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sabato 8 novembre 2014

Il granellino di sabbia -

Un’onda portò tra le valve di un'ostrica un granellino di sabbia. 
L’ostrica si scosse infastidita, ma non riuscì in alcun modo ad espellerla. 
Anzi, più si muoveva, più l’intruso si insinuava in profondità e la tormentava.
L’ostrica iniziò a preoccuparsi: il granellino di sabbia la irritava e le prudeva. 
La poveretta non riusciva neppure più a dormire e passava il tempo a lamentarsi.
Le stelle marine, i granchi e i ricci di mare, le dicevano:
"Non agitarti!....Non vedi che non c’è nulla da fare?"
Ma lei...niente! 
Continuava a sbuffare, ad avere l'aria depressa, diceva che nessun altro soffriva come lei, che il destino era stato cattivo nei suoi confronti. 
Cercava a tutti i costi la comprensione degli altri dichiarandosi afflitta, sconsolata, abbandonata ed incompresa.
Così accadde che con il passar del tempo nessuno più la poteva sopportare.
Afferrata dall'ansia, l'ostrica si chiuse in sé stessa e cadde nella depressione.
Ma infine, vedendo che tutta la sua ansia e la sua agitazione non avevano fatto altro che peggiorare le cose, si mise il cuore in pace.
Pensò:"Se faccio finta di nulla sto bene per un po' ma prima o dopo il granellino si farà sentire....Proverò ad affrontarlo, accettarlo e a farlo entrare nella mia vita".
Si fece forza, trovò dentro di sé un angolino per quell’ospite scomodo e gli disse:
"Sta bene! Se non posso mandarti via, d’ora in avanti ti tratterò come un ospite speciale!"
L’ostrica, da quel giorno, non solo s’accorse che il granellino di sabbia non le faceva più male e non la infastidiva più, ma sentiva anche che qualcosa di raro e prezioso cresceva dentro di lei. 
Protetta dalla conchiglia, infatti, l'ospite considerato una volta fastidioso stava diventando una bellissima perla liscia e splendente.







Così anche noi tanto spesso ci lamentiamo senza fine per ogni difficoltà e dolore che si insinua inevitabilmente nella nostra vita.
Ci agitiamo anche per problemi di pochissimo conto, trasformandoli in drammi.
Sta a noi smettere di piangerci addosso e trovare la forza di convivere con le contrarietà, le complicazioni, gli ostacoli, le obiezioni e le contestazioni che affollano la nostra esistenza.
Convivere serenamente anche con la malattia.
Con il tempo scopriremo che, poiché Dio vuole per noi solo il nostro bene, tutto si trasforma in consolazione e letizia.
Ho conosciuto un giovane colpito da un male così detto "incurabile", che alle mie povere parole di conforto mi ha risposto:
"All'inizio mi sono ribellato...ho gridato al cielo contro questa ingiustizia. 

Ma poi ho capito che questo "male" è un dono prezioso perché mi ha permesso di comprendere la bellezza della vita ed accettare serenamente sorella morte"

- Massimo Arrighi - 
Diacono della Diocesi di Lecce





Che sia in questa vita o nell'altra non importa. 
L'importante sarà il modo in cui condurrai il tuo cuore, verso i confini della realtà.





Buona giornata a tutti :-)




venerdì 31 ottobre 2014

Il problema di Eva -

Un giorno, nel giardino dell’Eden, Eva disse a Dio…
”Signore, ho un problema”
”Che problema, Eva?”
”Signore, so che mi hai creata e che hai provveduto per questo giardino bellissimo, e per tutti questi meravigliosi animali, e quell’allegro e buffo serpente… ma io non mi sento davvero felice."
”Come mai, Eva?” fu l’immediata replica dall’alto.
”Signore, mi sento sola. E sono proprio stufa delle mele…”
”Bene. Eva, in questo caso ho una soluzione. Creerò un uomo per te.”
”Che cos’e un ’uomo’, Signore?”
”Questo ’uomo’ sarà una creatura difettosa, con molti aspetti negativi.
Mentirà, ti prenderà in giro e sarà vanaglorioso, in pratica ti darà un sacco di problemi. Sarà più grande di te e più veloce, e amerà cacciare e uccidere. 

Avrà uno sguardo scioccamente curioso, ma visto che ti stai lamentando, lo creerò in modo che possa soddisfare le tue necessità.
Sarà scarso di intelletto e si impegnerà in occupazioni infantili come la lotta, o prendere a calci una palla.
Non sarà molto sveglio ed avrà spesso bisogno dei tuoi consigli per pensare correttamente.” 
”Sembra una cosa divertente!” commentò Eva ammiccando ironicamente. ”Dove sta la fregatura?”
”Beh… lo puoi avere ad una condizione…”
”Quale?”
”Come ti ho detto, sarà orgoglioso, arrogante e autocompiacente…perciò dovrai fargli credere che e’ stato creato lui per primo…però ricorda… è il nostro segreto… da donna a donna!”




