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martedì 13 dicembre 2016

I due asinelli - don Bruno Ferrero

Alla grotta di Betlemme arrivarono arrancando, anche due asinelli.
Erano stanchi e macilenti. 
Le loro groppe erano spelacchiate piagate dai pesanti sacchi che il mugnaio loro padrone, caricava quotidianamente e dai colpi di bastone che non risparmiava. 
Avevano sentito i pastori parlare del Re dei Re venuto dal Cielo ed erano accorsi anche loro. Seguirono quella stella e davanti alla grotta, rimasero a contemplare il Bambino. 
Lo adorarono, pregarono come tutti e misero ai Suoi piedi,  come dono l’unica cosa che avevano: la loro vita. E i loro dolori, le loro pene... 
All’uscita li attendeva lo spietato mugnaio e i due asinelli ripartirono a testa bassa, con il pesante basto sulla groppa. “Non serve a niente”, disse uno, “ho pregato il Messia che mi togliesse il peso e non lo ha fatto”. 
“Io invece”, ribatté l’altro, che trotterellava con un certo vigore, “gli ho chiesto di darmi la forza di portarlo!”.

E se qualcuno ti dice: “La vita è dura”, chiedigli: “In confronto a che cosa?”.

- don Bruno Ferrero - 


Dio ha scelto di nascere in una famiglia umana, che ha formato Lui stesso. L’ha formata in uno sperduto villaggio della periferia dell’Impero Romano. Non a Roma, che era la capitale dell’Impero, non in una grande città, ma in una periferia quasi invisibile, anzi, piuttosto malfamata. [...] 
Ebbene, proprio da lì, da quella periferia del grande Impero, è iniziata la storia più santa e più buona, quella di Gesù tra gli uomini!  

- Papa Francesco -
(Udienza Generale in Piazza San Pietro)


Il Presepe può infatti aiutarci a capire il segreto del vero Natale, perché parla dell’umiltà e della bontà misericordiosa di Cristo, il quale "da ricco che era, si è fatto povero" (2 Cor 8,9) per noi. 
La sua povertà arricchisce chi la abbraccia e il Natale reca gioia e pace a coloro che, come i pastori a Betlemme, accolgono le parole dell’angelo: "Questo per voi il segno: un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia" (Lc 2,12). 
Questo rimane il segno, anche per noi, uomini e donne del Duemila. Non c’è altro Natale. 

- papa Benedetto XVI - 



Riposate, Signore, nel vostro poverissimo quanto augustissimo presepio, sotto lo sguardo della Vergine, vostra Madre, che riversa su Voi i tesori ineffabili del suo rispetto e della sua tenerezza. 
Mai una creatura adorò con così profonda e rispettosa umiltà il suo Dio. 
In nessun tempo un cuore materno amò più affettuosamente suo figlio. Reciprocamente, mai Dio amò tanto una mera creatura. 
E in nessun momento un figlio amò tanto pienamente, tanto interamente, tanto sovrabbondantemente sua madre. 
Tutta la realtà di questo sublime dialogo di anime può essere racchiusa in queste parole, che indicano qui un intero oceano di felicità e che, in un'occasione ben diversa, avreste detto un dì dall'alto della Croce: "Madre, ecco tuo figlio. Figlio, ecco tua madre. 
E, considerando la perfezione di questo reciproco amore, tra Voi e vostra Madre, sentiamo il cantico angelico che si innalza dalle profondità di ogni anima cristiana: "Gloria a Dio nel più alto dei Cieli, e pace in Terra agli uomini di buona volontà" .

