giovedì 31 agosto 2017

L’Inquietudine del cuore - Card. Carlo Maria Martini


Ascoltare le domande vere

1. Vorrei farmi tuo compagno di strada: ascoltare le domande vere del tuo cuore, confessarti le mie. Questo è importante: non è possibile trovare e dare risposte, se non si sono riconosciute le domande. Una "regola di vita" vorrebbe anzitutto essere un tentativo di dare risposte a domande vere (o forse, più modestamente, l’indicazione di un tracciato, lungo il quale cercare e incontrare risposte vere).

La domanda radicale: la morte

2. Provo, dunque, a mettere in gioco fino in fondo me stesso, ad aprire il mio cuore: se vi guardo dentro, trovo tante gioie e dolori e tante domande aperte, che forse sono anche le tue. Come stanno insieme i dolori e le gioie della vita? Quando si pensa a tante sofferenze della gente (e me ne giungono gli echi ogni giorno e ogni ora), qualunque godimento, anche il più legittimo e semplice, sembra scolorire, appare come stonato. Perché invece ha senso? come si conciliano le gioie autentiche di questo mondo con le prospettive di morte? perché la morte nel mondo? perché, se è vero che Dio ci ha salvato, non ci ha liberato dalla necessità di morire? e, dietro la morte, tutti i dolori e le angosce dell’esistenza umana: perché questo immenso cumulo di violenze, ingiustizie e solitudini? Sembra che il non senso l’abbia vinta su tutti i fronti: fare i conti con la miseria che copre la terra significa riconoscere la grande difficoltà che tutti incontriamo nel renderci padroni della complessità, nel trovare ragioni che giustifichino la fatica di vivere.

Il silenzio di Dio

3. Perché il Signore sembra tacere? Perché Lui, che è l’Onnipotente, non si manifesta con lo splendore della Sua verità e lo sfolgorìo della sua onnipotenza? perché quella Sua apparente indifferenza davanti alla quotidiana commedia e tragedia della nostra vita? E' proprio vero che Gli stiamo a cuore? Che siamo importanti per Lui? Tutti e ciascuno? Non stupirti che sia anch’io a farmi queste domande: me le porto dentro e ogni giorno inquietano la mia fede e mi rendono pensoso e in ricerca. 
Anche nel cuore del Vescovo abitano gli interrogativi che ci fanno umani, così fragili davanti alla vita, alla malattia, alla morte.

Dall’interrogare all’essere interrogati

4. A pensarci bene, tutte le domande che ho ricordato sono rivolte a Dio: è per noi quasi spontaneo chiederGli conto e ragione di questo mondo. 
Se Dio c’è, è Lui che lo ha voluto, così come esso è. 
E tuttavia, non è forse la critica smaliziata del pensiero moderno che si è abituata a chiamarLo in giudizio davanti alla clamorosa smentita che il dolore del mondo darebbe della Sua provvidenza e del Suo amore? 
In questo siamo un po’ tutti figli dell’epoca moderna, della sua ragione cosiddetta "adulta ed emancipata". 
E se provassimo a capovolgere la domanda, a passare dall’interrogare all’essere interrogati? 
E se consentissimo a Dio di porci Lui le Sue domande?

L’invadenza dell’Io

5. Mi chiedo allora quali potrebbero essere le domande di Dio: se penso al Suo giudizio, se mi immagino davanti a Lui, al Suo sguardo penetrante e creatore, non posso non riconoscere come il mio cuore sia mosso tante volte da motivazioni spurie, o, per dirla tutta, da un’invadenza dell’Io, che vuole stare al centro e misurare su di sé tutte le cose, e perfino l’agire di Dio! 
Anche per un’epoca come la nostra, che non percepisce la consistenza e la drammaticità del peccato, non dovrebbe essere difficile riconoscere le conseguenze di questa invadenza nella vita degli uomini: penso alla fatica che tutti facciamo ad uscire dalle pastoie delle nostre motivazioni egoistiche; penso alla facilità con cui ci lasciamo prendere da logiche particolaristiche, incapaci come siamo di guardare al di là del nostro piccolo calcolo. 
Le domande che Dio ci fa sono spirito e vita, perché ci invitano a riconoscere le ragioni del nostro disagio di vivere e della nostra mancanza di felicità e di pace anzitutto in noi stessi, nella fatica e nella paura di amare che ci portiamo dentro, nel sospetto di non essere amati, nella diffidenza di fronte a ogni atteggiamento di amore gratuito.