L'amore non è un vestito già confezionato, ma stoffa da tagliare, preparare e cucire.
Non è un appartamento "chiavi in mano", ma una casa da concepire, costruire, conservare e, spesso, riparare...

- Michel Quoist - 


Ogni uomo senza saperlo, cerca nella donna soprattutto il ricordo del tempo in cui lo abbracciava sua madre.

- Marguerite Yourcenar -


“L’amore è una qualità del proprio essere, se la si possiede, ne beneficia indistintamente chiunque ne venga a contatto, un amante, un amico, un figlio, uno sconosciuto. 
Si dovrebbe stare insieme soltanto perché si sta bene “con”, e invece molto spesso si sta insieme perché si sta male “senza”. 
Solo se hai sconfitto la paura della solitudine sarai capace di amare. 
Solo se ami la solitudine ogni momento vissuto con l’altro diventa una scelta d’amore.”

- Osho - 



Buona giornata a tutti. :-)











domenica 12 ottobre 2014

Socrate e i tre filtri e... altre storie

Nella Grecia antica Socrate era apprezzato da tutti per la sua saggezza. 
Si racconta che un giorno incontrasse un conoscente che gli disse: ”Socrate, sai che cosa ho appena sentito di un tuo studente?”.
”Aspetta un momento” rispose Socrate. “Prima che tu me lo dica vorrei che tu sostenessi un piccolo esame che è chiamato “Esame dei tre filtri”.
Tre filtri?”
“Esatto,” continuò Socrate. “Prima che tu mi parli del mio studente, filtriamo per un momento ciò che stai per dire”.
Il primo è il Filtro della Verità
“Ti sei accertato al di là di ogni dubbio che ciò che stai per dirmi è vero?”.
”No” disse l’uomo “in effetti me lo hanno raccontato”.
”Bene,” disse Socrate. “quindi tu non sai se sia vero o meno”.
Il secondo è il Filtro della Bontà
“Ciò che stai per dirmi sul mio studente è una cosa buona?”.
“No, il contrario”.
“Allora,” Socrate continuò “tu vuoi dirmi qualcosa di male su di lui senza esser certo che sia vero?”.
L’uomo si strinse nelle spalle un po’ imbarazzato.
Il terzo ed ultimo è il Filtro dell’Utilità.
Socrate proseguì: ”Puoi ancora passare l’esame perché c’è il terzo filtro, il Filtro dell’Utilità. Ciò che vuoi dirmi circa il mio studente mi sarà utile?”.
”Veramente… non credo”.
“Bene,” concluse il Saggio “se ciò che vuoi dirmi non è Vero, non è Buono e neppure Utile, perché me lo vuoi dire?”.

In realtà Socrate non c’entra nulla; si tratta chiaramente di un apocrifo. La probabile fonte è un libro di tal Dan Millman, un ex atleta americano che ha fatto fortuna con una serie di libri su come vivere meglio. Tuttavia, trovando questa storiella molto simpatica ve la offro comunque.


La rana e il bue

Il debole, quando vuole imitare il potente, muore.
Una volta, in un prato, una rana vide un bue e presa dall’invidia di tanta grandezza gonfiò la pelle rugosa: allora interrogò i suoi figli chiedendo se fosse più grande del bue. Essi risposero di no. Di nuovo tese la pelle con sforzo più grande e chiese se fosse più grande. 
I figli risposero: “Il bue”. Infine, indignata si gonfiò ancora più forte, ma talmente forte, che fece scoppiare il suo corpo morendo per colpa dell’invidia.

- Fedro - 





C’era una volta. in un inverno freddissimo, un uccellino che volava su un campo innevato.
Avendo le zampette piene di neve cercava un posto su cui appoggiarsi.
Dall’alto sembrava che tutto fosse ricoperto di neve.
Scendendo più in basso, però, si accorse che c’era una pietra che ne era priva.
Allora l’uccellino si avvicinò e chiese al sasso: “Scusami, sono infreddolito e ho le zampette piene di neve, posso poggiarmi su di te per qualche istante?”
Il sasso lo guardò e subito disse “Ma certo!”.
L’uccellino si posò, si asciugò le zampette e dopo qualche minuto riprese il viaggio.
Nel ripartire disse alla pietra: “Grazie, sei stato veramente gentile, eri l’unico su cui potevo poggiarmi. Ti sarò sempre debitore”.
Ma il sasso rispose: “Grazie a te! Ora non mi chiederò più che ci sto a fare”.






