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sabato 3 maggio 2025

Santa Maria, Vergine della notte – don Tonino Bello

 Santa Maria, Vergine della notte,

noi t'imploriamo di starci vicino
quando incombe il dolore,
irrompe la prova,
sibila il vento della disperazione,
e sovrastano sulla nostra esistenza
il cielo nero degli affanni,
o il freddo delle delusioni
o l'ala severa della morte.
Liberaci dai brividi delle tenebre.
Nell'ora del nostro calvario,
Tu, che hai sperimentato l'eclissi del sole,
stendi il tuo manto su di noi,
sicché, fasciati dal tuo respiro,
ci sia più sopportabile
la lunga attesa della libertà.
Alleggerisci con carezze di Madre
la sofferenza dei malati.
Riempi di presenze amiche e discrete
il tempo amaro di chi è solo.
Spegni i focolai di nostalgia
nel cuore dei naviganti,
e offri loro la spalla,
perché vi poggino il capo.
Preserva da ogni male i nostri cari
che faticano in terre lontane e conforta,
col baleno struggente degli occhi,
chi ha perso la fiducia nella vita.
Ripeti ancora oggi
la canzone del Magnificat,
e annuncia straripamenti di giustizia
a tutti gli oppressi della terra.
Non ci lasciare soli nella notte
a salmodiare le nostre paure.
Anzi, se nei momenti dell'oscurità
ti metterai vicino a noi
e ci sussurrerai che anche Tu,
Vergine dell'Avvento,
stai aspettando la luce,
le sorgenti del pianto
si disseccheranno sul nostro volto.
E sveglieremo insieme l'aurora.


Amen.

- don Tonino Bello -




«No, non fu neutrale. 
Basta leggere il Magnificat per rendersi conto che Maria si è schierata. 
Ha preso posizione, cioè. 
Dalla parte dei poveri, naturalmente. 
Degli umiliati e offesi di tutti i tempi. 
Dei discriminati dalla cattiveria umana e dagli esclusi dalla forza del destino. Di tutti coloro, insomma, che non contano nulla davanti agli occhi della storia».

- Don Tonino Bello - 


Buona giornata a tutti. :-)








giovedì 1 maggio 2025

Maria, don feriale - don Tonino Bello

 Santa Maria, donna feriale, forse tu sola puoi capire che questa nostra follia di ricondurti entro i confini dell' esperienza terra terra, che noi pure viviamo, non è il segno di mode dissacratorie.

Se per un attimo osiamo toglierti l'aureola, è perché vogliamo vedere quanto sei bella a capo scoperto.

Se spegniamo i riflettori puntati su di te, è perché ci sembra di misurare meglio l'onnipotenza di Dio, che dietro le ombre della tua carne ha nascosto le sorgenti della luce.

Sappiamo bene che sei stata destinata a navigazioni di alto mare. Ma se ti costringiamo a veleggiare sotto costa, non è perché vogliamo ridurti ai livelli del nostro piccolo cabotaggio. È perché, vedendoti così vicina alle spiagge del nostro scoraggiamento, ci possa afferrare la coscienza di essere chiamati pure noi ad avventurarci, come te, negli oceani della libertà.

Santa Maria, donna feriale, aiutaci a comprendere che il capitolo più fecondo della teologia non è quello che ti pone all'interno della Bibbia o della patristica, della spiritualità o della liturgia, dei dogmi o dell'arte. Ma è quello che ti colloca all'interno della casa di Nazaret, dove tra pentole e telai, tra lacrime e preghiere, tra gomitoli di lana e rotoli della Scrittura, hai sperimentato, in tutto lo spessore della tua naturale femminilità, gioie senza malizia, amarezze senza disperazioni, partenze senza ritorni.

Santa Maria, donna feriale, liberaci dalle nostalgie dell'epopea, e insegnaci a considerare la vita quotidiana come il cantiere dove si costruisce la storia della salvezza.