La perdita dell’ingenuità

6. E’ così che capisco la verità su me stesso: è come un prendere coscienza del proprio egoismo e della propria fragilità, che fa cadere l’ingenua magia di pensare che bastino le buone intenzioni per cambiare il mondo e la vita. 
C’è veramente una differenza stridente fra l’altezza dei buoni propositi e la presenza del male e dell’egoismo in ciascuno di noi: forse è questo ciò che Dostoevskji chiamava "l’abisso dei doppi pensieri". 
Fai qualcosa di bene e t’accorgi che dentro il tarlo del tuo Io non ti abbandona. 
T’accorgi che è sempre grande la potenza del peccato. 
Gli alti e i bassi si susseguono con un’impressionante frequenza: e non solo sul piano psicologico, ma su quello più profondo delle scelte del cuore, degli orientamenti della vita.

La via più difficile

7. Certo, occorre imparare a convivere con noi stessi, ad accettare questa permanente instabilità psicologica e spirituale. Ma ciò esige di capirne il perché, domandandoci come anche attraverso questo cammino contorto Dio ci ami e voglia farci suoi figli. Accettare che dalla morte venga la vita ci ripugna: eppure deve essere proprio così, se il Signore ci lascia in questa lotta, che sembra pervadere l’universo intero. 
Forse, però, è proprio questa ripugnanza ad accettare e scegliere la via dell’amore fino alla morte che mostra al tempo stesso la condizione tragica del peccato e il bisogno che noi tutti abbiamo di imparare ad amare con un aiuto che ci venga dall’alto: in questo senso, la fatica a credere che un Dio sia morto in croce è la riprova della necessità di questa morte. 
Il cristianesimo non è la risposta banale alla domanda del dolore e della morte, una risposta che giustifichi tutto o tutto copra sotto l’incomprensibile giudizio divino. 
Il cristianesimo è la "lectio difficilior", la via più difficile, che prende sul serio la condizione universale di morte e di peccato, e proprio così annuncia la compassione di un Dio che si fa carico di questa morte e di questo peccato per sollevare e salvare ciascuno di noi.

Il Dio "sofferente" e la legge della croce

8. Il passo ulteriore è dunque arrivare a intuire che Dio sta dalla nostra parte e partecipa al dolore per tutto questo male che devasta la terra. Egli non se ne sta come uno spettatore disinteressato o un giudice freddo e lontano, ma "soffre" per noi e con noi, per le nostre solitudini incapaci di amare, perché Lui ci ama. La "sofferenza" divina non è incompatibile con le perfezioni divine: è la sofferenza dell’amore che si fa carico, la "com-passione" attiva e libera, frutto di gratuità senza limiti. Sempre più, nel cammino della vita, sotto i colpi di luce del Vangelo, il Dio di Gesù Cristo mi è apparso come il Dio capace di tenerezza e di pietà fino al punto da "soffrire" per i peccati del mondo. 
Un Dio tenero come un Padre e una Madre, che non rinnega mai i suoi figli. 
Un Dio umile, che manifesta la Sua onnipotenza e la Sua libertà proprio nella sua apparente debolezza di fronte al male. 
Un Dio che per amore accetta di subire il peso del nostro peccato e del dolore che esso introduce nel mondo. 
Proprio così, però, nella morte di Gesù sulla croce, Dio ci insegna a trarre il bene dal male, la vita dalla morte. Appare allora contraddittorio il nostro continuo voler essere gratificati da tutti e da tutto, a cominciare da Dio, mentre lo contempliamo crocifisso. 
Come vorrei che tutti a questo punto capissero che il mistero di un Dio morto e risorto è la chiave dell’esistenza umana e il succo del Vangelo e della nostra fede! Eppure contro questa roccia del "mistero pasquale" vanno a cozzare tutte le onde delle nostre resistenze, mentre diciamo con Pietro: "Dio te ne scampi, Signore: questo non ti accadrà mai!" (Mt 16,22). 
Eppure proprio qui si ricongiungono i nodi del rapporto che lega morte e vita, dolore e gioia, fallimento e successo, frustrazione e desiderio, umiliazione ed esaltazione, disperazione e speranza. 
Quando la "legge della Croce" ci tocca, ci sconvolge e ne siamo profondamente turbati: ma solo qui si attua la piena liberazione dal male, fino ad accettarne le conseguenze su di sé per perdonarlo e superarlo, come ha fatto Gesù sulla croce.

