Visualizzazione post con etichetta sofferenza. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta sofferenza. Mostra tutti i post

sabato 5 ottobre 2024

La contemplazione - padre Thomas Merton

 La contemplazione non deve essere confusa con l'astrazione. 
Una vita contemplativa non va vissuta con un ritiro permanente dentro la propria mente. 
L'esistenza ridotta e limitata di un piccolo gruppo isolato e specializzato non basta per la «contemplazione». 
Il vero contemplativo non è meno interessato degli altri alla vita normale, non è meno preoccupato per quello che capita nel mondo, ma più  interessato, più preoccupato. 
Il fatto di essere un contemplativo lo rende capace di un interesse maggiore e di una preoccupazione più profonda. Essendo distaccato, e avendo ricevuto il dono di un cuore puro, egli non si limita a prospettive ristrette e provinciali. Non è coinvolto facilmente nella confusione superficiale che la maggior parte degli uomini prende per realtà. E per questa ragione può vedere più chiaramente ed entrare più direttamente nella pura attualità della vita umana. La cosa che lo distingue dagli altri uomini, e che gli dà il chiaro vantaggio su di essi, è il fatto di possedere una comprensione molto più spirituale di ciò che è «reale» e di ciò che è «effettivo». 

- Padre Merton Thomas - 
da: "L'esperienza interiore. Note sulla contemplazione" Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, p. 212



L'uomo si serve della sua intelligenza nella maniera più completa e totale solo quando tutte le sue capacità conoscitive convergono in un intelletto illuminato, aperto e guidato dallo Spirito Santo. 
L'uomo contemplativo è colui che guarda attraverso la sua intelligenza con l'occhio luminoso dello Spirito Santo. 

 - Marko Ivan Rupnik  - 
da: "Il discernimento, Lipa 2007,p. 25




Il contemplativo non è semplicemente un uomo a cui piace starsene seduto a pensare, o tanto meno uno che se ne sta seduto con lo sguardo assente. 
La contemplazione è qualcosa di più della pensosità o della tendenza alla riflessione. Indubbiamente un'indole pensosa e riflessiva non è certo da disprezzarsi in questa nostra era di vacuità e di automatismo, e può effettivamente condurre l'uomo alla contemplazione. [...].
Il contemplativo non è isolato in se stesso, ma è liberato dal suo io esteriore ed egotistico attraverso l'umiltà e la purità di cuore - quindi non esiste più in lui un serio ostacolo all'amore semplice ed umile per gli altri uomini.

- Padre Merton Thomas - 
da: "Semi di contemplazione", B. Tasso - E. Lante Rospigliosi (Edd),  Ed. Garzanti, 1991, pp. 17; 57


Ti ringrazio per il tuo amore incondizionato, perché non mi hai dimenticato e abbandonato.
Ti ringrazio perché vegli su ogni attimo della mia vita; i momenti di gioia e di difficoltà, attraverso i quali mi conduci alla maturità e alla fede profonda.
Ti ringrazio per l’aiuto che mi dai, aiuto che conduce al bene, quando in te depongo la mia fiducia.
Ti ringrazio perché mi proteggi da ogni forza oscura e perché posso sentire la tua vicinanza e l’amore, l’aiuto e la salvezza.
Grazie per coloro che mi hai assegnato per sostenermi e assistermi attraverso le vie della vita.
Grazie per la tua bontà e la misericordia che mi accompagna ovunque mi trovi.
Grazie perché mi permetti di abbandonare i brutti pensieri e mi induci a pensare a quel che mi cura e incoraggia.
Grazie per tutti i tuoi doni, in particolare per il dono d’amore che allontana da me ogni paura.
Ti adoro, Gesù, ti onoro e ti rendo grazie, per la misericordia che hai di me in questo momento e perché io possa stare con te e rivolgerti questa preghiera. Amen.




Buona giornata a tutti. :-)

sabato 10 febbraio 2024

Ruolo profetico del contemplativo – Padre Thomas Merton

Fa parte della missione del contemplativo mantenere vivo nel mondo il senso del peccato. In questo, egli è il discendente dei profeti dell'Antico Testamento, perché questa era anche la loro missione.

