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lunedì 14 marzo 2016

Dio nel catechismo - Padre Alberto Maggi

In passato non avevano problemi di questo tipo. In passato tutto era chiaro, ad ogni domanda c’era una risposta esatta. 
Molti di noi, almeno quelli della mia generazione, ricorderanno le domande e le risposte del loro catechismo. 
Chi è Dio? Dio è l’essere perfettissimo, creatore e Signore del cielo e della terra. Quindi non c’è nessun problema. Dio è un essere perfettissimo. Sentire un trasporto d’affetto verso un essere perfettissimo non è che fosse proprio il non plus ultra.
Comunque Dio veniva presentato così e alla domanda: per quale fine Dio ci ha creati? La risposta agghiacciante era che Dio ci ha creati per conoscerlo, amarlo e servirlo: l’egoismo totale. 
Una divinità che crea l’umanità intera per essere conosciuto, amato e soprattutto per essere servito.
Una immagine dilatata, come può essere dilatata l’immagine di Dio di un enorme egoismo: un Dio che crea l’umanità per poter essere servito dagli uomini. 

E’ vero che c’era poi la ricompensa: servirlo in questa vita per goderlo poi nell’altra in Paradiso. Ma all’epoca in cui vigeva questa teologia, andare in Paradiso era pressoché impossibile.
Qualche periodo in Purgatorio non veniva risparmiato a nessuno perché, per andare in Paradiso, bisognava essere in grazia di Dio. Ma per quanto l’uomo si sforzasse di osservare tutte le regole e prescrizioni, non riusciva mai ad essere in grazia di Dio. 
Anche quando riteneva di essere in grazia di Dio, il solo fatto di pensare di essere in grazia di Dio, significava che aveva fatto un peccato di orgoglio, non era stato umile e quindi si era perso questa grazia. 
Quindi non era facile.
Il Dio in cui credevano i contemporanei di Gesù, come si è formata questa immagine, questo concetto di questa divinità partendo dal Dio dei pagani. Ancora oggi, a duemila e più anni dal messaggio di Gesù, l’immagine che molti cristiani e anche non cristiani hanno di Dio, è un misto del Padre di Gesù, è un misto del dio degli ebrei e soprattutto un bel miscuglio di divinità pagane. Tutto frullato in quella unica cosa che noi chiamiamo Dio.
Dio è un nome comune della divinità di tutte le religioni. 
Tutte le religioni credono in un Dio. Poi ogni religione gli dà un nome particolare a questo Dio.
Nel mondo pagano, il rapporto con la divinità non era concepito come un rapporto di amore. Nel mondo pagano, non si pensava di dover amare gli dei e tanto meno di essere amati. Gli dei venivano visti come quelle persone straordinarie che vivevano in una condizione di privilegio e il loro privilegio era composto dall’immortalità, impossibile agli uomini, e dalla felicità.
Compito di questi dei era vigilare sugli uomini che nessuno superasse una soglia di felicità che li facesse, in qualche modo, equiparare alla condizione divina. Quando le divinità si accorgevano che una persona raggiungeva un determinato livello di felicità, ecco che veniva punito.
C’è da chiedersi se questa immagine della divinità pagana non corrisponde oggi nell’immagine di Dio che anche molti credenti, molti cristiani hanno.
La riprova? Una frase che si sente tante volte dire dalle persone, quando c’è un periodo di tempo in cui va tutto bene: «Me lo sentivo che doveva capitare qualcosa, andava tutto troppo bene».
Questo si rifà appunto all’immagine della divinità pagana, degli dei pagani, che quando si accorgono che a una persona tutto va bene, ecco che arriva la punizione.

- Padre Alberto Maggi -


























Il Dio che ci presenta Gesù, non è un Dio lontano, inaccessibile, ma un Dio talmente innamorato degli uomini e delle donne, che chiede ad ognuno di noi di diventare la sua dimora. 
Il Dio di Gesù ci ama talmente che ci chiede: accoglimi nella tua vita, io mi voglio fondere con la tua esistenza, per dilatare il più possibile la capacità d’amore. E se ognuno di noi è la dimora di questo Dio, questa dimora è indistruttibile. E’ questo il significato della vita eterna.