Arrendersi a Dio

9. Per sciogliere l’apparente assurdità della vita non c’è allora che una via possibile: rimettermi continuamente di fronte ad essa, senza sfuggirvi, e arrendermi contemporaneamente senza riserve nelle mani del Dio umile e sofferente, del "Dio crocifisso". Solo abbandonandomi perdutamente a Lui, solo capitolando nelle sue mani potrò riprendere nelle mie il bandolo della matassa intricata della vita. Dio è il Mistero santo, Gesù Cristo in croce è la Custodia silenziosa, in cui riposa il senso della vita e della storia, il senso del mondo.

Dal riconoscimento alla riconoscenza

10. Come arrivo a questa conclusione così certa e definitiva? come la luce del Vangelo raggiunge e afferra quotidianamente la mia vita? come avviene che ancora e sempre di nuovo questa luce getti sprazzi sulle mie domande, e mi aiuti a vivere e ad illuminare per me e per gli altri la fatica di vivere? 
Posso rispondere solo così: io mi sento amato, sommamente, da Qualcuno più grande di noi tutti. Mi sento chiamato e attratto, come uno che non può fare a meno di Dio, del Dio di Gesù Cristo. 
Anche se difficile e contrastata, sento e so che questa scelta è l’unica valida. Non è volontarismo: è riconoscimento. 
Riconosco che al termine di tutte le mie domande senza risposta c’è il suo Mistero santo, e c’è precisamente come il Signore Gesù ce lo ha rivelato sulla Croce: mistero di amore infinito che si consegna, Trinità dell’Amante, dell’Amato e dell’Amore, che ci accoglie nel Suo grembo, e ci custodisce negli abissi di amore della Sua vita. 
E il riconoscimento si trasforma in riconoscenza: sono grato al mio Dio perché mi so amato da Lui, "nascosto con Cristo in Dio" (Col 3,3), anche quando non riesco a sentirlo con i miei poveri sensi umani.

Nella Chiesa

11. Mi potresti obiettare: "Ma questa è la tua esperienza, non la mia. 
Tu sei un privilegiato. Per me non è così. 
Se puoi, insegnami come si fa a vivere la propria vita in Dio". 
Vorrei allora risponderti che proprio per questo ho scritto questa Regola di vita, per dirti in forma semplice e breve dove è possibile incontrare il Dio che è il nostro Tutto, il Dio della compassione e della misericordia, il Dio che si fa compagno del nostro dolore e ci aiuta a portarne il peso, dandogli senso. Questo Dio puoi trovarLo nella Chiesa: nel suo annuncio, che è il Vangelo di Gesù e dei fatti storici e indubitabili della sua vita; nei suoi Sacramenti, che sono la presenza sensibile di Lui, che si è offerto per noi alla morte e ci ha donato la vita; nella compagnia di quanti, credendo, sono stati resi fratelli e sorelle nello Spirito di Gesù e - pur con tutti i loro limiti - si sforzano ogni giorno di imparare a credere, sperare ed amare. 
Il dono di Dio è ricevuto e trasmesso nella Chiesa, Suo popolo: ed è in essa che ci si accorge che la vita vera viene dal di fuori, da Dio, in un contesto ragionevole, serio, segnato dalla fragilità, ma significativo e liberante. 
Nella Chiesa mi riconosco amato e reso capace di amare, nonostante me stesso, le mie contraddizioni e paure. 
Credo veramente che anche per te possa essere così. 
Perciò voglio parlarti di ciò che questa Chiesa - la nostra, cattolica e ambrosiana al tempo stesso - ci trasmette (traditio); di come noi riceviamo in essa il dono dall’alto (receptio); di come a nostra volta possiamo trasmettere ad altri con gratuità quanto gratuitamente abbiamo ricevuto (redditio). 
Prova ad ascoltarmi: rivolgo anche a te la parola di Gesù ai primi due discepoli: "vieni e vedi"...

