Strappami dallo scoramento,
donami la memoria
della tua misericordia che salva.

Signore, che fai meraviglie.

Tutta la mia vita entri nel tuo amore;
aprimi il cuore,
insegnami a pregare

- Pierre Griolet - 


Buona giornata a tutti. :-)


sabato 16 novembre 2024

Chi ci pensa - don Bruno Ferrero

 Due pesci rossi vivevano in un vaso di vetro.
Nuotando pigramente in tondo avevano anche tempo per  filosofare.
Un giorno un pesce chiese all'altro: "Tu credi in Dio?"
"Certo!"
"E come fai a saperlo?"
"Chi credi che ci cambi l'acqua, tutti i giorni?"

La vita scorre dentro di noi come un fiume tranquillo ed è un miracolo.
Ma facciamo l'abitudine anche ai miracoli.
Ogni giorno è un dono tutto nuovo, una pagina bianca da scrivere.
Dio ci cambia l'acqua tutti i giorni.


Dio non muore il giorno in cui cessiamo di credere in una divinità personale,
ma noi moriamo il giorno in cui la nostra vita cessa di essere illuminata dalla radiosità costante, e rinnovata giorno per giorno, da un miracolo la cui origine è al di là di ogni ragione.
- don Bruno Ferrero -
Dal libro “Il segreto dei pesci rossi” di Bruno Ferrero, ed.  Elledicì


Dio è amore 

Al nonno, professore universitario, che cercava di trasmettergli il concetto che "Dio è onnisciente, onnipotente, non ha bisogno di nulla, basta a se stesso, insomma è tutto!" il nipotino di cinque anni rivolge a bruciapelo questa domanda inaspettata: "ma senti un po’ nonno, se Dio è tutto perché ha fatto il mondo?"

Quando mi raccontarono il fatto rimasi sbalordito, ero appena uscito dalla lettura di due testi, il primo di un fisico, premio Nobel, Steve Weinberg che chiudeva il suo libro sull’origine dell’universo con una frase più o meno simile: quanto più l’universo ci diventa noto, tanto più non riusciamo a spiegarcene il perché, ci resta incomprensibile. 
Il secondo libro era di un teologo, Hans Urs von Balthasar, il quale affermava che: il mondo rimane per noi incomprensibile non soltanto se Dio non c’è, ma anche se Dio c’è e non è Amore.

La domanda "se Dio è tutto perché ha creato il mondo?" può avere una sola risposta: perché Dio è Amore.

- don Bruno Ferrero -
Dal libro “Il segreto dei pesci rossi” , ed. Elledicì



Lode a te, o Dio, che sei Padre, Figlio e Spirito,
che sei il termine eccedente del mio desiderio
e la fonte inesauribile del mio stupore.
Lode a te che hai voluto entrare nella nostra e nella mia storia
per mostrare che la mia solitudine radicale è vinta,
che la mia morte non potrà avvincermi in forma definitiva.
Lode a te che vinci il mio timore di perdermi 
se ti lascio spazio nel mio cuore.
Lode a te che mi avvolgi nella tua nube
e in essa mi sveli il tuo mistero,
che è il mistero della mia stessa vita ardentemente indagato.
Lode a te che sei l’amore traboccante e perennemente 
accogli e salvi la mia fragilità.
Lode a te che mi concedi di entrare nella tua comunione
e mi dischiudi possibilità di relazioni vertiginose.
Lode a te che mi conduci sulla via della dedizione
seducendo il mio spirito desideroso di pienezza.
Lode a te che sei il principio, 
l’ambiente e la meta di tutto quanto io posso fruire.

Lode a te che sei il mio Tutto.


Buona giornata a tutti. :-)


giovedì 31 ottobre 2024

da: "Vita di san Giuseppe Cottolengo" - Pietro Gastaldi

 Appena il Cottolengo vedeva un fabbricato che poteva essere utile ai suoi poverelli, aspettava il giorno in cui il Signore gli dicesse: Mettiti all’opera, che quel fabbricato è tuo.