Allenta gli ormeggi delle nostre paure, perché possiamo sperimentare come te l'abbandono alla volontà di Dio nelle pieghe prosaiche del tempo e nelle agonie lente delle ore.

E torna a camminare discretamente con noi, o creatura straordinaria innamorata di normalità, che prima di essere incoronata Regina del cielo hai ingoiato la polvere della nostra povera terra.


- don Tonino Bello -
fonte: Maria donna dei nostri giorni - pagg 1,2,3





Chi sa quante volte l'ho letta senza provare emozioni, L'altra sera, però, quella frase del Concilio, riportata sotto un'immagine della Madonna, mi è parsa così audace, che sono andato alla fonte per controllarne l'autenticità.

Proprio così. Al quarto paragrafo del decreto del Conci1io Vaticano II sull'Apostolato dei Laici c'è scritto testualmente: «Maria viveva sulla terra una vita comune a tutti, piena di sollecitudini familiari e di lavoro».

Intanto, Maria viveva sulla terra.

Non sulle nuvole. I suoi pensieri non erano campati in aria. I suoi gesti avevano come soggiorno obbligato i perimetri delle cose concrete.

Anche se l'estasi era l'esperienza a cui Dio spesso la chiamava, non si sentiva dispensata dalla fatica di stare con i piedi per terra.

Lontana dalle astrattezze dei visionari, come dalle evasioni degli scontenti o dalle fughe degli illusionisti, conservava caparbiamente il domicilio nel terribile quotidiano.

Ma c'è di più: Viveva una vita comune a tutti.

Simile, cioè, alla vita della vicina di casa. Beveva l'acqua dello stesso pozzo. Pestava il grano nello stesso mortaio. Si sedeva al fresco dello stesso cortile.

Anche lei arrivava stanca alla sera, dopo una giornata di lavoro.

Anche a lei un giorno le dissero: «Maria, ti stai facendo i capelli bianchi». Si specchiò, allora, alla fontana e provò anche lei la struggente nostalgia di tutte le donne, quando si accorgono che la giovinezza sta sfiorendo.

Le sorprese, però, non sono finite, perché venire a sapere che la vita di Maria fu piena di sollecitudini familiari e di lavoro come la nostra, ci rende questa creatura così inquilina con le fatiche umane, da farci sospettare che la nostra penosa ferialità non debba essere poi così banale come noi pensiamo.

Sì, anche lei ha avuto i suoi problemi di salute, di economia, di rapporti, di adattamento. Chi sa quante volte è tornata dal lavatoio col mal di capo, o sovrappensiero perché Giuseppe da più giorni in bottega non aveva molto lavoro.

Chi sa a quante porte ha bussato chiedendo qualche giornata di lavoro per il suo Gesù, nella stagione dei frantoi.

Chi sa quanti meriggi ha malinconicamente consumato a rivoltare il pastrano già logoro di Giuseppe, e ricavarne un mantello perché suo figlio non sfigurasse tra i compagni di Nazaret.

Come tutte le mogli, avrà avuto anche lei dei momenti di crisi nel rapporto con suo marito, del quale, taciturno com' era, non sempre avrà capito i silenzi.

Come tutte le madri, ha spiato pure lei, tra timori e speranze, nelle pieghe tumultuose dell'adolescenza di suo figlio.

Come tutte le donne, ha provato pure lei la sofferenza di non sentirsi compresa, neppure dai due amori più grandi che avesse sulla terra. E avrà temuto di deluderli. O di non essere all'altezza del ruolo.

E, dopo aver stemperato nelle lacrime il travaglio di una solitudine immensa, avrà ritrovato finalmente nella preghiera, fatta insieme, il gaudio di una comunione sovrumana.