- Cardinale Carlo Maria Martini -
da: "Parlo al tuo cuore"Ed. Centro Ambrosiano



Buona giornata a tutti. :-)








mercoledì 30 agosto 2017

Da: “L’ultima Beatitudine” La morte come pienezza di vita - Padre Alberto Maggi (2)

(…) Attualmente, dunque, non si muore più in mezzo ai propri cari, ma perlopiù da soli, intubati, legati a macchinari che tentano di supplire alle funzioni vitali alimentando, ventilando, iniettando, aspirando un corpo che senza quegli strumenti avrebbe smesso di esistere già da un pezzo. 
A forza di dire che è sacra la vita, ci si dimentica della sacralità dell’uomo, della sua dignità. 
Se a essere sacra è la vita, questa va prolungata il più possibile, con ogni tecnica immaginabile, anche se ciò diventa una vera e propria tortura, un’atroce lunga agonia. 
Se è sacro l’uomo, costui ha il diritto di vedere rispettata la sua dignità e il suo voler e poter morire: «La dignità della morte, quindi, può configurarsi, oggi, come vero e proprio diritto umano […]. 
In molti casi non sarebbe forse un’inutile tortura imporre la rianimazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile? 
In quel caso, il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di voler prolungare il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va naturalmente verso il suo epilogo»..
Così si muore in ospedale, o negli hospice, sia perché si spera fino all’ultimo di avere la possibilità di una cura che garantisca la sopravvivenza per il malato, o che ne ritardi il più possibile la fine, sia perché non si è più capaci di gestire l’evento del morire, o anche perché si vuole avere la coscienza a posto, sapendo che si è fatto tutto il possibile, che è molte volte tutto il possibile per chi decide il ricovero, e non per chi lo subisce. 
«L’ho fatto per il tuo bene» è l’alibi dietro il quale spesso si cerca di nascondere che, in realtà, quel che è stato deciso per il malato è stato fatto solo per il proprio bene, perché incapaci di gestire la situazione troppo gravosa e impegnativa: «Il “possibile” consiste a volte nel non far nulla o, quantomeno, nel sospendere quei presidi che si rivelano inutili o dannosi. Allo stato attuale, la richiesta dei familiari è sicuramente la prima e più importante causa di accanimento terapeutico». 
Quando il morente viene consegnato all’ospedale, è affidato a tecnici del morire e della morte, che sanno come e cosa fare professionalmente del cadavere al momento del trapasso.
In famiglia no. Non si è più abituati e organizzati a questo evento, e ci si trova impreparati, perché ne manca l’esperienza che veniva acquisita fin da piccoli quando in casa avveniva un decesso, e tutti i familiari avevano un compito ben preciso: subito si chiudeva la bocca del defunto con un fazzoletto annodandoglielo alla testa, si lavava e si ricomponeva la salma, la si vestiva, si procuravano candele e fiori, e si allestiva la «camera ardente», dove il defunto e i suoi familiari avrebbero ricevuto la visita di parenti, amici e conoscenti, venuti per esprimere le loro condoglianze. 
Il morire e la morte oggi paventano e imbarazzano, non si sa più come gestire questi momenti, e allora è preferibile delegare tutto al personale infermieristico o alle imprese di onoranze funebri, esperte nel trattare professionalmente (e lucrosamente) il caro estinto.



- Padre Alberto Maggi -
Da: “L’ultima Beatitudine” La morte come pienezza di vita, Garzanti editore




..... Ho già detto del prete che mi portava la comunione che ho rifiutato. Mi mandano un altro, una persona molto pia, molto buona ma per darmela mi sottoponeva al rituale, quello del “Confesso a Dio Padre Onnipotente” e dovevo dire “per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa.” 
Poco convinto il primo giorno tossicchiando, perché c’avevo tanta tosse, l’ho detto; il secondo giorno di nuovo prima di darmi la comunione dovevo dire “per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa.” 
Allora sono sbottato e ho detto “E che cavolo di grandissima colpa posso avere fatto in un giorno? 
Eh sto qui, buono, mi sbucazzano da tutte le parti, non dico una parola, che grandissima colpa?” e anche questo mi ha aiutato a riflettere come la liturgia, certe preghiere hanno inculcato il senso di colpa nelle persone. 
Sono queste persone che, convinte, dicono “mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa...” che razza di colpa? 
Ed è un qualcosa che una struttura di potere ha usato per dominare, per inculcare il senso di colpa nelle persone. 
E allora anche questo prete non l’ho voluto più, quindi ho rifiutato già due preti e dopo c’è stato il carissimo Panfilo, amico del Centro, che mi portava lui la comunione, leggevamo una frase del Vangelo, una preghiera, il Padre Nostro ed era fatto....

