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sabato 27 gennaio 2024

Il genio - Leonard Cohen

Per te
sarò un ebreo del ghetto
e ballerò
e indosserò calze bianche
sulle mie gambe storte
e fiumi di veleno
attraverseranno la città.
Per te
sarò un giudeo apostata
e dirò al prete spagnolo
del voto di sangue
nel Talmud
e dove sono nascoste
le ossa dei bambini.
Per te
sarò un ebreo bancario
e porterò alla rovina
un vecchio orgoglioso re cacciatore
e terminerò la sua stirpe.
Per te
sarò un ebreo di Broadway
e piangerò nei teatri
per mia madre
e venderò oggetti da mercato
sottobanco.
Per te
sarò un medico ebreo
e cercherò prepuzi
nei bidoni della spazzatura
per ricucirli di nuovo.
Per te
sarò un ebreo di Dachau
e giacerò sul cemento
con gambe storte
gonfio di dolore
e nessuno capirà.


- Leonard Cohen - 



I maschi da una parte e le donne dall’altra, disposti in file diverse.
Quest’ordine colpiva tutti come un fulmine a ciel sereno.
Adesso che si è giunti all’ultima tappa, ormai alla fine del viaggio, ci ordinano di dividere e di separare l’inseparabile.
Di separare ciò che è indissolubile, quanto è stato unito in una sola unità indivisibile.
Nessuno si muove perché non si riesce a credere nell’incredibile.
Non è possibile che l’irreale diventi realtà, fatto.
Ma la grandinata di colpi abbattutasi sulle prime file di persone in piedi fece sì che persino nelle file più remote le famiglie cominciassero a separarsi.[....]
Si riteneva che era l’inizio della conta dei nuovi arrivati a seconda del sesso.
Si intuiva che stava per arrivare il momento più importante, il momento in cui bisogna consolarsi e confortarsi a vicenda.

- Zalmen Gradowski - 
Manoscritto di prigioniero ebreo rinvenuto dopo la guerra nel campo di Auschwitz



Ci trasciniamo nella terra pantanosa e argillosa pieni di paura e ridotti allo stremo.
Stiamo per arrivare alle nostre nuove tombe, così chiamiamo le nostre nuove case.
Prima di trascinarci fino al nuovo posto, facciamo appena in tempo a prendere una boccata d’aria e già alcuni di noi vengono presi a manganellate in testa.
Dalle teste spaccate e dai volti feriti scorre il sangue.
È il benvenuto che viene dato ai nuovi arrivati.
Sono tutti sbalorditi e si guardano intorno per capire dove sono capitati.
Subito ci informano che abbiamo appena avuto un assaggio della vita del campo.
Qui regna una disciplina ferrea.
Ci troviamo nel campo della morte.
È un’isola della morte.
L’uomo non viene qui per vivere ma per trovarvi, prima o poi, la propria morte.
Non vi è posto per la vita nella residenza della morte.

- Zalmen Gradowski -
Manoscritto di prigioniero ebreo rinvenuto dopo la guerra nel campo di Auschwitz



Seicento ragazzi erano stati condotti in pieno giorno, seicento ragazzi ebrei in età dai 12 ai 18 anni, con grandi casacche molto leggere, ai piedi scarpe lacere o zoccoli di legno.
Erano così belli e benfatti che nemmeno quegli stracci erano in grado di deturparli.
Ciò accadeva nella seconda metà di ottobre 1944.
Li avevano portati venticinque SS armate fino ai denti.
Quando furono nel piazzale, il Kommandofuhrer diede l’ordine di spogliarsi.
I ragazzi scorsero il fumo che usciva dal camino e subito capirono che li conducevano a morte.
In preda a un panico selvaggio, cominciarono a correre per il piazzale strappandosi i capelli dalla testa, senza sapere come porsi in salvo.
Molti scoppiarono a piangere disperatamente, si diffuse un terribile lamento.
Per farli spogliare il Kommandofuhrer e il suo aiutante picchiavano senza misericordia quei poveri ragazzi, fino a che il manganello non si ruppe.
Gliene portarono così un altro e continuò a colpirli sulla testa finché la violenza non l’ebbe vinta.

- Zalmen Lewental - 
Manoscritto di prigioniero ebreo rinvenuto dopo la guerra nel campo di Auschwitz




Il silenzio. Il silenzio di Birkenau.
Il silenzio di Birkenau non assomiglia a nessun altro silenzio: ha in sé le grida di disperazione, le preghiere strangolate di migliaia e migliaia di comunità che il nemico condannò ad essere ingoiate dall’oscurità di una notte infinita, una notte senza nome.
Il tacere degli uomini congelato nel cuore della disumanità.
Silenzio eterno sotto un cielo azzurro.
Silenzio di morte nel cuore della morte…
Nel regno delle ombre che è Auschwitz nessuno cammina lentamente; la morte si getta contro la sua preda.
Non ha tempo, la morte: dev’essere contemporaneamente dappertutto.
La vita, la morte: tutto si unisce in una folle velocità.
Il futuro si limita qui all’attimo che precede la selezione; qui bisogna correre dietro al presente, perché non scompaia del tutto.
Si corre a lavarsi.
Si corre mentre ci si veste.
Si corre alla distribuzione del pane, della margarina, della zuppa.
Si corre all’appello, si corre al lavoro, si corre da un blocco all’altro, alla ricerca di uno sguardo famigliare.
Alla ricerca di una parola di consolazione.
L’abbaiare dei cani… le grida dei carnefici, il rumore dei randelli di gomma che si abbattono sulla nuca dei prigionieri.
Il dolore rende muti gli uomini affamati e deboli; la loro umiliazione pesante come una maledizione.