Il contemplativo è uno che, come il servo di Jhwh, «conosce il patire», non solo per il suo peccato, ma per il peccato di tutto il mondo, che prende su di sé perché è un uomo tra gli uomini e non si può dissociare dalle opere degli altri uomini. La vita contemplativa del nostro tempo è quindi necessariamente modificata dai peccati della nostra epoca. Essi fanno scendere su di noi una nube di oscurità di gran lunga più terribile dell'innocente notte dell'inconoscienza.

È la notte oscura dell'anima ad essere discesa su tutto il mondo. 
La contemplazione nell'epoca di Auschwitz e Dachau, Solovky e Karaganda è qualcosa di più buio della contemplazione all'epoca dei Padri della Chiesa.

E proprio per questa ragione, l'urgenza di cercare una traccia di luce spirituale può essere una tentazione sottile di peccato. È certamente peccato se significa un rifiuto deciso del fardello della nostra epoca, una fuga nell'irrealtà e nell'illusione spirituale, fino al punto da non condividere la miseria degli altri uomini. 

 - Padre Merton Thomas - 

da: L'Esperienza interiore. Note sulla contemplazione", San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, pp. 198-199


Il contemplativo, tramite una semplice risoluzione di non uscire dalla presenza di Dio, vi si conserva incessantemente, qualunque cosa faccia e a qualunque impiego si dedichi durante il giorno, poiché egli ha contratto, con la grazia della sua attrazione e del suo esercizio continuo, un'abitudine così forte di produrre l'atto soave e amoroso della contemplazione, che egli lo produce quasi insensibilmente in mezzo alle occupazioni e alle faccende, ora più forte ora più debole, secondo il potere che ha di raccogliersi. 
- François Malaval   -  
Pratica facile per elevare l'anima alla contemplazione, Dial I 



La cecità nei confronti delle cose esteriori è un problema di interpretazione e valutazione. Il contemplativo non cessa di conoscere gli oggetti esterni. 
Ma cessa di essere guidato da essi. 
Cessa di dipendere da essi. 
Cessa di trattarli come definitivi. 
Li valuta in un modo diverso, ed essi non sono più oggetto di desiderio o di paura, ma rimangono neutri e come se fossero vuoti fin quando anch'essi non siano stati riempiti dalla luce di Dio. 

- Thomas Merton - 
da: L'Esperienza interiore. Note sulla contemplazione", San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, p. 46



Buona giornata a tutti. :-)

domenica 20 ottobre 2019

Fame di Dio – Madre Teresa di Calcutta

Il mondo intero ha fame di Dio.
Siete voi sacerdoti che dovete spegnere questa fame.
La potrete saziare con la tenerezza e l'amore di Cristo.
Date al mondo questo Gesù che infiamma i vostri cuori.
Per le strade di Calcutta abbiamo raccolto oltre quarantaseimila malati.
La metà di loro è tornata a Dio in maniera molto semplice, amati e assistiti dalle Sorelle.

Mi ricordo di un uomo che un giorno venne da noi.
Andò dritto verso il reparto delle donne senza nemmeno dirmi una parola.
Si fermò a fianco di una Sorella che si stava occupando di una donna malata, ricoperta di sporcizia e di parassiti.
Guardò le mani, il volto e gli occhi della Sorella e si rese conto che era l'amore di Dio che dava forza alla Sorella per compiere il suo lavoro.
Quindi venne verso di me e mi disse:


«Ero venuto pieno di odio, ma me ne vado con Dio presente nel più intimo del mio cuore. Ho scoperto Dio nel volto di questa Sorella che si occupa di una povera malata come se si tratti dello stesso Cristo».

Questo è il vostro compito in quanto sacerdoti.

Che ogni essere umano sia Gesù per voi e che voi, a vostra volta, siate la sua presenza.
Siate santi e insegnate a tutti a esserlo.
Insegnateci la preghiera che purifica i nostri cuori e che ci aiuta a progredire nella fede.
Ricordateci l'importanza della meditazione, fonte di amore e di servizio.
Voi, che avete consacrato le vostre vite e i vostri cuori, dovete essere poveri, casti e santi per poter dire « questo è il mio corpo » nella consacrazione e per poter dare continuamente a noi questo pane di vita che ci sostenta e che ci invita a essere santi.