- Plinio Correa de Oliveira -






Buona giornata a tutti. :-)





venerdì 9 dicembre 2016

Un papà per natale - Nathalie Guarnieri

«Mi raccomando, non stropicciateli subito!», Gabriella, la catechista, cominciò a distribuire i fogli e le buste ad ogni bambino. Fogli e buste avevano dei simpatici fregi dorati sull'angolo destro e un grazioso Bambin Gesù nella mangiatoia in quello sinistro. Fabio prese il suo foglio con un attimo di esitazione. Non aveva voglia di scrivere la lettera a Gesù Bambino, questa volta.
«Scrivete bene... e soprattutto, per una volta, siate sinceri! Quando avete finito piegate il foglio, infilatela nella busta e sigillate. Avete capito?», diceva Gabriella, che sparava le parole come una mitragliatrice. «Poi mettete le buste in questo cestino che porteremo insieme nel presepio grande della scuola. Avete capito?»
I bambini cominciarono a cinguettare.
«Io chiedo i pattini con le rotelle in linea», diceva Rosalba. «lo l'abbonamento all'antenna parabolica», annunciava Michael, che aveva il padre ingegnere.
«Io invece voglio la tuta della Juventus», proclamava Marco, lo sportivo del gruppo.
«E tu Fabio?», chiese Gabriella, arruffandogli affettuosamente i capelli.
«Adesso ci penso», rispose sottovoce il bambino.
Stringeva le labbra come se stesse per scoppiare a piangere. Si chinò sul foglio e con la sua grossa calligrafia infantile scrisse una frase. Una soltanto, breve, ma che gli veniva proprio dal cuore. Firmò: «Il tuo amico Fabio» e cominciò l'operazione di piegatura del foglio, con la solita diligenza, e la lingua che gli spuntava appena tra le labbra, a indicare tutto l'impegno che ci metteva.
Gabriella gli stava alle spalle e aveva potuto leggere la richiesta di Fabio. Tossì, perché le venivano le lacrime agli occhi. Lei intuiva la sofferenza che Fabio cercava di dissimulare, quel velo di malinconia che lo prendeva all'ora di andare a casa. Il papà di Fabio non c'era più. Se n'era andato. E il bambino ne soffriva tanto, come di una ferita che non si rimargina. La sua lettera a Gesù Bambino diceva così: «Caro Gesù Bambino, per Natale mandami un papà buono. Grazie. Il tuo amico Fabio».
«Credo sia la lettera più difficile che riceverai, caro Gesù», pensò Gabriella.
Le letterine furono raccolte, tra le proteste dei bambini che erano arrivati solo ad elencare una dozzina di richieste. Prima di collocarle nel presepio, con un gesto rapido, Gabriella mise la lettera di Fabio davanti a tutte le altre. «Comincia da questa, per favore», mormorò rivolta al Bambino di gesso, che se ne stava con le braccine spalancate sulla paglia finta della mangiatoia di plastica.
Venne il giorno di Natale. Fabio si svegliò presto, con l'eccitazione delle grandi giornate. Girandosi nel letto sentiva il fruscio della carta dei regali vicino ai piedi. Se ne stette un bel po' ad occhi chiusi, per godersi l'attesa della sorpresa. Era pur sempre Natale!
Aprì i pacchetti avvolti in carta colorata e dorata, lentamente. Riconobbe i regali dei nonni, quelli della mamma, la tuta da sci che di certo era un regalo dello zio Luigi. «Poi, ci sono anch'io!».
La voce, pacata e profonda, lo fece trasalire. C'era un uomo accanto al suo letto. Aveva i capelli scuri e ricciuti, una folta barba nera sul volto abbronzato, e un sorriso dolce come lo sguardo. Indossava una morbida felpa azzurra e pantaloni di fustagno. Fabio era soprattutto meravigliato dal fatto di non provare paura. Non era proprio un fifone, ma pauroso sì. E trovarsi uno sconosciuto improvvisamente accanto al letto, in condizioni normali, gli avrebbe provocato per lo meno una serie di urla terrificanti. Invece quell'uomo gli dava soltanto una serena sicurezza. Come se lo conoscesse da sempre.
In quel momento entrò la mamma: «Tanti auguri, tesoro!». Lo abbracciò. «Ti piacciono i regali?». Fabio ricambiò l'abbraccio. «Sì, grazie», mormorò.
«È presto ancora. Ti preparerò una buona colazione. Ma ora stai qui al caldo a pigrottare un po'». La mamma gli accarezzò i capelli e uscì.
«Ma... ma... non l'ha visto!», disse Fabio rivolto all'uomo misterioso.
«No. Io sono il tuo regalo, non il suo», sorrise l'uomo.
Cominciò così una giornata memorabile della vita di Fabio. Si alzò e si lavò a tempo di record. Nell'attesa, l'uomo aveva preso i quaderni di Fabio e li esaminava con interesse.
«Bravo!», disse alla fine. «Hai fatto dei bei progressi, ultimamente» .
