Nell’anno 1623 mio fratello ed io abitavamo
presso il signor Claudio Puthod, parroco di Les Ollières nel cantone di
Ginevra, nella diocesi di Ginevra.
I nostri genitori ci avevano mandati là in
pensione perché imparassimo il latino sotto la direzione del signor Claudio
Crozet, il vicario del signor Puthod.
Nell’ultimo giorno del mese di aprile,
nell’anno 1623, mio fratello era stato duramente punito dal signor Claudio
Crozet perché non aveva imparato bene le sue lezioni; perciò mio fratello ed io
prendemmo la decisione di tornare dai nostri genitori.
In quello stesso giorno,
senza far partecipe alcuno del nostro proposito, partimmo di primo mattino e
giungemmo al fiume Pier, che dista tre miglia scarse da Les Ollières.
Trovammo
il fiume straordinariamente gonfiato dalla neve che era caduta in abbondanza
alcuni giorni prima. E poiché dovevamo attraversarlo camminando su tre assi che
non erano in alcun modo fissate le une alle altre, esitammo a salirvi, temendo
per la nostra vita; ma la paura di ricadere nelle mani del signor Crozet ci
fece superare questo timore. Tuttavia, prima di osare l’attraversamento, ci
sentimmo spinti a raccomandarci all’intercessione del venerabile servo di Dio
Francesco di Sales e dopo esserci inginocchiati facemmo voto che, se fossimo
riusciti a superare il fiume sotto la sua protezione, saremmo andati a visitare
la sua tomba ed avremmo ascoltato la messa nella chiesa della Visitazione in
cui riposa il suo corpo.
Dopo questo voto mio fratello, che era il più grande,
volle salire per primo sul ponte e mi disse che non dovevo in alcun caso osare
di salirvi finché lui non fosse giunto sull’altra sponda: temeva che per
l’oscillare delle assi malferme uno di noi, o persino entrambi, potesse cadere
nel fiume.
Dunque io restai sulla sponda, mentre lui arrivò fin quasi alla metà
del fiume, dove gli vennero le vertigini, mise un piede in fallo e cadde con la
faccia sulle assi, gridando forte: «Beato Francesco di Sales, salvami!».
Lo
udii molto chiaramente. Feci in fretta due o tre passi sulle assi per cercare
di portargli aiuto quanto potevano permettermelo la mia età e le mie forze; ma
invano! Infatti nello stesso momento mio fratello cadde nel fiume.
Fui così
sconvolto dalla sua caduta che caddi io stesso sulle assi e corsi anch’io il
pericolo di perdere la vita; ma essendo abbastanza vicino alla sponda, riuscii,
dopo aver invocato più volte il servo di Dio gridando: «Beato Francesco di
Sales, salvami», a trascinarmi sulla pancia fino alla sponda da cui ero
partito, e quando mi fui alzato osservai il corso del fiume per vedere se
scorgessi mio fratello; corsi persino lungo la riva per circa duecento passi,
piangendo e gridando: «Mio fratello, mio fratello!» Ma non potei vedere altro
che il mio cappello che galleggiava sull’acqua, ed era già molto lontano da me.
Vedendo che piangere non serviva a nulla, tornai a Les Ollières per annunciare
al signor Puthod la nostra disgrazia.
Mentre dunque attraversavo il villaggio
di Ornay, alcune persone che mi videro piangere mi chiesero il motivo delle mie
lacrime; quando glielo ebbi raccontato corsero verso la riva del fiume, mentre
io andavo a Les Ollières. Non avendo trovato né il signor Puthod né il signor
Crozet, dovetti proseguire fino al villaggio vicino per trovare aiuto.
Dopodiché tornai al fiume.
Vi trovai più di trenta persone, e molte mi dissero
che stavano cercando mio fratello già da più di tre ore senza poterlo trovare.