Già da qualche tempo aveva messo l’occhio sopra l’osteria del Brentatore. 
Ora nel 1835, ormai cessato a Torino il morbo del colera, rimaneva nel lazzaretto di San Luigi una donna convalescente che ne era stata infetta. Invitato il Cottolengo dell’amministrazione dell’ospedale di San Luigi a ricoverare nella Piccola Casa questa inferma, perché abbandonata, la ritirò senza la precauzione della disinfezione, la quale fino ad allora era stata scrupolosamente osservata.
Due giorni dopo quell’accettazione, il dottore Lorenzo Granetti, alle ore otto di sera, ebbe a constatare alcuni casi di colera nell’infermeria dove era stata ricoverata la donna; anche due Vincenzine, scelte a servire i colerosi della città, avevano propagato il morbo in un’altra infermeria.
Il Granetti, per la cui oculatezza e vigilanza la pia Opera era stata fino ad allora immune da quella peste, veduti quei colerosi, perse ogni pazienza; e corso difilato dal servo di Dio, lo trovò seduto sopra una vecchia poltrona che dormiva. 
«Bel guadagno che facciamo! Tante cautele e tante cure, per avere poi il colera in casa! Perché non mi ha detto nulla di quella donna? Perché non fu sottoposta a disinfezione? Ora il morbo l’abbiamo in casa; ed in questa notte stessa io temo che molti dei nostri infermi ne saranno intaccati. 
Non abbiamo stanze libere, non un lazzaretto per separarli, non un locale di osservazione e di quarantena, e che faremo noi con questo fardello sul dorso?» Ma quanto il Granetti si riscaldava, altrettanto era calmo il Cottolengo, il quale, come si trattasse della cosa più indifferente di questo mondo, rispose al medico: «Oh ciocot! Per questo lei s’inquieta tanto? Si vede proprio che non ha fede; adesso vada a consolare ed assistere i suoi malati, e lasci fare alla Divina Provvidenza, la quale provvederà».
Uscito il medico brontolando, perché non credeva possibile in poco tempo trovare un ospedale conveniente ai colerosi, il Santo in poche ore ne formò uno bellissimo che fece stupire tutti. 
Così come si trovava, se ne andò all’Osteria del Brentatore, persuaso fosse questo il momento fissato dalla Divina Provvidenza per consegnargliela; perciò, tratto in disparte il padrone dell’osteria, il quale si chiamava Giovanni Rivara, scherzando secondo il suo solito, disse: «Vorresti riempire una fiaschetta, che berremo insieme? - «Ma sì, disse l’oste, per avere in casa mia il padre Cottolengo anche due fiaschetti, ed anche tre». 
- «Che buone novelle, mi dai; come va questo tuo spaccio di vino», chiese il canonico.
- Peggio che mai, - rispose l’oste; sembra che la voglia di bere sia scomparsa dal mondo, come vorrei che scomparisse il colera: e sì che il vino mio è magnifico; e se la cosa continua così sarò costretto a bermelo tutto da solo. 
- Ma senti, gli disse il Cottolengo, poiché non hai troppo il vento alla vela, se tu vendessi la casa a qualcuno, non sarebbe per te un bene? 
- Altro che un bene, rispose l’oste, sarebbe quello che desidero; ma il difficile sta nel trovare questo benedetto qualcuno; tanto più che vorrei vendere ogni attrezzo e sedie, e tavole, e panche, e botti, e damigiane, e persino le bottiglie. 
- Anche le bottiglie? soggiunse il sant’uomo; evviva noi, tanto meglio, che prenderemo qualche sbornia di più; ma dimmi, vuoi vendere anche la tua famiglia? 
- Oh la famiglia non ancora, riprese il Rivara. 
- Bene, disse il servo di Dio, compro ogni cosa come tu dici, ma voglio che tu ceda la casa in questo momento stesso. 
Il venditore non se lo fece dire due volte; ritiratosi con la famiglia in alcune stanze superiori, lasciò sul momento libero un piano e mezzo dell’Osteria. Verso la mezzanotte il Cottolengo venne a dire al Granetti che se voleva trasportare i suoi colerosi, aveva fatto preparare una casa a seicento metri dall’istituto. Il medico stupito, non capacitandosi di come avesse fatto nello spazio di tre sole ore a trovare un lazzaretto, diede ordine per il trasporto degli infermi, e si avviò alla casa indicata. 
Là trovò parecchie stanze col fuoco acceso, in ogni stanza un letto, e ad ogni letto una suora per l’assistenza del malato. A mezzanotte tutto era finito e tranquillo.
Trasportati gli infermi, l’epidemia cessò. Questa è quella che il servo di Dio chiamò: Casa della Speranza. 

- Pietro Gastaldi - 
da: "Vita di san Giuseppe Cottolengo"


Correva in quei tempi una voce molto accreditata nella Piccola Casa; ed era che la vincenzina suor Francesca, anima semplicissima e tutta di Dio, nel partirsi ogni sera dal suo impiego per andare a riposare, passando vicino alla cappella in cui si conservava il Santissimo Sacramento, infallibilmente vi entrava per fare ossequio al suo Signore; ma dopo una breve preghiera, prendendo congedo, con tutta la tenerezza del cuore lo salutava con queste semplici parole: «Dunque, buona sera, Gesù.» 
Ed a Gesù piaceva questo saluto; tanto che una volta in cui la suora l’aveva salutato a quel modo, dal santo suo tabernacolo si compiacque di risponderle a viva e chiara voce: «Ed anche a te buona notte, figlia mia». 

- Pietro Gastaldi - 
da: "Vita di san Giuseppe Cottolengo"




Se gli altri filano lungo, voi tagliate corto 

- San Giuseppe Cottolengo -



Buona giornata a tutti. :-)