Visualizzazione post con etichetta miracolo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta miracolo. Mostra tutti i post

lunedì 18 marzo 2024

Il Cieco di Gerusalemme – don Nardo Masetti

 È disperato. Ha perduto la vista all'improvviso e a nulla sono valse le cure dei medici. Ora non ha più denaro; tutti lo hanno abbandonato. 
È ormai deciso: prima o poi la farà finita con una vita tanto misera. 
Un giorno sente parlare di un certo Gesù che guarisce tutti, che a Gerico ha persino ridato la vista a un cieco nato, che non chiede nessun compenso per le sue prestazioni: anzi, assieme alla salute del corpo, ridona la gioia di vivere. Si trascina giorno dopo giorno, Dio solo sa come, fino a Gerusalemme, poiché gli hanno detto che lui è là. Ora si aggira per le viuzze della città santa, mentre il sole è al tramonto. In Gerusalemme regna un silenzio profondo, troppo profondo, perché si azzardi a gridare quel nome nel quale ha riposto ogni sua speranza. Si accovaccia per terra e attende il mattino.
Si sveglia mentre attorno lui c'è già il brusio, che caratterizza l'inizio di giornata in una grande città. Raccoglie le idee, si alza in piedi e, porgendo le mani ai passanti, come se volesse chiedere l'elemosina, cerca di fermare qualcuno. Una donna ascolta la sua domanda e gli risponde: "Gesù non lo potrai più incontrare, il Sinedrio lo ha condannato; lo hanno crocifisso una decina di giorni fa. 
Il cieco si sente perduto. Poi gli balena un'idea improvvisa e supplica la donna: "Ti prego portami al Tempio o da uno dei componenti il Sinedrio". 
Ella lo accompagna e lo presenta a uno dei sacerdoti che incontrano nell'atrio della casa del Signore. Questi conferma al povero uomo la notizia che già sapeva: Gesù è stato condannato e ucciso. 
Il cieco implora: "Guariscimi tu dalla mia cecità, o fammi guarire da uno dei membri del Sinedrio, o da Ponzio Pilato!". 
Il sacerdote, sbalordito, a fatica riesce a fargli comprendere come lui non ha il potere di fare miracoli e come non possa pretenderlo dal Sinedrio e tanto meno dal Procuratore romano... Si fa un silenzio assoluto da parte della folla, che nel frattempo si era radunata, e tutti volgono uno sguardo interrogativo al sacerdote che, triste e vergognoso, guadagna frettolosamente l'interno del sontuoso edificio di culto. Il cieco continua ad interrogare la folla: - Era tanto buono, ma perché l'hanno ucciso?! -

Il cieco è seduto sul muricciolo che delimita la spianata del Tempio, con lo sguardo vuoto puntato alla pianura che non vede, ma che intuisce sotto di sé. È venuto il momento di portare a compimento il suo progetto: basta una salto oltre la balconata e tutto è fatto. All'improvviso sente un tocco sulla spalla; non vi fa caso. Poi sente insistente una voce che gli suggerisse di guardare la valle meravigliosa, il colle di ulivi, il sole che splende alto e illumina tutto di colori sgargianti. 
Un grido gli rimane strozzato in gola: sì, vede tutte quelle cose come un tempo. Vede tutto fuorché "Colui" che lo ha toccato: è scomparso. 
Entra nel Tempio e si mette a riflettere: allora è vero quello che molti vanno dicendo, cioè che Gesù è risorto e sta apparendo qua e là ai suoi discepoli; ed è apparso pure a lui. Una gioia sovrumana invade il suo essere; una sola nube l'offusca: non è riuscito a ringraziare il Signore. Ma subito si rasserena. Quell'"Uomo" lo avrebbe rivisto a suo tempo, e per ringraziarlo dell'immenso dono avrebbe avuto a disposizione tutta l'eternità.

- don Nardo Masetti - 


Si è prodotto così un tragico paradosso: che a predominare nel cattolicesimo ha preso a essere lo spirito degli scribi e dei farisei contro il quale Gesù aveva lottato fino a perdere la vita. 
I colpevoli della morte di Gesù infatti non furono “gli ebrei”, e neppure “i romani”, come si ripete fermandosi al semplice livello della storiografia senza cogliere le profonde e permanenti dinamiche dell’evento; il vero colpevole della sua morte fu il potere, in primo luogo quello religioso, ovviamente alleato a quello politico perché non esiste potere che non ami il riconoscimento e l’alleanza con altri poteri a sé analoghi su piani diversi dell’esistenza. 
Il paradosso che stringe come una tenaglia la coscienza cattolica è dato quindi 
dal fatto che l’istituzione per merito della quale continua a risuonare oggi nel mondo il messaggio di liberazione di Gesù è governata al suo vertice da una logica che riproduce il potere contro cui Gesù lottò e da cui venne ucciso. 
Questa è la tragica condizione dell’essere cattolici. Non esiste luogo dove maggiormente risuoni la logica del bene e dell’amore, ma al contempo non esiste luogo dove maggiore è la supremazia della fredda ragione di Stato, per cui solo se uno accetta di piegare l’intelletto all’autorità è un cattolico, se no, no, perché ben più della vita concreta e dei suoi frutti conta la professione esteriore di obbedienza. Anche così si spiega il paradosso di tanti santi perseguitati in vita dall’istituzione ecclesiastica (tra cui Giovanni della Croce, Antonio Rosmini, padre Pio), e viceversa di tanti carrieristi privi di ogni valore spirituale giunti a ricoprire cariche importanti ai vertici della Chiesa nel passato e nel presente.
  
- Vito Mancuso -
da: Obbedienza e libertà



“Vi stia sempre fissa nella mente la grande sentenza del martire San Cipriano: non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per Madre. 
E madre nostra è veramente la Chiesa; non è una frase oratoria questa è una dottrina strettamente dogmatica”.
 
