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mercoledì 8 gennaio 2025

Un telefono azzurro per la Messa (carrellata dei più frequenti abusi liturgici) - Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro

 Ci vorrebbe un telefono azzurro anche per la liturgia. Anzi, soprattutto per la liturgia. Un telefono al quale i cattolici normali possano rivolgersi con fiducia e denunciare gli abusi. "Pronto, Telefono Azzurro per la Santa Messa? Volevo segnalarvi che nella parrocchia XY il prete Taldeitali fa tenere l'omelia alla suora laica che assomiglia a Rosy Bindi". E, dall'altra parte del cavo, solerti operatori impegnati a stilare un cahier de doléance da girare, in forma ufficiale, alla Chiesa Cattolica apostolica di Roma. E poi ci vorrebbe l'altrettanto solerte intervento di Roma. 
Il primo sintomo dell'epidemia di abuso liturgico sta nella rottura definitiva dell'unità della Messa. Chiesa che vai, liturgia che trovi. Il periodo estivo, con le sue escursioni per spiagge, valli, monti, colline e vecchi borghi, è stato l'occasione tragica per riscontrare l'esistenza di una molteplicità di riti, che nessuno è umanamente in grado di catalogare. Per tentare una classificazione di questo scempio da decenni tollerato, quando non incoraggiato, dalle gerarchie, bisogna individuare alcune macro-categorie di orrori.



Le Chiese ridotte a luoghi profani 
II primo abuso, il più diffuso, è consistito e consiste nella inesorabile riduzione delle chiese a luoghi profani. Luoghi nei quali si entra e si esce come da un centro commerciale, senza genuflessione e senza saluto al Santissimo Sacramento, che del resto in moltissime chiese è relegato in posizioni misteriose ed introvabili, quando non addirittura fatto accomodare in locali attigui al tempio. I protagonisti di questa secolarizzazione delle chiese sono gli architetti e chi li ha incaricati, che hanno realizzato mostruosi edifici, i quali nulla hanno di sacro e spiccano anzi per la loro oggettiva bruttezza. 
La conseguenza di questa autentica profanazione è che le chiese sono diventate luoghi importanti solo quando vi si riunisce l'assemblea e inizia quella che menti teologiche raffinate definiscono "l'azione liturgica". Fino a un secondo prima della Messa, la folla discorre amabilmente, si guarda in giro per vedere chi ci sia, controlla già impaziente l'orologio. Gli inginocchiatoi, per una preghiera di preparazione alla Messa, restano desolatamente vuoti, sempre che ancora siano presenti. Del resto, non è raro che lo stesso sacerdote giunga trafelato in sacrestia all'ultimo minuto, indossando in fretta e furia casule di nylon su camicioni dotati di praticissime cerniere lampo. 
Finita la Messa, in chiesa si scatena la bagarre, come all'uscita da San Siro a fine partita: la gente per lo più si da a una fuga precipitosa, altri si salutano calorosamente e ad alta voce si raccontano le ultime novità. Insomma, si "da corpo a una comunità viva". 
Il ringraziamento nel raccoglimento e nel silenzio? Roba preconciliare. 
Nel tabernacolo, Nostro Signore presente nel Santissimo Sacramento, del tutto ignorato, assiste solo e silenzioso alla volgarizzazione della sua casa. 
Nella quale non mancheranno, ovviamente, applausi ai funerali, discorsi dal pulpito di sindaci atei per commemorare il defunto, concerti e conferenze, senza nemmeno preoccuparsi di lasciare vuoto il tabernacolo.