- Elie Wiesel - 



to never  forget!
nicht zu vergessen ... ever!
ne pas oublier ... jamais!
чтобы не забыть ... никогда!
                                                           per non dimenticare.... mai! 

venerdì 27 gennaio 2023

Da: “Paura dell'infinito” - Dietrich Bonhoeffer

 La paura è in un certo qual modo il nostro principale nemico. Essa si annida nel cuore dell’uomo e lo mina interiormente finché egli crolla improvvisamente, senza opporre resistenza e privo di forza.

Corrode e rosicchia di nascosto tutti i fili che ci uniscono al Signore e al prossimo. 
Quando l’essere umano in pericolo tenta di aggrapparsi alle corde, queste si spezzano, ed egli, indifeso e disperato, si lascia cadere tra le risate dell’inferno. Allora la paura lo guarda sogghignando e gli dice: ora siamo soli, tu e io, e ora ti mostro il mio vero volto.
Chi ha conosciuto e si è abbandonato a questo sentimento in un’orribile solitudine — la paura di fronte a una grave decisione, la paura di un destino avverso, la preoccupazione per il lavoro, la paura di un vizio a cui non si può più opporre resistenza e che rende schiavi, la paura della vergogna, la paura di un’altra persona, la paura di morire — sa che è soltanto una maschera del
male, una forma in cui il mondo ostile a Dio cerca di ghermirlo. 
Non c’è nulla nella nostra vita che ci renda evidente la realtà di queste forze ostili al Creatore come questa solitudine, questa fragilità, questa nebbia che si diffonde su ogni cosa, questa mancanza di vie di uscita e questa folle agitazione che ci assale quando vogliamo uscire da questa terribile disperazione. 
Avete mai visto qualcuno assalito dalla paura? Il suo viso è orribile quando è bambino e continua a essere spaventoso anche da adulto: quella fissità dello sguardo, quel tremore animalesco, quella difesa supplichevole. 
La paura fa perdere all’uomo la sua umanità. Non sembra più una creatura di Dio, ma del diavolo; diventa un essere devastato, sottomesso.
Abbiamo paura della quiete. Siamo così abituati all’agitazione e al rumore, che il silenzio ci appare minaccioso e lo rifuggiamo. 
Passiamo da un’attività all’altra per non dover stare soli, per non essere costretti a guardarci allo specchio. Ci annoiamo, a tu per tu con noi stessi. Spesso le ore che siamo costretti a trascorrere in solitudine ci sembrano le più tristi e le meno fruttuose. 
Ma non abbiamo soltanto il timore di noi e di scoprirci; temiamo molto di più l’Onnipotente. Vorremmo evitare che disturbi la nostra tranquillità e ci smascheri, creando un rapporto esclusivo a due per poi disporre di noi secondo la sua volontà. 
Questo incontro misterioso ci preoccupa e cerchiamo di sottrarci a questa esperienza. Ci teniamo alla larga dal pensiero di Dio, per evitare che Egli arrivi inaspettatamente e ci rimanga troppo vicino. Sarebbe terribile doverlo guardare negli occhi e doversi giustificare. Dal nostro volto potrebbe scomparire per sempre il sorriso. Potrebbe, per una volta, accadere qualcosa di molto serio a cui non siamo più abituati.
Questa paura è una caratteristica della nostra epoca. Viviamo con l’ansia di essere improvvisamente avvolti e manovrati dall’infinito. 
Allora preferiamo vivere in società, andare al cinema o a teatro per poi essere portati al cimitero, piuttosto che rimanere un minuto di fronte al Signore.
Nell’Apocalisse di san Giovanni leggiamo: «Temete Dio e dategli gloria, perché è giunta l’ora del suo giudizio» (14, 7). «Temete Dio», invece delle cose che vi fanno paura. 
Non temete il futuro, non temete gli altri uomini. 
Non temete la violenza e la forza, anche se possono privarvi dei vostri beni e della vostra vita. 
Non temete i potenti di questo mondo. 
Non temete nemmeno voi stessi. 
Non temete i peccati. 
Morirete a causa di tutti questi timori. 
Liberatevi da queste paure, ma temete Dio e soltanto Lui, che ha autorità su tutti i poteri terreni. Davanti a Lui deve provare timore tutta la Terra.
Può darci la vita o privarcene. Tutto il resto non ha importanza, solo il Signore conta. 