- Padre Alberto Maggi - 


"Abbiamo di Dio una falsa e povera immagine; e ci è difficile obbedire al primo comandamento (“Amerai Dio con tutto il cuore”) perchè ci sta di fronte un Dio assai poco amabile. Temibile piuttosto, onnipotente, sapiente architetto, sommo regolatore ed anche grande punitore. Non è amabile un Dio cosiffatto. E infatti non lo amiamo. Lo temiamo, lo rispettiamo, lo ammiriamo; ma l'amore – l'amore appassionato e passionale di cui parla la Bibbia – è un'altra cosa; e noi difficilmente riusciamo a riferirlo a lui. A questo punto c'è da chiederci se siamo cristiani , o addirittura se possiamo essere cristiani, finchè permane in noi un'idea di Dio che ci rende tanto arduo – addirittura quasi impossibile – quel primo comandamento dell'amore. Noi amiamo Dio e siamo cristiani nella misura in cui quell'idea si dissolve e ad essa ne subentra una più consona alla realtà del Dio – Amore...”

- Adriana Zarri -
da: "In quale Dio crediamo" 



dipinto: Marcello Cerrato 
L'indemoniato della sinagoga di Cafarnao


Un paio di volte mi ha portato la comunione un frate in servizio all'ospedale, persona gentile, discreta, ma mi sottopone a un rito durante il quale devo recitare il Confiteor, la formula nella quale si dichiara che "ho molto peccato in pensieri (!), parole, opere e omissioni... per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa".
Il primo giorno, per farlo contento, tossicchiando, ho borbottato la formula. 
Il giorno dopo, quando mi ha invitato di nuovo a recitare la formula che ho molto peccato "per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa", sono sbottato: "E che cavolo posso aver mai combinato in un giorno di ospedale, infilzato da aghi in tutto il corpo, dolorante, febbricitante, stremato? Che gravi colpe posso aver commesso?

- Padre Alberto Maggi -
da: "Chi non muore si rivede" , Alberto Maggi, ed. Garzanti


Buona giornata a tutti. :-)