Il sacerdote che celebra a braccio 
È sempre più frequente che il prete scelga di tradurre con le sue parole alcuni pezzi della Messa o anche di sottoporli a una specie di spiegazione alla Piero Angela di "SuperQuark": "Ecco, adesso recitiamo questa preghiera, dalla quale si capisce che Gesù ci ama". Dal che si intuisce come nemmeno l'abolizione della temutissima Messa in latino sia stata sufficiente a spiegare ed a far capire tutto al volgo cattolico. Ci vuole la spiegazione del Mistero, il cartello da museo di scienze naturali per svelare ciò che Dio stesso ha voluto fosse velato ai nostri sensi, come recita la splendida preghiera di Tommaso d'Aquino.



L'andirivieni per le Letture  & le "quote rosa"
Una delle pietre miliari consiste nel protagonismo dei laici. I quali devono conquistare più metri possibili sull'altare, proprio come i giocatori di rugby devono guadagnare campo per avvicinarsi alla meta. 
Il reclutamento di tali laici da liturgia subisce sorti altalenanti: si va dalle parrocchie (poche) nelle quali cattolici adulti sgomitano per avere un ruolo e così "animare la Messa", a parrocchie (quasi tutte) in cui i laici vivono con fastidio o persino terrore il reclutamento frettoloso che precede la Messa (o che avviene a Messa già iniziata). Alcuni agenti del parroco vagano alla ricerca di chi "farà la prima" (lettura) o di chi porterà all'altare le offerte. 
Avendo cura di garantire che il 50% dei lettori siano donne, in omaggio al genio femminile. Che viene parimenti esaltato anche dal numero di chierichette dalle lunghe chiome fluenti che occupano l'altare, a tutto detrimento dei declinanti e ormai rari chierichetti di sesso maschile.



Il Vangelo letto dal popolo e le Messe parzialmente scremate
La logica di occupazione dell'altare da parte dei laici spinge anche a far leggere il Vangelo a laici, suore e catechisti. 
Affidando loro pure il compito di commentare. In alcune chiese si sperimenta da anni una sorta di rito parallelo: l'assemblea in chiesa, i bambini del catechismo in un locale diverso, con letture adattate alle loro povere menti e predica del catechista; cui poi segue ricongiungimento dei due gruppi al momento della consacrazione.



L'Omelia vuota e inascoltabile 

Non si tratta propriamente di abuso liturgico, ma di abuso della pazienza dei fedeli. Sarebbe auspicabile una moratoria dalle prediche di almeno un anno, per verificare se alla fine il silenzio non possa risultare più sano delle ormai trite e ritrite dosi di cattiva teologia tardo novecentesca, cui è drammaticamente aggrappata gran parte del clero attuale.



È la Preghiera dei fedeli o la scaletta del TG?
È uno dei momenti più tragici della Messa domenicale, nel quale spesso i fedeli assistono attoniti al trionfo del politicamente corretto, navigano nel banal grande di un'agenda delle intenzioni che è dettata dal Tg1 della sera, subiscono un diluvio di parole che abbracciano così tante intenzioni da essere riassumibili in un'unica, brevissima preghiera:"Signore, ascolta tutte le preghiere di ciascuno di noi, Amen".



La Consacrazione, questa sconosciuta 
Quello che è, appunto, il Sacrificio e dunque il cuore della Messa scorre via spesso come un breve, rapidissimo momento qualsiasi del rito. Anzi, sotto il profilo quantitativo e perfino rituale, la lettura della "Parola" la predica, perfino la preghiera dei fedeli e l'offertorio, sovrastano in modo impressionante la fase della consacrazione. 

Potremmo dire che la assorbono, a causa di sacerdoti che la celebrano con la lena di un velocista, riducono l'elevazione a un istante infinitesimale, scelgono da sempre la preghiera di consacrazione più rapida e mai quella più simile alla Messa antica; e non si inginocchiano, limitandosi a un deferente inchino orientaleggiante.




Comunione o tavola calda?

