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domenica 10 novembre 2024

Un Tempo per te - don Franco Locci

  Non ho mai tempo: sempre di corsa. Con tutte le cose che ho da fare!
Tremendo nel suo sarcasmo questo epitaffio:

"Non aveva tempo di buttare giù una riga.
Non aveva tempo di andare a trovare un vecchio.
Non aveva tempo di cantare una canzone.
Non aveva tempo di raddrizzare un torto.
Non aveva tempo di amare e di donare.
Non aveva tempo di vivere per davvero.
D'ora in poi avrà tempo a non finire.
Oggi è morto il mio amico "sempre occupato".

E allora per non correre il rischio di morire senza aver vissuto, fermati, trova un po' di tempo! 
Se ti rimangono "cinque minuti", sai che cosa devi farne? 
Usali per te, per riflettere ci vuole un po' di silenzio, un po' di raccoglimento. Diceva Madeleine Delbrel a proposito di raccoglimento:
"Bisogna ‘raccogliere’ le tracce, gli indizi, gli inviti, gli ordini della volontà di Dio", così come il contadino raccoglie il suo raccolto nel granaio o il saggio raccoglie il frutto di un'esperienza. 
E raccogliersi o raccogliere non è possibile senza silenzio. 
Stacca dunque la radio dei bombardamenti esterni, la televisione delle immagini aggressive e dissipanti. 
Chiudi per un momento i giornali. 
Sfuggi alla stretta della società dei consumi. 
Costruisciti il silenzio. 
Impara di nuovo ad ascoltare il battito del tuo cuore per renderti conto se sei ancora vivo o sei già morto, sepolto nella materia, schiavo della moda o dei soldi. 
Entra in te stesso per chiederti per che cosa e per chi stai correndo i giorni della tua vita. 
Entra in te per scoprire l'immensità dei valori e dei doni che sono sepolti nel tuo cuore. 
Entra in te stesso per scoprire gli altri con cui vivi. 
Essi non sono numeri, non sono solo avversari, sono persone come te, anche loro alla ricerca disperata di un po' di gioia.

- don Franco Locci - 




Com’è morire?
«Uno svuotamento. Si comincia svuotandosi. Ma, si potrebbe chiedere, che cos’è o dov’è il vuoto? 
Il vuoto è nella perdita. 
E che cosa si perde? Io non ho “perso” nel senso comune di “perdere”. 
Non c’è perdita in quel senso. C’è la fine dell’ambizione. La fine di ciò che si chiede a se stessi. 
E’ molto importante. Non si chiede più niente a se stessi. 
Si comincia a svuotarsi degli obblighi e dei vincoli, delle necessità che si pensavano importanti. E quando queste cose cominciano a sparire, resta un’enorme quantità di tempo. E poi scivola via anche il tempo. E si vive senza tempo. Che ore sono? Le nove e mezza. Di mattina o di sera? Non lo so».

- James Hillman -  nell’ultima intervista rilasciata a Silvia Ronchey e pubblicata su La Stampa il 29 Ottobre 2011


Questa è infatti la volontà del Padre mio: che chi vede il Figlio e crede in lui abbia vita eterna, e io lo risusciterò nell’ultimo giorno." (Gv 6,40)
La volontà di Dio, come appare nel vangelo è una e positiva: che l’uomo si realizzi pienamente sviluppando al massimo la sua umanità per avere la condizione divina che consente di superare la soglia della morte.
Giovanni omette l’articolo a vita eterna. 

Quel che Gesù assicura non è LA vita eterna, ovvero una vita che inizia dopo questa esistenza, ma è questa stessa vita che è eterna.