- Madre Teresa di Calcutta - 




Diceva della sua opera: "Sarà grande se sarà piccola, sarà ricca se sarà povera; avrà la protezione di Dio se non cercherà quella dell'uomo". 
E aggiungeva: "Scopo del vero sacerdote è accendere un piccolo fuochetto che, se la Provvidenza lo vorrà, farà estendere il suo calore e la sua luce ovunque e comunque".

- San Giovanni Calabria -









Umiliati amorosamente avanti a Dio ed agli uomini, perchè Iddio parla a chi tiene le orecchie basse.
Sii amante del silenzio, perchè il molto parlare non è mai senza colpa.
Tieniti in ritiro per quanto ti sarà possibile, perchè nel ritiro il Signore parla liberamente all'anima e l'anima è più in grado di ascoltare la sua voce.

Diminuisci le tue visite e sopportale cristianamente quando ti vengono fatte (Epist. III, p. 432).

- Padre Pio  da Pietrelcina - 



Esercitate la carità, esercitatela con entusiasmo: non fatevi chiamare due volte, siate solleciti. Interrompete qualsiasi occupazione, anche santissima e volate in aiuto dei poveri. 

- San Giuseppe Benedetto Cottolengo -





Vicino ad un uomo che soffre ci dovrebbe essere sempre un uomo che ama.

- san Giovanni Paolo II,papa -































Buona giornata a tutti. :-)


iscriviti al mio canale YouTube!! Grazie!!



giovedì 4 aprile 2019

Se l'uomo non avesse il dolore .... difficilmente infilerebbe la strada della salvezza. - Carlo Carretto e Non abbiate paura - San Giovanni Paolo II, papa

"...Dio aveva infiniti modi di fare un mondo diverso.
Lui è Dio, è il dio dell'impossibile.
Poteva fare un mondo senza sofferenze, poteva fare un mondo non assoggettato al dolore, poteva fare suo figlio immerso nelle gioie dell'eros come in un perenne viaggio di nozze. No! Non l'ha fatto.
Gli ha lasciato un po' di eros ma gli ha chiesto di abituarsi all'agape del sacrificio.
Gli ha regalato albe stupende, ma gliele ha mescolate a notti di tragedia.
Gli ha dato salute e forza fatte apposta per soffocarlo nel momento in cui non se l'attende. Come terribile metastasi del male.
E' inutile trovare la scusa che non è Dio che vuole il male, che il dolore è colpa dell'uomo e dell'ecologia distrutta.
No,no!
Io so che Dio può tutto e, se volesse, potrebbe bloccarmi il cancro che ho addosso e mi distrugge.
Non lo fa.
A me piace la soluzione di Giacobbe: mi sembra più semplice.
E' lui che mi ha azzoppato.
Discutete pure all'infinito, come i quattro teologi accanto a Giobbe, sul perchè del dolore e del perchè Dio lasci il dolore su questa terra.
Io preferisco dire: "E' Lui".
E' Lui che mi ha distrutto i campi. E' Lui che ha permesso che i nemici uccidano i miei figli.
E' Lui che mia ha portato su questo letamaio.
Non ci sono due potenze.
Ce n'è una sola: Dio!
Lui può.
Però non interviene e lascia che io soffra, permette che la guerra venga dichiarata, non dice nulla quando quattro boss della mafia mi avvelenano una provincia, lascia che la mano crudele del soldato e del poliziotto torturi il fratello per farlo parlare.
Qui sta una parte del mistero del dolore.
Dio permette.
Dio mi ferisce.
Dio mi distrugge i raccolti.
Dio imperversa nella tempesta.
Dio mi conduce alla morte.
Ma è proprio nel ferirmi che tira fuori il meglio di me.
Se non fossi ferito, sarei insopportabile nelle mie diaboliche sicurezze.
Ferito, rimango calmo e imparo a piangere; piangendo imparo a capire gli altri, imparo la beatitudine della povertà.
E' così.
Se l'uomo non avesse il dolore, se non passasse nel limite della sofferenza, difficilmente infilerebbe la strada della salvezza.
Se in Egitto il popolo avesse avuto la libertà, Mosè non avrebbe potuto convincerlo a tentare l'avventura della liberazione.
Se nel deserto avesse trovato al posto dei serpenti, della fame e della sete, oasi incantate, non sarebbe mai giunto alla terra promessa.
Non esiste stimolo a marciare verso il nostro domani, più efficace della nostra sofferenza.
Ed è per questo che Dio colpì Giacobbe all'anca."