La profanazione cui è sottoposto Nostro Signore nelle Sacre Specie è la parte più dolorosa degli abusi liturgici. A cominciare dalla diffusione pressoché plebiscitaria della comunione sulla mano, che venne introdotta dai vescovi italiani come eccezione, sotto forma di indulto, di concessione particolare. 
E che oggi è invece il modo ufficiale di ricevere il Santissimo. 
Con una serie di modalità e di strani contorcimenti dei fedeli che pigliano quanto volevano e poi se ne tornano al posto. 
E' indiscutibile che, con queste modalità, la dispersione delle Sacre Specie e la conseguente profanazione del Corpo e del Sangue di Nostro Signore è certa. Come pure aumentano a dismisura i rischi di asportazione della Comunione. Circostanze, che renderebbero necessario abbandonare subito la distribuzione sulle mani.



Il famigerato "Alleluia delle lampadine"

Tra tutte le orrende e non di rado eretichieggianti composizioni, che allietano la cosiddetta assemblea, questo è l'inno nazionale di tutti gli scempi musicali, che si sono sprigionati dopo l'abbandono del gregoriano. 
Questo canto-ballo rappresenta in modo emblematico la trasformazione della Messa da sacrificio a banchetto allegrone, nel quale tragicamente, come dicono le parole del testo, "la festa siamo noi". E non più Gesù Cristo.

- Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro -  
Fonte: Radici Cristiane, Ottobre 2013 (n.88)

(le foto sono state prese dal web)


























Buona giornata a tutti. :-)

domenica 10 ottobre 2021

Integrazione e annuncio del Vangelo – card. Carlo Maria Martini

Nel dicembre 1990, undici anni prima degli attentati alle Torri Gemelle che hanno riportato in primo piano lo «scontro di civiltà» e i problemi dell’integrazione, l’arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini tenne il suo discorso alla città dedicandolo proprio all’islam. E le sue parole rimangono ancora attuali, anche se possono apparire distanti da certi cliché cuciti addosso al cardinale.

«Vorrei richiamare qui, un punto che mi è sembrato finora poco atteso  e cioè la necessità di insistere su un processo di “integrazione”, che è ben diverso da una semplice accoglienza e da una qualche sistemazione. Integrazione comporta l’educazione dei nuovi venuti a inserirsi armonicamente nel tessuto della nazione ospitante, ad accertarne le leggi e gli usi fondamentali, a non esigere dal punto di vista legislativo trattamenti privilegiati che tenderebbero di fatto a ghettizzarli e a farne potenziali focolai di tensioni e violenze. 
Finora l’emergenza - continuava l’arcivescovo di Milano - ha un po’ chiuso gli occhi su questo grave problema».

«È necessario in particolare far comprendere a quei nuovi immigrati che provenissero da Paesi dove le norme civili sono regolate dalla sola religione e dove religione e Stato formano un’unità indissolubile, che nei nostri Paesi i rapporti tra lo Stato e le organizzazioni religiose sono profondamente diversi. Se le minoranze religiose hanno tra noi quelle libertà e diritti che spettano a tutti i cittadini, senza eccezione, non ci si può invece appellare, ad esempio, ai principi della legge islamica (shari’ah) per esigere spazi o prerogative giuridiche specifiche».

«Occorre perciò elaborare un cammino verso l’integrazione multirazziale,che tenga conto di una reale integrabilità di diversi gruppi etnici. Perché si abbia una società integrata è necessario assicurare l’accettazione e la possibilità di assimilazione di almeno un nucleo minimo di valori che costituiscono la base di una cultura, come ad esempio i principi della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e il principio giuridico dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge».

tratto dall' Intervento del cardinale Carlo Maria Martini
Basilica di Sant'Ambrogio, 1990, Milano



Per quanto riguarda invece l’annuncio della fede cristiana, Martini aveva affrontato questo tema proponendo l’esempio di San Francesco d’Assisi, che nella sua Regola, al capitolo XVI Di coloro che vanno tra i saraceni, scriveva: «I frati che vanno tra i saraceni col permesso del loro ministro e servo possono ordinare i rapporti spirituali in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti e dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L’altro è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio... e tutti i frati, ovunque sono, si ricordino che hanno consegnato e abbandonato il loro corpo al Signore nostro Gesù Cristo e che per suo amore devono esporsi ai nemici sia visibili che invisibili».