- don Tonino Bello -
fonte: Maria donna dei nostri giorni - pagg 1,2,3






Buona giornata a tutti. :-)




domenica 13 aprile 2025

Il grande burrone - don Bruno Ferrero

 Un uomo sempre scontento di sé e degli altri continuava a brontolare con Dio perché diceva: "Ma chi l'ha detto che ognuno deve portare la sua croce? Possibile che non esista un mezzo per evitarla? Sono veramente stufo dei miei pesi quotidiani!" 
Il Buon Dio gli rispose con un sogno. 
Vide che la vita degli uomini sulla Terra era una sterminata processione. Ognuno camminava con la sua croce sulle spalle. Lentamente, ma inesorabilmente, un passo dopo l'altro. Anche lui era nell'interminabile corteo e avanzava a fatica con la sua croce personale. 
Dopo un po' si accorse che la sua croce era troppo lunga: per questo faceva fatica ad avanzare. "Sarebbe sufficiente accorciarla un po' e tribolerei molto meno", si disse, e con un taglio deciso accorciò la sua croce d'un bel pezzo. Quando ripartì si accorse che ora poteva camminare molto più speditamente e senza tanta fatica giunse a quella che sembrava la meta della processione. 
Era un burrone: una larga ferita nel terreno, oltre la quale però cominciava la "terra della felicità eterna". Era una visione incantevole quella che si vedeva dall'altra parte del burrone. 
Ma non c'erano ponti, né passerelle per attraversare. Eppure gli uomini passavano con facilità. 
Ognuno si toglieva la croce dalle spalle, l'appoggiava sui bordi del burrone e poi ci passava sopra. 
Le croci sembravano fatte su misura: congiungevano esattamente i due margini del precipizio. 
Passavano tutti, ma non lui: aveva accorciato la sua croce e ora era troppo corta e non arrivava dall'altra parte del baratro. Si mise a piangere e a disperarsi: "Ah, se l'avessi saputo...".

La croce è l'unica via di salvezza per gli uomini, l'unico ponte che conduce alla vita eterna.

- don Bruno Ferrero -

da:  Cerchi nell'Acqua, ElleDiCi


Immagine dalla pagina Frate Indovino

I piedi di Giuda

Carissimi,
è più facile parlare delle labbra di Giuda che dei suoi piedi. Tutto a causa di quel bacio naturalmente. Un tradimento che suscita reazioni emotive, una vigliaccata che non lascia estraneo nessuno. Non c’è che dire: quelle di Giuda sono labbra scomode per tutti. Se non altro perché stanno a ricordarci che anche noi ci portiamo sulla bocca la possibilità di darlo ogni giorno, un bacio infame del genere. I suoi piedi invece benché sospesi sul vuoto di un crepaccio non destano emozioni. Provocano solo ribrezzo. Sembrano il punto fermo di un discorso che ha finito di coinvolgere l’interlocutore, sono l’epilogo di una esistenza sbagliata. Il fotogramma finale di una storia infelice, l’estremo dettaglio di una prova fallita. Eppure quei piedi sono stati lavati da Gesù. Con la stessa tenerezza usata per Pietro, Giovanni, Giacomo. Sono stati asciugati dalle sue mani col medesimo trasporto d’amore espresso per tutti. I piedi di Giuda come i piedi degli altri. Anche se più degli altri per paura o per imbarazzo hanno vibrato sotto lo scroscio dell’acqua. Gesù se n’è dovuto accorgere. Tant’è che qualche istante più tardi ha fatto riferimento a quei piedi: “colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno”. 

Non importa sapere se il destino finale di Giuda sia stato di salvezza o di perdizione. Sono affari del Signore: l’unico capace di accogliere fino in fondo il mistero della libertà umana e di comporne le scelte, anche le più assurde, nell’oceano della sua misericordia. A noi tocca solo entrare nella logica del servizio, di fronte alla quale non esiste ambiguità di calcagni che possa legittimare il rifiuto o la discriminazione.