Buona giornata a tutti :-)












lunedì 29 settembre 2014

Date l'esempio -

C'era una volta un uomo che viveva una vita normale.
Pensava di non essere stato cattivo, ma neppure di essere stato un santo
Un giorno Gesù toccò il suo cuore e quest'uomo lo accettò come suo Signore e Salvatore.
Sentì tanta gioia che promise al Signore di parlare di Lui a tutte le persone che avrebbe incontrato e che avrebbe portato almeno 100 persone a questa cosa grande che aveva trovato.
Ma quest'uomo subito si accorse che portare persone a Cristo non era una cosa facile da fare.
La maggior parte dei suoi amici pensava che fosse impazzito e si allontanava da lui . A volte voleva ritirarsi dalla sua promessa ma continuò a raccontare a chi gli era possibile della buona novella del Vangelo e come lo aveva cambiato riempiendolo di tanta pace e gioia.
Poi un giorno quest'uomo morì e si trovò in una stanza, con tutte le cose che aveva fatto e detto durante la sua vita, tutte le cose cattive che aveva fatto, tutti i brutti pensieri che aveva avuto, ritornati a lui come un lampo in un momento di tempo.
Poi vide una visione di sé, nel giorno in cui la salvezza l'aveva toccato, quando aveva promesso a Gesù che avrebbe portato a Lui almeno 100 persone.
L'uomo cadde in ginocchio piangendo.
Allora Gesù si avvicinò a lui e gli disse:
"Alzati figliolo e dimmi: perché piangi?"
L'uomo rispose:
"Signore ho commesso tutte queste cose terribili nella mia vita, e ti ho detto perfino bugie!"
Il Signore lo guardò chiedendogli:
"Quando mi hai detto bugie?"
rispose l'uomo:
"Ti avevo promesso di portare 100 persone a te Signore. E anche se ho provato non sono riuscito a portarne nemmeno una alla salvezza! Non ho mantenuto la mia promessa e ho detto bugie a Te."
Allora Gesù gli sorrise, gli asciugò le lacrime sul viso, e gli disse:
"Figliuolo, tu non hai rotto la tua promessa con me"
ma l'uomo rispose :
"Ma Signore, non ho portato neanche una persona a te!"
Gesù rispose:
"Mio figliuolo, ti ricordi quel giorno quando ti sei seduto al ristorante e hai mangiato ringraziando il Padre per il cibo? C'era una donna seduta in quel ristorante, era malata di peccato. Anche se ho provato tante volte a toccare il suo cuore, lei mi aveva sempre ignorato. Pensava di ritornare a casa per togliere la vita a sé stessa e a quella dei suoi figliuoli.
Ma questa signora ti ha visto pregare e le si è aperto il cuore. Una porta si aprì nel suo cuore e mi lasciò entrare . La signora andò a casa e invece di togliersi la vita accettò me chiedendomi di diventare il Signore della sua vita . Uno dei suoi bambini diventò un presbitero santo e guidò molte anime a me. Quindi mio figliuolo sii felice, tu hai mantenuto la tua promessa.

Il tuo piccolo consistente atto di fede guidò non 100 ma 100.000 persone a me!"
L'uomo prese coraggio, ma ancora si sentiva colpevole e disse :
"Mio Dio, e tutte le altre cose brutte che ho fatto? "
Gesù sorrise dicendo:
"Ho pagato il prezzo io per te: vedi le mie mani e i miei piedi trafitti, il mio costato perforato, il mio capo grondante sangue per te, tutto il mio corpo flagellato? Tutti e due abbiamo mantenuto la promessa!"


Ricordiamoci che un nostro piccolo atto insignificante può toccare il cuore di altri fratelli, anche quando non ce ne accorgiamo . Un sorriso, una dolce parola, una preghiera in pubblico, sono vie che portano Luce e possono cambiare una vita ...




"Credo che tutti dovrebbero amare la vita prima di ogni altra cosa al mondo."
"Amare la vita più del senso della vita?"
"Proprio così: amarla prima della logica, come dici tu, assolutamente prima di ogni logica, e solo allora se ne afferrerà il senso"...

- Fedor Dostoevskij –
Da “I fratelli Karamazov”



La vita non è un problema da risolvere.
E' un mistero da vivere.

- Soren Kierkegaard - 



Dammi il supremo coraggio dell'Amore,
questa è la mia preghiera,
coraggio di parlare,
di agire, di soffrire,
di lasciare tutte le cose,
o di essere lasciato solo.
Temperami con incarichi rischiosi,
onorami con il dolore,
e aiutami ad alzarmi ogni volta che cadrò.
Dammi la suprema certezza nell'amore,
e dell'amore,
questa è la mia preghiera,
la certezza che appartiene alla vita nella morte,
alla vittoria nella sconfitta,
alla potenza nascosta nella più fragile bellezza,
a quella dignità nel dolore,
che accetta l'offesa,
ma disdegna di ripagarla con l'offesa.
Dammi la forza di amare
sempre
e ad ogni costo.