- Beato Giovanni Battista Scalabrini -
Omelia di Ognissanti 1897



Preghiera ai Santi del Paradiso

O spiriti celesti e voi tutti Santi del Paradiso,
volgete pietosi lo sguardo sopra di noi,
ancora peregrinanti in questa valle di dolore e di miserie.
Voi godete ora la gloria che vi siete meritata 
seminando nelle lacrime in questa terra di esilio.
Dio è adesso il premio delle vostre fatiche,
il principio, l'oggetto e il fine dei vostri godimenti.

O anime beate, intercedete per noi!

Ottenete a noi tutti di seguire fedelmente le vostre orme,
di seguire i vostri esempi di zelo 
e di amore ardente a Gesù e alle anime,
di ricopiare in noi le virtù vostre,
affinché diveniamo un giorno 
partecipi della gloria immortale. Amen.



Buona giornata a tutti :-)


seguimi sulla mia pagina YouTube

sabato 12 agosto 2023

Santa Chiara scaccia i saraceni - Tommaso da Celano

In quel periodo travagliato che la Chiesa attraversò in diverse parti del mondo sotto l'impero di Federico, la valle Spoletana beveva più spesso delle altre il calice dell'ira. 
Erano stanziate lì, per ordine imperiale, schiere di soldati e nugoli di arcieri saraceni, fitti come api, per devastare gli accampamenti, per espugnare le città. E una volta, durante un assalto nemico contro Assisi, città particolare del Signore, e mentre ormai l'esercito si avvicina alle sue porte, i Saraceni, gente della peggiore specie, assetata di sangue cristiano e capace di ogni più inumana scelleratezza, irruppero nelle adiacenze di San Damiano, entro i confini del monastero, anzi fin dentro al chiostro stesso delle vergini.
Si smarriscono per il terrore i cuori delle Donne, le voci si fanno tremanti per la paura e recano alla Madre i loro pianti. 

Ella, con impavido cuore, comanda che la conducano, malata com'è, alla porta e che la pongano di fronte ai nemici, preceduta dalla cassetta d'argento racchiusa nell'avorio, nella quale era custodito con somma devozione il Corpo del Santo dei Santi.
E tutta prostrata in preghiera al Signore, nelle lacrime parlò al suo Cristo: «Ecco, o mio Signore, vuoi tu forse consegnare nelle mani di pagani le inermi tue serve, che ho allevato per il tuo amore? Proteggi, Signore, ti prego, queste tue serve, che io ora, da me sola, non posso salvare». Subito una voce, come di bimbo, risuonò alle sue orecchie dalla nuova arca di grazia: «Io vi custodirò sempre!». «Mio Signore - aggiunse - proteggi anche, se ti piace, questa città, che per tuo amore ci sostenta». E Cristo a lei: «Avrà da sostenere travagli, ma sarà difesa dalla mia protezione».
Allora la vergine, sollevando il volto bagnato di lacrime, conforta le sorelle in pianto: «Vi do garanzia, figlie, che nulla soffrirete di male; soltanto abbiate fede in Cristo!».
Né vi fu ritardo: subito l'audacia di quei cani, rintuzzata, è presa da spavento; e abbandonando in tutta fretta quei muri che avevano scalato, furono sgominati dalla forza di colei che pregava.
E subito Chiara ammonisce quelle che avevano udito la voce di cui sopra ho parlato, dicendo loro severamente: «Guardatevi bene, in tutti i modi, dal manifestare a qualcuno quella voce finché io sono in vita, figlie carissime».”

- Tommaso da Celano - 
da Vita di Santa Chiara  (Legenda Sanctae Clarae Virginis)



Prima di morire, come già aveva fatto Francesco, Chiara benedice le sue Sorelle presenti e future indicando loro il cuore della vocazione cristiana e clariana, l'amore: 

“…Siate sempre amanti di Dio, delle vostre anime e di tutte le vostre Sorelle, e siate sempre sollecite di osservare quanto avete promesso al Signore. Il Signore sia con voi sempre , e ora voi siate sempre con Lui. Amen” (FF2857)

Chiara ha compreso che l’amore riversato da Dio nel nostro cuore ci rende sempre più capaci di amare noi stessi, perché ci insegna a guardarci con i Suoi stessi occhi di misericordia e, allo stesso tempo, ci apre alla comunione con gli altri attraverso l’accoglienza e il perdono.                                                               

















I Santi manifestano in diversi modi la presenza potente e trasformante del Risorto; hanno lasciato che Cristo afferrasse così pienamente la loro vita da poter affermare con san Paolo “non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Seguire il loro esempio, ricorrere alla loro intercessione, entrare in comunione con loro, “ci unisce a Cristo, dal quale, come dalla Fonte e dal Capo, promana tutta la grazia e tutta la vita dello stesso del Popolo di Dio” (Conc. Ec. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium 50).

- papa Benedetto XVI -



Preghiera a Maria SS. per le Anime del Purgatorio più dimenticate 

O Maria, pietà di quelle povere Anime che,
chiuse nelle prigioni tenebrose del luogo di espiazione,
non hanno alcuno sulla terra che pensi a loro.
Degnatevi, o buona Madre,
abbassare su quelle abbandonate uno sguardo di pietà;
ispirate a molti cristiani caritatevoli il pensiero di pregare per esse,
e cercate nel Vostro Cuore di Madre i modi di venire pietosamente in loro aiuto.
O Madre del perpetuo soccorso,
abbiate pietà delle Anime più abbandonate del Purgatorio.
Misericordioso Gesù, date loro il riposo eterno. Amen.

Tre Salve Regina



Buona giornata a tutti :-)

www.leggoerifletto.it

seguimi sulla mia pagina YouTube



  

 

domenica 13 giugno 2021

La predica è efficace quando parlano le opere - Sant' Antonio da Padova

La predica è efficace quando parlano le opere

Chi è pieno di Spirito Santo parla in diverse lingue. 
Le diverse lingue sono le varie testimonianze su Cristo: così parliamo agli altri di umiltà, di povertà, di pazienza e obbedienza, quando le mostriamo presenti in noi stessi. 
La predica è efficace, ha una sua eloquenza, quando parlano le opere. 
Cessino, ve ne prego, le parole, parlino le opere. 
Purtroppo siamo ricchi di parole e vuoti di opere, e così siamo maledetti dal Signore, perché egli maledì il fico, in cui non trovò frutto, ma solo foglie. 
«Una legge, dice Gregorio, si imponga al predicatore: metta in atto ciò che predica». 
Inutilmente vanta la conoscenza della legge colui che con le opere distrugge la sua dottrina.