Che cosa ci chiederà il Padre nell’ultimo giorno? Soltanto una cosa: «Avete creduto al Vangelo e gli avete ubbidito?». Non domanderà se eravamo tedeschi o ebrei, se eravamo nazisti oppure no, e nemmeno se facevamo parte della Chiesa confessante, se eravamo persone influenti e di successo, se possiamo vantarci di grandi opere, se eravamo rispettati oppure malvagi, insignificanti, inutili e sconosciuti. Il nostro unico giudice sarà il Vangelo. 
Perché io sono proprio io? Che cosa sono davvero? Chi sono?
Perché esisto? Da dove arrivo? Qual è il mio fine? Cosa ne sarà di me? 
Sono queste le domande che l’umanità si pone da sempre. L’uomo si sente aggredito da una forza superiore, da tutto un mondo, dal suo stesso io; allora comincia a indagare, a cercare, ad arrovellarsi e procede di scoperta in scoperta, sentendosi sempre più inquieto. Di fronte a se stesso viene colto da una grande paura. Per la prima volta è toccato dalla miseria dell’essere umano e il cuore si contrae nella consapevolezza della sua mancanza di libertà. A questo punto reclama una cosa soltanto: la liberazione dal demone delirio e dal suo dominio, la redenzione. 
Come posso salvare il mio io? Come posso diventare libero? Come posso dare una forma a ciò che non ne ha e organizzare ciò che è privo di coerenza?
Come posso dominare il caos?
In ogni tempio greco antico erano riportate queste parole: «Conosci te stesso!». Solo in questo modo diventerai padrone del tuo io. È un’esperienza che può fare ognuno di noi: nessuno riesce realmente a conoscersi nel corso della sua vita. Siamo e rimaniamo ignoti a noi stessi, soltanto Dio è in grado di vedere davvero dentro di noi.
Se ci lambicchiamo il cervello ci procuriamo soltanto grandi tormenti: sappiamo bene che questo atteggiamento conduce alla disperazione e non al sollievo. 
Quindi è necessario percorrere un’altra via: non quella della conoscenza di sé, ma il dominio e la formazione di sé attraverso la volontà.
Perché il problema della debolezza è così importante? 
Hai mai visto nel mondo un mistero più grande dei poveri, dei vecchi, dei malati. 
Hai mai pensato a come appare la vita a uno storpio, a un infermo senza speranza, a una persona sfruttata, a un nero in un ambiente di bianchi, a un intoccabile? Se lo hai fatto, riesci a sentire che in quei casi l’esistenza ha un significato diverso da quello che le attribuisci tu? Comprendi che anche tu, comunque, appartieni alla categoria degli sfortunati, perché anche tu sei un essere umano come loro, perché sei forte e non debole, perché in tutti i tuoi pensieri avvertirai la loro fragilità? Non ci siamo resi conto che non potremo mai essere felici finché questo universo della debolezza, da cui forse finora siamo stati risparmiati ci rimane estraneo e sconosciuto, distante, finché lo teniamo lontano dalla nostra portata, in modo consapevole o inconsapevole?
Che cosa significa debolezza nel nostro mondo? Sappiamo che fin dai primi tempi fu rimproverato al cristianesimo di rivolgere il suo messaggio ai deboli: era considerato la religione degli schiavi, di quelli che soffrono di complessi di inferiorità; si diceva che dovesse il suo successo alla massa di
disperati dei quali ha esaltato la condizione di miseria. È stato proprio l’atteggiamento nei confronti del problema del male nel mondo che ha attirato simpatie oppure odio per questa confessione. Ha sempre prodotto l’opposizione forte e sdegnata di una filosofia aristocratica che esaltava la forza e il potere, in contrapposizione con i nuovi valori di rifiuto della violenza ed esaltazione dell’umiltà.
Anche nella nostra epoca siamo testimoni di questa lotta. Il cristianesimo resiste o fallisce con la sua protesta rivoluzionaria contro l’arbitrio e la superbia del potente, con la sua difesa del povero.
Credo che i cristiani facciano troppo poco, e non troppo, per rendere chiaro questo concetto. 
Si sono adattati troppo facilmente al culto del più forte. Dovrebbero dare molto più scandalo, scioccare molto più di quanto facciano ora.