- Rabindranath Tagore -




Buona giornata a tutti :-)







giovedì 25 settembre 2014

Il sarto nella città felice -

In un piccolo paese viveva una volta un sarto che non aveva nè moglie, nè figli. Lavorava dal mattino alla sera, cuciva camicie, pantaloni, caffettani. Era anche il muezzin del paese.
All'alba, quando tutti dormivano, saliva in cima al minareto della moschea e svegliava la gente chiamandola alla preghiera e così faceva a mezzogiorno, nel pomeriggio e al tramonto. 

Tutti volevano bene e stimavano quest'uomo laborioso e pio. Ogni volta che saliva sul minareto il sarto rivolgeva il suo pensiero a Dio e gli manifestava il desiderio di avere un giorno una moglie e una casa dove vivere felice e sereno.

Si dice che un giorno, dopo aver fatto risuonare i sette melodiosi versi del richiamo alla preghiera, venne catturato da un grosso uccello rapace che, tenendolo ben stretto tra gli artigli, dopo aver attraversato il mare, lo depose nelle vicinanze di una città sconosciuta. Il sarto vi entrò e si meravigliò della pace e della tranquillità che vi regnavano. Non si sentiva litigare, né mercanteggiare, la gente sorrideva, i loro abiti erano bellissimi e puliti, i tessuti con cui erano confezionati erano preziosi. Ancor più aumentò la sua meraviglia quando avvicinandosi ad un negozio vide che la gente acquistava senza pagare, pronunciando soltanto questa parola: "Preghiere alla bellezza". Questa formula veniva ripetuta una o più volte secondo il valore della merce.
Finalmente arrivò davanti alla bottega di un sarto e dopo averlo osservato a lungo lavorare ed essersi reso conto che anche questi aveva il viso radioso, si fece coraggio, entrò, lo salutò e gli disse: "Anch'io sono un sarto come te e mi piacerebbe fermarmi a vivere in questa città". 


Il collega sorridendo rispose:" Certo che ti puoi fermare, ne saremo felici, lavoreremo insieme e ogni settimana riceverai cinquanta preghiere alla bellezza.

Il sarto iniziò subito a lavorare e in poco tempo venne a conoscere tutte le usanze di questo strano paese, dove a nessuno mancava mai nulla e dove ogni lavoro e ogni commercio venivano ricompensati con le parole: "Preghiere alla bellezza".
Vi era un altro uso curioso. Se un giovane voleva sposarsi, doveva andare il giovedì sulla spiaggia. Lì passeggiavano tutte le ragazze da marito portando sulla testa una brocca di acqua fresca. Se una ragazza piaceva, la si fermava, le si chiedeva un sorso d'acqua e la si ringraziava dicendo: "Preghiere alla bellezza!" e se anche a lei fosse piaciuto il giovane, si sarebbero sicuramente sposati. Naturalmente il sarto non vedeva l'ora di andare il giovedì sulla spiaggia e così fece. Vide una ragazza che gli piaceva molto, chiese un sorso d'acqua, la ringraziò con le parole: "Preghiere alla bellezza" e si sposarono.
Ogni giorno, dopo il lavoro, il sarto andava al mercato a far la spesa, comprava il necessario per vivere e il tempo scorreva nella tranquillità e nella serenità senza che i due sposi avessero bisogno di nulla. 
Un giorno, durante il suo abituale giro al mercato, il sarto vide un grosso pesce dalla carne bianca e appetitosa e decise di comprarlo in cambio di "Preghiere alla bellezza" pensando che la moglie sarebbe stata contenta. 

Quando tornò a casa e la moglie vide il grosso pesce, si spaventò e gli disse: "Che cosa hai fatto? siamo solo in due e tu hai comprato un pesce che potrebbe nutrire dieci persone, adesso non potrai più vivere in questa città".

Il sarto rattristato, uscì di casa ed ecco sopraggiungere l'uccello rapace che lo afferrò e lo riportò nella sua città natale lasciandolo in cima al minareto proprio dove lo aveva afferrato la prima volta.
Il sarto richiamò i credenti alla preghiera, lui stesso scese e si unì agli altri per pregare, ritornò nel suo negozio e riprese a lavorare. 
Ripensava sempre con molta tristezza alla città felice e si augurava di rivedere l'uccello rapace. Ma esso non tornò mai più.

da una leggenda araba




Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità ma planare sulle cose dall'alto, non avere macigni sul cuore.

- Italo Calvino - 




"È solo dopo aver perso tutto che siamo liberi di fare qualsiasi cosa."

[Fight Club]






Quando non c'è più rimedio è inutile addolorarsi, perché si vede ormai il peggio che prima era attaccato alla speranza.
Piangere sopra un male passato è il mezzo più sicuro per attirarsi nuovi mali. Quando la fortuna toglie ciò che non può essere conservato, bisogna avere pazienza: essa muta in burla la sua offesa.
Il derubato che sorride, ruba qualcosa al ladro, ma chi piange per un dolore vano, ruba qualcosa a se stesso.

