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giovedì 27 maggio 2021

La morte di Socrate

<<Così dicendo, tutto d'un fiato, vuotò tranquillamente la ciotola con il veleno.

Molti di noi che fino allora, alla meglio, erano riusciti a trattenere le lacrime, quando lo videro bere, quando videro che aveva bevuto, non ce la fecero più; anche a me le lacrime, malgrado mi sforzassi, scesero copiose e nascosi il volto nel mantello e piansi me stesso, oh, piansi non per lui ma per me, per la mia sventura, che sarei rimasto privo di un tale amico. Critone, poi, ancora prima di me, non riusciva a dominarsi e s'era alzato per uscire.

Apollodoro, poi, che fin dal principio non aveva fatto che piangere, scoppiò in tali singhiozzi e in tali gemiti che tutti noi presenti ci sentimmo spezzare il cuore, tranne uno solo, Socrate, anzi: «Ma che state facendo?» esclamò. «E io che ho mandato via le donne perché non mi facessero scenate simili; a quanto ho sentito dire, bisognerebbe morire tra parole di buon augurio. State calmi, via, e siate forti.»

E noi, provammo vergogna a sentirlo parlare così e trattenemmo il pianto. Egli, allora, andò un po' su e giù per la stanza, poi disse che si sentiva le gambe farsi pesanti e così si stese supino come gli aveva detto l'uomo del veleno il quale, intanto, toccandolo dì quando in quando, gli esaminava le gambe e i piedi e a un tratto, premette forte un piede chiedendogli se gli facesse male. Rispose di no. Dopo un po' gli toccò le gambe, giù in basso e poi, risalendo man mano, sempre più in su, facendoci vedere come si raffreddasse e si andasse irrigidendo. Poi, continuando a toccarlo: «Quando gli giungerà al cuore,» disse, «allora, sarà finita.»

Egli era già freddo, fino all'addome, quando si scoprì (s'era, infatti, coperto) e queste furono le sue ultime parole: «Critone, dobbiamo un gallo ad Asclepio, dateglielo, non ve ne dimenticate.»

«Certo,» assicurò Critone, «ma vedi se hai qualche altra cosa da dire.»

Ma lui non rispose. Dopo un po' ebbe un sussulto.

L'uomo lo scoprì: aveva gli occhi fissi. Vedendolo, Critone gli chiuse le labbra e gli occhi.

Questa, Echecrate, la fine del nostro amico, un uomo che fu il migliore, possiamo ben dirlo, fra quanti, del suo tempo, abbiamo conosciuto e, senza paragone, il più saggio e il più giusto.>>

 - Platone - 

da: Fedone

 

"«Se dunque fossero in grado di discutere fra loro, non pensi che essi chiamerebbero oggetti reali le ombre che vedono?»

«Necessariamente.»

«E se la prigione avesse un’eco dalla parete verso cui sono rivolti, ogni volta che uno dei portatori parlasse, credi penserebbero che a parlare sia qualcos’altro se non l’ombra che passa?»

«Per Zeus, io no di certo» disse.

«Insomma questi prigionieri» dissi io «considererebbero la verità come nient’altro che le ombre degli oggetti artificiali.»

Repubblica, Platone

Il mito della caverna, prima parte.

Il mito platonico conduce alla liberazione dello schiavo dalle catene dell'ignoranza, alla scoperta del vero fuori dalla caverna; e infine al ritorno nel tentativo di liberare gli altri.



Buona giornata a tutti. :-)




 

 


giovedì 28 giugno 2018

Lettera di una disoccupata

«Scusatemi, è tutta colpa mia. Ho sbagliato davvero tutto. 
Credevo di aver capito, e non avevo capito proprio nulla. 
Idiota. Scusatemi, è tutta colpa mia. Ci ho creduto davvero, e la cosa peggiore è che ne ero persino convinta. 
È tutta colpa mia, mia e di nessun altro. 
Io, l’idiota che ha creduto che impegnarsi nel proprio lavoro, dare il massimo, porsi obiettivi e raggiungerli fosse la strada giusta. 
Che il proprio lavoro l’ha amato, mettendoci l’anima, troppa. Il cuore, troppo. La passione, troppa.
Sono io l’idiota che ha creduto che essere competenti fosse un valore aggiunto, non un minus. 
Competenti per scelta, non per grazia ricevuta. 
Competenti per la voglia di capire, conoscere, fare, saper fare. 
Io, l’idiota che sulle cose doveva picchiarci la testa, entrarci dentro a capofitto, studiarle, capirle. Anche quando erano incomprensibili, anche quando il burocratese le rendeva un incubo. 
Io, l’idiota che non accettava di non saper fare, di non saper capire. 
Io, l’idiota che alla fine ci arrivava, al suo obiettivo. 
Scusatemi, è tutta colpa mia. Non vi disturberò più, promesso. Davanti a me il mio curriculum. Devo ulteriormente tagliarlo. È l’inappellabile verdetto delle agenzie di lavoro. «Spaventa le aziende. Non la assumeranno mai. Tolga». Davanti a me una foto ed una cartelletta. ”Premio eccellenze al lavoro 2011 Confindustria Bergamo”. Fiori, fotografi, emozioni. No, taglia pure quello. 
Era solo apparenza. Faceva parte del gioco. Idiota, pure a quello hai creduto? Si, sono io, sono la stessa idiota. Quella che a tre diversi colloqui viene scartata con la stessa motivazione, per la stessa terribile, vergognosa colpa: essere ”troppo competente”. 
Si, sono io l’idiota che vorrebbe riderci sopra fino alle lacrime, ma proprio non ci riesce. Non ci riesco proprio, ma anche per questo scusatemi, è solo colpa mia. Devo essere atterrata sull’universo sbagliato. 
Un errore di coordinate, credo. Scusatemi, se non riesco a ridere. 
Se non riesco nemmeno più a sorridere. 
Se quando sento la parola ”domani”, davanti a me si palesa solo un immenso, fagocitante, disperato buco nero. Perché gli anni pesano, enormemente. 
Un macigno sempre meno sopportabile, appesantito ulteriormente da quei 25 anni di esperienza. E da quella parola fantastica,”esodata”. 
Pesano, quando realizzi che tu, per il mondo del lavoro, sei un nulla. Un niente. L’articolo è scaduto, non interessa. Avanti un altro, grazie. Scusatemi , se non riesco a ridere. Se a volte anche respirare fa un male atroce. Ma non disturberò più, me lo ripeto, e ve lo ripeto. State tranquilli. Mi allontano piano piano, con il passo lieve ed attento di chi non vuole assolutamente fare rumore. 
Mi allontano ogni giorno di più. Ma state tranquilli. È solo colpa mia».