Fabio annuì con fierezza. «Ho ancora qualche problema con le doppie...», aggiunse virtuosamente. «Ma ce la farai, ne sono certo», aggiunse l'uomo e gli mise una mano sulla spalla. Una sensazione bellissima per Fabio.
«Tu hai dei figli?», chiese, esitando ancora. «Ho un figlio, sì», rispose l'uomo. «Ma oggi, sei tu mio figlio». La mamma spuntò improvvisamente sulla porta. «Cosa fai? Parli da solo?».
«No... Dicevo una poesia ad alta voce». «Per favore, vai in cantina a prendere un barattolo di marmellata... Se vuoi la crostata a mezzogiorno!», continuò la mamma. Scendere in cantina per Fabio era una tortura. Tutte quelle ombre polverose lo riempivano di angoscia. Di solito faceva mille storie o fingeva di dimenticarsi.
Come se avesse capito tutto, l'uomo si alzò e disse: «Andiamo!», e lo prese per mano. Era una manona energica, tiepida, protettiva, che infondeva una tranquilla sicurezza.
Il cigolio della porta della cantina, che quando scendeva da solo gli ricordava lo stridio dei denti di un mostro nascosto nell'ombra, adesso gli sembrò comico. «Ci vorrebbe un po' d'olio sui cardini», disse.
La pacata presenza dell'uomo accanto a lui, trasformò la cantina, da antro polveroso disseminato di oscure insidie e misteriose presenze, in una stanza qualunque, zeppa di mobili vecchi, giochi rotti, qualche bottiglia e barattoli di pomodori pelati.
Prese un barattolo di marmellata e si girò per uscire. Ma l'uomo lo fermò.
«Perché non fai un giro con quella?», disse indicando una bicicletta nuova appoggiata al muro. Fabio arrossì. «Non ci so andare... Nessuno ha tempo per insegnarmi».
«Magnifico, infilati una giacca a vento e andiamo. Il viale è deserto».
Incredulo, il bambino portò la bicicletta sulla strada. L'uomo lo aiutò a salire in sella e gli disse di incominciare a pedalare. Fabio incominciò traballando, ma l'uomo reggeva saldamente la bicicletta e gli camminava accanto. Provarono e riprovarono. A tratti, l'uomo lasciava la presa e il bambino pedalava da solo, finché riuscì a trovare il punto di equilibrio e partì in una lunga felice pedalata. Aveva imparato.
«Grazie!», ansimò all'uomo che lo accolse fingendo di applaudire.
«Rientriamo, ora. Sei sudato e fa freddo». «Solo più un giro», supplicò il bambino. «D'accordo. Ma uno solo!».
Rientrò in casa gridando: «Ho imparato, mamma, ho imparato ad andare in bicicletta!».
«Da solo?», chiese la mamma.
«Beh... veramente...». L'uomo si portò l'indice sulle labbra e fece segno al bambino di tacere.
«Stai tranquillo un attimo che devo preparare il pranzo», continuò la mamma. «Fra un po' arrivano i nonni».
L'uomo aiutò il bambino a riporre la bicicletta e l'accompagnò nella sua cameretta. «Come farai per il pranzo?»
«Ti aspetterò qui. Ne approfitterò per rimettere in sesto il tuo armadio».
Infatti, quando tornò nella sua cameretta, Fabio vide che le ante dell'armadio chiudevano perfettamente e che i piani erano ben diritti. Sembrava un armadio nuovo.
«Ci sai fare», disse.
«È il mio mestiere», bisbigliò l'uomo, poi aggiunse: «Potresti insegnarmi questo gioco, intanto».
Giocarono una serie memorabile di partite a Scarabeo. Poi fecero una lunga passeggiata insieme (Fabio disse alla mamma che andava all'oratorio). A cena gli occhi del bambino brillavano di stanchezza e di felicità. La mamma lo fissava con qualche perplessità: non riusciva a capire perché il bambino continuasse a rivolgere lo sguardo verso il lato vuoto della tavola. Una volta lo sorprese addirittura a sorridere.
Fabio andò a letto prima del solito. Si infilò sotto le coperte e l'uomo gli sistemò la trapunta a scacchi bianchi e neri e si sedette sul letto accanto a lui.
«Diciamo le preghiere insieme, prima che arrivi la mamma?»
«Certo», disse l'uomo e sorrise.
Dopo le preghiere, l'uomo strinse la mano del bambino.
«Devi andartene, vero?», sussurrò Fabio.
«Eh sì!».
«Una giornata passa in fretta», ammise malinconicamente il bambino.
«Sei un bravo ragazzo e tutti ti vogliono bene. Devi voler bene alla mamma e anche al tuo papà. Dovunque sia, rimane il tuo papà».
«Io quando sarò grande e avrò dei bambini li amerò sempre e starò sempre con loro», promise Fabio. «Sì. È così che devi fare. E io, in qualche modo, ti sarò accanto e ti aiuterò».
«Non mi hai neanche detto come ti chiami». «Giuseppe».
L'uomo lo accarezzò. Le sue grosse mani da operaio sprigionavano un'infinita tenerezza.
«Sei stato il più bel regalo di Natale», bisbigliò Fabio prima di addormentarsi.