Dai discorsi di S. Antonio da Padova




Il cuore dell'avaro

Mentre frate Antonio predicava a Firenze, morì un uomo molto ricco che non aveva voluto ascoltare le esortazioni del Santo. I parenti del defunto vollero che i funerali fossero splendidi e invitarono frate Antonio a tenere l'elogio funebre. Grande fu la loro indignazione quando udirono il santo frate commentare le parole del Vangelo: «Dove è il tuo tesoro, ivi è il tuo cuore» (Mt 6,21 ), dicendo che il morto era stato un avaro ed un usuraio.
Per rispondere all'ira dei parenti ed amici il Santo disse: "Andate a vedere nel suo scrigno e vi troverete il cuore". Essi andarono e, con grande stupore, lo trovarono palpitante in mezzo al denaro e ai gioielli.
Chiamarono pure un chirurgo perché aprisse il petto al cadavere. Questi venne, fece l'operazione e lo trovò senza cuore. Dinanzi a tale prodigio parecchi avari e usurai si convertirono e cercarono di riparare al male compiuto.
Non cercare le ricchezze che rendono l'uomo schiavo e lo mettono in pericolo di dannarsi, ma la virtù, la sola accetta a Dio.
Per tale motivo, la cittadinanza lodò con entusiasmo Dio e il suo Santo. E quel morto non fu deposto nel mausoleo preparatogli, ma trascinato come un asino sul terrapieno e colà sotterrato.


- Sant' Antonio di Padova -




Chi vuole ricevere degnamente il corpo del Signore, si cinga i fianchi con la cintura della castità, fortifichi gli affetti della mente con gli esempi dei santi, e traduca le parole in opere.

- Sant' Antonio di Padova -


Il dono della bilocazione

Antonio teneva a Montpellier, in Francia, un corso di predicazione. 
Durante il discorso nella chiesa cattedrale si ricordò che quel giorno toccava a lui cantare l'Alleluia durante la Messa conventuale che si celebrava nel suo convento, ed egli non aveva incaricato nessuno di sostituirlo. 
Allora sospeso il discorso, si tirò il cappuccio sul capo e rimase immobile per alcuni minuti.
Meraviglia! Nel medesimo tempo i frati lo videro nel coro della loro chiesa e lo udirono cantare l'Alleluia. Al termine del canto i fedeli della cattedrale di Montpellier lo videro scuotersi come dal sonno e riprendere la predica. In questo modo Dio dimostrò quanto fossero a Lui gradite le fatiche del servo fedele.



Se dunque Dio, Padrone di tutto il creato, ti condona un debito così grande, perché tu non condoni al prossimo un debito tanto piccolo? Chi si dimentica della misericordia usata verso di sé, non sente più misericordia per nessuno.  

- Sant' Antonio di Padova - 


Buona giornata a tutti. :-)







domenica 9 agosto 2020

Miracoli - Alexis Carrel

Conversione di Alexis Carrel

Nel 1903, quando Alexis Carrel aveva trent'anni era già uno scienziato affermato e famoso. Gli si presentò l'occasione di partire per Lourdes, con un treno d'ammalati. Accettò con entusiasmo perché, da scienziato, voleva seriamente esaminare gli ammalati, per vedere se c'erano veramente, come assicuravano i racconti di Lourdes, delle reali modificazioni: quelle che chiamavano «miracoli». 
Durante il viaggio di andata in treno viene affidata alle speciali cure di Alexis Carrel una giovane molto malata da otto mesi Marie Bailly:, una peritonite tubercolare l'aveva ridotta in fin di vita, tanto che si temeva che morisse in viaggio. Egli disprezzava il fanatismo dei pellegrinaggi, dei preti dall'intelligenza chiusa, addormentati nella loro fede beata. Proprio durante il viaggio, ha già avuto delle discussioni sul fenomeno Lourdes e sui miracoli. Alla fine di una di esse, parla proprio anche di Marie Bailly e così conclude: «È in uno stato drammatico, ho dovuto già farle delle iniezioni di caffeina. Temo che mi muoia tra le mani: se guarisse quest'ammalata, sarebbe veramente un miracolo. Io crederei a tutto e mi farei frate!».

Davanti alla Grotta delle apparizioni i malati, alle ore due e quaranta del pomeriggio, sono sistemati con ordine, per una istruzione accompagnata da canti e invocazioni. Alexis Carrel ha proprio davanti a sé la barella con Marie Bailly, che ha un aspetto notevolmente cambiato: i riflessi lividi sono scomparsi, è meno pallida... Le buone suore l'avevano pochi minuti prima portata per il bagno alle piscine. Però non avevano voluto immergerla; si erano limitate a farle qualche lavaggio al ventre. Ed è Alexis stesso che, in terza persona, descrive quanto avviene sotto i suoi occhi, quando Marie Bailly guarisce proprio davanti a lui: «Sotto gli occhi aveva un miglioramento, evidente e rapido, delle condizioni generali. Chino sulla balaustra, tendeva tutte le sue facoltà di attenzione su Marie Bailly, non guardando più altro che lei... Il viso di Marie continuava a modificarsi; i suoi occhi erano volti, brillanti ed estasiati, verso la Grotta.