Qualche tempo dopo vidi venire un certo Alessandro Raphin, accompagnato da suo
figlio e da altra gente del villaggio di Ornay: mi fu detto che egli era il
miglior nuotatore subacqueo di tutta la zona, che soleva immergersi per
recuperare dal fiume i corpi degli annegati e che ne aveva già portati a terra
parecchi.
Piangendo calde lacrime lo pregai di cercare
il mio povero fratello e gli promisi che il signor parroco di Les Ollières,
presso cui ero in pensione, lo avrebbe riccamente ricompensato. Anche molti dei
presenti gli rivolsero la stessa preghiera.
Lui promise di farlo e mi chiese in che punto
mio fratello era caduto in acqua; dopo aver ben osservato questo punto ed
averne misurato la profondità, si svestì e si tuffò nell’acqua, in cui rimase
per un buon quarto d’ora, continuando a venire alla superficie per respirare.
Non avendo trovato nulla, uscì dall’acqua dicendo che non avrebbe potuto
rimanervi più a lungo. Dopo essersi rivestito ed aver bevuto un po’ di vino, il
signor Raphin voleva andarsene; ma io piansi così tanto, e gli astanti lo
supplicarono così insistentemente, che egli promise di immergersi di nuovo e di
non andarsene prima di aver ritrovato la salma di mio fratello.
Così si tuffò
nuovamente, dopo essersi riposato a lungo, nello stesso punto e cercò in tutte
le direzioni; poi scese per un buon tratto lungo il fiume, senza risultati, e
costretto ad uscire dall’acqua e ad indossare di nuovo i suoi abiti, disse
un’altra volta che l’acqua era troppo fredda perché potesse cercare ancora.
Allora tutti quelli che erano venuti camminarono lungo il fiume insieme al
signor Raphin e guardarono se il corpo non fosse rimasto impigliato da qualche
parte.
Infine, dopo circa un’ora di ricerca, girando intorno a un’ansa del
fiume vi trovarono una buca insolitamente profonda; ed il signor Raphin e gli
altri pensarono che forse il corpo giaceva impigliato in quella buca.
Perciò
egli si svestì di nuovo e, dopo esser stato immerso molto a lungo, tornò in
superficie e gridò: «L’ho trovato!» Poi uscì dall’acqua e disse che non ce la
faceva più, che doveva prima riprendersi e poi si sarebbe immerso di nuovo e
l’avrebbe recuperato; e difatti lo portò su, tenendolo per un braccio, con
grande sforzo.
Il figlio del nominato Raphin si gettò in acqua per aiutare suo
padre e spinse il corpo davanti a sé, quando fu fuori dall’acqua lo distesero
per terra. Lo vidi tanto gonfio e brutto da non poterlo più riconoscere.
Tutti
i presenti, vedendolo immobile, tutto contuso e livido, dissero che era morto:
allora il signor Raphin se lo caricò sulle spalle, lo portò nel villaggio di
Ornay e lo depose per terra in un fienile. E il signor parroco di Ville, giunto
nel villaggio, lo palpò a lungo, non sentì alcun movimento e disse forte: «E
morto, di questo non si può dubitare.
Tuttavia, poiché abita presso il signor
parroco di Les Ollières, non possiamo seppellirlo prima che questi sia stato
messo al corrente dell’accaduto ed abbia dato disposizioni per la sepoltura».
Per questo motivo si aspettò fino al giorno dopo; nel frattempo il signor
parroco fece già scavare la tomba nel cimitero della chiesa, in un luogo da lui
indicato.
Mi chiese se era molto tempo che mio fratello Girolamo s’era
confessato; gli risposi che l’avevo visto confessarsi dal signor parroco di Les
Ollières nell’ultimo sabato santo. Intanto era arrivato quello stesso parroco,
e quando vide quella povera salma s’inginocchiò e pregò molto a lungo; quando
poi si rialzò venne da me e disse: «Se tu e tuo fratello foste stati
ubbidienti, tu ed io soffriremmo di meno».