da: "Storie di Natale", Nathalie Guarnieri





"Beati i sognatori, gli idealisti, i teneri.
Beati gli ingenui, i grandi che non hanno perso la voglia di sentirsi bambini nell'animo.
Beati coloro che non rinunciano all'amore per paura.
Beati i cuori impavidi..."

- Albert Einstein - 



...“Rinfrancate i vostri cuori”. Il cammino verso la Grotta di Betlemme è un itinerario di liberazione interiore, un’esperienza di libertà profonda, perché ci spinge ad uscire da noi stessi e ad andare verso Dio che si è fatto a noi vicino, che rinfranca i nostri cuori con la sua presenza e con il suo amore gratuito, che ci precede e ci accompagna nelle nostre scelte quotidiane, che ci parla nel segreto del cuore e nelle Sacre Scritture. Egli vuole infondere coraggio alla nostra vita, specialmente nei momenti in cui ci sentiamo stanchi e affaticati e abbiamo bisogno di ritrovare la serenità del cammino e sentirci con gioia pellegrini verso l’eternità...

papa Benedetto XVI - dalla "Omelia del 16 dicembre 2010" –



Buona giornata a tutti. :-)







lunedì 5 dicembre 2016

Vieni, Signore - Jean Galot -

Avvento, tempo dell'attesa e della speranza:
è la tua venuta, o Cristo, che vogliamo rivivere,
preparandoci più profondamente
nella fede e nell'amore.
Avvento, tempo della Chiesa affamata del Salvatore:
essa vuole ripeterti, volgendosi a te
con più insistenza, con un lungo sguardo,
che tu sei tutto per lei.
Avvento, tempo dei desideri più nobili dell'uomo
che più coscientemente convergono verso di te,
e che devono cercare in te, nel tuo mistero,
il loro compimento.
Avvento, tempo di silenzio e di raccoglimento,
in cui ci sforziamo d'ascoltare la Parola
che vuol venire a noi,
e di sentire i passi che si avvicinano.

Avvento, tempo dell'accoglienza
in cui tutto cerca di aprirsi,
in cui tutto vuol dilatarsi nei nostri cuori troppo stretti,
al fine di ricevere la grandezza infinita
del Dio che viene a noi.