- Padre Alberto Maggi OSM - 
Assisi 31 agosto 2012


Buona giornata a tutti. :-)







martedì 29 agosto 2017

da: "L'uomo di superficie" - Vittorino Andreoli

Il termine uomo di superficie vorrebbe descrivere una tipologia di uomo
analogamente ad altre, Marcuse ha parlato di “uomo ad una dimensione”, Bauman di “società liquida”.
L’uomo di superficie è una tipologia, un homo che c’è adesso e non c’era prima. Ecco perché la differenza tra “uomo di superficie” e “uomo superficiale” è enorme. 
Quando dico che l’uomo è superficiale penso che egli potrebbe essere profondo, quando dico ad un uomo “il tuo discorso è superficiale” è come invitarlo a fare delle considerazioni molto più critiche, più profonde.
Quindi l’uomo, il superficiale è uno che può diventare profondo.
L’uomo di superficie no, perché tutto è stato collocato ormai sulla sua cute, perché è lì che ha attaccato tutto ciò a cui dà valore. 
L’elemento primo a cui dà valore è la bellezza, la forma della cute, le cose che sono cutanee.
L’uomo di superficie è l’uomo che sa scivolare sulla cute.
Perché comincio a conoscere le malattie da bellezza, quella che è bella, ma teme di perdere le caratteristiche del seno, le labbra che si spengono.
Quindi quello che non è bello/a cerca di raggiungere la bellezza attraverso il trucco, la chirurgia.
Allora l’uomo di superficie non ha più niente dentro, per scherzare, dico che non hanno più neppure gli organi interni, perché se si chiede ad un giovane cos’è la milza, non lo sanno, al più sanno qualcosa del fegato, perché è responsabile del colesterolo che va sulla cute, sanno qualcosa dell’intestino perché non devono mangiare.
Non c’è più la mente, questa è solo qualcosa che serve a misurare la bellezza. Ecco perché, vedendo qual è il ruolo che la bellezza legata alla cute ha nelle persone di oggi - non solo i giovani o le donne, stiamo attenti, ma anche i vecchi, che sono malati di giovanilismo, che vogliono nascondere i loro limiti, prendono il viagra - questo è l’uomo di superficie, non ha più valore, l’unico valore è la bellezza, che è anche ricchezza, potere.
Naturalmente non ce l’ho con la bellezza, non voglio demonizzarla, non si può dire “che bella cute hai”, ma bisogna dire “che bella persona sei!” e la persona è fatta anche di corpo, ma è fatta di mente, di anima, per chi crede.

- Vittorio Andreoli -
da: "L'uomo di superficie", 2012, Rizzoli Editore




Ormai la vita è regolata dalla bilancia e dal colesterolo e la fame è domata nella stessa maniera con cui san Gerolamo domava il demonio, colpendosi crudamente con un sasso fino a martoriare il proprio corpo. 
Non è un caso che sempre in quegli anni salga la frequenza dell'anoressia, di quelle magrezze vissute come se il corpo fosse troppo vistoso, come se si volesse perderlo per diventare sottili come uno stelo che regge la testa, la mente.

- Vittorio Andreoli -
da: "L'uomo di superficie", 2012, Rizzoli Editore



Petra Brown

La golosità si trova nella squisita delicatezza del palato e nella molteplice raffinatezza del gusto, che può possedere e comprendere soltanto un'anima sensuale cento volte raffinata.

- Guy de Maupassant -
Amoureux et primeurs, 1881


by Janet Hill


Perché è così difficile darsi una misura nell'assunzione del cibo? 
Perché gusto e olfatto sono i sensi più arcaici che mettono in moto le zone più primitive del nostro cervello, quelle su cui i nostri ragionamenti, i nostri propositi, la nostra buona volontà hanno una scarsissima incidenza. 
Per questo la gola, più che un vizio capitale, è un richiamo alla nostra animalità, il retaggio della nostra antica condizione.