Mi disse che dovevo andare con lui
dal signor parroco di Ville, e pregò questo signor parroco di concedergli il
conforto di poter tenere la cerimonia funebre, la mattina dopo. Questi fu
d’accordo e ci invitò a cena.
Durante il pasto si fecero raccontare da me
tutti i particolari della disgrazia. Io riferii in particolar modo il voto che
mio fratello ed io avevamo fatto al servo di Dio ed il signor Puthod assicurò che,
mentre pregava presso la salma, si era sentito spinto a supplicare Dio perché,
per i meriti del suo servo Francesco di Sales, restituisse la vita a questo
giovane che si era affidato alla sua protezione; aveva anche fatto voto, se la
divina bontà avesse esaudito la sua preghiera, di celebrare per nove giorni
consecutivi la Santa Messa nella chiesa in cui riposa il servo di Dio.
Verso la
fine della cena giunse da Annecy un certo Stefano Gonet e voleva chiedere al
signor parroco di Ville se c’era da portare qualcosa ad Annecy.
Il signor
Puthod, il parroco di Les Ollières, conosceva il signor Gonet e gli raccontò
della tribolazione in cui si trovava e del voto che mio fratello ed io, e più
tardi anche lui, avevamo fatto al servo di Dio; poi lo pregò che al suo ritorno
da Annecy, ancor prima di entrare in casa, fosse così gentile da presentare il
detto voto alla tomba del servo di Dio.
Il signor Gonet promise di farlo ed
aggiunse persino che avrebbe fatto dire una messa con questa intenzione.
Dopo cena i due parroci andarono nel fienile
in cui giaceva la salma, fecero portare dell’acqua benedetta e celebrarono la
veglia funebre; io andai con loro e volevo rimanere e vegliare tutta la notte
il mio povero fratello, ma il signor Puthod non volle permettermelo e mi
riportò nella casa del parroco di Ville, dove dormii e mi alzai molto tardi a
causa della mia grande stanchezza. Appena mi fui alzato tornai con il signor
Puthod nel fienile e trovai la salma di mio fratello ancora più sformata e
brutta della sera prima.
Il signor Puthod pregò molto a lungo e poi se ne andò.
Un’ora dopo tornò insieme al signor parroco
di Ville; avevano indossato rocchetto e stola e venivano con la croce e con
l’acqua benedetta per portare mio fratello al cimitero. Ma nell’attimo in cui
si volle deporlo in una bara (secondo l’abitudine di quella zona, in cui le
salme degli annegati si mettono nella bara solo al momento di portarle fuori
per la sepoltura), mio fratello alzò un braccio.
Lo sentii lamentarsi e
pronunciare queste parole: «O beato Francesco di Sales!».
Tutti i presenti
furono così sconvolti da queste parole che alcuni fuggirono, altri caddero
privi di sensi ed i più coraggiosi gridarono: «Un miracolo, un miracolo!».
I
due signori parroci presero per mano mio fratello e lo sollevarono: ora egli
non era più brutto e sformato come un attimo prima, ma aveva il suo solito
viso. Quando il signor Puthod gli chiese se lo riconosceva, lui rispose con
queste parole: «Io conosco il beato Francesco di Sales, egli mi è apparso e mi
ha dato la sua benedizione».
Si fece portare del vino e Girolamo si lavò via la
sabbia dalla bocca, dagli occhi, dalle orecchie, dal naso. Gli fu data una
camicia, e si potè constatare che era contuso in più punti.
Fu rivestito con
abiti presi a prestito, perché i suoi erano completamente bagnati e pieni di
sporcizia. Poi egli raccontò che nell’attimo in cui era stato ridestato gli era
apparso il servo di Dio in abito vescovile, così com’è dipinto nelle nostre
immagini, e gli aveva dato la sua benedizione; il beato aveva il viso raggiante
e l’aveva guardato con dolcezza e benevolenza.