Carissimi fratelli, se Giuda è il simbolo di chi nella vita ha sbagliato in modo pesante, il gesto di Cristo curvo sui suoi piedi ci richiama a rivedere giudizi e comportamenti nei riguardi di coloro che secondo gli schemi mentali sono finiti sui binari morti di una esistenza fallimentare. Di chi è finito fuori strada per colpa propria o per malizia altrui. Di chi ha calpestato i sentimenti più puri. Di chi ha ripagato la tenerezza con l’ingratitudine. Di chi ha deviato dalle rotte della fedeltà promessa. Di chi ha infranto le regole di una amicizia giurata. Di chi ha spezzato i legami di una comunione antica. Di chi non ce l’ha fatta a seguire Gesù fino al calvario. Di chi dai chiarori del cenacolo è precipitato nella notte della strada. Di chi non ha avuto fortuna ed ha abdicato per debolezza o per ingenuità ai progetti della gioventù. Sui piedi di questi fratelli col divieto assoluto di sollevare lo sguardo al di sopra dei loro polpacci, noi, i protagonisti di tradimento, abbiamo l’obbligo di versare l’acqua tiepida della preghiera, dell’accoglienza e dell’accredito generoso di mille possibilità di ravvedimento. Lavare e asciugare i piedi di Andrea che se n’è andato con un’altra donna, lasciando moglie e figli senza far sapere più nulla e ora è disperato. Lavare e asciugare i piedi di Marisa che ha smesso di studiare, è scappata di casa, si buca sistematicamente, si è ammalata di AIDS ed ha prostrato la famiglia nella vergogna. Purificati da un lavacro di amore quei piedi non potranno fare a meno di orientarsi verso la casa del Padre. Ringraziamo il Signore, perché al cappio della disperazione che stringe la gola ci fa sostituire il cappio di un asciugamano che stringe i fianchi col nodo scorsoio della speranza.

Liberamente tratto da uno scritto di don Tonino Bello


Buona giornata a tutti :-)


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mercoledì 26 marzo 2025

Educare allo stupore – don Tonino Bello

 Qualcuno ha scritto che la meraviglia è la base dell'ado­razione. È proprio vero. Anzi, l'empietà più grande non è tanto la bestemmia o il sacrilegio, la profanazione di un tempio o la dissacrazione di un calice, ma la mancanza di stupore.
Oggi c'è crisi di estasi. È in calo il fattore sorpresa. Non ci si esalta per nulla. C'è in giro un insopportabile ristagno di déja vu: di cose già viste, di esperienze già fatte, di sensazioni sottoposte a ripetuti collaudi.
Siamo appiattiti dagli standard, omologati da prigionieri della ripetizione modulare. Sarà colpa della cibernetica o di chi sa quale altro accidente, ma è certo che la fantasia agonizza. Sopravvive, per fortuna, solo nei bambi­ni. Occorrerebbe riutilizzare il Salmo ottavo, nel quale si densifica il rapimento estatico di chi contempla la gloria di Dio, che «si squaderna», come direbbe Dante, per tutto l'universo.

«O Signore, nostro Dio,
quanto è grande il tuo nome
su tutta la terra» (Sal 8,1).

Se avessimo, appunto, gli occhi dei bambini, dovremmo essere capaci di leggere questa scritta su tutta la curva del cielo, da oriente a occidente.
Con i caratteri incisi dai ful­mini nei giorni di tempesta, con bianchissimi cirri, nei me­riggi d'inverno. Con nubi di fuoco, nelle notti di primavera.
Incoraggiare l'attitudine allo stupore.
Non disdegnare come cedimento alla serietà organica del pensiero il tenta­tivo di indicare nella bellezza la strada privilegiata attra­verso cui Dio si rivela.
Il mare in tempesta o il firmamento nelle notti d'agosto, il colore dei fiori che spuntano sui crepacci o l'incantesimo delle vette innevate, lo struggimento degli alberi che si tor­cono nella bufera o lo splendore degli occhi di una donna, non hanno smesso di proclamare su tutta la grandezza della terra il nome di Dio.
Senza stupore è difficile l'incontro con Dio.
Senza rapi­menti estatici è impossibile parlargli. Al massimo, con Dio ci potrà essere rapporto mercantile, basato sulle contratta­zioni della domanda e nell'offerta: soprattutto nei momenti della paura o dello smacco. Ma non incontro personale, né abbandono di fiducia, e tanto meno, ebbrezza d'amore.