domenica 21 febbraio 2016

A coloro che soffrono nel corpo – don Tonino Bello -

Carissimi,
non scrivo per consolarvi. Anche perché so bene quanto fastidio vi diano le declamazioni di coloro che, sentendosi sempre in dovere di spendere qualche buona parola con voi, ricorrono ai prontuari dei più indisponenti fraseggi.
Non è di compatimento che avete bisogno. 
Prima di tutto, perché il compatimento è una spartizione fittizia del dolore. Poi, perché vi toglie la fierezza di rimaner soli sulla croce. E infine, perché rischia di fermarsi alla soglia delle parole. 
Al paraplegico che sta inchiodato su una sedia a rotelle, che sollievo può dare il sermone di circostanza fatto da chi magari, subito dopo, deve correre in palestra per una partita di basket?
All’handicappato che ti interpella sui grandi perché della vita, e vuoi rendersi conto delle ragioni misteriose che stanno all’origine della sua sfortuna, che conforto possono recare i luoghi comuni tratti dai repertori della compassione?
A chi è ridotto all’impotenza da una malattia irreversibile o da un improvviso declino della salute o da un fatale incidente sulla strada, e ti pone la scomoda domanda del «che ci sto a fare più sulla terra», quale aiuto possono dare le tue maldestre citazioni bibliche?
Davanti a chi soffre come voi, l’atteggiamento più giusto sembrerebbe quello del silenzio.
Però, anche il silenzio può essere frainteso o come segno di imbarazzo, o come tentativo di rimozione del problema.
E allora, tanto vale parlarne. Semmai, con pudore. Chiedendovi scusa per ogni parola di troppo. Come, per esempio, una parola di troppo potrà sembrare il segreto che vi confido sulla mia consuetudine con questa preghiera che recito ogni mattina:
“Padre mio, io mi abbandono a te. Fa’ di me ciò che ti piace. Qualsiasi cosa tu faccia di me, io ti ringrazio. Sono pronto a tutto. Accetto tutto. Purché la tua volontà sia fatta in me e in tutte le tue creature. Non desidero altro, mio Dio. Rimetto la mia anima nelle tue mani. Te la dono, mio Dio, con tutto l’amore del mio cuore, perché ti amo. Ed è per me una necessità di amore donarmi e rimettermi nelle tue mani. Senza misura, con infinita fiducia. Perché tu mi sei padre”.
E’ una preghiera difficile, lo ammetto. Forse è stata difficile anche per Charles de Foucauld che l’ha composta. Questo brillante ufficiale di cavalleria, amante della vita eppure spinto a fare un cammino di conversione nelle aridità del deserto, non poteva mai immaginare che un giorno sarebbe caduto assassinato da un beduino mentre era assorto in adorazione davanti al Santissimo Sacramento. Ebbene, ciò che l’ha reso celebre non è stato il suo martirio, quanto quella preghiera di abbandono.
È una preghiera difficile, lo ammetto.
Forse è difficile pure per voi, piagati nei corpo, che tremate a pronunciarla anche dopo che la prova vi è già caduta addosso. Tutto sommato, potrebbe essere una preghiera di comodo, sapendo che a ribellarvi non è che cambiereste la vostra situazione, anzi, accettandovi, potreste cambiare addirittura in preziosissimi assegni circolari le stigmate del vostro fallimento umano.
Ma quando si soffre, è difficile fare di necessità virtù, se non viene una forza dall’alto. Al massimo, ci si può rassegnare. Stoicamente. Col sarcasmo sulle labbra, che spesso è peggio della bestemmia.
Ed eccomi allora chiamato dal mio dovere di vescovo ad additarvi con fermezza lo scandalo della Croce. Dire che col vostro dolore contribuite alla salvezza del mondo, può sembrarvi letteratura consolatoria. Ricorrere alle frasi fatte degli occhi che vedono bene solo attraverso le lacrime, può essere inteso, se non proprio come un insulto gratuito, almeno come un ritrovato sterile della saggezza umana. Accennarvi che, in fondo, ognuno si porta dentro il suo carico di dolori e che, tutto sommato, non siete poi così soli come sembra, potrebbe accrescere il vostro sdegno. Aggiungere che un giorno sarete schiodati pure voi dalla croce, può apparire uno scampolo di quell’eloquenza mistificatoria che non convince nessuno.
Ma dirvi che sulla croce un giorno ci è salito un uomo innocente, e che sul retro della croce c’è un posto vuoto dove un altro innocente è chiamato a far compagnia ai rantoli di Cristo, appartiene al messaggio inquietante, eppur dolcissimo, che un ministro della Parola non può nè accorciare nè mettere tra parentesi.
Quel posto è tuo, Ignazio, paralizzato per sempre; e di nessun altro. E tuo, Ruggero, che ti trascini a tentoni per la casa e mugoli parole indistinte. Chiamalo, il tuo Signore: è un nome breve. Non può non sentirti: è inchiodato appena dietro dite. Quel posto è tuo, Giuseppe, che ti portano da una clinica all’altra per un male incurabile e hai solo trent’anni: non fare lo sbaglio di rinunciare a quel posto. E tuo, Nadia, splendida bambina: non cederlo a nessuno.
Forse un giorno quel posto sarà mio. O lo è già da adesso, ed è solo l’esemplarità del vostro martirio più grande che me ne rende agevole il tormento. Non fosse altro che per questo, vorrei dirvi: grazie!
Ma grazie soprattutto perché, se è vero che dobbiamo adorare e benedire Gesù Cristo che con la sua santa croce ha redento il mondo, è altrettanto vero che, in cooperativa con lui, voi ci avete comprato le gioie che fanno fremere il mondo: le sue canzoni, le sue attese di libertà, le sue esplosioni di luce, i suoi tripudi di vita, le sue ansie di festa senza tramonti, le sue speranze di cieli nuovi e terre nuove.
Sapete che vi dico?
Il mattino di Pasqua, nella corsa verso il sepolcro, voi sarete più veloci di tutti, e ci precederete come Giovanni. E forse vi fermerete sulla soglia, per farci vedere «le bende per terra e il sudano piegato in disparte».
E l’ultima carità che ci aspettiamo da voi.
Un abbraccio.