Un miglioramento importante si era verificato... D'un tratto Carrel si sentì impallidire. Vedeva, verso la cintura, la coperta abbassarsi a poco a poco al livello del ventre. Erano appena scoccate le tre alla basilica. Dopo qualche minuto la tumefazione del ventre sembrava completamente scomparsa. "Io credo di impazzire davvero" - pensava Carrel. "Come vi sentite?" - domandò a Marie. "Benissimo, non sono molto in forze, ma sento che sono guarita!" - rispose Marie, sottovoce. Non c'era più dubbio. Lo stato di Marie Bailly migliorava Ella era già irriconoscibile. Carrel non parlava più; non pensava più. Il fatto inatteso era talmente contrario a tutte le sue previsioni, che egli credeva di sognare!... Quel che era accaduto era la cosa impossibile, la cosa inattesa, il miracolo!».

Carrel ne fu talmente sconvolto, che per poco non impazzì. La notte successiva a un fatto così inatteso e straordinario, non riusciva a prendere sonno, uscì dall'albergo e scese sull'Esplanade, dove si fermò presso la statua dell'Immacolata e lì si abbandonò a una preghiera alla Vergine, che dà la misura di ciò che era avvenuto in lui: «Vergine dolce, soccorrevole verso gli infelici, che umilmente ti invocano, soccorrimi... La mia vita è stata finora un deserto; ti prometto, il deserto fiorirà».

Carrel era un uomo libero da settarismi e ideologie atee e come un uomo che cercava la verità. Così l'evento miracoloso avvenuto sotto i suoi occhi lo portarono alla realtà del miracolo a cui aveva assistito e, infine, alla fede cattolica. Da scienziato volle rendersi conto del fatto chiamato «miracolo» e continuò le sue ricerche in chiave scientifica, da credente. Attraverso i suoi studi, grazie alla libertà e onestà di cui fu sempre geloso, arrivò al soprannaturale, che gli apparve una realtà non meno valida e operante di quella sottoposta ai suoi strumenti di ricerca.

Il 3 Novembre 1938 (sei anni prima della morte), si rivolge così al Signore: 

«Nulla voglio per me, se non la vostra grazia. 
Ch'io sia nelle vostre mani come il fumo portato dal vento... 
Ogni minuto della mia vita, Signore, sia consacrato al vostro servizio. Nell'oscurità, nella quale vado brancolando, io vi cerchi senza posa. 
Sebbene cieco, mi sforzo di seguirvi: Signore, indicatemi la strada».

Accolse la bellezza del Vangelo, le esigenze della morale cristiana, e fu affascinato dal comandamento nuovo dell'amore dettato da Cristo che, se vissuto da tutti, creerebbe un mondo nuovo. 
Per Carrel «C'è una grande differenza fra Gesù di Nazareth e Newton; ed è che il precetto dell'amore reciproco, insegnato da Gesù, è una legge più importante della legge di gravitazione universale».



Alexis Carrel nel 1891 si specializza in chirurgia. Negli anni 1898 e 1899 si dedica alla chirurgia e inizia a scrivere le prime pubblicazioni sulla chirurgia vascolare e sui carcinomi, per queste opere vince il concorso alla facoltà di medicina, dove viene assunto.

Nel 1912 Carrel come scienziato ebbe il premio nobel per la fisiologia e la medicina per i lavori sulle suture vascolari, sul trapianto degli organi e sulla coltivazione a lunga scadenza di tessuti in vitro, in particolare per aver inventato un nuovo metodo di sutura delle ferite profonde e per aver evitato le emorragie postoperatorie (a quel tempo frequentissime), trombosi ed altre complicanze.  



Buona giornata a tutti. :-)




sabato 13 giugno 2020

"Si quaeris miracula” – Il responsorio di S.Antonio da Padova

In tutto il veneto era comune, per tutti i bisognosi d’aiuto, affidarsi a “S.Antòne” per ritrovar ciò che si aveva smarrito.

Recitando ad alta voce il canto si invoca il Santo che ci aiuterà.


Si quaeris miracula
mors, error, calamitas,
demon, lepra fugiunt
aegri surgunt sani.

Cedunt mare, vincula
membra, resque perditas,
petunt et accipiunt
juvenes et cani.

Pereunt pericula,
cessat et necessitas,
narrent hi qui sentiunt,
dicant Paduani.

Cedunt mare, vincula, ect.

Gloria Padri et Filio et Spiritui Sancto.

Cedunt mare, vincula ecc.



Se miracoli tu brami,
fugge error, calamità,
lebbra, morte, spirti infami
e qualunque infermità.

Cede il mare e le catene
trova ognun ciò che smarrì
han conforto nelle pene
vecchi e giovani ogni dì.

I perigli avrai lontani,
la miseria sparirà;
ben lo sanno i Padovani,
preghi ognun e proverà!

Cede il mare e le catene…

Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo

Amen

Questa preghiera di lode - o Responsorio - in onore di Sant'Antonio da padova, fu composta da Fra Giuliano da Spira. Il Responsorio fa parte dell'Ufficium Rhythmicum S.Antonii, che risale al 1233, due anni dopo la morte del Santo. E' cantato nella Basilica di Sant'Antonio da Padova ogni martedì.

Responsorio antico di Sant’Antonio 

Sant Antonio mio benegno
di pregarti non son degno;
come nostro protettore
prega Dio Salvatore

per tua vita e castità
molte grazie Dio ci da:
per virtù del Dispensorio
facci grazia sant Antonio.

Sant Antonio giglio giocondo
nominato per tutto il mondo
chi lo tiene per suo avvocato
da Sant Antonio sarà aiutato

Sant Antonio che leggeva
Sopr’ jo libro ci appareva;
era Cristo suo divino
che era in forma di Bambino

mentre l’Ufficio si diceva
tra le mani gli fioreva
‘no beglio fiore bianco giglio
liberaci Sant Antonio d’ogni periglio.

pe la róbba che perdemo
a Sant Antonio ricoremo,
ché sta scritto al tabernacolo
Sant antonio fa miracolo.

E miracolo facesti
e tuo padre liberasti
che a morte fu condannato
e dalle tue mani fu liberato.

Dai nemici e da ogni fóco
Sant Antonio ci dia lóc.



Quando sopra la faccia dell'abisso cioè del cuore, ci sono le tenebre del peccato mortale, l'uomo è vittima della mancanza della conoscenza divina e dell'ignoranza della propria fragilità, e non sa più distinguere tra il bene e il male.