(continua)

(don Tonino Bello)
per leggere la prima parte,cliccare qui:

Fonte: "Dire Dio oggi. Dallo stupore alla trascendenza"
Scrigni, collana diretta da don Ciccio Savino, Ed. Insieme, pagg. 6 e 7

Foto by Pierpaolo Lo Monaco - Indonesia 2010

Buona giornata a tutti :-)

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giovedì 2 gennaio 2025

Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, preghiere

In realtà, solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo



Mi pento, o Sommo Bene, di quante offese ti ho fatte. 
Mi pento e ti amo più di me stesso. 
Sento in me un gran desiderio di amarti; questo desiderio tu me lo doni, dammi dunque forza di amarti assai. 
È giusto che ti ami assai chi assai ti ha offeso. 
Deh, ricordami sempre l’amore che mi hai portato affinché l’anima mia arda sempre per te d’amore, a te sempre pensi, 
te solo desideri ed a te solo cerchi di piacere. 
O Dio d’amore, io che un tempo sono stato schiavo dell’inferno, 
ora tutto a te mi dono. 
Accettami per pietà e legami col tuo amore. 
Gesù mio, d’oggi innanzi, 
sempre amandoti voglio vivere ed amandoti voglio morire. 
O Maria, Madre e speranza mia, 
aiutami ad amare il tuo e mio caro Dio; 

quest’unica grazia ti chiedo e da te la spero. 

Gloria al Padre....

Gesù Bambino, abbi pietà di noi.

(Sant’Alfonso Maria de’ Liguori)


Santa Maria di fronte ai cambi che scuotono la storia, donaci di sentire sulla pelle i brividi dei cominciamenti. Facci capire che non basta accogliere: bisogna attendere.
Accogliere talvolta è segno di rassegnazione. Attendere è sempre segno di speranza. 
Rendici, perciò, ministri dell' attesa. E il Signore che viene, Vergine dell' avvento, ci sorprenda, anche per la tua materna complicità, con la lampada in mano. 

- Don Tonino Bello -


Mio Redentore, io guardo la mia cecità ed ammiro la Vostra Misericordia. 

Caro mio Redentore, 

quanto sono stato così cieco in passato da lasciare Voi, 
Bene infinito, 
Fonte di tutte le consolazioni per le misere e brevi soddisfazioni dei sensi! 
Io guardo la mia cecità 
ed ammiro la Vostra Misericordia 
che con tanta bontà mi ha sopportato! 
Vi ringrazio perché ora Voi mi fate conoscere la mia pazzia 
e l’obbligo che io ho di amarVi. 
Accrescete Voi in me il desiderio di Voi e l’amore. 
Fate che io mi innamori di Voi, o amabile Infinito, 
che non sa più cosa fare per essere amato da me 
e desidera tanto il mio amore!
“Si vis, potes me mundare” 
(dal latino “Se vuoi, puoi mondarmi”). Amen.

(Sant'Alfonso Maria de' Liguori)


My Redeemer, i look at my blindness and i  admire your mercy 

My dear Redeemer, how much I have been so blind as to leave You in the past, infinite Good, Source of all consolation, because of the poor and brief satisfactions of the senses! I look at my blindness and I admire your Mercy that has tolerated me with so much goodness! I thank You because now You make me know my madness and the obligation that I have to love You. Increase in me the desire of You and the love. Grant me to fall in love with You, o lovable Infinite, Who no longer knows what to do to be loved by me and want so much my love!
"Si vis, potes me mundare" (from the Latin “If Thou wilt, Thou canst make me clean."). Amen.