- Umberto Galimberti - 
I vizi capitali e i nuovi vizi, 2003
                                                                by Chuck Groenink










lunedì 28 agosto 2017

L’eternità e il Tempo - Sant'Agostino - 28 agosto

Forse perché è tua l'eternità tu ignori, mio Signore, ciò che ti dico, o vedi in successione temporale ciò che avviene nel tempo?
Perché ti faccio allora una cronaca fitta di tanti avvenimenti?
Non certo perché tu da me li apprenda: ma a questo modo io risveglio il sentimento di te in me stesso e negli altri che li leggeranno, finché diremo tutti - grande è il Signore e ben degno di lode.
L'ho già detto, e lo voglio dire ancora: è per amore dell'amore di te che faccio questo.
Del resto noi preghiamo anche se la verità stessa dice: il padre vostro sa cosa vi occorre prima ancora che glielo domandiate.
Noi dunque riveliamo la nostra disposizione d'animo nei tuoi confronti confessando le nostre miserie e i doni della tua misericordia, perché tu porti a compimento la nostra liberazione, visto che le hai dato principio, perché cessi la miseria che troviamo in noi e cominci la felicità d'essere in te.
Sei tu che ci hai chiamato a esser poveri per lo spirito e miti e piangenti e affamati e assetati di giustizia e pietosi e candidi e pacifici.
Ecco, è una lunga storia che io ti ho narrato, per quanto ho potuto e voluto - perché sei stato tu il primo a volere che mi confessassi a te, Dio mio Signore, perché sei buono, perché dura nei secoli la tua misericordia. 

- Sant’Agostino - 

“Le Confessioni”. Libro Undicesimo, L’eternità e il Tempo




Essere Chiesa non significa separarsi dagli altri, ma lasciarsi accendere dal fuoco di Dio per correre dagli altri ad annunciare l’unica grande notizia: 
Dio è amore. 
Se non si è missionari di Dio, non si è cristiani. 
I “lontani” dalla Chiesa ufficiale possono essere vicinissimi a Dio, mentre i “vicini” alla Chiesa possono essere lontanissimi da Dio. 
Quanti lupi sono dentro l’ovile (della Chiesa) e quante pecore sono fuori di esso.

- Sant'Agostino - 




Fratelli, fate vostra la mia avidità,
partecipate con me a questo desiderio;
amiamo insieme,
insieme bruciamo per questa sete,
insieme corriamo alla fonte di ogni conoscenza.
Presso Dio c’è la fonte della vita,
 una fonte inesauribile,
nella luce di lui c’è una luce che non si oscurerà mai.
Desidera questa luce,
questa fonte;
una luce che i tuoi occhi non hanno mai conosciuto;
vedendo questa luce l’occhio interiore si aguzza,
bevendo a questa fonte la sete interiore diventa più ardente.
Corri alla fonte, anela alla fonte.

- Sant'Agostino -
(Commento sul Salmo 41, 2)


Buona giornata a tutti. :-)






domenica 27 agosto 2017

Domenica senza scuse

Una domenica, alla porta della chiesa, fu appeso questo cartello:

"Per consentire a tutti di venire in chiesa domenica prossima, abbiamo organizzato una speciale domenica "senza scuse".

Saranno sistemati dei letti in sacrestia per tutti quelli che dicono: “La domenica è l’unico giorno della settimana in cui posso dormire”.

Sarà allestita una speciale sezione di morbide poltrone per coloro che trovano troppo scomodi i banchi. Un collirio sarà offerto a quelli che hanno gli occhi troppo affaticati dalla nottata alla tv.

Un elmetto d’acciaio temprato sarà regalato a tutti coloro che dicono: “Se vado in chiesa potrebbe cadermi il tetto in testa”. 

Morbide coperte saranno fornite a quelli che dicono che la chiesa è troppo fredda e ventilatori a quelli che dicono che è troppo calda.

Saranno disponibili cartelle segnapunti per coloro che vogliono fare la classifica delle persone “che vanno sempre in chiesa ma sono peggio degli altri”.

Parenti e amici saranno chiamati in soccorso delle signore che non possono, contemporaneamente, andare in chiesa e preparare il pranzo.

Verranno distribuiti dei distintivi con la scritta: “Ho già dato” a tutti coloro che sono preoccupati per la questua.

In una navata saranno piantati alberi e fiori per quelli che cercano Dio solo nella natura.