- Dietrich Bonhoeffer - 

in “L'Osservatore Romano” del 9 aprile 2015
Scritti inediti di Dietrich Bonhoeffer, ucciso nel campo di concentramento di Flossenbürg il 9 aprile 1945, sono appena apparsi nel volume dal titolo "La fragilità del male" (Milano, Piemme, 2015, pagine 176, Stralcio dal primo capitolo)


"I figli di Dio non devono avere quaggiù altra patria che l’universo intero. Con la totalità delle creature ragionevoli che ha contenuto e contiene e conterrà, il nostro amore deve avere la stessa estensione attraverso tutto lo spazio.
Ogni qual volta un uomo ha invocato con cuore puro Osiride, Dioniso, Crisna, Budda, Il Tao ecc. il Figlio di Dio ha risposto inviandogli lo spirito Santo e lo Spirito Santo ha agito sulla sua anima, non inducendolo ad abbandonare la sua tradizi
one religiosa, ma dandogli luce e nei migliori dei casi la pienezza della luce all’interno di tale tradizione.
Poiché in occidente la parola Dio, nel suo significato corrente, disegna una persona, quegli uomini nei quali l’attenzione, la fede e l’amore si applicano quasi esclusivamente al perfetto impersonale di Dio, possono credere e dirsi atei, sebbene l’amore soprannaturale abiti nella loro anima.
Costoro sono sicuramente salvati e si riconosce dal loro atteggiamento verso le cose di quaggiù, quelli che possiedono allo stato puro l’amore per il prossimo e l’accettazione dell’ordine del mondo compresa la sventura, costoro sono tutti sicuramente salvati, anche se vivono e muoiono in apparenza atei". 

- Simone Weil -


"Anche sogliono essere odiatissimi i buoni e i generosi perché ordinariamente sono sinceri, e chiamano le cose coi loro nomi.
Colpa non perdonata dal genere umano, il quale non odia mai tanto chi fa male, né il male stesso, quanto chi lo nomina.
In modo che più volte, mentre chi fa male ottiene ricchezze, onori e potenza, chi lo nomina è strascinato in sui patiboli, essendo gli uomini prontissimi a sofferire o dagli altri o dal cielo qualunque cosa, purché in parole ne sieno salvi." 

- Giacomo Leopardi - 


Cercavo te nelle stelle
quando le interrogavo bambino.
Ho chiesto te alle montagne,
ma non mi diedero che poche volte
solitudine e breve pace.
Perché mancavi, nelle lunghe sere
meditai la bestemmia insensata
che il mondo era uno sbaglio di Dio,
io uno sbaglio nel mondo.
E quando, davanti alla morte,
ho gridato di no da ogni fibra,
che non avevo ancora finito,
che troppo ancora dovevo fare,
era perché mi stavi davanti,
tu con me accanto, come oggi avviene,
un uomo una donna sotto il sole.
Sono tornato perché c’eri tu.

(Primo Levi)


Titolo della poesia "11 febbraio 1946". 
Fa parte della raccolta "Ad ora incerta"


Buona giornata a tutti. :-)