- Padre Alberto Maggi - 



Possiamo senz'altro immaginare la Chiesa come una vasta impresa di trasporto, di trasporto in paradiso; perché no? 
Ebbene, mi chiedo: che cosa diventeremmo noi senza i Santi che organizzano il traffico? 
Certo, da duemila anni questa compagnia di trasporto ha avuto non poche catastrofi: l'arianesimo, il nestorianesimo, il pelagianesimo, il grande scisma d'Oriente, Lutero..., per ricordare solo i deragliamenti e gli scontri più noti.
Ma senza i Santi, ve lo dico io, la cristianità sarebbe un gigantesco ammasso di locomotive capovolte, di carrozze incendiate, di rotaie contorte e di ferraglia che finisce di arrugginirsi sotto la pioggia. 

Nessun treno circolerebbe più sulla strada ferrata invasa dall'erba.

- Georges Bernanos -
da: I santi nostri amici, 1947



Sant’Agostino riferisce che la sua mamma Monica, prima di morire, gli aveva raccomandato: “Seppellite pure questo mio corpo dove volete, senza darvi pena. Di una sola cosa vi prego: ricordatevi di me, dovunque siate, dinanzi all’altare del Signore” 

(Confessioni 9, 11,27)


Buona giornata a tutti. :-)


lunedì 27 maggio 2024

I pericoli del potere - Padre Alberto Maggi

Gesù mette in guardia la sua comunità e i suoi discepoli dal potere. 
Chi vive sotto la sfera del potere, sia perché lo detiene, sia perché vi aspira, o, peggio ancora, perché vi è sottomesso, è refrattario all’azione del Signore.
a) Chi detiene il potere vede con fastidio un messaggio di un Signore che si mette a servizio degli altri.
b) Chi aspira al potere vede come una minaccia il messaggio di Gesù che invita a farsi servo, volontariamente, per amore degli altri.
c) La terza categoria è la più tragica. I sottomessi al potere vedono nel messaggio di Gesù un attentato, una minaccia alla propria sicurezza, perché il potere religioso toglie la libertà, ma rende veramente sicuri. 
Dal momento che appartieni ad una organizzazione religiosa tu non devi più pensare con la testa, devi soltanto eseguire quello che gli altri ti dicono, cioè diventare un perfetto killer, un perfetto criminale.
Nella storia dell’umanità le persone che hanno compiuto i crimini più gravi sono state persone obbedienti. 
Non c’è nulla di più pericoloso di una persona obbediente, perché chi obbedisce non ragiona con la propria coscienza, ma esegue il mandato di una persona che ritiene superiore. I grandi criminali dell’umanità, una volta accusati, si sono difesi dicendo che hanno eseguito gli ordini. 
Non c’è nulla di più criminale di eseguire gli ordini e non c’è nulla di più pericoloso di una persona obbediente perché non ragiona con la propria coscienza. 
Ma questo è il fascino della religione: ti toglie la libertà, ma ti dà la piena sicurezza.
Gesù dice “Attenti a questo lievito!”. 
Il potere, sia civile che religioso, domina ed è sempre perverso, qualunque sia la motivazione che si porta per ottenerlo o per esercitarlo.

- Padre Alberto Maggi - 



«Ci sono definizioni diverse per il processo con il quale un individuo si confonde nella massa o accetta di consegnarle parti di sé. E siccome noi siamo uomini di letteratura, ne sceglierò una conforme ai nostri interessi. 
Ho l'impressione che ci trasformiamo in massa nel momento in cui rinunciamo a pensare, a elaborare le cose secondo un nostro lessico, e accettiamo automaticamente e senza critiche espressioni terminologiche e un linguaggio dettatoci da altri. 
Io mi trasformo in massa quando cesso di formulare con le mie parole compromessi e scelte morali che sono disposto a compiere.»

- David Grossman - 
da: Raccontare una storia per salvare gli uomini, traduzione di Alessandra Shomroni, la Repubblica, 5 settembre 2007


Karl Popper

Abbiamo bisogno della libertà per impedire che lo Stato abusi del suo potere e abbiamo bisogno dello Stato per impedire l'abuso della libertà." 

- Karl Popper -
 filosofo austriaco morto il 17 settembre 1994




"Ma prima o poi ci sarà una nuova generazione di giovani che svegliandosi dal torpore, nel quale il potere li ha intrappolati, rovisteranno nelle soffitte impolverate dei loro genitori e troveranno uno zaino e un sacco a pelo e a questo punto andranno “lungo la strada” a riprendere il cammino interrotto."