- William Shakespeare -
da Il mercante di Venezia






























Buona giornata a tutti :-)

www.leggoerifletto.it









sabato 6 settembre 2014

Mai dire mai -

Un assistente sociale invitava tutti quelli che si lamentavano dei propri fallimenti a leggere un poster che teneva appeso nel suo ufficio:

- Fallito in commercio nel 1832 e nel 1833.
- Sconfitto per la Camera dei deputati nel 1832.
- Eletto all’assemblea nel 1834.
- Morta la fidanzata nel 1835.
- Esaurimento nervoso nel 1836.
- Sconfitto come presidente della Camera dei deputati nel 1838.
- Sconfitto come membro dell’assemblea elettorale nel 1840.
- Sconfitto per il Congresso nel 1843, nel 1846 e poi ancora nel 1848.
- Sconfitto per il Senato nel 1855.
- Sconfitto come vicepresidente nel 1856.
- Sconfitto per il Senato nel 1858.
- Eletto presidente degli Stati Uniti nel 1860.

- Abramo Lincoln -


Immagine di Tracy Williams – “A Tall Tale”


Ciò che mi pare senza avvenire è la "cultura del niente", della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere l'atteggiamento dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità.


- Card. Giacomo Biffi - 



Non esiste di fatto, una cultura senza religione, come se questo le fosse un corpo estraneo innestato in un imprecisato momento del suo sviluppo storico. La religione, al contrario, favorisce il nascere, il crescere e lo sviluppo della cultura e in essa immette i germi fondamentali che le permettono di comprendere e descrivere l'uomo con la sua storia. Imporre una divisione tra religione e cultura è un processo ideologico sterile che non porta lontano e concretamente conduce alla stessa cultura dell'asfissia. L'incontro tra la religione e la cultura, dunque, è una realtà che appartiene alla natura stessa delle cose, perché partecipe dell'essere stesso dell'uomo nel suo auto-comprendersi e progettarsi.

- Cardinale Rino Fisichella - 
fonte: Path, 3, 2004




Buona giornata a tutti :-)







martedì 22 luglio 2014

La leggenda dell'usignolo -

In un'isola lontana di un paese del Sol Levante regnava un superbo imperatore. Era un sovrano molto vanitoso, che amava circondarsi di cose stupende e perciò tutto nel suo regno era incantevole. Anche sua figlia era bellissima ed egli l'aveva chiamata Splendore del Giorno. L'imperatore sceglieva per lei i vestiti più sontuosi, pretendeva che si ornasse con gemme e diademi preziosi e che il suo trucco fosse perfetto. Non l'abbracciava mai; la guardava solo per assicurarsi che la sua bellezza e il suo abbigliamento fossero sempre degni di una regina.
Ma Splendore del Giorno si sentiva oppressa da tutte queste ricchezze, priva di affetto e schiava della vanità del padre. Trascorreva il suo tempo passeggiando lungo i viali più reconditi dell'immenso giardino per nascondere agli altri le sue lacrime. Ella sognava d'essere povera, ma libera e amata.
Un mattino, in cui si sentiva più triste del solito, la principessa si rivolse al Buddha di giada del suo palazzo, con questa preghiera:

- O dio della saggezza, aiutami a fuggire da questa prigione. Dammi la possibilità di andar via col vento profumato sui prati fioriti e di volare con gli uccelli nel cielo turchino.
Buddha indossò allora una veste di luce e così rispose alla giovane:

- Ti offro cento lune per ubriacarti di libertà. Ogni sera, all'ultimo rintocco della mezzanotte, ti trasformerai in un uccello. Ma non appena il sole sorgerà, tu tornerai ad essere quella che sei, la principessa Splendore del Giorno.
Sappi però che l'incantesimo durerà fino al termine delle cento lune.

- Sono pronta ad assumermi tutti i rischi - affermò la giovane.

Buddha mantenne la sua promessa e quella stessa notte, al dodicesimo tocco della mezzanotte, Splendore del Giorno fu trasformata in un uccello. Finalmente poteva allontanarsi dalla sua prigione dorata!
Volò in alto, ancora più in alto finché la sua casa non divenne che un punto luminoso e lontano. Piena di felicità, Splendore del Giorno si mise a cantare e il suo canto melodioso si propagò per la campagna addormentata come un inno di gioia. All'alba l'incantesimo cessò e, riprese le sue sembianze, la principessa tornò al palazzo reale.
Ben presto però l'imperatore venne a sapere che, quando scendeva la notte e la luna brillava sul mare, un uccello cantava in modo così melodioso che certamente doveva trattarsi di un essere divino. Che tipo di uccello era quello che egli ancora non possedeva? Subito ordinò ai suoi soldati di catturarlo.
Passò un mese, ma i samurai non riuscirono a prendere lo straordinario esemplare. Infatti Splendore del Giorno riusciva abilmente a sfuggire a tutte le trappole che le venivano tese. Fu così che il superbo imperatore, beffato dall'uccello sconosciuto, si ammalò. Perse l'appetito e il sonno, deperì ogni giorno di più e alla fine dovette mettersi a letto.