- Don Tonino Bello - 
Da: “Pietre di scarto”, ed. La Meridiana 1993


"L'amore di Dio si rivela attraverso segni che dapprima non comprendiamo, ma che in seguito rivelano la grandezza del suo disegno". 

- Don Tonino Bello -



La vita senza Dio non funziona, perché manca la luce, perché manca il senso di cosa significa essere uomo. 
I comandamenti non sono un ostacolo alla libertà e alla bella vita, ma indicatori per trovare una vita piena. 
La disciplina allarga la vita e la fatica dà profondità alla vita e contribuisce a creare un mondo migliore»

Papa Benedetto XVI, 18 marzo 2007


Santa Maria, Vergine della notte,
noi t'imploriamo di starci vicino
quando incombe il dolore,
irrompe la prova,
sibila il vento della disperazione,
e sovrastano sulla nostra esistenza
il cielo nero degli affanni,
o il freddo delle delusioni
o l'ala severa della morte.
Liberaci dai brividi delle tenebre.
Nell'ora del nostro calvario,
Tu, che hai sperimentato l'eclissi del sole,
stendi il tuo manto su di noi,
sicché, fasciati dal tuo respiro,
ci sia più sopportabile
la lunga attesa della libertà.
Alleggerisci con carezze di Madre
la sofferenza dei malati.
Riempi di presenze amiche e discrete
il tempo amaro di chi è solo.
Spegni i focolai di nostalgia
nel cuore dei naviganti,
e offri loro la spalla,
perché vi poggino il capo.
Preserva da ogni male i nostri cari
che faticano in terre lontane e conforta,
col baleno struggente degli occhi,
chi ha perso la fiducia nella vita.
Ripeti ancora oggi
la canzone del Magnificat,
e annuncia straripamenti di giustizia
a tutti gli oppressi della terra.
Non ci lasciare soli nella notte
a salmodiare le nostre paure.
Anzi, se nei momenti dell'oscurità
ti metterai vicino a noi
e ci sussurrerai che anche Tu,
Vergine dell'Avvento,
stai aspettando la luce,
le sorgenti del pianto
si disseccheranno sul nostro volto.
E sveglieremo insieme l'aurora.
 Amen


- don Tonino Bello -




Buona giornata a tutti. :-)



domenica 11 ottobre 2015

La principessa - don Bruno Ferrero -

C'era una volta un re che aveva una figlia di grande bellezza e straordinaria intelligenza.
La principessa soffriva però di una misteriosa malattia.
Man mano che cresceva, si indebolivano le sue braccia e le sue gambe, mentre vista e udito si affievolivano.
Molti medici avevano invano tentato di curarla.
Un giorno arrivò a corte un vecchio, del quale si diceva che conoscesse il segreto della vita.
Tutti i cortigiani si affrettarono a chiedergli di aiutare la principessa malata. Il vecchio diede alla fanciulla un cestino di vimini, con un coperchio chiuso, e disse:
« Prendilo e abbine cura. Ti guarirà »
Piena di gioia e attesa, la principessa aprì il coperchio, ma quello che vide la sbalordì dolorosamente.
Nel cestino giaceva infatti un bambino, devastato dalla malattia, ancor più miserabile e sofferente di lei.
La principessa lasciò crescere nel suo cuore la compassione. Nonostante i dolori prese in braccio il bambino e cominciò a curarlo. Passarono i mesi: la principessa non aveva occhi che per il bambino. 