- Jack Kerouac - 




Buona giornata a tutti. :-)

giovedì 31 dicembre 2020

Ringraziamento fine anno - Don Tonino Bello

Eccoci, Signore, davanti a te
dopo aver tanto camminato lungo quest'anno.
Forse mai, come in questo crepuscolo dell'anno,
sentiamo nostre le parole di Pietro:
«Abbiamo faticato tutta la notte,
e non abbiamo preso nulla».
Ad ogni modo, vogliamo ringraziarti ugualmente.
Perché, facendoci contemplare la povertà del raccolto,
ci aiuti a capire che senza di te non possiamo far nulla.
Ci agitiamo soltanto.
Grazie, Signore, perché
se ci fai sperimentare la povertà della mietitura
e ci fai vivere con dolore il tempo delle vacche magre,
tu dimostri di volerci veramente bene,
poiché ci distogli dalle nostre presunzioni
corrose dal tarlo dell'efficientismo,
raffreni i nostri desideri di onnipotenza,
e non ci esponi al ridicolo di fronte alla storia:
anzi di fronte alla cronaca.


- Don Tonino Bello - 
Parole d'amore, ed. La Meridiana




"Non ricordate più le cose passate,
non pensate più alle cose antiche!
Ecco, faccio una cosa nuova:

proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?"


(Isaia 43, 18-19)



Le cose vecchie e la creatura nuova 

“Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove” (2 Cor 5,17).


Le vecchie cose sono i criteri, i pensieri, le dottrine che regolavano il mondo. Ormai questi sono morti, e sono stati sostituiti dalle cose nuove, da modelli di pensiero e di vita che hanno quale punto dinamico di partenza il Cristo, il Dio che in Gesù è diventato uomo: l’umanità del Cristo è la stella polare che deve orientare l’esistenza del credente, conducendolo verso la creazione di un mondo progressivamente sempre più umano, dove la dignità, la libertà, la diversità di ogni creatura siano sacre e inviolabili.

Per cogliere questa novità Paolo invita i credenti a “rinnovarvi nello spirito della vostra mente e a rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità” (Ef 4,23-24)

 - padre Alberto Maggi - 


Vi auguro sogni
a non finire,
la voglia furiosa
di realizzarne qualcuno,
vi auguro di amare
ciò che si deve amare
e di dimenticare
ciò che si deve dimenticare,
vi auguro passioni,
vi auguro silenzi,
vi auguro il canto degli uccelli
al risveglio
e risate di bambini,
vi auguro di resistere
all’affondamento,
all’indifferenza,
alle virtù negative
della nostra epoca.
Vi auguro soprattutto
di essere voi stessi.

- Jacques Brel -



Preghiera per il nuovo anno

Un nuovo anno comincia 
e invano scruto l'orizzonte
per scorgere in anticipo quello che accadrà.
Davanti al tempo, Signore, 
lo devo ammettere,
avverto tutta la mia fragilità 
e il mio smarrimento.
Non posso sapere con certezza 
quello che accadrà di qui a poche ore
e come posso prevedere ciò che mi riserverà 
questa nuova carovana di giorni?
Non riesco neppure a intravedere le sorprese 
che mi attendono dietro l'angolo
e come posso riconoscere ciò che sta nel cuore di questi mesi?
E tuttavia, Signore, anche se televisioni e giornali
continuano a rovesciare su di me la loro valanga di sciagure,
di notizie sconfortanti, di previsioni nere,
io non voglio lasciarmi vincere dall'ansia
o dallo scoraggiamento dal pessimismo o dalla tensione.
No, Signore, vado incontro a questo nuovo anno 
con fiducia e con speranza.
E sai perché? Qualunque cosa accada, 
ne sono certo, tu sarai con me.