tratto dall' Intervento del cardinale Carlo Maria Martini
Basilica di Sant'Ambrogio, 1990, Milano


L’arcivescovo di Milano proseguiva quindi indicando alcune posizione «errate» delle comunità cristiane e in particolare dei preti di fronte al fenomeno. 
Tra queste, Martini citava «lo zelo disinformato» di chi fa «di ogni erba un fascio»: «Si propugna l’uguaglianza di tutte le fedi senza rispettarle nella loro specificità, si offrono indiscriminatamente spazi di preghiera o addirittura luoghi di culto senza aver prima ponderato che cosa significhi questo per un corretto rapporto interreligioso. Al riguardo saranno necessarie norme precise e rigorose, anche per evitare di essere fraintesi»
«La posizione corretta - spiegava il cardinale - è lo sforzo serio di conoscenza, la ricerca di strumenti e l’interrogazione di persone competenti. Penso, in particolare, ai casi molto difficili e spesso fallimentari dei matrimoni misti...».

tratto dall' Intervento del cardinale Carlo Maria Martini
Basilica di Sant'Ambrogio, 1990, Milano




«Nessuna contesa dunque, nessun uso della forza, esposizione sincera e a tempo opportuno di ciò che credono». 
«Può la Chiesa cattolica rinunciare a proporre il Vangelo a chi ancora non lo possiede? Certamente no, come ai musulmani non viene chiesto di rinunciare al desiderio di allargare la ‘umma, la comunità dei credenti». 

tratto dall' Intervento del cardinale Carlo Maria Martini
Basilica di Sant'Ambrogio, 1990, Milano






Buona giornata a tutti. :-)











martedì 29 ottobre 2019

Messa e momenti di silenzio - Romano Guardini

Quando la Santa Messa viene celebrata come si deve, tacciono ad intervalli, nel suo sviluppo, sia la voce distinta del sacerdote sia quella dei fedeli. 
Il sacerdote parla a bassa voce o esegue, senza parole, ciò che il servizio divino prescrive; la comunità prende parte con l'intenzione degli occhi e dell'anima.

Che cosa significano questi momenti di silenzio? E che fare allora? Anzi cos'è in fondo, il silenzio?

Anzitutto, una cosa semplicissima: che ci sia proprio silenzio, e che non si parli, e che non sia dato di cogliere nessun rumore, nessun movimento, nessun fruscio di fogli, nessun colpo di tosse. 
Non vogliamo esagerare: gli uomini sono degli esseri viventi e si muovono, e un essere schiavo non sarebbe da preferirsi al disordine. 
Eppure silenzio è per l'appunto silenzio, e solo allora è silenzio quando positivamente lo si vuole.

Dipende dal valore che gli si dà: da qui dipende il godimento o il tedio che ci si prova. 
L'uno dice: "Non posso trattenere la tosse". L'altro: "In ginocchio non ce la faccio". 
Quando però assistono ad un concerto oppure a una conferenza che li affascina, soffocano ogni colpo di tosse, evitano la più lieve mossa, e nella sala regna quel silenzio che è, in fondo, la cosa più bella di tutte: il clima di chi sta in ascolto, dove prende risalto ciò che vi è di bello e di veramente importante... 
Così è: bisogna volere fermamente il silenzio, anche a prezzo di qualche sacrificio: allora lo si ha. 
Lo avete sperimentato una volta in tutto il suo valore? Non saprete più comprendere come se ne possa star senza.»