giovedì 10 febbraio 2022

10 febbraio. L'esodo del ricordo verso il Perdono - Padre Antonello Iapicca -

Sessantacinque anni, un bel salto nella vita. Tanti ce ne sono voluti a Mariuccia, mia madre, per sentire ben oltre la superficie delle ferite il potere rigenerante di Cristo. Ne aveva ottanta, infatti, quando è ritornata a Parenzo, la città dell’Istria che la vide nascere, crescere, e poi, a sedici anni, andar via con poche cose tra le mani.
Ci siamo andati insieme, ed è stato come un pellegrinaggio nella memoria. No, non era la prima volta che ci tornava dai tempi dell’ “Esodo”. Ci andò con papà quando era ancora Jugoslavia, e fu difficile. Ci venne altre volte, e fu un dolore acuto e insopportabile dover oltrepassare due frontiere, quelle della Slovenia e della Croazia. E aveva giurato di non farlo più, come moltissimi hanno giurato e fedelmente compiuto.
Ma lei non aveva previsto l’imprevisto, l’amore di Dio che bussa quando meno te lo aspetti, ed è capace di sconvolgere, in bene, ogni vita. E quella di mia madre, incontrandola, l’aveva sconvolta, eccome. Ho avuto la grazia di poterlo vedere, e oggi, “Giorno del ricordo” istituito dal Governo Italiano nel 2004 per commemorare le vittime dei massacri delle foibe e dell’Esodo giuliano-dalmata, non posso tener ferma la penna. Devo raccontare quello che ho visto in mia madre; lo devo a lei e ai miei parenti, lo devo ai tanti che hanno sofferto e non ci sono più e a quelli che ci sono ancora, ai loro figli e nipoti.
E lo devo a molti altri italiani che, mi rendo conto scrivendo, non sanno neppure dove o cosa sia l’Istria, e poi le foibe e l’esodo forzato di 350.000 istriani. Non lo sanno i giovani, come per tanto tempo non l’hanno voluto sapere troppi anziani.
Ma oggi capisco anche questo. Non è facile per nessuno affrontare la realtà, specie se è così dura da sconvolgere le proprie certezze. Quelle dei vincitori e quelle dei vinti, quelle dei carnefici e quelle delle vittime. Per questo sento di dover scrivere quello che ho visto in mia madre, nella speranza che sfiori i cuori di tutti, da qualunque parte siano stati. Anche di quanti non sanno nulla di quello che è accaduto in Istria dal 25 aprile del 1945.
Mia madre suole dire che per lei e la sua famiglia la guerra è iniziata proprio il giorno della Liberazione. Guerra che è durata più di mezzo secolo, e forse per molti dura ancora. In politica innanzitutto, tra gli storici, e nei cuori. Almeno così è stato in quello di mia madre. Perché quando vedi ingiustizie brutali piombarti addosso, stroncare la vita di amici e conoscenti, azzerare d’un colpo speranze e certezze, beh ditemi in quale cuore non si innescherebbe la guerra.
L’ingiustizia, infatti, è sempre un detonatore inarrestabile di conflitti. Lo è in famiglia, al lavoro, figuriamoci tra le Nazioni e i popoli. Eppure non è di questo che devo parlare. Vi sono libri e studi che raccontano bene come sono andate le cose. E un’altra storia di dolore non aggiungerebbe nulla, se non qualche fascina al fuoco del risentimento. E dal risentimento non può sorgere la pace, mai.
Mentre è proprio della pace che devo parlarvi, quella firmata da mia madre nella Basilica Eufrasiana di Parenzo, la magnifica cattedrale bizantina patrimonio dell’Unesco che impreziosisce la già bellissima cittadina. E non è partigianeria eh, andate su Google e fatevi un viaggetto virtuale, vedrete che meraviglia.
La Pace dunque, con la maiuscola sì, perché è uno dei nomi propri di Dio fatto carne. E quel giorno mamma ha finalmente sperimentato la Pace nel suo cuore. In quel momento è stato solo un vagito, ma ormai era fatta. Mai avrebbe pensato di tornare un giorno insieme a suo figlio prete nella chiesa dove era stata battezzata e aveva ricevuto Prima Comunione e Cresima, e dalla quale era stata violentemente strappata. Mai avrebbe pensato di essere un giorno accanto a lui a celebrare l’amore e la fedeltà di Dio intorno a quell’altare.
E’ stato come una saetta, un segno di fuoco nel cuore che ha cominciato a cauterizzare nell’intimo la ferita che sino ad allora aveva sputato veleno, sporcando pensieri e gesti di quel senso d’ingiustizia patita che ti porti addosso e non sai come liberartene.
In quella Chiesa aveva passato i momenti più belli della sua infanzia, quelli più puri e innocenti. A poche decine di metri aveva studiato e giocato. Se stai attento, dalle sue navate puoi sentire il rumore del mare e il fischio dei vaporetti, sapori, odori e suoni della sua infanzia e adolescenza che un giorno, senza un perché, le erano stati sottratti.
E in quei pochi ma intensi minuti è stato come se tutto quel passato tornasse in vita, ma non era un peso. Non era più solo nostalgia. I giorni della sua fanciullezza accompagnati da tutti quelli che li hanno seguiti si presentavano a lei con un vestito nuovo. Era bella ora la sua storia; amara come le lacrime che le solcavano il viso, ma non per questo meno bella. Perché uno dei segreti che Dio svela ai suoi amici è proprio questo, che il dolore non è nemico della pace e della felicità autentiche. Anzi, proprio le lacrime sono un segno del paradosso che è una vita toccata da Cristo. Anche quando sono di commozione gioiosa non perdono il loro sale amaro.