L'augurio per  un anno di serenità ....  per ognuno di voi !  :-)




Carissimi amici ed amiche, 
è stato un anno difficile, questa pandemia ci ha creato un sacco di squilibri fisici e mentali e per molti di noi anche economici.

Dopo un anno di cammino, ci voltiamo indietro e guardiamo le orme dei nostri passi. 
Non cancelliamo il percorso fatto, ma lo rileggiamo con il senno di poi.

Guardiamo in faccia i successi e gli errori e troviamo il coraggio di chiamarli con il loro nome. 
Senza presunzione e senza falsa umiltà.
Quindi si può ripartire.

Con un cuore meno vecchio.
Con un'anima più trasparente. 
Sbaglieremo ancora.
Ancora usciremo di strada. 

Ancora ripartiremo.

Chi ha accettato nella propria vita il dono della fede percorrerà il proprio cammino con la speranza che c'è una meta: un Dio di misericordia - Padre, Figlio e Spirito Santo - che ancora si ostina ad amarci. 

Vivere in questa speranza, sapere che la pandemia passerà, vedete quanto poco ne ho parlato durante l'anno!  E' il miglior augurio che io possa formulare per il nuovo anno.

Buon anno a tutti! 
Quanto amore!!!
Stefania


mercoledì 16 settembre 2020

Il mestiere di Dio è perdonare - Padre Anthony de Mello

I cattolici sono soliti andare dal prete a confessare i loro peccati e ricevere da lui l'assoluzione in segno di perdono da parte di Dio. 
C'è però spesso il rischio che i penitenti si servano di tutto ciò come di una garanzia, un certificato che li protegga dal castigo divino e pongano così maggiore fiducia nell' assoluzione del sacerdote che non nella misericordia di Dio. 
È proprio quello che fu tentato di fare in punto di morte il Perugino, un pittore italiano del Rinascimento, il quale decise di non confessarsi finché non fosse stato sicuro che non era la paura a spingerlo a farlo. Per lui sarebbe stato un sacrilegio e un'offesa a Dio. 
Un giorno la moglie, che era all'oscuro di questo suo atteggiamento interiore, gli domandò se non avesse timore di morire senza essersi confessato. Il Perugino replicò: "Mia cara, ecco come io vedo la cosa: il mio mestiere è dipingere e sono stato un ottimo pittore. Quello di Dio è perdonare e se lui sa fare il suo lavoro come io ho saputo fare il mio, non vedo perché dovrei avere paura".

- Padre Anthony de Mello -
Tratto da “La preghiera della rana. Saggezza popolare dell’oriente” Ed. Paoline 1988



La paura di Dio   

La prima lettera di San Giovanni dice “dove c’è il timore non c’è l’amore”; Gesù non ci ha insegnato a temere Dio, questa è la religione, la religione deve mettere paura, perché la religione ha un lato incredibilmente debole: sa che non è capace di convincere la profondità dell’uomo, sa che i suoi argomenti sono insensati, sono irrazionali, allora la religione li può soltanto imporre con la paura della conseguenza tremenda che c’è a chi sgarra, quindi la religione sapendo la debolezza dei suoi argomenti, li impone con il terrore, deve terrorizzare le persone.
È veramente drammatico vedere quante persone hanno vissuto la loro esistenza nel terrore di Dio!
Ricordate, almeno quelli di una volta, il giudizio di Dio! 

Quando dicevano che alla resurrezione dei morti sulla fronte avremmo scritto tutto quello che avevamo fatto; tutti quanti a resuscitare e c’era così questo giudizio di Dio che scriveva le azioni buone, quelle cattive, e poi faceva il conto e quindi spediva …   
Ricordate l’immagine dell’inferno? Cos’era? 
Pensate che contraddizione: un Dio che veniva presentato come colui che chiede a noi, uomini, limitati, deboli, fragili di perdonare sempre, che se la legava al dito per un semplice peccato! 
Non per dieci anni, cento, un milione, un miliardo... no per tutta l’eternità! 
E questo era terrorismo. Ci sono persone che non si sono realizzate nella loro esistenza per il terrore di fare uno sbaglio agli occhi di Dio.(..)