Dottori e infermieri si dedicheranno alle persone che si ammalano sempre e solo di domenica. Forniremo apparecchi acustici a quelli che non riescono a sentire la predica e tappi per le orecchie per quelli che ci riescono.

La chiesa sarà addobbata contemporaneamente con le stelle di Natale e i gigli di Pasqua per quelli che l’hanno sempre e solo vista così.”


Sarà bellissimo la domenica, vivere la Messa tutti insieme, vi aspettiamo!!




Oggi vegliare con Gesù è diventata una specie di condanna ai lavori forzati. Dio ci dona l’eternità. 
Noi gli diamo qualche minuto, a malincuore.



Siamo gli ultimi. 
Subito dopo di noi comincia un’altra età, un altro mondo, il mondo di coloro che non credono più a niente e se ne vantano. 
Subito dopo di noi comincia il mondo che noi abbiamo chiamato e continueremo a chiamare il mondo moderno. 
Il mondo che fa il furbo. 
Il mondo delle persone intelligenti; progredite, scaltrite, delle persone che la sanno lunga… il mondo di quelli che non hanno più niente da imparare. 
Di quelli che fanno i furbi… il mondo di quelli che non hanno una mistica…
La medesima sterilità inaridisce la città e la cristianità. 
La città degli uomini e la città di Dio. 
E questa è la sterilità moderna.

- Charles Peguy -

sabato 26 agosto 2017

Angina Pectoris (1948) ed altre poesie – Nazim Hikmet

Se qui c’è la metà del mio cuore, dottore,
l’altra metà sta in Cina
nella lunga marcia verso il Fiume Giallo.
E poi ogni mattina, dottore,
ogni mattina all’alba
il mio cuore lo fucilano in Grecia.
E poi, quando i prigionieri cadono nel sonno
quando gli ultimi passi si allontanano
dall’infermeria
il mio cuore se ne va, dottore,
se ne va in una vecchia casa di legno, a Istanbul.
E poi sono dieci anni, dottore,
che non ho niente in mano da offrire al mio popolo
niente altro che una mela
una mela rossa, il mio cuore.
E’ per tutto questo, dottore,
e non per l’arteriosclérosi, per la nicotina, per la prigione,
che ho quest’angina pectoris.
Guardo la notte attraverso le sbarre
e malgrado tutti questi muri
che mi pesano sul petto
il mio cuore batte con la stella più lontana.

- Nazim Hikmet -
Fonte: Poesie sulla Morte di Nazim Hikmet




È l'alba.
S'illumina il mondo
come l'acqua che lascia cadere sul fondo
le sue impurità.
 E sei tu, all'improvviso
tu, mio amore, nel chiarore infinito
di fronte a me.
Giorno d'inverno, senza macchia, trasparente
come vetro.
Addentare la polpa candida e sana
d' un frutto.
 Amarti, mia rosa, somiglia
all'aspirare l'aria in un bosco di pini.
Chi sa, forse non ci ameremmo tanto
se le nostre anime non si vedessero da lontano
non saremmo così vicini, chi sa,
se la sorte non ci avesse divisi.
È così, mio usignolo, tra te e me
c'è solo una differenza di grado:
tu hai le ali e non puoi volare
io ho le mani e non posso pensare.
Finito, dirà un giorno madre Natura
finito di ridere e piangere
e sarà ancora la vita immensa.
che non vede non parla non pensa.
- Nazim Hikmet -


I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
che tu venga all'ospedale o in prigione
nei tuoi occhi porti sempre il sole.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
questa fine di maggio, dalle parti d'Antalya,
sono così, le spighe, di primo mattino;
i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
quante volte hanno pianto davanti a me
son rimasti tutti nudi, i tuoi occhi,
nudi e immensi come gli occhi di un bimbo
ma non un giorno han perso il loro sole;
i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
che s'illanguidiscano un poco, i tuoi occhi
gioiosi, immensamente intelligenti, perfetti:
allora saprò far echeggiare il mondo
del mio amore.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
così sono d'autunno i castagneti di Bursa
le foglie dopo la pioggia
e in ogni stagione e ad ogni ora, Istanbul.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
verrà un giorno, mia rosa, verrà un giorno
che gli uomini si guarderanno l'un l'altro
fraternamente
con i tuoi occhi, amor mio,
si guarderanno con i tuoi occhi.

- Nazim Hikmet -




Buona giornata a tutti. :-)