E quelle che le scendevano sul viso dicevano a mia madre che finalmente la sua storia aveva svestito gli abiti del risentimento e del rancore per indossare quelli del perdono. E non era stata lei accidenti, non era nulla di magico o moralistico. Era la Grazia che l’aveva abbracciata una ventina d’anni prima con l’annuncio del Vangelo e non l’aveva più lasciata.
E ora, nel cuore della sua storia, dava alla luce il suo frutto più bello. Mamma stava vivendo la sua Messa più vera, perché il Mistero celebrato si era fatto carne in lei. E’ solo in Cristo crocifisso, morto e risorto, infatti, che la storia, qualunque storia, può essere illuminata e trovare senso.
Quante volte aveva sperimentato il perdono, non si contavano. Dio l’aveva attesa con pazienza e misericordia, sino a farsi vicino attraverso la predicazione della Chiesa. Aveva ascoltato le catechesi del Cammino Neocatecumenale insieme a papà, dopo lunghi anni nei quali avevano invece avversato e contestato il Cammino. Io c’ero entrato a 15 anni, e per molto tempo le mie attitudini e i miei comportamenti non gli avevano fatto buona pubblicità, anzi… Ma poi, anche quella volta per pura grazia, è successo qualcosa tra noi: Dio ci aveva profondamente riconciliati in un perdono mai sperimentato prima. E tutto è cambiato. La nostra relazione innanzitutto, autenticamente risuscitata dalle macerie del mio orgoglio.
Il Cammino Neocatecumenale dunque dava frutti, eccome; e allora, da quel perdono, è iniziato il cammino di mia madre. Lunghi anni immersi nella Parola di Dio e nei sacramenti, seguendo le orme di Gesù che la conducevano pian piano dentro i vicoli oscuri della sua storia, quelli macchiati dal risentimento e dall’ingiustizia patita. Passo dopo passo la luce della Pasqua rischiarava le tenebre, e quello che agli occhi della carne bruciati dal rancore sembrava un sepolcro senza speranza cominciava a brillare come un giardino all’aurora.
Perché la storia visitata da Cristo risorto è proprio come un deserto trasformato in giardino, e ogni suo frammento si rivela indispensabile. Non aveva Gesù annunciato più volte ai suoi discepoli che, per risorgere, sarebbe “dovuto” andare a Gerusalemme e lì essere crocifisso, morire e scendere nella tomba? Non ha scritto mille volte San Paolo che l’unico vanto di un cristiano è la Croce? Certo, è proprio così, e così mia madre ha sperimentato.
Era necessaria quella Croce piantata nel suo cuore adolescente. Era necessario che scendesse sino in fondo – e che dolore – per svelare quello che aveva lì, nel cuore. Perché tutti, quando urtiamo contro l’ingiustizia, abbiamo la stessa identica reazione, ben diversa da quella dell’Agnello di Dio. E per questo soffriamo e non troviamo pace, non avendo da offrire al male che altro male. Non scandalizzatevi se potete, anche se lo so, la Croce è scandalo e stoltezza per tutti, religiosi e atei o agnostici razionali.
Per questo oggi devo raccontare il miracolo legato a questo giorno speciale per tutti gli istriani. Devo annunciare attraverso la storia di mia madre che la Croce è l’unica porta che si apre sul Cielo, il destino preparato per ogni uomo. Che non è un cumulo di parole oppiate inventate dai preti per ingannare e sottomettere le masse.
La Croce che si faceva manto di misericordia e presenza viva di Cristo nel baldacchino della Basilica di Parenzo abbracciava mia madre mostrandole con dolcezza ogni istante della sua vita come un frammento degli splendidi mosaici che ne rivestono le pareti. Eccone uno, c’è dentro la foto di quando era uscita in fretta sotto gli occhi velenosi dei finanzieri di Tito. Eccone un altro, racconta di quando aveva dovuto viaggiare sui treni di notte attraverso la sua Italia, la Patria per la quale aveva lasciato la sua terra; nessuno doveva vederli quegli istriani, erano di sicuro infettati dal veleno del fascismo se sfuggivano dal paradiso comunista.
Un altro ancora, ci sono impresse le impronte digitali che le presero neanche fosse una criminale. E molti altri, sino a quelli più recenti, che fissano i momenti umilianti di quando, per rinnovare il passaporto o la carta di identità, per prenotare le analisi o un biglietto d’aereo, nel dire il proprio luogo di nascita ha dovuto (e deve…) sgolarsi in inutili spiegazioni. Parenzo non esiste più, ora è Porec, Croazia; ma mia madre non è nata in Croazia…
E allora? Sarebbero state necessarie tutte queste umiliazioni? Dai, non scherzare, il “Giorno del ricordo” è stato istituito proprio per non dimenticare e far conoscere a tutti gli italiani questa storia di ingiustizie. E così, forse, certi crimini non si ripeteranno. Forse, appunto… Non basta il ricordo, guarda quello dei lager appena celebrato. Ti sembra che in Europa siano cambiate le cose? No, per nulla, anzi peggiorate, perché ora quello che si sperimentava nel segreto dei campi di concentramento si fa alla luce del sole, benedetto da leggi di Stati che si ritengono all’avanguardia della civiltà.
No, non basta il ricordo, abbiamo bisogno invece di imparare a vivere un “memoriale”. E’ questo che ho visto in mia madre, una “memoria – reale”, i fatti di dolore che si facevano contemporanei ma trasfigurati nel perdono.