- Carlo Carretto -
da:  "Perché Signore? Il dolore: segreto nascosto nei secoli"



Fratelli e Sorelle!
Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la sua potestà!
Non abbiate paura!
Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!
Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati,

i sistemi economici come quelli politici,
i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo.
Non abbiate paura!
Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”.
Solo lui lo sa!
Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro,
nel profondo del suo animo, del suo cuore.
Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra.
È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione.
Permettete, quindi 
– vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – 
permettete a Cristo di parlare all’uomo.
Solo lui ha parole di vita, sì! Di vita eterna.


- san Giovanni Paolo II, papa -


Buona giornata a tutti. :-)

www.leggoerifletto.it


domenica 24 febbraio 2019

Acqua bollente


Una ragazza andò dalla madre, per lamentarsi, di come la vita fosse così dura, per lei!
Non sapeva più, come cavarsela, e aveva tanta voglia, di piantare tutto:
era stanca, di combattere, con le vicissitudini quotidiane...
Sembrava che, appena un problema era risolto, un altro ne sorgesse, a complicare le cose!
La madre la portò, in cucina...
Riempì tre tegamini di acqua, e li depose sul gas, a fuoco alto!
Presto, l'acqua cominciò a bollire...
Nel primo, mise una carota: nel secondo, un uovo, e nel terzo, una manciata di caffè macinato!
Li lasciò bollire, per un certo tempo, senza dire niente.
Dopo circa venti minuti, spense il fuoco.
Tirò fuori la carota, e la depose su un piattino: così, fece anche con l'uovo,
e versò il caffè, filtrandolo, in una tazza!
La madre le disse di avvicinarsi, e di toccare la carota: lo fece, e notò che era soffice...
Poi, la madre le disse di prendere in mano l'uovo, e di romperlo: dopo averne tolto il guscio, notò l'uovo indurito dalla bollitura!


Poi, la madre disse, alla figlia, di sorseggiare il caffè!
La ragazza cominciò a sorridere, al contatto con il ricco aroma del liquido,
che beveva...
Poi, chiese alla madre: «Che cosa significa, tutto questo?».
La madre le spiegò che ognuna, delle tre cose, aveva dovuto far fronte, alla stessa avversità: l'acqua bollente...
E ognuna di esse aveva reagito, in modo diverso!
La carota era entrata nell'acqua, forte, e dura, ma, dopo aver lottato con l'acqua bollente, si era rammollita, e indebolita...
L'uovo era entrato, fragile, nell'acqua!
Il guscio sottile proteggeva il suo interno, liquido,
ma, dopo aver lottato, con l'acqua bollente, si era indurito!
Il caffè macinato, invece, si era comportato,
in modo del tutto unico...
Dopo essere stato gettato, nell'acqua bollente, aveva agito sull'acqua, e l'aveva trasformata!
«Con quale, di questi tre, ti identifichi?», chiese la madre, alla figlia.
«Quando l'avversità bussa alla tua porta, come rispondi?
Come la carota, che molla tutto?
Come l'uovo, che indurisce, e inaridisce il cuore?
O sei come il caffè, che cambia l'acqua, con le qualità migliori, che si porta dentro?».



"La sofferenza è come lo scalpello, dello scultore: rivela, quello che c'è, in te...".



Ci sono due tipi di sofferenti a questo mondo: quelli che soffrono per una carenza di vita e quelli che soffrono per una sovrabbondanza di vita. 

- Waking Life -




 Signore Gesù, tu sei l’acqua viva
che disseta per sempre.
Tante volte abbiamo sete, ma non ci accorgiamo
che il vero nome di questa sete sei tu.
Tante volte crediamo di spegnere la sete di vita
con acqua che non disseta;
la sete di gioia con divertimenti stupidi
che ci lasciano ancora più sete.
Sveglia la nostra mente.
Aiutaci a cercare nella nostra giornata
uno spazio di preghiera con la stessa ansia
con cui si cerca l’acqua nel caldo dell’estate.
Aiutaci a gustare la preghiera,
a incontrarti nella preghiera,
e a incontrare tutte le persone che amiamo.
Insegnaci a pregare come hai insegnato agli apostoli.
Insegnaci a chiamare Dio con il nome di Padre
e a sentirlo così.
Insegnaci ad adorarti in spirito e verità,
cioè in ogni istante della nostra vita
come hai insegnato alla donna samaritana. Amen!