(St. Alphonsus Maria Liguori Doctor of the Church)



"Madonna con bambino", Marianne Stokes

"Gesù è venuto sotto le sembianze di un bambino, per mostrarci il grande desiderio di colmarci dei suoi beni. Ora in lui sono nascosti tutti i tesori; il suo Padre celeste gli ha dato tutto nelle mani. Se vogliamo luce, egli per questo è venuto, per illuminarci. Se vogliamo forza per resistere ai nemici, egli per questo è venuto, per confortarci. Se vogliamo il perdono e la salvezza, egli per questo è venuto, per perdonarci e salvarci. Se vogliamo infine il sommo dono dell'amor divino, egli è venuto per infiammarci; e soprattutto a questo fine si è fatto bambino ed ha voluto a noi comparire quanto più povero ed umile, tanto più amabile, per togliere da noi ogni timore e per guadagnarsi il nostro amore. Tutti i bambini sanno guadagnarsi un tenero affetto da chi li guarda; ma chi non amerà poi con tutta la tenerezza un Dio, vedendolo fatto fanciullino, bisognoso di latte, tremante di freddo, povero, avvilito ed abbandonato, che piange, che vagisce in una mangiatoia sopra la paglia? Ciò faceva esclamare l'innamorato San Francesco: Anime, venite ad amare un Dio fatto bambino, fatto povero, ch'è tanto amabile, e ch'è sceso dal cielo per darsi tutto a voi". 

Sant'Alfonso Maria de' Liguori, vescovo e dottore della Chiesa,

Terza meditazione per la novena


Preghiera per la sera

Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore.
Ti ringrazio di avermi creato,
fatto cristiano e conservato in questo giorno.
Perdonami il male, oggi commesso e,
se qualche bene ho compiuto, accettalo.
Custodiscimi nel riposo e liberami dai pericoli.
La tua grazia sia sempre con me e con tutti i miei cari. Amen

Buona giornata a tutti :-)

domenica 15 settembre 2024

Compagni di volo - don Tonino Bello

 Voglio ringraziarti, Signore per il dono della vita;
ho letto da qualche parte che gli uomini hanno un’ala soltanto:
possono volare solo rimanendo abbracciati.
A volte, nei momenti di confidenza, oso pensare, Signore,
che tu abbia un’ala soltanto, l’altra la tieni nascosta,
forse per farmi capire che tu non vuoi volare senza di me;
per questo mi hai dato la vita:
perché io fossi tuo compagno di volo.
Insegnami, allora, a librarmi con Te,
perché vivere non è trascinare la vita,
non è strapparla, non è rosicchiarla,
vivere è abbandonarsi come un gabbiano all’ ebrezza del vento.
Vivere è assaporare l’avventura della libertà.
Vivere è stendere l’ala, l’unica ala, con la fiducia
Di chi sa di avere nel volo un partner grande come Te.
Ma non basta saper volare con Te, Signore.
Tu mi hai dato il compito
di abbracciare anche il fratello e aiutarlo a volare.
Ti chiedo perdono, perciò, 
per tutte le ali che non ho aiutato a distendersi.
Non farmi più passare indifferente vicino al fratello 
che è rimasto con l’ala ,
l’unica ala inesorabilmente impigliata
nella rete della miseria e della solitudine
e si è ormai persuaso di non essere più degno di volare con Te;
soprattutto per questo fratello sfortunato,
dammi, o Signore, un’ala di riserva.

 - Don Tonino Bello - 


Coltivate la bellezza del vostro sguardo. 
Non potete immaginare quanta luce 
questa bellezza dà
a chi è triste,
quanta voglia di vivere 
produce uno sguardo generoso 
su una persona che è triste.