Nella Bibbia ebraica il verbo “ricordare” descrive innanzitutto il comportamento di Dio. Per un ebreo il “memoriale” è lasciare che Dio entri di nuovo nella storia attraverso lo stesso modo in cui si è comportato nel passato. Così il presente si fonde con il passato ed è accolto nell’eternità di Dio, che significa, essenzialmente, il suo amore.
E il momento più importante della Storia di Israele – il “memoriale” più prezioso – è la Pasqua che si distende nell’Esodo sino all’ingresso nella Terra Promessa. Gli ebrei lo celebrano solennemente in quella che chiamano la “notte delle notti”. In essa tutta la famiglia riunita in casa torna sulle sponde del Mar Rosso, posa i piedi all’asciutto mentre lo attraversa, si volta a guardare i carri del faraone sprofondare nelle acque; ogni ebreo cammina nel deserto, si ferma alle falde del Sinai, e, finalmente, entra nella Terra che Dio ha preparato per lui.
Ogni padre ha il dovere di raccontare ogni evento dell’Esodo ai propri figli, perché siano immersi nelle opere di Dio, sperimentarne la presenza nella loro storia, e crescere nella fede. Ancora oggi, infatti, durante il Seder pasquale dice ai suoi figli che “Ognuno è tenuto a vedersi come essendo proprio lui uscito dall’Egitto” (Haggadah).
Ecco, accolta e formata nella Chiesa, quel giorno a Parenzo mia madre ha vissuto, proprio come un ebreo, il suo “memoriale”; diverso certo, perché era quello del compimento della Pasqua Ebraica, ovvero l’Eucarestia. Il Mistero della morte e risurrezione di Cristo si era compiuto in ogni istante della sua vita, sino a quella Messa: Cristo, infatti, era sceso a prenderla nella tomba del dolore e del risentimento, l’aveva perdonata e risuscitata, per accompagnarla sino alla Terra promessa della Pace del cuore, anticipo e primizia del Paradiso.
E’ così, è la realtà, quello che avvelena il cuore non sono gli alimenti che mandiamo giù, ma quello dal cuore esce perché è già lì. Non è la storia che ci uccide, per quanto triste e piena di ingiustizie. E’ il peccato che ha fatto la sua tana dentro di noi che ci fa soffrire, perché frustra il desiderio di bene e di amore che in tutti Dio ha seminato.
Per questo è un’illusione credere che la giustizia umana possa donarci pace. Falso! Checchè raccontino film e libri, politici e filosofi, ogni giustizia umana ha partorito sempre nuove ingiustizie. Con ciò non voglio dire che essa non debba fare il suo corso, e punire i responsabili dei crimini. Ma che essa ha dei limiti, e non può guarire il cuore.
Per questo è necessario il perdono, impossibile agli uomini se prima non l’hanno sperimentato, immeritato, nella propria vita. Il perdono che tagli alla radice il peccato che ci impedisce di perdonare e amare, ed essere finalmente persone libere che vivono e annunciano la Pace.
In quell’Eucarestia mia madre ha visto la sua storia redenta nello stesso perdono che aveva sanato il suo cuore. Solo in questa luce si può comprendere come anche il dolore che l’ha accompagnata per cinque decenni sia stato necessario per curarla nell’incontro decisivo con l’amore di Cristo più forte di ogni ingiustizia.
Era volontà di Dio la guerra, e poi le foibe e quell’ingiustizia macchiata di sangue innocente? Era volontà di Dio che tante famiglie venissero strappate dalla propria terra? No, assolutamente, come non lo fu la disobbedienza di Adamo ed Eva. Eppure, dal giorno in cui Cristo è salito sulla Croce ed è entrato nel sepolcro, Dio ha come allargato le maglie della sua volontà, assorbendo anche gli orrori della storia e le nostre cadute. Cristo infatti è sceso con ogni uomo ucciso barbaramente nelle foibe, per fare di quelle cavità carsiche il suo sepolcro e risuscitare quei morti e per lasciare su quelle rocce il suo sangue perché anche gli assassini avessero speranza. La volontà di Dio, infatti, è una sola: che nessuno vada perduto e tutti gli uomini siano salvati.
E così è stato: da quella messa mia madre è uscita trasformata. E’ accaduto l’impensabile di poter abbracciare in un segno di Pace autentico tanti fratelli croati; di ascoltare le loro storie e i loro dolori, e di sentire dentro nascere amore vero per ognuno. Al punto di ospitarli a Roma, e lasciar loro il suo letto. Sino a pregare ogni giorno per Tito e i suoi partigiani, insieme ovviamente a tutti i suoi fratelli istriani.
Certo ancora molto cammino l’attende. Nessuna beatificazione anticipata, ci mancherebbe. Mia madre è, come tutti, una persona debolissima, e certo non è insensibile alle immagini e ai racconti di quegli anni, anzi. Il dolore è lì, come quello di chiunque abbia perso un figlio o una persona cara, e quella “terra benedetta” come la chiama lei, le è cosa molto, molto cara. Ma Dio è stato fedele con lei, e oggi è Lui che devo celebrare, offrendo una testimonianza che sia un segno di speranza per tanti, per chi ha vissuto la stessa esperienza, per chi ne vive altre simili, e per chi non conosce questa storia italiana.
Una cosa è certa, mia madre mai avrebbe potuto entrare nella Pace della riconciliazione se non avesse percorso con Cristo il suo Esodo dal rancore al perdono, trasfigurando in esso quello che oggi ogni italiano è chiamato a celebrare.