Lo nutriva, lo accarezzava, gli sorrideva. Lo vegliava di notte, gli parlava teneramente. Anche se tutto questo le costava una fatica intensa e dolorosa.
Quasi sette anni dopo, accadde qualcosa di incredibile.
Un mattino, il bambino cominciò a sorridere e a camminare. 

La principessa lo prese in braccio e cominciò a danzare, ridendo e cantando. Leggera e bellissima come non era più da gran tempo. 
Senza accorgersene era guarita anche lei.




C'è vera condivisione solo nella povertà. C'è vera ricchezza solo nella condivisione. 

- Roger Etchegaray - 





Nella corsa alla ricchezza, agli onori e all'ascesa sociale, ognuno può correre con tutte le proprie forze, […] per superare tutti gli altri concorrenti. Ma se si facesse strada a gomitate o spingesse per terra uno dei suoi avversari, l'indulgenza degli spettatori avrebbe termine del tutto. […] la società non può sussistere tra coloro che sono sempre pronti a danneggiarsi e a farsi torto l'un l'altro.

- Adam Smith -
da: "La teoria dei sentimenti morali", 1759



Signore, quando ho fame mandami qualcuno che ha bisogno di cibo;
quando ho sete, mandami qualcuno che ha bisogno di acqua;
quando ho freddo, mandarmi qualcuno da riscaldare;
quando sono nella sofferenza, mandami qualcuno da consolare;
quando la mia croce diviene pesante, dammi la croce di un altro da condividere;
quando sono povero, portami qualcuno che è nel bisogno;
quando non ho tempo, dammi qualcuno da aiutare per un momento;
quando mi sento scoraggiato, mandami qualcuno da incoraggiare;
quando sento il bisogno di essere compreso, dammi qualcuno che ha bisogno della mia comprensione;
quando vorrei che qualcuno si prendesse cura di me, mandami qualcuno di cui prendermi cura;
quando penso a me stesso, rivolgi i miei pensieri ad altri.




Ti prego, Maria, per tutti i ragazzi
che stasera hanno voglia di piangere
perché non hanno affetto,
perché non hanno nessuno
che dia loro la buona notte
e li inviti a dormire tranquilli.

Ti prego, Maria, per tutti gli orfani,
per tutti i ragazzi abbandonati dai genitori,
per quelli che, per qualsiasi motivo,
vivono lontani dalla famiglia.

Ti prego, Maria, per i ragazzi che oggi sono stati malati.
Per quelli che sono stati sfruttati.
Per quelli che, invece di giocare e studiare
sono costretti a lavorare.

Ti prego, Maria, per i ragazzi disabili
e per coloro ai quali anche oggi
il giorno è sembrato lungo e noioso.

Ti prego, Maria.
Amen.

- Madre Anna Maria Canopi - 


Buona giornata a tutti. :-)


mercoledì 25 febbraio 2015

Nel tempio di Kalì - Madre Teresa di Calcutta

Un giorno, in un vicolo fangoso, madre Teresa trova una donna rosicchiata dai topi. Sta per morire. Le due stanze nella casa Gomez sono strapiene, non si può proprio aggiun­gere un posto in più, nemmeno per una povera donna che sta morendo. Madre Teresa se la carica sulle braccia e la porta al più vicino ospedale. Non l'accettano, «non c'è posto ».
Mentre si reca ad un ospedale più lontano, la donna le muore tra le braccia.
Madre Teresa non si dà pace. Deve trovare un luogo spazioso per ospitare coloro che stanno morendo per fame, per malattie che non sono mortali ma che uccidono i deboli, per le terribili piaghe che la sporcizia e la mancanza di nutri­mento aprono nei corpi.
Non molto lontano alza le sue cupole e i suoi colonnati il Kalighat, tempio della dea Kalì, protettrice di Calcutta. Nel recinto del tempio ci sono due vaste sale, destinate a dormitorio per i pellegrini che in ottobre giungono da ogni parte della regione. Le due sale, una per gli uomini e una per le donne, sono vuote undici mesi all'anno. Madre Teresa chiede alle autorità cittadine di poter usare le sale per ospi­tare i morenti.
È una domanda molto rischiosa, ma le auto­rità, che stanno facendo ogni sforzo per porre argini alle mi­serie della periferia, le concedono il permesso.
I fanatici indù, appena conoscono la faccenda, organiz­zano tumulti. «È una contaminazione del tempio», dichia­rano. «Una suora cattolica che apre un ricovero nel sacro recinto è una profanazione ».
«D'accordo - rispondono le autorità. - Mandate vo­stra madre o vostra sorella a curare i moribondi e i lebbrosi al posto di madre Teresa, e noi la manderemo via». Natu­ralmente nessuno si fa vivo, e la suora viene lasciata in pace. 