- don Tonino Bello - 

                                                                                  


Dio me lo sento
come un padre dolcissimo,
col quale non è difficile confidarmi.
Sento di non aver soggezione di lui.
Anche quando sbaglio, mi sembra più facile 
chiedergli scusa con un sorriso di implorazione 
che con un percuotimento di petto.
Me lo sento vicino, comunque, tantissimo.
Devo, però, dire che spesso mi dimentico di lui
e me ne dispiace, 
soprattutto la sera quando mi addormento.
Ma lo chiamo ugualmente:
tanto sono certo del suo perdono.

- don Tonino Bello -

                                                                                   

 
Non abbiamo il diritto
di annunciare e attendere 
un altro mondo,
se non ci saremo impegnati
a far sì che un mondo altro 
si affermi sulla terra.

- don Tonino Bello - 


Non abbiate paura 
di innamorarvi adesso, 
di incantarvi adesso,
di essere stupiti adesso,
di entusiasmarvi adesso, 
di guardare troppo in alto adesso, 
di sognare adesso.

- don Tonino Bello - 





Buona giornata a tutti. :-)

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martedì 9 aprile 2024

A coloro che non trovano pace - Tonino Bello

 Carissimi,

l'idea di rivolgermi a voi mi è venuta stasera quando, recitando i vespri, ho trovato questa invocazione: «Metti, Signore, una salutare inquietudine in coloro che si sono allontanati da te, per colpa propria o per gli scandali altrui».
Per prima cosa mi son chiesto se, nel numero delle mie conoscenze, ci fosse qualcuno che poteva essere raggiunto da questa preghiera.
E mi sono ricordato di te, Giampiero, che, dopo essere passato per tutta la trafila dei gruppi giovanili della parrocchia, un giorno te ne sei andato e non ti sei fatto più vedere.
L'altra sera ti ho incontrato per caso. Pioveva. Eri fermo sul marciapiede e ti ho dato un passaggio. In macchina mi hai chiesto con sufficienza se durante la quaresima continuavo a predicare le «solite chiacchiere» ai giovani, riuniti in cattedrale. Ci son rimasto male, perché mi hai detto chiaro e tondo che tu ormai a quelle cose non ci credevi più da un pezzo, e che al politecnico stavi trovando risposte più utili di quelle che ti davano i preti.
Mi hai raccontato che a Torino hai conosciuto Gigi, ex seminarista e mio alunno di ginnasio, il quale ti parla spesso di me. Ho notato che avevi una punta d'ironia e sembrava che ti divertissi quando hai aggiunto che ora sta con una ragazza, bestemmia come un turco, e fuma lo spinello.
Quando all'improvviso ti ho chiesto se eri felice, mi hai risposto che ne avremmo parlato un'altra volta, perché dovevi scendere e poi era troppo tardi.
Addio, Giampiero! L'invocazione del breviario stasera la rivolgo al Signore per te. E per Gigi. 
E la rivolgo anche per te, Maria, che ti sei allontanata senza una plausibile ragione. Facevi parte del coro. Ora a messa non ci vai nemmeno a Pasqua. 
Tu dici che hai visto troppe cose storte anche in chiesa, e che non ti aspettavi certe pugnalate alle spalle proprio da coloro che credono in Dio. 
Non so che cosa ti sia successo di preciso. Ma l'altro giorno, quando sei venuta da me per implorare un ricovero urgente al Gemelli a favore del tuo bambino che sta male, e io ti ho esortata ad aver fiducia in Dio, e tu sei scoppiata a piangere dicendomi che in Dio non ci credi più... mi è parso di leggere in quelle lacrime, oltre alla paura di poter perdere il figlio, anche l'amarezza di aver perduto il Padre.
Non temere, Maria. Pregherò io per il tuo bambino, perché guarisca presto. 
Ma anche per te, perché il Signore ti metta nel cuore una salutare inquietudine.
Vedo che non afferri il senso di una preghiera del genere. Di inquietudini nei hai già tante e non è proprio il caso che mi metta anch'io ad aumentartene la dose. Tu sai bene, però, che in fondo io imploro la tua pace. Ecco, infatti, come il breviario prolunga l'invocazione su coloro che si sono allontanati da Dio: «Fa' che ritornino a te e rimangano sempre nel tuo amore».
E ora, visto che mi sono messo ad assicurare preghiere un po' per tutti, vorrei rivolgermi anche a voi che, pur non essendovi mai allontanati da Dio, non riuscite ugualmente a trovar riposo nella vostra vita.
Per sè parrebbe un controsenso. Perché Dio è la fontana della pace, e chi si lascia da lui possedere non può soffrire i morsi dell'inquietudine. Però sta di fatto che, o per difetto di affido alla sua volontà, o per eccesso di calcolo sulle proprie forze, o per uno squilibrio di rapporti tra debolezza e speranza, o chi sa per quale misterioso disegno, è tutt'altro che rara la coesistenza di Dio con l'insoddisfazione cronica dello spirito.