- Lettera di una disoccupata pubblicata da "L'Eco di Bergamo" - 


Durante la Grande Depressione in Central Park i piccioni portavano le briciole ai passanti.

- Groucho Marx - 



Le beatitudini del 2000

Beati coloro
che hanno scelto
di vivere sobriamente
per condividere i loro beni
con i più poveri.

Beati coloro che rinunciano
a più offerte di lavoro
per risolvere
il problema dei disoccupati.

Beati i funzionari
che sveltiscono
gli iter burocratici
e tentano di risolvere i problemi
delle persone non informate.

Beati i banchieri,
i commercianti
e gli agenti di vendita
che non approfittano
delle situazioni
per aumentare i loro guadagni.

Beati i politici e i sindacalisti,
che si impegnano a trovare
soluzioni concrete
alla disoccupazione.

Beati noi
quando smetteremo di pensare:
"Che male c'è nel frodare,
tanto lo fan tutti".

Allora la vita sociale
sarà un'anticipazione
del Regno dei Cieli.

- Paul Abela - 



Buona giornata a tutti. :-)




domenica 12 ottobre 2014

Socrate e i tre filtri e... altre storie

Nella Grecia antica Socrate era apprezzato da tutti per la sua saggezza. 
Si racconta che un giorno incontrasse un conoscente che gli disse: ”Socrate, sai che cosa ho appena sentito di un tuo studente?”.
”Aspetta un momento” rispose Socrate. “Prima che tu me lo dica vorrei che tu sostenessi un piccolo esame che è chiamato “Esame dei tre filtri”.
Tre filtri?”
“Esatto,” continuò Socrate. “Prima che tu mi parli del mio studente, filtriamo per un momento ciò che stai per dire”.
Il primo è il Filtro della Verità
“Ti sei accertato al di là di ogni dubbio che ciò che stai per dirmi è vero?”.
”No” disse l’uomo “in effetti me lo hanno raccontato”.
”Bene,” disse Socrate. “quindi tu non sai se sia vero o meno”.
Il secondo è il Filtro della Bontà
“Ciò che stai per dirmi sul mio studente è una cosa buona?”.
“No, il contrario”.
“Allora,” Socrate continuò “tu vuoi dirmi qualcosa di male su di lui senza esser certo che sia vero?”.
L’uomo si strinse nelle spalle un po’ imbarazzato.
Il terzo ed ultimo è il Filtro dell’Utilità.
Socrate proseguì: ”Puoi ancora passare l’esame perché c’è il terzo filtro, il Filtro dell’Utilità. Ciò che vuoi dirmi circa il mio studente mi sarà utile?”.
”Veramente… non credo”.
“Bene,” concluse il Saggio “se ciò che vuoi dirmi non è Vero, non è Buono e neppure Utile, perché me lo vuoi dire?”.

In realtà Socrate non c’entra nulla; si tratta chiaramente di un apocrifo. La probabile fonte è un libro di tal Dan Millman, un ex atleta americano che ha fatto fortuna con una serie di libri su come vivere meglio. Tuttavia, trovando questa storiella molto simpatica ve la offro comunque.


La rana e il bue

Il debole, quando vuole imitare il potente, muore.
Una volta, in un prato, una rana vide un bue e presa dall’invidia di tanta grandezza gonfiò la pelle rugosa: allora interrogò i suoi figli chiedendo se fosse più grande del bue. Essi risposero di no. Di nuovo tese la pelle con sforzo più grande e chiese se fosse più grande. 
I figli risposero: “Il bue”. Infine, indignata si gonfiò ancora più forte, ma talmente forte, che fece scoppiare il suo corpo morendo per colpa dell’invidia.

- Fedro - 





C’era una volta. in un inverno freddissimo, un uccellino che volava su un campo innevato.
Avendo le zampette piene di neve cercava un posto su cui appoggiarsi.
Dall’alto sembrava che tutto fosse ricoperto di neve.
Scendendo più in basso, però, si accorse che c’era una pietra che ne era priva.
Allora l’uccellino si avvicinò e chiese al sasso: “Scusami, sono infreddolito e ho le zampette piene di neve, posso poggiarmi su di te per qualche istante?”
Il sasso lo guardò e subito disse “Ma certo!”.
L’uccellino si posò, si asciugò le zampette e dopo qualche minuto riprese il viaggio.
Nel ripartire disse alla pietra: “Grazie, sei stato veramente gentile, eri l’unico su cui potevo poggiarmi. Ti sarò sempre debitore”.
Ma il sasso rispose: “Grazie a te! Ora non mi chiederò più che ci sto a fare”.






Buona giornata a tutti :-)