- Romano Guardini -
da: Il testamento di Gesù


«La bellezza della liturgia esige sempre qualche rinuncia da parte nostra: rinuncia alla banalità, alla fantasia, al capriccio. 
Alla liturgia, inoltre, bisogna dare il tempo e lo spazio di cui ha bisogno. 
Non bisogna avere fretta. 
Più che alla nostra iniziativa bisogna lasciare a Dio la libertà di parlarci e di raggiungerci attraverso la parola, la preghiera, i gesti, la musica, il canto, la luce, l'incenso, i profumi. 
La liturgia, come una composizione musicale, ha bisogno di spazio, di tempo e di silenzio, del distacco da noi stessi, perché le parole, i gesti e i segni possano parlarci di Dio.» 

- Mons. Guido Marini -
da: Liturgia e bellezza


«Il musicista deve essere liturgista, perché come ad un povero a pranzo si dà il cibo buono, e non ghiande, così per la mensa del Signore non si possono presentare quelle musiche orribili che sanno più di schizofonia che di altro. 
La colpa non è del Concilio ma di chi non lo ha capito e che invece presume di averlo capito.» 

- Mons. Giuseppe Liberto -
Direttore emerito del Coro della Cappella Sistina


Buona giornata a tutti. :-)


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mercoledì 28 novembre 2018

… E saremo mandati in missione - don Tonino Bello

«La prima gemma che spunta sull’albero della Trinità è l’Eucaristia. 
Quando questa gemma scoppia, viene fuori la Chiesa. 
La Chiesa, quindi, non è altro che il Sacramento eucaristico pienamente sbocciato». [...]



Dalla Trinità,

«[…] Se non comprendiamo che la Chiesa è “Oriens ex alto” (che nasce dall’alto), che ha, cioè, nella Trinità l’origine, il modello e la meta non solo della sua missione, ma anche del suo stesso essere, allora tutti i nostri richiami all’ “insieme”, all’ “unità”, alla “comunione”, sembreranno solo manifestazione dell’ansia di chi vuol contare di più, incidere di più, produrre di più, apparire di più.

Nella sottolineatura della “Ecclesia de Trinitate” (Chiesa che nasce dalla Trinità) non si nasconde il calcolo del proverbio che dice “l’unione fa la forza”. 
C’è, invece, l’esigenza di far capire che, se l’albero è la Trinità, mistero di comunione, la Chiesa, che su quest’albero matura, non può vivere la disgregazione delle persone, il molecolarismo dei progetti, la frantumazione degli sforzi. 
Se no, non è Chiesa. Sarà organizzazione del sacro, consorteria di beneficenza, fabbriceria del rito, multinazionale della morale. Ma non Chiesa.

[E] Se dai frutti non ci è dato risalire al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, vuol dire che non ci troviamo di fronte alla Chiesa. […]

[Così] Se fotocopieremo nella nostra Chiesa la comunione trinitaria, se, cioè, saremo davvero una “Ecclesia de Trinitate” saremo mandati in missione.

Diversamente, il nostro agire sarà la convulsione propagandistica di chi vuole annettersi spazi per spirito di dominio; sarà sterile proselitismo di chi non si rassegna a morire e si agita per spirito di conservazione; sarà appagamento borioso di chi si contenta dell’apparato e sogna scenografie di potenza.»


attraverso l’Eucaristia,

«Oggi si parla dell’Eucaristia come “epifania e primizia” della Chiesa. 
Questo significa che tutta la realtà ecclesiale non è altro che il sacramento eucaristico sbocciato nella vita degli uomini.

Ora, se l’eucaristia (boccio della Chiesa spuntato sull’altare della Trinità) è comunione, anche la Chiesa (fiore dell’Eucaristia) deve essere comunione, anzi fioritura di comunione, compimento di comunione, pienezza di comunione.»

La fioritura della comunione.