- Alberto Maggi -
frate e biblista
http://www.studibiblici.it/


Buona giornata a tutti :-)






lunedì 29 luglio 2019

da: "L'ultima beatitudine, la morte come pienezza di vita" - Padre Alberto Maggi

Introduzione:
La morte di una persona cara è un dramma che segna per sempre l’esistenza degli individui, sia per quelli che pensano che la morte sia la fine di tutto, sia per quanti credono nella risurrezione o in altre forme di sopravvivenza. Ma la sofferenza per la perdita della persona amata è paradossalmente più dolorosa proprio per i credenti, a causa delle confuse o errate idee religiose che accompagnano la morte, e degli intenti consolatori di parenti, amici e conoscenti, specialmente se questi sono persone religiose.
Nell’istante del lutto sono molti gli interrogativi riguardo a tutto quel che circonda la morte (Perché proprio a lui o lei? Perché ora? Perché così giovane e così buono?). Ma, soprattutto, è inquietante l’interrogativo: dove è ora il defunto? Com’è? Che cos’è? Che cosa fa? È sufficiente la tradizionale risposta che i nostri cari, nella migliore delle ipotesi, sono in Cielo e contemplano beati il Signore per tutta l’eternità? Che godono della Requiem aeternam in una sorta di Casa di Riposo celeste?
Il momento del lutto non è tempo di parole ma di silenzio, di presenza che supplisca l’assenza, di forza che si faccia carico della debolezza.
Quale parola potrà infatti mai confortare la persona afflitta dalla perdita di un proprio caro? Ogni parola e ogni frase, anche se formulate con le migliori intenzioni, saranno inadeguate e inopportune, come denuncia Giobbe agli amici venuti a consolarlo: «Ne ho udite già molte di cose simili! Siete tutti consolatori molesti. Non avranno termine le parole campate in aria? O che cosa ti spinge a rispondere? Anch’io sarei capace di parlare come voi, se voi foste al mio posto: comporrei con eleganza parole contro di voi e scuoterei il mio capo su di voi. Vi potrei incoraggiare con la bocca e il movimento delle mie labbra potrebbe darvi sollievo» (Gb 16,2-5).
Nel tempo del lutto c’è solo da com-piangere, piangere con chi piange («Piangete con quelli che sono nel pianto», Rm 12,11), circondare le persone di caldo affetto e tanto amore. A chi è affranto per la morte che l’ha colpito nei suoi affetti più cari non servono parole, ma occorre fargli sperimentare la forza della vita. Poi, dopo qualche tempo, può venire il momento del dialogo, per cercare di dare un significato a quel che sembra insensato, come appunto è la morte, per tentare di capire che quel che appare come un annichilimento in realtà è un potenziamento della persona. Ma ci vuole tempo, pazienza, discrezione e tanta delicatezza. Un approccio maldestro, seppure animato da buoni propositi, può causare danni devastanti e spesso irreparabili.
Quel che occorre fare subito, al momento del lutto, è evitare accuratamente le persone pie, devote, bigotte, quelle che su tutto pontificano con frasi preconfezionate, sentenze, certezze che non attingono dalla loro esperienza ma dalla dottrina.
Sono quelle che alla persona distrutta dal dolore sentenziano: «Il Signore l’ha chiamato», «L’ha preso» e, se il morto era conosciuto per la sua bontà, affermano sicure, accompagnando la frase con un rassegnato sospiro: «Eh, sono sempre i migliori che se ne vanno!» oppure, con aria quasi soddisfatta: «I più buoni il Signore li vuole con sé», o in alternativa: «Era già maturo per il paradiso».
Nel caso il defunto sia molto giovane, questi becchini del dolore affermano impudentemente che «I fiori più belli il Signore li vuole con sé…».
Se poi è un bambino in tenera età, consolano i genitori dicendo che il loro bimbo «È un angioletto in paradiso…».
Queste espressioni consolatorie precedono il cristianesimo e sono note fin dall’antichità.
È di Menandro, famoso commediografo greco vissuto tre secoli prima di Cristo, la celebre frase «Muore giovane colui che gli dèi amano» (frammento 111 K.-Th), ripresa da Giacomo Leopardi, come epigrafe per il suo Amore e morte (XXVII): «Muore giovane colui ch’al cielo è caro».
Nel Libro della Sapienza, la morte del giovane viene giustificata così: «Il giusto, anche se muore prematuramente, si troverà in un luogo di riposo […]. Divenuto caro a Dio, fu amato da lui e, poiché viveva fra peccatori, fu portato altrove. Fu rapito, perché la malvagità non alterasse la sua intelligenza o l’inganno non seducesse la sua anima […]. Giunto in breve alla perfezione, ha conseguito la pienezza di tutta una vita» (Sap 4,7.10-11.13).
A chi non accetta e non si rassegna a questo lutto, e protesta, dicendo che l’angioletto se lo sarebbero tenuto ben volentieri nella loro famiglia, ecco tutto un fuoco di sbarramento a forza di «Accetta la croce che Dio ti ha mandato», «È la volontà del Signore», «È il Signore che pota», «Il Signore ha dato, il Signore ha tolto», «La felicità non è di questo mondo», con tutto l’inesauribile repertorio dell’infinito stupidario religioso del quale si alimentano insaziabili i pii devoti, più beoti che beati.
Frasi che non solo non consolano, ma gettano nel più profondo sconforto quanti sono nel lutto e nel pianto, facendo nascere un sordo rancore verso questo Dio spietato che toglie, coglie, manda croci, pota vite e persone, e la cui volontà coincide sempre con la sofferenza degli uomini e mai, neanche una sola volta, con la loro felicità.