- Madre Teresa di Calcutta -
Fonte: “Madre Teresa di Calcutta”, Teresio Bosco,pagg. 10 e 11 - Ed. Elledici 1991



La Carità comincia oggi. Qualcuno sta soffrendo oggi, è per strada oggi, ha fame... oggi. Il nostro lavoro è per oggi...una donna venne da me con suo figlio e disse: “Madre, sono andata in due o tre posti ad elemosinare un pò di cibo perché non mangiamo da tre giorni...”, andai a prendere qualcosa da mangiare e quando tornai il bambino che aveva in braccio era morto di fame. Non saranno con noi domani se non li sfamiamo oggi. Perciò preoccupatevi di ciò che potete fare oggi. 

- Madre Teresa di Calcutta -



Inizia e concludi la giornata con la preghiera.
Vai a Dio come un bambino.
Basta che tu gli parli.
Digli tutto.
E’ tuo Padre!
Prenditi cura di pregare fino a quando il tuo cuore
sarà capace di contenere il dono che Dio fa di se stesso.

- Madre Teresa di Calcutta -




Siete voi sacerdoti che dovete spegnere questa fame.
La potrete saziare con la tenerezza e l'amore di Cristo.
Date al mondo questo Gesù che infiamma i vostri cuori.
Per le strade di Calcutta abbiamo raccolto oltre quarantaseimila malati.
La metà di loro è tornata a Dio in maniera molto semplice, amati e assistiti dalle Sorelle.

- MadreTeresa di Calcutta - 





Buona giornata a tutti. :-)









giovedì 29 gennaio 2015

Siete lì - Madre Teresa di Calcutta

Oggi fra i giovani del mondo, Gesù vive la propria passione nei giovani sofferenti, affamati, handicappati... in quel bambino che mangia un pezzo di pane, briciola dopo briciola, perché sa che, quando quel tozzo di pane sarà finito, non ce ne sarà più e avrà di nuovo fame.
Ecco una stazione della Via Crucis. Siete lì con quel bambino?
E quelle migliaia che muoiono, non solo per un tozzo di pane, ma per un po' d'amore, di considerazione...
Ecco una stazione della Via Crucis. Siete lì?
E quando i giovani cadono, come Gesù è caduto più e più volte per noi, noi siamo lì come Simone il Cireneo, a risollevarli, a prendere su di noi la croce? I barboni, gli alcolizzati, i senzatetto vi guardano. Non siate come quelli che guardano senza vedere. Guardate e vedete.
Possiamo iniziare a percorrere la Via Crucis, passo dopo passo, con gioia.
Gesù si è fatto pane della vita per noi. Abbiamo Gesù, sotto forma di pane della vita a darci forza.

- Madre Teresa di Calcutta -
da: Discorso ai giovani durante un Congresso Eucaristico

un po' di biografia:



Non abbiate timore di amare sino alla sofferenza, poiché è il modo in cui Gesù ci ha amato.

- Madre Teresa di Calcutta - 




L'amore comincia in casa. Ogni cosa dipende da come vicendevolmente ci amiamo. Fate in modo che le vostre comunità vivano in questo amore e diffondano la fragranza dell'amore di Gesù ovunque vadano.


- Madre Teresa di Calcutta -




"Non si può accogliere Cristo nella comunione e non accogliere i poveri".