Buona giornata a tutti. :-)

www.leggoerifletto.it


venerdì 1 febbraio 2019

Soffriamo di Carlos Drummond de Andrade e Lottare con la sofferenza di Padre Michel Quoist

Definitivo, come tutto ciò che è semplice.
Il nostro dolore non deriva dalle cose vissute, ma dalle cose che sogniamo e che non si realizzano.
Perché soffriamo tanto per amore?
Sarebbe meglio che la gente non soffrisse, e ringraziasse anche solo per aver conosciuto una persona tanto buona, che generò in noi un sentimento intenso che ci ha accompagnato per un tempo ragionevole, un tempo felice.
Perché soffriamo?
Per tutti i baci cancellati, per l’eternità.
Soffriamo, non perché il nostro lavoro è stressante e paga poco, ma per tutte le ore libere che non abbiamo avuto per andare al cinema, per conversare con un amico, per nuotare, per innamorarci.
Perché automaticamente dimentichiamo quello che abbiamo goduto e cominciamo a soffrire per i nostri progetti irrealizzati, per tutte le città che avremmo potuto conoscere a fianco del nostro amore, per tutti i figli che avremmo avuto piacere ad avere vicino, per tutti gli show, i libri e i silenzi che avremmo gradito condividere.
Soffriamo, non perché nostra madre è impaziente con noi, ma per tutti i momenti in cui le avremmo potuto confidarle nostre più profonde angosce e fosse interessata a comprenderci.
Soffriamo, non perché la nostra squadra ha perso, ma per l’euforia soffocata.
Soffriamo non perché invecchiamo, ma perché il futuro è da noi confiscato, impedendo così che ci accadano mille avventure, tutte quelle con le quali sogniamo e mai tentiamo di sperimentare.
Come alleviare il dolore di ciò che non fu vissuto?
La risposta è semplice come un verso:

Avere meno illusioni e vivere di più!!!

Ogni giorno che vivo, mi convinco sempre più che lo spreco della vita è nell’amore che non diamo, nelle forze che non usiamo, nella prudenza egoista che non rischia mai, e che, schivando la sofferenza, fa perdere anche la felicità. Il dolore è inevitabile.
La sofferenza è un accessorio extra.

- Carlos Drummond de Andrade -


L'amore è passione, ossessione, qualcuno senza cui non vivi. Io ti dico: "Buttati a capofitto! Trovati qualcuno da amare alla follia e che ti ami alla stessa maniera!" 
Come trovarlo? Be', dimentica il cervello e ascolta il cuore. 
Io non sento il tuo cuore. Perché la verità, tesoro, è che non ha senso vivere se manca questo. 
Fare il viaggio e non innamorarsi profondamente, be', equivale a non vivere. Ma devi tentare perché se non hai tentato non hai mai vissuto.

dal film: "Vi presento Joe Black"



La redenzione non è soltanto lotta e vittoria sul peccato, lo è pure sulla sofferenza e morte che Cristo ha saputo affrontare, prendere su di sé e "dinamizzare", riversandovi il suo amore infinito. Tutto ciò che abbiamo detto sul riconoscere i propri errori e sul farne dono al Padre in Cristo salvatore, non sarebbe valido se non partecipassimo anche noi a quest’altro combattimento, che è poi il secondo aspetto dell’atto unico della nostra salvezza.

Ma prima di accogliere la sofferenza e di offrirla, il cristiano deve lottare contro di essa. È un dovere assoluto.

Altrimenti il cristiano sarebbe quel "rassegnato" che abbiamo risolutamente condannato perché è diametralmente opposto alla dignità radicale dell’uomo voluta da Dio.