Dopo di ciò tornammo a Les
Ollières insieme al signor Puthod; al nostro arrivo accorsero tutti in chiesa,
dove il signor Puthod intonò il Te Deum. Dalla sera di quel giorno mio fratello
mangiò e bevve come al solito; è vero che durante la notte si lamentò di
violenti dolori alle cosce, alle braccia ed ai piedi, ed il signor Puthod ed io
vedemmo le ferite sulle sue membra.
I dolori durarono fino al giorno in cui il
signor Puthod ci portò ad Annecy per adempiere ai nostri voti presso la tomba
del servo di Dio (4 maggio): quando fummo giunti nella chiesa della Visitazione
il signor Puthod fece coricare mio fratello sulla tomba del servo di Dio.
Dopo
esservi rimasto per circa sette minuti egli si alzò con insolito slancio,
dicendo che i violenti dolori di cui aveva sofferto erano spariti d’un colpo.
Il signor Puthod gli fece tirar su una gamba
dei calzoni e trovammo che tutte le sue ferite erano guarite. Quando fummo
tornati nella locanda ed il signor Puthod lo fece spogliare, constatammo che su
di lui non era rimasta traccia di tutte le sue ecchimosi: il suo corpo era sano
e intatto come prima della caduta. Rimanemmo in quella città per tutti i nove
giorni e vi ascoltammo le nove messe che il signor Puthod celebrò nella chiesa;
dopo questa novena tornammo molto consolati a Les Ollières.
Il ricordo del
miracolo è rimasto così profondamente impresso nel mio spirito che non
trascorre giorno senza che ringrazi Dio per questa grazia e mi raccomandi all’intercessione
del suo servo».
Deposizione del rev. canonico Claudio Puthod
durante la sua comparizione ad Annecy, nell’anno del miracolo della
resurrezione di Les Ollières:
«Il 29 aprile tornai da questa città di
Annecy nella mia casa parrocchiale di Les Ollières...Girolamo e Francesco
Genin, i due giovani studenti, erano fra i tredici ed i quattordici anni di età
ed erano nati nella parrocchia di Sainte-Hélène- du-Lac, nella diocesi della
Moriana. I loro genitori li avevano mandati in pensione presso di me perché
imparassero la lingua latina sotto la direzione del signor Crozet....
Il mattino dopo, il 30 aprile, poco prima
dell’inizio del giorno partii per recarmi a Thorens, che dista circa un miglio
dalla mia parrocchia.
Nello stesso giorno tornai a Les Ollières, giungendovi
verso le ore 5 pomeridiane; allora il sagrestano della parrocchia, di nome
Bénestier, si precipitò da me e mi disse che poco dopo la mia partenza per Thorens
il mio vicario, il signor Crozet, aveva picchiato così violentemente il giovane
Girolamo Genin, perché questi non aveva studiato come doveva e non aveva
scritto bene il suo tema, che Girolamo e suo fratello Francesco, quando il
signor Crozet era andato a visitare un parroco vicino, si erano incamminati
senza dir nulla ed erano fuggiti e che, quando avevano tentato di attraversare
il fiume Pier presso il villaggio di Ornay, Girolamo era caduto in acqua ed era
annegato senza che suo fratello potesse far qualcosa per aiutarlo.
Il
sagrestano era stato informato della cosa dallo stesso Francesco, che era
venuto a Les Ollières per mettere al corrente me ed il mio vicario; ma non
avendo trovato né l’uno né l’altro, il ragazzo era tornato indietro con molti parrocchiani
per cercare suo fratello nel fiume, e non era ancora tornato.
Questa notizia mi sorprese moltissimo e mi
costrinse ad affrettarmi subito, senza neppure entrare nella casa parrocchiale,
verso Ornay, dove giunsi verso le ore 6 di sera.
Andai in un fienile dove, come
mi dissero, avrei trovato il cadavere di Girolamo che era stato estratto da
poco dalle profondità dell’acqua: lo vidi veramente lungo disteso per terra e
lo trovai così sfigurato che, se non avessi saputo della disgrazia, non lo
avrei assolutamente riconosciuto.