«Gli antichi lo sentivano profondamente questo nesso: «Come questo pane spezzato era sparso sui colli e, raccolto, è diventato una sola cosa, così si raccolga la tua Chiesa dai confini della terra nel tuo Regno… (Didachè, 9-10). […]

Comunione, che, non nasce dalla necessità di stringere le fila o dall'urgenza di serrare i ranghi per meglio far fronte al mondo che ci incalza. 
La comunione nasce da una ineluttabilità ontologica, non da un calcolo aziendale. Sicché, nelle espressioni che spesso scegliamo come titolo dei nostri convegni: «Insieme per camminare, insieme per spezzare il pane, insieme per pregare, insieme per lottare…», nessuno sposti l’attenzione sul verbo dicendo: “purché si cammini, purché si spezzi il pane, purché si preghi, purché si lotti…” La forza della frase poggia sull’avverbio “insieme”». [...]

«Ci sono due celebrazioni eucaristiche nel corso dell’anno che mal sopportano la frantumazione dell’assemblea, e sono quelle del Giovedì Santo e del Corpus Domini. In quei giorni bisogna fare di tutto perché l’unità del popolo di Dio si visibilizzi il più possibile anche fisicamente». [...]

«La domenica dovrebbe scatenare in ogni credente il bisogno di “convenire in unum”, (radunarsi insieme), mettendogli nel cuore la gioia per i contatti umani che stabilisce, e la nostalgia per gli allacciamenti che non riesce a operare.

La domenica è il giorno in cui l’ “insieme” si visibilizza, la comunione si densifica, la compaginazione dell’assemblea attorno a Cristo si articola concretamente.

In questo giorno ognuno si dovrebbe lasciarsi “risucchiare” dai momenti più pieni e più intensi, quasi per sentire con maggiore potenza il fascino della moltitudine fraterna. […]

E il Corpo del Signore non è impoverito solo da chi non va affatto all’assemblea, ma anche da coloro che, rifuggendo dalla mensa comune, aspirano a sedersi a una mensa privilegiata e più ricca: non sembrano infatti somigliare a quei cristiani di Corinto che rifiutavano di mettere in comune il loro ricco pasto con i più poveri? Se l’Eucaristia è condivisione (espressa dal gesto dello spezzare il pane) sull’esempio di Colui che non ha risparmiato nulla di sé, allora chi ha più ricevuto, più sia disposto a donare, anche quando donare potrà sembrare perdere». [...] 
«Sono convinto che ognuno di voi farà di tutto per entrare nella profondità del Mistero, mediante una revisione critica del proprio personale rapporto con Gesù Cristo e si chiederà: che senso ha per me l’Eucaristia? 
Quale cambio porta nei miei giorni la messa domenicale? 
Quale attentato arreca alla mia tranquillità fin troppo borghese? 
Quale servizio agli “ultimi” mi stimola a rendere? 
Quali gerarchie di valori introduce nella mia vita? 
Quale smottamento provoca nella compattezza delle mie superbie personali o delle mie arroganze di gruppo.

Cari confratelli, solo se l’Eucaristia lavorerà “dentro” avremo il diritto e il coraggio di portarla “fuori”.

… E saremo mandati in missione

«E Maria, che è proprio l’icona della Chiesa, si alza, si mette in viaggio, raggiunge la città e porta la letizia al mondo nelle case della gente. Prima processione del Corpus Domini [e suo] ostensorio perché dentro di lei c’è Gesù Cristo.» [Vol. 4, pg. 40]

«mandata anche lei […] ha obbedito a quell’impulso. E, portando Cristo nel grembo, è divenuta il primo ostensorio di lui, ha inaugurato le processioni del Corpus Domini, ed è andata a portare annunci di liberazione ai parenti lontani.» [Maria dei nostri giorni, pag. 36 | Maria, donna missionaria ]

Vostro + don Tonino, Vescovo
da: Antologia degli Scritti, Vol. 1, pag. 289-291, pag. 295 | Vol. 6, pag. 549 | Vol. 5, pag. 262
da: "Non c'è fedeltà senza rischio", pag. 151 