 - Padre Alberto Maggi -
frate dell’Ordine dei Servi di Maria 
Da: “L’ultima Beatitudine” La morte come pienezza di vita, Garzanti editore





Riappropriarsi della morte Per vivere serenamente la pur dolorosa esperienza della morte, è importante per prima cosa riappropriarsi del morire, il momento decisivo nella vita dell’individuo ma dal quale si è stati a poco a poco espropriati. Verso gli anni Trenta del secolo scorso, è iniziato il gran mutamento nel concetto del morire e della morte, che è coinciso con lo spostamento del luogo dove si muore. Il progresso in campo medico e il rinnovo delle strutture ospedaliere, che da precari ricoveri assumevano via via sempre più l’aspetto di cliniche ben organizzate, hanno fatto sì che il morire non avvenga più in casa, tra i propri familiari. Il decesso avviene quasi sempre in ospedale, tra medici e infermieri, lasciando così il morente da solo nella tappa fondamentale e più delicata di tutta la sua esistenza. 
Proprio nel momento nel quale è importante più che mai essere accompagnati, ci si sente abbandonati. 
Nelle foto e nei dipinti dei secoli passati, la stanza del morente era sempre affollata di persone, dal prete ai familiari, parenti, amici, bambini compresi, che oggi vengono invece comunemente allontanati per non impressionarli con la vista del cadavere, salvo poi lasciarli da soli per ore davanti al televisore a impressionarsi di video truci dove ogni istante qualcuno muore nei modi più violenti. 
L’iconografia dell’Ars moriendi, l’arte del morire, del XV e XVI secolo, presenta infatti il momento del decesso come una vera e propria cerimonia pubblica. Il morente, che è del tutto conscio della sua fine imminente, attorniato da familiari e amici, dal prete che gli ha amministrato l’estrema unzione, vi partecipa, lasciando non solo l’ultima immagine di sé, ma anche le sue ultime volontà, che saranno custodite come preziose reliquie dai familiari.
  
- Padre Alberto Maggi -

frate dell’Ordine dei Servi di Maria 
Da: “L’ultima Beatitudine” La morte come pienezza di vita, Garzanti editore


Buona giornata a tutti. :-)