Vidi anche Francesco Genin, che piangeva
presso la salma. Quando mi vide si gettò sul mio petto e disse: “Ah, signore,
mio fratello è morto!”
In quello stesso momento sentii una forte spinta
interiore a promettere a Dio ed al suo servo Francesco di Sales che, se alla
bontà divina fosse piaciuto ridar la vita a quel morto per glorificare il suo
vero servo Francesco, sarei rimasto per nove giorni in questa città di Annecy
per celebrare in loro onore nove messe nella chiesa della Visitazione in cui
riposa il corpo del beato. Feci questo voto nel fienile, dopo aver recitato un
“De pro-fundis” (Sai 129) per la pace dell’anima del ragazzo.
Dopo di ciò uscii ed andai alla casa
parrocchiale di Ville per fare una visita al signor parroco, che mi invitò a
cena ed a rimanere per la notte; dopo il pasto recitammo insieme nel fienile,
presso la salma, l’uffizio dei defunti. La notte era già caduta. Poi tornammo
indietro per dormire. Il mattino dopo tornai nel fienile verso le ore 6: vi
trovai il signor Francesco Genin e gli ordinai di tornare a dormire fino al
momento della sepoltura di suo fratello. Rimasi in quel fienile per circa due
ore, durante le quali recitai il mio breviario e rinnovai il voto di cui ho
riferito sopra; di là andai nella chiesa parrocchiale, dove servii la Santa
Messa che il signor parroco celebrò per il defunto. Poi confessai i fedeli
presso di lui e, poiché mi aveva permesso di celebrare l’uffizio dei defunti e
di officiare il funerale, mi preparai per la Santa Messa. Fatto questo andammo,
con rocchetto e stola e preceduti dalla croce, a prendere la salma; molte
persone che trovammo nel fienile ci dissero che non si poteva più resistere nei
pressi del cadavere, per il lezzo che mandava.
Non appena avemmo lasciato il fienile (dopo
aver benedetto la salma), cantando i salmi usuali, sentii un caotico rumore
proveniente dalle trenta o quaranta persone che si erano riunite per
partecipare alla sepoltura. Dovemmo fermarci e guardare indietro: allora vidi
questi fedeli chi in ginocchio, chi con le mani levate al ciclo, mentre i più
gridavano: “Signori, qui! Il morto è resuscitato!”. Tornai nel fienile e mi
avvicinai subito al corpo, il cui viso era già stato scoperto da uno dei
presenti: fui estremamente sorpreso di vedere questo giovane pieno di vita. Il
suo viso era com’era stato prima della morte, gli occhi aperti, la voce
abbastanza ferma, soprattutto quando gli chiesi se non mi riconosceva. Lui mi
rispose: “Io conosco il beato Francesco di Sales, che mi ha resuscitato; e
conosco anche lei, signor parroco”. Quando lo vidi reggersi in piedi e
cominciare a camminare mi prese, lo confesso, un tale terrore che non potei
reggermi sulle gambe: dovetti lasciarmi cadere sulle ginocchia. Molti dei
presenti giacevano allo stesso modo, con la faccia a terra. Quando finalmente
mi fui ripreso un poco dal mio stupore, sentii Girolamo chiedere dell’acqua per
pulirsi la bocca, perché, come egli disse, l’aveva piena di sabbia. Gli
portarono del vino con cui si lavò la bocca, gli occhi e le orecchie, gli
fecero indossare un’altra camicia ed io notai che aveva ecchimosi in più punti,
sulle cosce, sui piedi e sulle braccia; e in effetti si lamentava anche per dei
dolori che sentiva. Lo vestirono con abiti prestati da un vicino: i suoi erano
ancora fradici e coperti di sporcizia. Io diedi al nominato Alessandro Raphin
due quarti di tallero come ricompensa per le fatiche che si era sobbarcato nel
fiume per circa quattro ore, come lui e diversi altri mi dissero. Il signor
parroco di Ville insistette molto cordialmente perché rimanessimo a pranzo con
lui; ma la fretta che avevo di portare il risorto nella mia chiesa
parrocchiale, per ringraziare là Iddio di questo grande miracolo e per
annunciarlo ai miei parrocchiani, non mi permise di accettare l’invito. Mi
congedai da lui e da tutta la compagnia, ringraziando tutti per l’amore che
avevano dimostrato verso Girolamo Genin; Francesco, suo fratello ed io tornammo
a piedi a Les Ollières.