Buona giornata a tutti. :-)






sabato 17 novembre 2018

La Messa è finita, andate in pace - Mons. Alessandro Maggiolini

La prossima volta che andate a Messa, provate a far caso, amici: spesso, durante il rito ci si muove a fatica; non si ha la sincronia e lo scatto d'un corpo di ballo quando ci si alza, ci si siede, ci si inginocchia; e le risposte che si danno al prete lungo tutta la mezz'ora sembrano sospiri sommessi, incerti, vellutati, paurosi... 
Ma c'è una risposta che si fa coro risoluto; è l'ultima, quando si sente: «La Messa è finita, andate in pace»; allora è un'esplosione d'esultanza, uno squillo di trombe compatte come una banda: «Rendiamo grazie a Dio». 
E qui c'è lo scatto felino, da centometristi, verso la porta: la chiesa si svuota in un baleno, altro che Berruti o Mennea.
Sto forse esagerando, lo so. Ma so anche che la Messa ha preso il nome proprio dalla conclusione... Ci avete pensato? 
È il sacrificio di Cristo e tante altre cose - il cuore della vita della Chiesa -; eppure... Ite, missa est.

- Mons. Maggiolini Alessandro -




Chiederei d'essere creduto: non sto rimproverando nessuno. 

Sto semplicemente rilevando che la preghiera, spesso, non è una esultanza e una spontaneità: è una fatica e un dovere. 
Bisogna prenderla per quel che è. 
Bisogna adattarvisi con coraggio, anche se impegna maledettamente: perché costringe ad essere attenti; perché impone una sincerità difficilissima verso se stessi; perché mette a confronto con Dio che richiede una conversione mai conclusa; o, più banalmente: perché altre cose aspettano fuori, più piacevoli o comunque meno ardue...
Non è raro udire frasi come: «Io prego quando mi sento»; o: «Non è giusto forzare la persona quando si pone di fronte a Dio»; o: «La preghiera dev'essere gesto spontaneo, istintivo, gioioso: è un atto d'amore»... 
Come se l'amore fosse fatto soltanto di occhi languidi e di attrazione irresistibile, e non richiedesse anche di ricordare gli anniversari, di decidere a chi tocca alzarsi prima dal letto per preparare il caffè, di lavorare sodo, di far trovare la cena pronta, di lucidare le scarpe e altre cose intuibili...

- Mons. Maggiolini Alessandro -


Talvolta ci si imbatte persino in prediche che presentano la preghiera soltanto come un fervore incontenibile: l'acqua per la terra riarsa; l'aria per i polmoni; la luce per gli occhi... Son paragoni frusti che vorrebbero esprimere un bisogno, un'inclinazione a cui non si può resistere...
Mah. Forse qualche volta capita anche così: agli inizi, in certi momenti particolarmente felici. Ma solitamente, ho i miei dubbi.
Non vorrei presentare la preghiera come un castigo: un poco come quando ci si imponeva un rosario, poniamo, da recitare per una marachella... 
Certo fatica è, e dovere: proprio perché è amore. 
Sarò sbagliato, ma se mi affidassi alla pura istintività, alla spontaneità più travolgente, da parte mia - in altri campi - avrei già l'atto fuori un plotone di zie e avrei sulla coscienza più d'un alunnicidio o d'un fedelicidio... 
Comunque non pregherei quasi mai.
Sì, perché è troppo facile insistere sulla non forzatura, sulla propensione, sul desiderio innato e incontrollabile della preghiera per poi non pregare. 
Un poco come quando si dice: a Messa non ci vado, a confessarmi non ci vado, a pregare non mi ci metto, se non mi sento, se non sono preparato. E non si tiene conto che ci si può anche impegnare a sentire, a prepararsi...