- Antonello Iapicca - 
Sacerdote missionario cattolico presso la città di Takamatsu

fonte: http://www.ildomaniditalia.eu/lesodo-del-ricordo-verso-il-perdono/


Voglio gridare!

Voglio gridare
che la vita è indistruttibile,
nonostante la morte;
che la speranza è la brezza
che spazza la disperazione;
che l'altro è un fratello
prima d'essere un nemico;
che non bisogna mai disperare
di se stessi e del mondo;
che le forze che sono in noi
sono forze che possono sollevarci
e sono inesauribili;
che si deve parlare l'amore,
e non parole di tempesta e caos;
che la vita incomincia oggi
e ogni giorno, e che è Speranza.

Mietek Grayewski, versi scritti in un campo di concentramento.




Buona giornata a tutti :-)



giovedì 27 gennaio 2022

27 gennaio 1945 i sovietici liberano Aushwitz

27 gennaio 1945 i sovietici liberano Aushwitz e fanno conoscere al mondo la tragedia immensa che fu il nazismo. 
Non cominciò con le camere a gas. 
Tutto ebbe inizio quando ebrei, rom, omosessuali, politici vennero considerati uomini di razza inferiore, paragonati agli insetti. Zecche da eliminare per il trionfo della razza pura. I responsabili non furono solo i tedeschi ma anche i collaborazionisti volenterosi di tutta l’Europa. 
Per fortuna furono in molti a opporsi e quelle tenebre non prevalsero. 
La Storia non riguarda solo il passato, vive dentro di noi. 
Quegli avvenimenti possono ripetersi.



È piccolo il giardino profumato di rose,
è stretto il sentiero dove corre
il bambino, un bambino grazioso come
il bocciolo che si apre: quando il bocciolo
si aprirà il bambino non ci sarà.

Franta Brass, nato a Brno il 14 Agosto 1930 
morto ad Auschwitz il 28 Settembre 1944.


Pochi anni ci separano dal più orribile crimine di massa che la storia moderna debba registrare: un crimine commesso non da una banda di fanatici, ma con freddo calcolo dal governo di una nazione potente.
Il destino dei sopravvissuti alle persecuzioni tedesche testimonia fino a che punto sia decaduta la coscienza
morale dell'umanità.

- Albert Einstein -



Alcuni sopravvissuti dicono di aver sentito la presenza di Dio accanto a loro nonostante tutto ciò che accadeva.
Io non riuscii mai a percepirlo.
Auschwitz-Birkenau e Fürstegrube non hanno fatto di me un ateo, ma mi hanno reso consapevole di una cosa: a Dio non era permesso l’ingresso oltre la recinzione perimetrale e il filo spinato.

- Sam Pivnik -


"...perché è l’indifferenza che paralizza e impedisce di fare quel che è giusto anche quando si sa che è giusto."

"Non è solo questione di analizzare le cause della violenza e di rifiutarne le logiche perverse, ma di essere pronti e attivi nel rispondervi. Pertanto, il nemico contro cui lottare non è soltanto l’odio, in tutte le sue forme ma, ancor più alla radice, l’indifferenza; perché è l’indifferenza che paralizza e impedisce di fare quel che è giusto anche quando si sa che è giusto.

Non mi stanco di ripetere che l’indifferenza è un virus che contagia pericolosamente i nostri tempi, tempi nei quali siamo sempre più connessi con gli altri, ma sempre meno attenti agli altri."

(dal DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI ALLA CONFERENZA INTERNAZIONALE SULLA RESPONSABILITÀ DEGLI STATI, ISTITUZIONI E INDIVIDUI NELLA LOTTA ALL'ANTISEMITISMO E AI CRIMINI CONNESSI ALL'ODIO ANTISEMITICO, Sala Clementina Lunedì, 29 gennaio 2018)




mercoledì 26 gennaio 2022

Se questo è un uomo - Primo Levi

"Oggi ripeto quelle parole. A nessuno è lecito, davanti alla tragedia della Shoà, passare oltre. Quel tentativo di distruggere in modo programmato tutto un popolo si stende come un’ombra sull’Europa e sul mondo intero; è un crimine che macchia per sempre la storia dell’umanità. Valga questo, almeno oggi e per il futuro, come un monito: non si deve cedere di fronte alle ideologie che giustificano la possibilità di calpestare la dignità umana sulla base della diversità di razza, di colore della pelle, di lingua o di religione. 

Rivolgo il presente appello a tutti, e particolarmente a coloro che nel nome della religione ricorrono alla sopraffazione e al terrorismo." 

 San Giovanni Paolo II, papa


Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere quest’offesa, la demolizione di un uomo. 

In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati in fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c’è, e non è pensabile. 

Nulla è più nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. 

Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga.

(da "Se questo è un uomo" - di Primo Levi) 



"Quali che siano gli eventi, ricordatevi di due cose: Dio non abbandona nessuno. 
Quanto più vi sentite solo, trascurato, vilipeso, incompreso, e quanto più vi sentirete presso a soccombere sotto il peso di una grave ingiustizia, avrete la sensazione di un'infinita forza arcana che vi sorregge, che vi rende capaci di propositi buoni e virili, della cui possanza vi meraviglierete, quando tornerete sereno. E questa forza è Dio."

- san Giuseppe Moscati - 



 
Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici.
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

(Primo Levi)

Fonte: "Se questo è un uomo”


Dachau, locale docce
dai buchi usciva gas
 
Dachau, ingresso forno crematoio

 
http://it.wikipedia.org/wiki/Campo_di_concentramento_di_Dachau


Buona giornata a tutti. :-)