- Papa Benedetto XVI - 
dall'esortazione apostolica Africae Munus






Buona giornata a tutti :-)









domenica 17 agosto 2014

Scacco alla morte – don Nardo Masetti -

Un uomo molto ricco sta facendo il calcolo di tutti i suoi beni: può veramente felicitarsi con se stesso. Ha tribolato tutta la vita, ha lavorato come un dannato, ma ora potrà vivere sontuosamente per tutto il resto dei suoi giorni. Ode improvvisamente un tocco delicato alla porta: si tratterà, come al solito, del suo cameriere che viene per augurargli la buona notte. Dice un abituale "Avanti!". Non è il servitore ma un personaggio che davvero non si sarebbe aspettato né così presto né in quel momento: la morte. Terrorizzato la supplica di attendere un giorno… un'ora, affinché possa mettere a posto le sue cose. Da tanto tempo non ha più pensato a Dio; come si fa a comparirgli davanti all'improvviso in uno stato simile?! 
La morte non risponde, ma continua ad avanzare verso di lui, gli tocca una spalla e compie inesorabilmente il suo ufficio. Dal campanile scoccano le ventuno. 

In una soffitta di una vecchia casa un uomo sta armeggiando con alcuni attrezzi, che ripone in una borsa di logora stoffa. Quella sarà la sua notte. Ha stentato tutto una vita, ma questa volta, se il colpo riuscirà, potrà vivere da ricco e levarsi tutte le soddisfazioni. Con due colleghi ha studiato il piano alla perfezione; ancora poche ore e poi via, con passaporti falsi verso un altro mondo. Sente bussare leggermente alla porta: saranno i colleghi. No, è la morte. L'uomo, oltre che terrorizzato, si mostra anche stizzito e protesta: "Tante volte ti ho desiderata, stanco della mia vita grama e mai sei venuta; ora che sto per cominciare a godere, lasciami la possibilità di gustare un solo giorno della nuova vita… almeno un'ora… almeno qualche minuto per pensare a Dio". La morte non risponde, ma continua ad avanzare verso l'uomo, lo tocca sulla spalla e compie inesorabilmente il suo ufficio. Dalla torre civica scoccano le ventidue.

Nel suo studio il vecchio vescovo sta riordinando le sue cose prima del riposo. Sente bussare alla porta: è la morte. Si alza e le va rispettosamente incontro, come è solito fare con ogni persona che vada da lui in udienza. Le dice: "A dire il vero non ti aspettavo questa sera; comunque sì la benvenuta". La morte si meraviglia: questo uomo non ha paura, non supplica, non ha nulla da chiedere; con titubanza avanza verso di lui. Dalla torre della cattedrale scoccano le ventitré. La morte si ferma di scatto e, con un senso di smarrimento, controlla il suo orologio: sono veramente le ventitre. 

Confusa e incredula si scusa col vescovo: "Non mi è mai capitato di arrivare con un'ora di anticipo; tornerò fra un'ora, l'appuntamento è stabilito per la mezzanotte". Il vescovo la prega di fermarsi e, visto che ormai è lì, dichiara la sua disponibilità a partire in anticipo. La morte afferma che non può; ha ordini tassativi. Allora lui propone di trascorrere l'ora giocando una partita a scacchi, visto che non ha nulla da preparare per il viaggio eterno, avendo cercato di provvedervi, giorno dopo giorno, da moltissimo tempo. 
È una partita equilibrata, ma alla fine il vescovo, con una mossa pensata ed astuta, dà scacco matto la morte che, rassegnata sorride e allarga le braccia in segno di resa. Dalla torre della cattedrale scoccano le ventiquattro. 
I due personaggi si alzano e sotto braccio, come due buoni amici, escono dalla porta dello studio.

don Nardo Masetti



Padre Pio: Ascoltami
Io non so parlare con Gesù come facevi tu,
io non so amarLo come lo amavi tu,
io non so pregarLo come Lo pregavi tu.
Perciò ti prego, parla tu con Lui,
amaLo, pregaLo tu per me.
Intanto vieni, dammi la mano
E insieme camminiamo verso Gesù
Ma lungo la strada, ti prego Padre Pio,
insegnami a parlare con Gesù,
insegnami ad amarLo,
insegnami a pregarLo, come facevi tu.
E quando il labbro tace
e tace il cuore e tace l’anima
e dentro e fuori di me
è spenta ogni luce,
Padre Pio, ti prego,
fa che senta la tua voce
e nella tua voce io senta la voce di Gesù.