Splendore del Giorno, preoccupata per la sorte del padre, pregò di nuovo Buddha:

- O dio della saggezza, sono pronta a sacrificare la mia libertà in cambio della vita di mio padre. Ti supplico, rompi l'incantesimo e guariscilo dal suo folle male.
- Non è in mio potere salvare tuo padre dalla sua stupida ambizione. Tuttavia accolgo la tua richiesta di rompere l'incantesimo, anche se le cento lune non sono ancora trascorse. Può darsi che in questo modo tuo padre ritrovi il piacere di vivere e che questa prova possa averlo reso più umile.

Da allora Splendore del Giorno circondò il padre di amore e di premure e, per aiutarlo a guarire, chiamò al suo capezzale i più famosi dottori che gli prodigarono cure d'ogni genere. Malgrado ciò il sovrano, sognando l'uccello divino, si consumò lentamente fino a morire.
Splendore del Giorno aprì ai sudditi più poveri del regno le porte del suo palazzo e mise a disposizione di tutti, contadini e pescatori, le immense ricchezze che suo padre, con orgoglio e vanità, aveva accumulato.
Adorata dalla sua gente, che la venerò come una dea, la principessa visse felice e finalmente libera.
Il dio Buddha, per ripagarla di tanta generosità, popolò la sua isola di uccelli divini, a cui Splendore del Giorno diede il nome di usignoli.

Da quel momento, e sono passati ormai tanti secoli, quando la luna emana i suoi ultimi chiarori e il sole comincia a tingere di rosa il cielo, l'usignolo canta: il suo canto melodioso è un inno alla libertà dell'uomo.

Leggenda giapponese


"Un uomo, se possiede la vera sapienza, può godere l'intero spettacolo del mondo seduto su una sedia, senza saper leggere, senza parlare con nessuno, soltanto con l'uso dei sensi e il fatto che l'anima non sappia essere triste."

(Fernando Pessoa)


Il perdono non è un sentimento, ma una decisione: «Piantate attorno a voi oasi di riconciliazione, aprite porte, riaccendete calore, riannodate fiducia nelle persone, inventate sistemi di pace». 
E quando le oasi si saranno moltiplicate conquisteranno il deserto.

(Padre Ermes Ronchi)



Ho pensato a quanto spiacevole sia essere chiusi fuori;
e ho pensato a quanto sia peggio essere chiusi dentro.

- Virginia Woolf -




Buona giornata a tutti :-)