La prima cosa che facemmo fu andare in
chiesa, dove suonai le campane per chiamare a raccolta i miei parrocchiani; il
primo ad arrivare fu il mio vicario, il signor Crozet.
Lo seguirono alcuni
altri, ai quali raccontai il miracolo.
Li esortai meglio che potei a venerare
il servo di Dio Francesco di Sales, per i cui meriti esso era stato compiuto;
poi intonai il Te Deum, che fu cantato per ringraziare Dio.
Dopo di ciò andammo
nella casa parrocchiale, dove Girolamo mangiò e bevve come al solito; nella
notte seguente egli sentì più forti i dolori che gli provocavano le ferite di cui
erano coperti i suoi piedi, le sue cosce e le sue braccia. Ciò non gli impedì
tuttavia di alzarsi la mattina dopo e di andare a fare il suo solito lavoro. Ho
dimenticato di dire che non ho mai udito che Girolamo, dopo esser stato tratto
dal fiume, avesse buttato fuori o vomitato acqua.
Il 4 maggio del detto anno 1623 i fratelli
Girolamo e Francesco Genin ed io ci mettemmo in cammino verso le ore 5 del
mattino per recarci in questa città di Annecy, presso la tomba del servo di Dio
Francesco di Sales, per adempiere ai nostri voti.
Vi giungemmo verso le ore 9
del mattino.
Io celebrai la Santa Messa, la prima delle nove che avevo promesso
di celebrare là; nel corso di essa somministrai la Santa Comunione a Girolamo e
Francesco Genin, e subito dopo aver finito di render grazie nella sacrestia
feci coricare Girolamo, in tutta la sua lunghezza, sulla tomba del servo di
Dio. Rimase così per circa sette minuti, durante i quali io e suo fratello
Francesco restammo inginocchiati; dopodiché si alzò con insolito slancio dicendoci
queste precise parole: «Per la misericordia di Nostro Signore i miei dolori
sono improvvisamente scomparsi».
Per questo motivo volli esaminare i suoi
piedi, le sue cosce e le sue braccia che in quello stesso giorno, prima che
lasciassimo Les Ollières, avevo visto ancora tutte nere e blu: perciò gli feci
tirar su una gamba dei calzoni e vidi che il suo piede non aveva alcuna macchia
nera ed alcuna ferita.
Ringraziai Dio per questa grazia. E quando fummo tornati
nella locanda esaminai ancora una volta tutto il suo corpo, e lo trovai così
sano com’era prima della caduta nel fiume.
Restammo ad Annecy per tutti i nove
giorni durante i quali celebrai le nove messe promesse, poi tornammo a Les
Ollières, dove i due fratelli rimasero fino alla festa di San Michele; a quel
punto i loro genitori li mandarono a prendere per trasferirli nel collegio di
Chambéry».
Il miracolo della resurrezione, dopo un
accurato esame, fu ritenuto valido per la canonizzazione ed è citato
espressamente nella relativa bolla (1665) di Papa Alessandro VII (1655/67).
Alla celebrazione della canonizzazione tenuta ad Annecy (maggio 1665) prese
parte anche il risorto Girolamo Genin; più tardi questi si fece prete ed
esercitò il suo ministero nella sua diocesi natale della Moriana, come parroco
di La Rochette ed anche come giudice del tribunale ecclesiastico.
- Armando Pavese -
da: Guarigioni miracolose in
tutte le religioni, Piemme, 2005