- Sant’Antonio da Padova -



Come l'uomo esteriore vive di pane materiale, così l'uomo interiore vive del pane celeste, che è la Parola di Dio.

- Sant'Antonio di Padova -


Lode e gloria a te, o Vergine beata, che oggi ci hai colmati di bontà, dandoci il Figlio tuo.
Prima eravamo vuoti, ed eccoci ricolmi; eravamo infermi, ed eccoci risanati; eravamo maledetti, e ora siamo benedetti. Ecco la bontà, ecco il Paradiso: il Figlio tuo!

Sant'Antonio di Padova



Buona giornata a tutti :-)







mercoledì 29 aprile 2020

Preghiera a santa Caterina per chiedere una grazia

La Chiesa, già ricolma della gioia pasquale, innalza a Dio lodi di maggior giubilo nella festa odierna di santa Caterina da Siena. 
Colei che giustamente può esser detta novella Debora, madre del popolo e difenditrice della Chiesa, nacque a Siena, nel rione di Fontebranda, il 25 marzo 1347, da Jacopo Benincasa e Lapa Piacenti, ultima di 25 figli. 
Dalla prima fanciullezza fu tutta consacrata a Cristo, che le apparve in manto e tiara (ornamenti propri del Romano Pontefice) all’età di sei anni. 
A sette anni fece voto di perpetua verginità e iniziò a mortificare il suo corpo. A dodici si tagliò i capelli per far capire ai suoi genitori che era suo serio intendimento non voler esser sposa di alcuno se non di Gesù. 
Nel 1363, dopo che vide una colomba aleggiarle sulla testa mentre era in estasi, il padre acconsente a che si unisca alle Mantellate di san Domenico. Sua mansione è quella di soccorrere i poveri e gli ammalati. 
Lo stesso Signore le apparve sotto le sembianze di un mendicante e Caterina gli fece dono del suo mantello: lo riebbe ornato di pietre preziose. Sul finire del Carnevale del 1367 fu misticamente sposata a Gesù Cristo. 
Il nome di Caterina era sì celebre e venerato, che da ogni parte le si portavano malati e tormentati dagli spiriti maligni. La sua dottrina fu infusa e non acquistata: leggeva e scriveva pur essendo analfabeta e, interrogata da insigni dottori su difficili questioni teologiche, rispondeva senza sforzo alcuno. Nessuno la avvicinò senza che ne ripartisse migliore. Attorno a lei si raccolse, verso il 1370, anche la cosiddetta “Bella Brigata”. A causa di questa popolarità alcuni mormorarono così nel 1374 fu chiamata a comparire dinnanzi al Capitolo Generale dell'Ordine Domenicano a Firenze: fu trovata senza colpa e come confessore personale gli fu assegnato fra’ Raimondo da Capua (futuro beato). 
Nel Domenica delle Palme del 1375, mentre dimorava a Pisa, dopo la Comunione ricevette l’impressione delle sacre Stimmate. Così era pienamente conformata al suo divino Sposo. Ma pur immersa nella meditazione delle cose divine, fu nondimeno mediatrice di pace nelle vicende politiche del suo tempo, intrattenendo rapporti epistolari con le più importanti personalità del suo tempo, Papa compreso. Il 18 giugno 1376 arriva alla corte papale di Avignone e ottiene da Gregorio XI il suo ritorno a Roma, ormai da troppi anni vedova del suo Pastore. Tuttavia gravi problemi sorsero quando fu eletto il successore di Gregorio: alcuni cardinali, in gran parte stranieri, avevano dichiarata invalida l'elezione di Urbano VI e il 20 settembre del 1378 elessero a Fondi un altro l’ antipapa Clemente VII, il quale fu poi costretto a fuggire ad Avignone con i cardinali che lo avevano eletto. Caterina si schierò a favore di Urbano VI. 
Era giunta però alla fine della sua corsa, aveva trentatré anni, quando il 29 aprile 1380, lo Sposo celeste la accolse nei talami del Paradiso. Il suo corpo virgineo fu sepolto a santa Maria sopra Minerva e tuttora vi è conservato sotto l’altar maggiore. Gloriosa per i miracoli, Pio II Piccolomini le decretò gli onori dei Santi nel 1461 e ne fissò la festa alla prima domenica di maggio. Clemente VIII la trasferì al 30 aprile giorno successivo alla sua morte. Urbano VIII ne fece restaurare l’Ufficio con nuove orazioni. Pio IX nel 1866 la annoverò fra i Patroni di Roma. 
Pio XII la costituì, assieme a San Francesco d’Assisi, Patrona d’Italia il 18 giugno 1939. 
Il 4 ottobre 1970 Paolo VI l’iscrisse nell’albo dei santi Dottori ed infine Giovanni Paolo II l’ha proclamò Compatrona d’Europa il 1º ottobre 1999.





Fa’, te ne preghiamo, 
o Dio onnipotente, che, 
celebrando lietamente l’annuo natale 
della tua beata Vergine Caterina, 
profittiamo dell’esempio di tanta virtù. 
Per il nostro Signore Gesù Cristo, 
tuo Figliuolo, che è Dio, 
e teco vive e regna, in unità con lo Spirito Santo, 
per tutti i secoli dei secoli. Così sia.