sabato 12 luglio 2014

Così svanì Pandagian -

Pandagian era la più bella fanciulla di un lontano villaggio dell'Indonesia e sapeva danzare come nessuno al mondo. 
Non appena il cielo s'oscurava e le stelle cominciavano a brillare sulla volta blu cupo, Pandagian si recava nella radura davanti all'immenso mare dove intrecciava leggiadre danze, accompagnandosi col melodioso suono della voce e dimenticando ogni altra cosa. Solo quando il primo raggio di sole colpiva la superficie marina, la fanciulla si scuoteva dall'incanto e cessava di danzare. Tornava lentamente alla capanna dove abitava con la famiglia, saliva leggera la scala, entrava nella veranda e si stendeva sulla sua stuoia.
Un giorno il padre, stanco dei suoi continui ritardi, le disse con durezza: 
"Pandagian, da oggi le tue danze sono finite. Ti punirò severamente se avrai il coraggio di disubbidire". 
La fanciulla non rispose, ma quando al tramonto la famiglia si riunì per il pasto, Pandagian non si presentò nella capanna. La cercarono ovunque e poi seppero che, come ogni sera, la giovinetta era andata nella radura a danzare senza tenere in nessun conto l'avvertimento paterno. A questa notizia il padre si adirò: "Non accetto d'essere disubbidito dai miei figli!", disse con fare minaccioso. E dopo aver riflettuto un poco, l'uomo ordinò al figlio maggiore di ritirare la scala dalla veranda. Poi aggiunse: "Ascoltate bene tutti: chi farà scendere la scala per Pandagian, andrà immediatamente via da questa casa!".
Ignara di ciò che avveniva, Pandagian continuava a danzare felice e immemore nella radura; osservava il cielo lucente e le sembrava di scorgere Riamasan, il bellissimo principe delle Stelle, mentre volava sul suo carro d'argento.
Allo spuntar del giorno la fanciulla smise di danzare.
Veloce e leggera giunse sotto casa e si meravigliò molto di non trovare la scala. Guardò verso la veranda, dove certamente i suoi già dormivano e chiamò con voce sommessa, per non disturbarli: "Padre mio, dammi la scala!".
Con voce ferma il padre le disse: "Rivolgiti a tua madre".
Pandagian, stupita da una tale risposta, Si rivolse alla madre: "Madre mia, calami la scala!".
Con voce che tentava invano di far apparire severa la madre rispose: "Chiedilo a tuo nonno".
La fanciulla non capiva più cosa stesse succedendo nella sua famiglia.
"Oh, nonno - gridò. - Ti prego, fai scendere la scala!".
"Vallo a chiedere a tua nonna", fu la risposta.
"Nonna, ti scongiuro, mandami giù la scala!".
"Parla con tuo fratello maggiore", suggerì la vecchia con voce lamentosa.
"Fratello mio, vuoi almeno tu calare la scala perché io possa salire?", implorò sempre più scoraggiata Pandagian.
Con voce triste il giovane rispose: "Pandagian, devi chiederlo a tuo padre".
La fanciulla ormai singhiozzava senza freno: aveva capito che il padre voleva punirla. Tentò di rivolgersi nuovamente a lui:
"Padre! - supplicò tendendo le braccia verso l'alto - Calami la scala e permettimi di tornare a casa nella mia famiglia!".
"No! - rispose il padre con asprezza. - Hai disubbidito ai miei ordini fuggendo via senza curarti neanche della nostra ansia. Ora dormirai sulla terra!".
Poi nella veranda cadde il silenzio. Solo di tanto in tanto s'udiva qualche lieve rumore. Forse un sospiro o un singhiozzo trattenuti: la madre? la nonna? Alla fine però nessun suono venne più dall'alto.
Pandagian passeggiò a lungo nello spiazzo davanti casa.
Poi, trovata una pietra levigata, vi si stese e asciugò le lacrime con i lunghi capelli neri.
A poco a poco si calmò, consapevole di aver meritato quel castigo. L'indomani avrebbe chiesto perdono al padre e tutto si sarebbe risolto. Sapeva però che per molto tempo non avrebbe più potuto danzare e a questo pensiero provava un profondo dolore.
Supina sulla grande pietra la fanciulla continuava a guardare il cielo e le sembrò di vedere ancora una volta la maestosa figura del principe Riamasan che guidava il suo splendido carro negli spazi celesti.
«Potessi danzare tra le stelle... » pensò tra sé Pandagian. «Se Riamasan mi portasse con lui sul suo carro d'argento!» 
In quel preciso momento sentì vicino a sé il tintinnio di una catena; si volse e vide scendere dall'alto una seggiola d'oro sostenuta da una catena d'argento.
La fanciulla non si meravigliò di tutto questo; si alzò dalla pietra e si sedette sulla sedia, che subito cominciò a salire verso il cielo.
Giunta all'altezza della veranda di casa, Pandagian pregò:
"Oh, Riamasan, ferma un momento! Lascia che io saluti i miei familiari".
La sedia si bloccò all'istante ed ella gridò:
"Madre! nonna! fratello! addio per sempre. Io salgo tra le stelle".
I familiari accorsero fuori e guardarono stupefatti la fanciulla che lentamente s'allontanava verso l'alto.
La madre supplicò: "Dove vai Pandagian! Non mi lasciare!".
La figlia le fece un cenno con la mano e poi pregò ancora Riamasan di riportarla verso la sua casa: voleva salutare il padre.
La sedia si abbassò fino alla veranda e rimase immobile. "Addio per sempre, padre mio: io me ne vado tra le stelle!", gli disse affettuosamente la fanciulla.
A questo punto il padre non poté frenare la sua commozione e, con le braccia tese, implorò: "Figlia diletta! mia dolce Pandagian, torna da noi!
Non ti lascerò più fuori casa!".
"No, padre mio, non posso più tornare. Addio!". La sedia d'oro riprese a salire e, senza altra sosta, sparì dietro le nuvole. Ad attendere la fanciulla c'era il principe Riamasan, bellissimo e sorridente, che l'aiutò a scendere.