Non ripeteremo mai abbastanza che la sofferenza è un male, e che bisogna fare di tutto per ridurre il suo dominio. È questo un aspetto dell’impegno dell’uomo nel creato: il corpo a corpo doloroso e tragico della creatura cosciente con il mondo e l’universo progressivamente conquistati e dominati; lotta individuale e collettiva, dall’azione diretta sulla materia bruta e sulla vita fino all’azione sul mondo e sull’umanità già trasformati.

È il lavoro umano, la tecnica, la scienza, tutte le scienze.

È l’impegno nell’organizzazione politica, economica, sociale dell’umanità.

È la presenza attiva in questo immenso "cantiere di costruzione del mondo" in cui tutti si ritrovano, in cui quelli che soffrono e muoiono sono i soldati caduti in una guerra giusta, e in cui i progressi si acquistano a prezzo d’insuccessi parziali, di ferite e di sofferenze, che consentono però la marcia in avanti di tutta l’umanità.

La sofferenza in sé è un male.

Non posso ammettere che per tentar di spiegarla, di "trovare delle scuse a Dio", si cerchi di convincersi che è un bene. Credo che sia un’imperfezione e tale rimarrà sempre. 
Nel "cielo nuovo e terra nuova", non ci saranno più sofferenza né morte. Dio "pianterà la sua tenda tra gli uomini, essi saranno il suo popolo, e Dio sarà per loro il loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dei loro occhi, e non ci sarà più né morte, né lutto, né grido di dolore, perché la condizione di prima sarà superata" (Ap 21,34).

Io non credo che Dio "mandi la sofferenza" all’uomo, "per punirlo, o "per il suo bene". 
Non riesco ad ammettere un Dio-Amore che tortura l’uomo per farlo diventare migliore. La punizione del suo peccato, è l’uomo stesso che se la assegna. Sconvolgendo il creato l’uomo infligge a se stesso e ai suoi fratelli delle pene molto pesanti. Dio non ha bisogno di aggiungerne altre.

Quando un fanciullo nella strada sfugge alla mano di suo papà, corre, cade e si fa male, il padre molto spesso lo raggiunge e lo sculaccia. 
Questo sovrappiù di sofferenza è inutile per il bambino; il suo capitombolo gli basta, è la sua punizione. Il padre si è adirato, ha perso le staffe. È un’imperfezione. 
Dio non perde le staffe verso il figlio prodigo, non lo picchia. Al contrario, invece di abbatterlo, lo aiuta a portare la sua sofferenza.

Io non riesco a capire quei cristiani prostrati che nelle loro sofferenze "benedicono la volontà di Dio". 
Non abbiamo bisogno di rassegnati ma di uomini in piedi che lottano contro la sofferenza e quando questa non vuole cedere – essa che è un male e che un male rimane – la utilizzano, grazie a Gesù Cristo e con lui, per cavarne un bene. 
Così gli scarti irrecuperabili, gettati nel fuoco diventano colore e luce.

La sofferenza è un male. Una sconfitta. È un segno che l’uomo non è ancora riuscito ad impadronirsi dell’universo ed a svilupparlo per metterlo al servizio di tutti. 
È anche il segno che l’umanità non è ancora comunità nell’amore finalmente trionfante.

Agli uomini che così spesso vengono a parlarmi delle loro sofferenze non devo in un primo tempo, col pretesto della fede, parlare di offerta. Devo prima di tutto far loro sentire il richiamo alla lotta che risuona nel cuore di ogni dolore. Poi, posso invitarli ad unirsi a Gesù Cristo per soffrire ed offrire con lui. 
Non è la sofferenza di Gesù Cristo che ha salvato il mondo, ma l’amore col quale ha portato ed offerto questa sofferenza, come non è il legno morto che illumina e riscalda, ma il fuoco che consuma il legno. 
Solo l’amore genera la vita.