Preghiera a santa Caterina per chiedere una grazia

O sposa del Cristo, fiore della patria nostra. Angelo della Chiesa sii benedetta.
Tu amasti le anime redente dal Divino tuo Sposo: come Lui spargesti lacrime sulla Patria diletta; per la Chiesa e per il Papa consumasti la fiamma di tua vita.
Quando la peste mieteva vittime ed infuriava la discordia, tu passavi Angelo buono di Carità e di pace.
Contro il disordine morale, che ovunque regnava, chiamasti virilmente a raccolta la buona volontà di tutti i fedeli.
Morente tu invocasti sopra le anime, sopra l’Italia e l’Europa, sopra la Chiesa il Sangue prezioso dell’Agnello.
O Caterina Santa, dolce sorella patrona Nostra, vinci l’errore, custodisci la fede, infiamma, raduna le anime intorno al Pastore.
La Patria nostra, benedetta da Dio, eletta da Cristo, sia per la tua intercessione vera immagine della Celeste nella carità nella prosperità, nella pace.
Per te la Chiesa si estenda quanto il Salvatore ha desiderato, per te il Pontefice sia amato e cercato come il Padre il consigliere di tutti.
E le anime nostre siano per te illuminate, fedeli al dovere verso L’Italia, l’Europa e verso la Chiesa, tese sempre verso il cielo, ne Regno di Dio dove il Padre, il Verbo il Divino amore irradiano sopra ogni spirito eterna luce, perfetta letizia.
Amen.

Santa Caterina liberaci da questa pestilenza. Amen


Buona giornata a tutti. :-)








lunedì 20 gennaio 2020

20 gennaio 2013, 170° anniversario dell’apparizione di Maria SS.ma ad Alfonso Ratisbonne

Il pellegrino chi se trova a Roma, spostandosi nella zona tra Piazza di Spagna e Via del Tritone, si imbatterà nella Basilica di Sant'Andrea delle Fratte, nella via omonima. Forse penserà che si tratti di "una in più" tra le belle e storiche chiese della Città Eterna. Entrandoci, però, si accorgerà che si tratta di un Santuario dove è accaduto qualcosa di straordinario. Infatti, entrando dalla porta principale, vedrà subito alla sua sinistra un altare particolarmente illuminato, sull'arco del quale si leggono queste impressionanti parole: 
"Qui apparve la Madonna del Miracolo - 20 gennaio 1842". 
Sotto l'arco c'è un gran dipinto che raffigura la Madonna che sovrasta le nuvole e sparge dalle mani raggi luminosi.



A sinistra di chi guarda l'altare c'è una placca, con evidenti segni di non essere recente, scritta in francese che dice: "Il 20 gennaio 1842, Alphonse Ratisbonne da Strasburgo venne qui da ebreo ostinato. Questa Vergine gli apparve così come tu la vedi. Cadde ebreo e si alzò cristiano. - Forestiero, portati a casa il prezioso ricordo della misericordia di Dio e del potere della Vergine."

Più in basso, ecco un'altra placca, più recente con queste parole: "In questa cappella la Madonna apparve all'ebreo Alfonso Ratisbonne convertendolo a Cristo il 20-1-1842". Un po’ più giù si vede una colonna sulla quale poggia un'imponente busto di marmo raffigurante il privilegiato Ratisbonne, con la sua folta barba e uno sguardo che scruta l'infinito.

Facendo pendant dal lato destro si trova il busto di San Massimiliano Maria Kolbe presso il quale una placca registra un fatto: "In questa cappella dell'apparizione San Massimiliano M. Kolbe celebrò la sua prima Messa il 29-4-1918".

Ma, ricapitolando in breve i fatti, che cosa era accaduto in quei giorni?

"Vidi sull'altare, in piedi, viva, grande, maestosa, bellissima, misericordiosa, la Santissima Vergine Maria"

Il 20 gennaio 1842, sul mezzogiorno, miracolo nella parrocchia romana dei Minimi.

A Sant'Andrea delle Fratte, l'israelita ventisettenne Alfonso Ratisbonne, di Strasburgo, con un'apparizione dell'Immacolata com'è coniata nella Medaglia Miracolosa, istantaneamente illuminato dalla grazia si convertì al cattolicesimo.

Che cosa avvenne di preciso nell'ora della grazia, lo descrive lo stesso Ratisbonne in alcune lettere e nella deposizione giurata al Vicariato di Roma, per appurare la verità del fatto.

"Vidi come un velo davanti a me - depose il veggente al processo -. La chiesa mi sembrava tutta oscura, eccetto una cappella, quasi che tutta la luce della chiesa si fosse concentrata in quella. Alzai gli occhi verso la cappella raggiante di tanta luce, e vidi sull'altare della medesima, in piedi, viva, grande, maestosa, bellissima, misericordiosa, la Santissima Vergine Maria, simile nell'atto e nella forma, all'immagine che si vede nella Medaglia Miracolosa dell'Immacolata. Mi fece cenno con la mano di inginocchiarmi. Una forza irresistibile mi spinse verso di Lei, che parve dicesse: Basta così. Non lo disse ma capii.

"A tal vista caddi in ginocchio nel luogo dove mi trovavo; cercai, quindi, varie volte di alzare gli occhi verso la Santissima Vergine, ma la riverenza e lo splendore me li faceva abbassare, ciò che, però, non impediva l'evidenza di quell'apparizione.

"Fissai le di Lei mani, e vidi in esse l'espressione del perdono e della misericordia. Alla presenza della Santissima Vergine, benché Ella non mi dicesse parola, compresi l'orrore dello stato in cui mi trovavo, la deformità del peccato, la bellezza della Religione Cattolica, in una parola compresi tutto. (...)

"Uscivo da una tomba, da un abisso di tenebre"...

"Provavo un cambiamento così totale che mi credevo un altro. Cercavo di ritrovarmi e non mi ritrovavo... La gioia più grande si sprigionava dal fondo della mia anima; non potetti parlare; non volli rivelar niente; sentivo in me qualche cosa di solenne e di sacro che mi fece chiedere un sacerdote... Vi fui condotto, e solo dopo averne avuto l'ordine positivo ne parlai come mi era possibile, in ginocchio e col cuore tremante. (...)

"Tutto quel che posso dire, è che al momento del prodigio, la benda cadde dai miei occhi; non una sola benda, ma una quantità di bende che mi avevano avvolto disparvero una dopo l'altra rapidamente, come la neve e il fango e il ghiaccio sotto l'azione di un sole cocente.