"Benvenuta nel mio regno - le disse. - Ti ho ammirata per tante notti mentre intrecciavi le tue danze. Non ho mai visto una fanciulla più bella di te! Così, appena mi hai invocato, sono stato felice di accontentarti".
"Allora non sognavo quando credevo di vederti tra le stelle!", esclamò Pandagian.
"Finalmente ora siamo vicini - continuò dolcemente il principe. - E, se vorrai sposarmi, sarai la principessa delle stelle e potrai danzare nel cielo finché. vorrai".
La fanciulla arrossì e commossa accettò la richiesta di Riamasan. Le nozze furono celebrate molto presto. Ogni sera, mentre il suo sposo passava tra le stelle sul carro d'argento, Pandagian danzava tra le costellazioni al suono di una musica dolcissima che si diffondeva sotto la volta del cielo. Era una vita meravigliosa.
E forse proprio perché troppo bella, non poteva durare a lungo.
Un giorno Pandagian ebbe il desiderio di nuotare e, senza avvertire il suo sposo, si recò al fiume. Cominciò a danzare tra gli scogli d'oro intorno ai quali l'acqua s'infrangeva; danzò sotto la cascata argentina e si tuffò tra le onde spumeggianti. Erano sensazioni stupende, le più belle che avesse mai provato.
Dopo molto tempo la fanciulla risalì ansante sulla riva e si distese sull'erba, guardò ancora una volta la corrente del fiume e poi, felice, si addormentò.
Ma ecco in agguato il principe del Sole che attendeva da lungo tempo un momento come quello. Egli era il fratello maggiore del principe delle Stelle e gli invidiava molte cose. Gli invidiava la luce dolcissima e misteriosa dei suoi astri notturni, il bel carro d'argento su cui poteva portare in volo gli esseri umani e ora, più di ogni cosa, gli invidiava la felicità di avere come moglie una fanciulla della terra. Queste cose invece erano impossibili per lui, a causa dell'abbagliante splendore e del calore insopportabile che emanavano dalla sua persona e dal suo carro dorato.
Il principe del Sole nutriva un odio incontenibile nei confronti del fratello minore e aveva giurato di fargli scontare in qualche modo la tristezza della sua solitudine.
E finalmente l'occasione gli si era presentata. Pandagian, la splendida danzatrice che il Sole aveva tante volte ammirato dal cielo, era venuta sola soletta al fiume che segnava il confine tra il regno del Sole e quello delle Stelle. Come mai Riamasan non aveva avvertito la sposa del pericolo che poteva correre? Il principe del Sole non riusciva a spiegarselo ma, sorridendo sinistramente, affilò uno strale d'oro. Un raggio infuocato scese dall'alto e trafisse al cuore l'ignara danzatrice.
Così Pandagian morì e così la trovarono le stelle che, piangenti, ne annunciarono la fine al principe Riamasan. Lo sposo impazzì di dolore; rimase per tre notti di seguito accanto al corpo della sposa adorata. Infine prese la sua decisione e fece un gesto verso il cielo notturno: in quello stesso istante il corpo di Pandagian svanì e al suo posto apparvero infinite stelle lucenti.
Il principe le prese e cominciò a lanciarle per il cielo a piccoli gruppi, formando tante costellazioni, ad ognuna delle quali dava un nome. Alla fine gli rimase stretta in pugno un'ultima stella, la più lucente. Riamasan la guardò a lungo e gli parve di rivedere il volto della donna amata. Allora riudì la voce accorata del padre di Pandagian che supplicava la figlia di non andare via, di ritornare a casa.
Il principe frantumò la stella in minuscoli pezzi splendenti e li lanciò verso la terra dicendo: "Andate dai genitori di Pandagian e portate loro il suo ricordo per sempre".
I frammenti luccicanti, cadendo verso la terra, si trasformarono in migliaia di animaletti alati che volarono festosamente verso la radura e sui cespugli profumati, all'orlo della boscaglia.
I genitori di Pandagian erano seduti fuori la veranda della loro casa. Il padre, guardando quell'insolito spettacolo, esclamò: "Moglie mia, guarda quegli strani animaletti lucenti. Sembrano stelle alate che danzano nell'aria!". 
"Danzano! - ripeté con voce di pianto la madre - Forse vengono giù dal cielo dove hanno tenuto compagnia alla mia dolce Pandagian!". 
"E perché no? - aggiunse il padre con gli occhi pieni di lacrime - Perché no? Forse è proprio la nostra figlia diletta che ha mandato dal cielo una manciata di stelle come segno del suo perdono".
Da quella notte, quando le stelline alate, che furono poi chiamate lucciole, venivano a danzare nella radura e sui cespugli profumati, i familiari di Pandagian le guardavano commossi, sicuri che quello era il mezzo scelto dalla figlia per inviare il suo saluto e consolarli della sua lontananza.

Leggenda indonesiana


Non arrabbiarti mai per le critiche che ti rivolgono. Se non sono vere rispondi con un sorriso. Se sono fatte in malafede devi semplicemente ignorarle. Se invece sono vere non hai che da ringraziare chi te le ha rivolte, chiedere scusa e correggerti.

(Agostino Degas)




Ci sono persone troppo fragili, ed è proprio questa la loro debolezza, ma anche la loro bellezza: un’immensa fragilità, quasi fossero fatti di cristallo, così trasparenti e luminosi, ma difficili da maneggiare, anche per gli altri. Non resistono agli urti della vita, agli ostacoli, agli ammaccamenti, alle cadute.

(Ferzan Ozpetek)


[nella foto: Complementarietà - Scultura di J. Thorak]


L'uomo e la donna sono come l'acqua e la sete entrambi si completano. Insieme si è tutto. Da soli non si è nulla...



Buona giornata a tutti :-)