- Padre Michel Quoist - 

Fonte: da L’Ancora 11/2002

Buona giornata a tutti. :-)



mercoledì 30 agosto 2017

Da: “L’ultima Beatitudine” La morte come pienezza di vita - Padre Alberto Maggi (2)

(…) Attualmente, dunque, non si muore più in mezzo ai propri cari, ma perlopiù da soli, intubati, legati a macchinari che tentano di supplire alle funzioni vitali alimentando, ventilando, iniettando, aspirando un corpo che senza quegli strumenti avrebbe smesso di esistere già da un pezzo. 
A forza di dire che è sacra la vita, ci si dimentica della sacralità dell’uomo, della sua dignità. 
Se a essere sacra è la vita, questa va prolungata il più possibile, con ogni tecnica immaginabile, anche se ciò diventa una vera e propria tortura, un’atroce lunga agonia. 
Se è sacro l’uomo, costui ha il diritto di vedere rispettata la sua dignità e il suo voler e poter morire: «La dignità della morte, quindi, può configurarsi, oggi, come vero e proprio diritto umano […]. 
In molti casi non sarebbe forse un’inutile tortura imporre la rianimazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile? 
In quel caso, il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di voler prolungare il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va naturalmente verso il suo epilogo»..
Così si muore in ospedale, o negli hospice, sia perché si spera fino all’ultimo di avere la possibilità di una cura che garantisca la sopravvivenza per il malato, o che ne ritardi il più possibile la fine, sia perché non si è più capaci di gestire l’evento del morire, o anche perché si vuole avere la coscienza a posto, sapendo che si è fatto tutto il possibile, che è molte volte tutto il possibile per chi decide il ricovero, e non per chi lo subisce. 
«L’ho fatto per il tuo bene» è l’alibi dietro il quale spesso si cerca di nascondere che, in realtà, quel che è stato deciso per il malato è stato fatto solo per il proprio bene, perché incapaci di gestire la situazione troppo gravosa e impegnativa: «Il “possibile” consiste a volte nel non far nulla o, quantomeno, nel sospendere quei presidi che si rivelano inutili o dannosi. Allo stato attuale, la richiesta dei familiari è sicuramente la prima e più importante causa di accanimento terapeutico». 
Quando il morente viene consegnato all’ospedale, è affidato a tecnici del morire e della morte, che sanno come e cosa fare professionalmente del cadavere al momento del trapasso.
In famiglia no. Non si è più abituati e organizzati a questo evento, e ci si trova impreparati, perché ne manca l’esperienza che veniva acquisita fin da piccoli quando in casa avveniva un decesso, e tutti i familiari avevano un compito ben preciso: subito si chiudeva la bocca del defunto con un fazzoletto annodandoglielo alla testa, si lavava e si ricomponeva la salma, la si vestiva, si procuravano candele e fiori, e si allestiva la «camera ardente», dove il defunto e i suoi familiari avrebbero ricevuto la visita di parenti, amici e conoscenti, venuti per esprimere le loro condoglianze. 
Il morire e la morte oggi paventano e imbarazzano, non si sa più come gestire questi momenti, e allora è preferibile delegare tutto al personale infermieristico o alle imprese di onoranze funebri, esperte nel trattare professionalmente (e lucrosamente) il caro estinto.



- Padre Alberto Maggi -
Da: “L’ultima Beatitudine” La morte come pienezza di vita, Garzanti editore




..... Ho già detto del prete che mi portava la comunione che ho rifiutato. Mi mandano un altro, una persona molto pia, molto buona ma per darmela mi sottoponeva al rituale, quello del “Confesso a Dio Padre Onnipotente” e dovevo dire “per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa.” 
Poco convinto il primo giorno tossicchiando, perché c’avevo tanta tosse, l’ho detto; il secondo giorno di nuovo prima di darmi la comunione dovevo dire “per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa.” 
Allora sono sbottato e ho detto “E che cavolo di grandissima colpa posso avere fatto in un giorno? 
Eh sto qui, buono, mi sbucazzano da tutte le parti, non dico una parola, che grandissima colpa?” e anche questo mi ha aiutato a riflettere come la liturgia, certe preghiere hanno inculcato il senso di colpa nelle persone. 
Sono queste persone che, convinte, dicono “mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa...” che razza di colpa? 
Ed è un qualcosa che una struttura di potere ha usato per dominare, per inculcare il senso di colpa nelle persone. 
E allora anche questo prete non l’ho voluto più, quindi ho rifiutato già due preti e dopo c’è stato il carissimo Panfilo, amico del Centro, che mi portava lui la comunione, leggevamo una frase del Vangelo, una preghiera, il Padre Nostro ed era fatto....

- Padre Alberto Maggi OSM - 
Assisi 31 agosto 2012


Buona giornata a tutti. :-)