"Uscivo da una tomba, da un abisso di tenebre, ed ero vivo, perfettamente vivo... Ma piangevo! Vedevo nel fondo dell'abisso le miserie estreme dalle quali ero stato strappato da una misericordia infinita; rabbrividivo alla vista di tutte le mie iniquità, ed ero stupito, intenerito, sprofondato in ammirazione e riconoscenza. (...)

ma ecco cosa avvenne i giorni precedenti...



LA MADONNA L'ATTENDEVA PROPRIO A ROMA

Partì con la diligenza da Strasburgo per Marsiglia il 17 novembre 1841, dove si imbarcò sul primo battello a vapore diretto a Napoli. Il giorno 8 dicembre giungeva a Civitavecchia, nello Stato Pon­tificio, tra il rombo delle salve di artiglieria per la festa dell'Imma­colata Concezione di Maria. Quando apprese il motivo di tanta gioia, si indignò e rifiutò bestemmiando di scendere a terra...

All'alba del giorno seguente apparve il pennacchio del Vesuvio e la nave giunse a Napoli, dove Alfonso si fermò per circa un mese. Egli poté così visitare a suo agio e ammirare le, cose belle della città, riversando però, nel suo diario, sulla Religione cattolica e sul clero la causa della povertà e di tutti i mali della popolazione. "Oh, quan­te bestemmie nel mio diario! - esclama nella sua lettera autobiografi­ca -. Se ne parlo ora, è per far conoscere la malvagità del mio spirito!".

I suoi calcoli andarono delusi il 1° gennaio 1842, quando gli fecero sapere che la nave "Mongibello" non poteva proseguire subi­to per la Sicilia. Contrariato aspramente, Alfonso volle recarsi all'A­genzia-Viaggi per Palermo, per prenotare un posto su qualche altro vapore, ma per sbaglio si trovò all'Ufficio-Diligenze per Roma e prenotò un posto per Roma.

"Credo di aver sbagliato strada!" confessa nella sua lettera, ma intanto un desiderio inspiegabile era nato nel suo cervello di visita­re Roma, nonostante la promessa fatta alla fidanzata e il pericolo della malaria.

Partì per Roma il 5 gennaio e vi giunse il giorno seguente, festa dell'Epifania. Per due giorni girovagò tra ruderi, monumenti, galle­rie, fontane e catacombe.

Grande fu la sua meraviglia, quando, transitando per via del Corso, si sentì chiamare per nome. Era un suo compagno di scuola di Strasburgo, Gustavo de Bussières, protestante pietista. Con gioia rinnovarono la loro amicizia e proseguirono insieme la visita alla città.

Era logico che Gustavo invitasse a colazione il Ratisbonne pres­so suo padre, il Conte Atanasio, e, più tardi, gli proponesse anche una visita al fratello, barone Teodoro, che abitava in Piazza Nicosia.

Il Ratisbonne non voleva accettare quest'ultimo invito, anzitut­to perché il barone si era convertito al cattolicesimo ed era un neo­fito oltremodo fervente e "pericoloso"!, e poi perché si era fatto amico di suo fratello sacerdote. Tuttavia non poté esimersi, pur adducendo impegni da assolvere e protestando che doveva ritorna­re a Napoli, come aveva promesso agli amici, per ripartire il giorno 20 gennaio per Malta.

Alla fine decise di recarsi alla casa del barone il 15 gennaio, semplicemente per presentare un biglietto di scuse e andarsene via. Caso volle che venisse ad aprire la porta un domestico, che, non comprendendo una parola di francese, lo annunciò e lo intro­dusse subito nel salotto.

Alfonso fu accolto con gentilezza e con gioia dalla famiglia de Bussières: il babbo, la giovane sposa e le due figliolette, 'graziose e dolci come gli angeli di Raffaello " dirà Ratisbonne. Era presente anche un altro ospite, il Conte De Caroli.

Dopo i primi convenevoli, la conversazione fu portata sul pia­no religioso. Alfonso fu letteralmente assalito, ma seppe difendersi bene, contrattaccando e formulando giudizi sarcastici contro il Catto­licesimo ed il governo papale, che lasciava gli ebrei di Roma nella miseria e nel degrado. 'Meglio essere dalla parte degli oppressi che da quella degli oppressori!" ripeté più volte.

Poi vomitò veleno e bestemmie contro la Religione Cattolica, come fosse la superstizione più grande e deleteria, non badando che erano presenti anche le bambine del barone.

Protestò di essere nato ebreo e di voler morire ebreo, e terminò esclamando seccamente che era tempo perso volerlo convertire, perché sarebbero stati necessari due miracoli: uno per persuaderlo del suo errore e un altro per muoverlo.

A questo punto, con un'invadenza oggi difficilmente compren­sibile, Teodoro de Bussières intervenne, cercando di smorzare il tono della conversazione e facendo una proposta:

- Giacché lei detesta la superstizione - disse il barone -, e professa dottrine tanto liberali, e poiché è uno spirito forte e cosi illuminato, avrebbe il coraggio di sottoporsi ad una prova molto innocente?

- Quale prova?

- Sarebbe di portare su di sè un oggetto che ora le darò. Eccolo; è una medaglia della Santa Vergine. Le par cosa proprio ridicola, non è vero? Ma in guanto a me, io dò molto valore a questa medaglia.

La proposta - afferma il Ratisbonne nel suo racconto -, mi stupì per la sua puerile singolarità. Non mi aspettavo di cadere in una simile facezia. Il mio primo impulso fu di ridere stringendomi nelle spalle, ma poi mi venne in mente che quella scena poteva divenire un delizioso capitolo delle mie impressioni di viaggio e consentii a prendere la meda­glia, come una prova autentica che avrei offerto alla mia fidanzata.

Detto fatto: mi si mette la medaglia al collo non senza sforzo, per­ché il cordone era troppo corto e la testa non vi passava. Infine, tira tira, avevo la medaglia sul petto ed esclamai con uno scoppio di risa: "Ah! eccomi cattolico, apostolico, romano!".

Da altre fonti apprendiamo un particolare di tenerezza e cioé che furono le due bambine del barone a imporre la medaglia al col­lo di Alfonso.