Mi rivolgo perciò a voi, icone sacre dell'irrequietezza, per dirvi che un piccolo segreto di pace ce l'avrei anch'io da confidarvelo.
A voi, per i quali il fardello più pesante che dovete trascinare siete voi stessi. 
A voi, che non sapete accettarvi e vi crogiolate nelle fantasie di un vivere diverso. 
A voi, che fareste pazzie per tornare indietro nel tempo e dare un'altra piega all'esistenza. 
A voi, che ripercorrete il passato per riesaminare mille volte gli snodi fatali delle scelte che oggi rifiutate. 
A voi, che avete il corpo qui, ma l'anima ce l'avete altrove. 
A voi, che avete imparato tutte le astuzie del «bluff» perché sapete che anche gli altri si sono accorti della vostra perenne scontentezza, ma non volete farla pesare su nessuno e la mascherate con un sorriso quando, invece, dentro vi sentite morire. 
A voi, che trovate sempre da brontolare su tutto, e non ve ne va mai a genio una, e non c'è bicchiere d'acqua limpida che non abbia il suo fondiglio di detriti.
A tutti voi voglio ripetere: non abbiate paura. La sorgente di quella pace, che state inseguendo da una vita, mormora freschissima dietro la siepe delle rimembranze presso cui vi siete seduti.

Non importa che, a berne, non siate voi. Per adesso, almeno.
Ma se solo siete capaci di indicare agli altri la fontana, avrete dato alla vostra vita il contrassegno della riuscita più piena. 
Perché la vostra inquietudine interiore si trasfigurerà in «prezzo da pagare» per garantire la pace degli altri.
O, se volete, non sarà più sete di «cose altre», ma bisogno di quel «totalmente Altro» che, solo, può estinguere ogni ansia di felicità.
Vi auguro che stasera, prima di andare a dormire, abbiate la forza di ripetere con gioia le parole di Agostino, vostro caposcuola: «O Signore, tu ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te».

- donTonino Bello - 


Il legno per attraversare il mare

E' come se uno vedesse da lontano la patria, e ci fosse di mezzo il mare: egli vede dove arrivare, ma non ha come arrivarvi. Così è di noi, che vogliamo giungere a quella stabilità dove ciò che è è, perché esso solo è sempre così com'è. E anche se già scorgiamo la meta da raggiungere, tuttavia c'è di mezzo il mare di questo secolo. Ed è già qualcosa conoscere la meta, poiché molti neppure riescono a vedere dove debbono andare.

Ora, affinché avessimo anche il mezzo per andare, è venuto di là colui al quale noi si voleva andare. E che ha fatto? Ci ha procurato il legno con cui attraversare il mare. Nessuno, infatti, può attraversare il mare di questo secolo, se non è portato dalla croce di Cristo.

Anche se uno ha gli occhi malati, può attaccarsi al legno della croce. E chi non riesce a vedere da lontano la meta del suo cammino, non abbandoni la croce, e la croce lo porterà.

- Sant'Agostino -

Commento al Vangelo di Giovanni (Gv 1,6-14)


Buona giornata a tutti :-)

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