Cose ovvie, direte. Certo. Ma siamo così scaltri nell'evitare i doveri, che ci diamo perfino l'aria di persone serie e abissalmente pensose in questi trucchi da bambini. 
Sembra che tendiamo alla mistica più sconvolgente, e invece abbiamo soltanto voglia di veder la partita o di metterci a leggere il giornale. Il Signore aspetti pure...
Posso sembrare un moralista arcigno, e invece sto dicendo a voce alta cose che pensiamo tutti. E sto parlando di gioia, nonostante le apparenze: quella vera, fedele e conquistata...

- Mons. Maggiolini Alessandro -



Giovani si diventa
Auguro una giovinezza perenne e crescente.
Il calendario procede anonimo e freddo, come un destino.
Eppure, l'anagrafe non possiede il mistero dell' età:
diciottenni possono già essere stanchi e sfiduciati e
ottantunenni possono essere inventivi e sciolti,
creativi nell'animo,
come chi ha ancora qualcosa da dire e
progetti da elaborare.
Vecchi si nasce, giovani si diventa.
E il soggetto di questa giovinezza è celato nel cuore che si 
sospende alla semplicità di Dio.

- Mons. Alessandro Maggiolini -



Buona giornata a tutti. :-)

www.leggoerifletto.it


domenica 27 agosto 2017

Domenica senza scuse

Una domenica, alla porta della chiesa, fu appeso questo cartello:

"Per consentire a tutti di venire in chiesa domenica prossima, abbiamo organizzato una speciale domenica "senza scuse".

Saranno sistemati dei letti in sacrestia per tutti quelli che dicono: “La domenica è l’unico giorno della settimana in cui posso dormire”.

Sarà allestita una speciale sezione di morbide poltrone per coloro che trovano troppo scomodi i banchi. Un collirio sarà offerto a quelli che hanno gli occhi troppo affaticati dalla nottata alla tv.

Un elmetto d’acciaio temprato sarà regalato a tutti coloro che dicono: “Se vado in chiesa potrebbe cadermi il tetto in testa”. 

Morbide coperte saranno fornite a quelli che dicono che la chiesa è troppo fredda e ventilatori a quelli che dicono che è troppo calda.

Saranno disponibili cartelle segnapunti per coloro che vogliono fare la classifica delle persone “che vanno sempre in chiesa ma sono peggio degli altri”.

Parenti e amici saranno chiamati in soccorso delle signore che non possono, contemporaneamente, andare in chiesa e preparare il pranzo.

Verranno distribuiti dei distintivi con la scritta: “Ho già dato” a tutti coloro che sono preoccupati per la questua.

In una navata saranno piantati alberi e fiori per quelli che cercano Dio solo nella natura.

Dottori e infermieri si dedicheranno alle persone che si ammalano sempre e solo di domenica. Forniremo apparecchi acustici a quelli che non riescono a sentire la predica e tappi per le orecchie per quelli che ci riescono.

La chiesa sarà addobbata contemporaneamente con le stelle di Natale e i gigli di Pasqua per quelli che l’hanno sempre e solo vista così.”


Sarà bellissimo la domenica, vivere la Messa tutti insieme, vi aspettiamo!!




Oggi vegliare con Gesù è diventata una specie di condanna ai lavori forzati. Dio ci dona l’eternità. 
Noi gli diamo qualche minuto, a malincuore.



Siamo gli ultimi. 
Subito dopo di noi comincia un’altra età, un altro mondo, il mondo di coloro che non credono più a niente e se ne vantano. 
Subito dopo di noi comincia il mondo che noi abbiamo chiamato e continueremo a chiamare il mondo moderno. 
Il mondo che fa il furbo. 
Il mondo delle persone intelligenti; progredite, scaltrite, delle persone che la sanno lunga… il mondo di quelli che non hanno più niente da imparare. 
Di quelli che fanno i furbi… il mondo di quelli che non hanno una mistica…
La medesima sterilità inaridisce la città e la cristianità. 
La città degli uomini e la città di Dio. 
E questa è la sterilità moderna.

- Charles Peguy -