Non era ancor tutto finito. Il de Bussières, si direbbe "santa­mente importuno", volle anche che l'amico accettasse, prima di andarsene, copia della preghiera di S. Bernardo alla Vergine: 'Ricor­dati, o Maria... in versione francese.

Secondo la "Relazione autentica" del barone, il Ratisbonne uscendo mormorò tra se: 'Ecco un individuo originale e molto indi­screto! Vorrei vedere che cosa direbbe, se io lo tormentassi per fargli reci­tare una preghiera ebraica!".

E non aveva torto; occorre discrezione anche nello zelo più sin­cero! Tuttavia, giunto in albergo, Alfonso lesse più volte la preghie­ra, non trovandovi nulla di straordinario, e la imparò quasi a memoria.

Alfonso Il 20 gennaio andò ad accomiatarsi dal barone Teodoro de Bus­sieres. Lo trovò per strada in carrozza. Il barone lo fece salire e lo pregò di accompagnarlo un momento alla vicina chiesa di Sant'An­drea delle Fratte, per predisporre i funerali di un amico, il Conte Augusto La Ferronay, deceduto improvvisamente il giorno 17.

La chiesa, allora come oggi, era officiata dai Padri Minimi di S. Francesco da Paola.

Erano ormai le 12,45, quando il superiore, P Giuseppe Manti­neo, fu avvertito dal sacrestano che il de Bussières voleva parlargli. L'assenza di Teodoro non durò più di 10-12 minuti ed il Rati­sbonne ingannò l'attesa gironzolando per la chiesa ed osservando distrattamente marmi e dipinti.

L'attuale cappella dell'Apparizione era allora dedicata a S. Michele Arcangelo e all'Angelo Custode, ma vi era anche un piccolo quadro che rappresentava l'Arcangelo Raffaele, guida del giovane Tobia. Tobia era uno dei nomi di Alfonso.


 "Dovetti toccarlo tre o quattro volte - affermerà nella lettera a Teodoro Ratisbonne, il fratello sacerdote di Alfonso, scritta due giorni dopo, il 22 gennaio 1842 -, e poi finalmente volse verso di me la faccia bagnata di lacrime, con le mani giunte e con un éspressione impossibile a rendersi... Poi estrasse dal petto la medaglia miracolosa, la coprì di baci e di lacrime, e proferì queste parole: - Ah, come sono feli­ce, quanto è buono Dio, che pienezza di grazia e di felicità, come sono infelici coloro che non sanno niente!".


Da parte sua Alfonso scrive nella sua lettera autobiografica quanto segue: "Ogni descrizione, sia pur sublime, non sarebbe che una profanazione dell'ineffabile verità. Ero là, prosteso, irrorato dalle mie lacrime, ed il cuore mi batteva forte quando il Signor de Bussières mi richiamò alla vita. Non potevo rispondere alle sue domande incal­zanti. Alla fine afferrai la medaglia che mi pendeva dal collo e baciai con effusione l'immagine della Vergine raggiante di grazie... Oh! era Lei, sì era Lei!"

Calmata alquanto la prima emozione, Alfonso chiede all'amico di condurlo subito da un confessore, che lo prepari a ricevere il Battesimo, protestando che avrebbe parlato soltanto dopo che il sacerdote gliene avesse dato il permesso.

Viene accompagnato prima in albergo e poi al "Gesù", dal P Filippo Villefort, il quale gli ordina di raccontare quanto aveva visto e sperimentato.

Alfonso Ratisbonne stringe in mano la medaglia miracolosa e, quando la commozione gli spezza la parola, la bacia ed esclama: “l’ ho vista, l ho vista, l ‘ho vista!".

Dominandosi a stento, riesce a fare il racconto che io desumo dalla "Relazione autentica" di Teodoro de Bussières: "Stavo da poco in chiesa, quando all'improvviso l'intero edificio è scomparso dai miei occhi e non ho visto che una sola cappella sfolgorante di luce. In quello splendore è apparsa in piedi, sull;iltare, grande, fulgida, piena di mae­stà e di dolcezza, la Vergine Maria, così come è nella Medaglia Mira­colosa. Una forza irresistibile mi ha spinto verso di Lei. La Vergine mi ha fatto segno con la mano di inginocchiarmi e sembrava volesse dir­mi: - Così va bene!-. Lei non ha parlato, ma io ho compreso tutto!".

Il barone prosegue il suo scritto dicendo: 'Per condurre a termi­ne questo breve racconto, Ratisbonne aveva dovuto interrompersi di frequente per riprendere fiato, per padroneggiare la commozione che l'opprimeva. Noi lo ascoltavamo con un santo spavento misto di gioia... ".

Nello spazio di tre minuti, commenta sempre Teodoro de Bus­sières, Alfonso aveva fatto un'esperienza in cui gli era stato dato tutto. Egli accettò di essere afferrato da Dio, con un cambiamento radicale, totale e definitivo di tutto il suo essere. Per tutta la vita Alfonso Ratisbonne vivrà di questa illuminazione di un istante, pur "conservando - dice un suo biografo - le debolezze, la vivacità e le asprezze di un carattere appassionato, impetuoso, indipendente e perfino originale"

Alfonso stesso, nella deposizione del Processo canonico del 18­19 febbraio 1842, proverà a spiegare ciò che, in quel momento di illuminazione della grazia, aveva istantaneamente capito: "Alla pre­senza della SS. Vergine, quantunque non mi dicesse una parola, com­presi l’orrore dello stato in cui mi trovavo, la deformità del peccato, la bellezza della Religione Cattolica: in una parola capii tutto!"

Il 31 gennaio, nella Chiesa del Gesù, Alfonso Ratisbonne fa la sua abiura pubblica tra le mani del Cardinale Patrizi e riceve il Battesimo, prendendo anche il nome Maria. Diventerà Gesuita, Sacerdote e lavorerà con il fratello P. Teodoro, anche lui convertito, fondatore della Congregazione di Nostra Signora di Sion in Gerusalemme.








































Buona giornata a tutti. :-)