Il calendario è appeso alla nostra carne. Dio conta i giorni. Nella nostra mente e nel nostro cuore niente sorprese, contrattempi e strani congegni. Siamo nelle mani di Dio.




Preghiera per i malati

Signore, accogli le preghiere e i lamenti
di coloro che soffrono e
di quanti si adoperano per alleviarne il dolore.

Tu che hai percorso la via del calvario
e hai trasformato la croce in segno di amore e di speranza
conforta coloro che sono afflitti, soli e sfiduciati.

Dona loro:
la pazienza sufficiente per sopportare le lunghe attese
il coraggio necessario per affrontare le avversità
la fiducia per credere in ciò che è possibile
la saggezza per accettare ciò che è rimasto irrisolto
la fede per confidare nella tua Provvidenza.

Benedici le mani, le menti e i cuori degli operatori sanitari
perché siano presenze umane e umanizzanti
e strumenti della tua guarigione.

Benedici quanti nelle nostre comunità
si adoperano per accompagnare i malati
perché accolgano la profezia della vulnerabilità umana
e si accostino con umiltà al mistero del dolore.

Aiutaci Signore a ricordarci
che non siamo nati felici o infelici,
ma che impariamo ad essere sereni
a seconda dell'atteggiamento che assumiamo
dinanzi alle prove della vita.

Guidaci, Signore,
a fidarci di Te e ad affidarci a Te.
Amen.


                                                       Buona giornata a tutti :-)

                                                           www.leggoerifletto.it

sabato 9 agosto 2014

Nuova coscienza - Tiziano Terzani -

Sono convinto che ormai, in giro per il mondo, fra la gente più diversa, sta crescendo una nuova coscienza di che cosa è sbagliato e di che cosa va fatto. Questa nuova coscienza, a mio parere, è il grande bene del nostro tempo.
Va coltivata. 
La soluzione è dentro di noi, si tratta di conquistarla facendo ordine, buttando via ciò che è inutile e arrivando al nocciolo di chi siamo. 
Più che assaltare le cittadelle del potere, si tratta ormai di fare una lunga esistenza. 
Bisogna resistere alle tentazioni del benessere, alla felicità impacchettata; bisogna rinunciare a volere solo ciò che ci fa piacere. 
La strada da percorrere è ovvia: dobbiamo vivere più naturalmente, desiderare di meno, amare di più e anche i malanni diminuiranno. 
Invece che cercare medicine per le malattie cerchiamo di vivere in maniera che le malattie non insorgano.
E soprattutto basta con le guerre, con le armi.
Basta coi nemici. Bisogna riportare una dimensione spirituale nelle nostre vite ora intrappolate nella pania (pancia n.d.r.) della materia. 
Dobbiamo essere meno egoisti, meno presi dall'interesse personale e più dedicati al bene comune.


- Tiziano Terzani - 





La vera conoscenza non viene dai libri, neppure da quelli sacri, ma dall'esperienza. Il miglior modo per capire la realtà è attraverso i sentimenti, l'intuizione, non attraverso l'intelletto. L'intelletto è limitato.

(Tiziano Terzani)




Nel fondo del cuore di tutti, c'è chiaro cosa è giusto e cosa non è giusto, cos'è il bene e cos'è il male, cos'è che dobbiamo fare, e non secondo una regola di un partito o di una religione, ma del cuore che è uguale per tutti..

- Tiziano Terzani - 




I miracoli esistono e sono miracoli perchè capitano una volta ogni tanto, perchè sono qualcosa di insolito, qualcosa che non capiamo, perchè sono un'eccezione alla regola del non-miracolo.



Buona giornata a tutti :-)

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