- Jean Galot - 




...Nel Natale risuona nel mondo intero l’annuncio semplice e sconvolgente: “Dio ci ama”. “Noi amiamo – dice san Giovanni - perché egli ci ha amati per primo” (1 Gv 4,19). Questo mistero è ormai affidato alle nostre mani perché, sperimentando l’amore divino, viviamo protesi verso le realtà del cielo. E questo, diciamo, è anche l’esercizio di questi giorni: vivere realmente protesi verso Dio, cercando anzitutto il Regno e la sua giustizia, certi che il resto, tutto il resto ci sarà dato in sovrappiù (cfr Mt 6,33). A crescere in questa consapevolezza ci aiuta il clima spirituale del tempo natalizio.
La gioia del Natale non ci fa però dimenticare il mistero del male (mysterium iniquitatis), il potere delle tenebre che tenta di oscurare lo splendore della luce divina: e, purtroppo, sperimentiamo ogni giorno questo potere delle tenebre. Nel prologo del suo Vangelo, più volte proclamato in questi giorni, l’evangelista Giovanni scrive: “La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta” (1,5). E’ il dramma del rifiuto di Cristo, che, come in passato, si manifesta e si esprime, purtroppo, anche oggi in tanti modi diversi. Forse persino più subdole e pericolose sono le forme del rifiuto di Dio nell’era contemporanea: dal netto rigetto all’indifferenza, dall’ateismo scientista alla presentazione di un Gesù cosiddetto modernizzato o postmodernizzato. Un Gesù uomo, ridotto in modo diverso ad un semplice uomo del suo tempo, privato della sua divinità; oppure un Gesù talmente idealizzato da sembrare talora il personaggio di una fiaba.
Ma Gesù, il vero Gesù della storia, è vero Dio e vero Uomo e non si stanca di proporre il suo Vangelo a tutti, sapendo di essere “segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori”, come ebbe a profetizzare il vecchio Simeone (cfr Lc 2, 32–33). In realtà, solo il Bambino che giace nel presepe possiede il vero segreto della vita. Per questo chiede di accoglierlo, di fargli spazio in noi, nei nostri cuori, nelle nostre case, nelle nostre città e nelle nostre società. Risuonano nella mente e nel cuore le parole del prologo di Giovanni: “A quanti lo hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio” (1,12). Cerchiamo di essere tra quelli che lo accolgono. Dinanzi a Lui non si può restare indifferenti...

- papa Benedetto XVI - 
dalla "Udienza Generale del 03 gennaio 2007"




Non dobbiamo amare Gesù in modo possessivo, chiedendogli per noi le sue grazie, i suoi favori, o chiedendogli dei privilegi. Se vogliamo essere veramente con lui, lo dobbiamo accompagnare quando si interessa di altre persone, accogliendo così il suo spirito missionario.


- Albert Vanhoye S.I. -
da: "Il pane quotidiano della parola"




Buona giornata a tutti. :-)




mercoledì 2 novembre 2016

2 novembre pietas verso i defunti -

La pietas verso i defunti risale alle origini dell’umanità. 
Già in epoca cristiana, nelle catacombe, i cristiani disegnavano sulla parete della tomba, in cui era deposto il loro congiunto, la figura di Lazzaro, riportato in vita dal Signore. 
Nel IX secolo, si diede inizio al rito liturgico della Commemorazione dei fedeli defunti, derivazione dell’abitudine monastica di dedicare un intero giorno dell’anno alla preghiera per tutti gli estinti. 
La Chiesa, come Madre di tutti i fedeli suoi figli, desidera sempre sentirli stretti in un unico abbraccio, così prega per i vivi e per i morti, anch’essi vivi nel Signore. 
Deduciamo che l’amore materno della Chiesa è più forte della morte. 
Il 2 Novembre ci dà l’occasione di riflettere sulla realtà delle cose e soprattutto, di porre l'attenzione sulla caducità della vita. 
Con indifferenza ci passano davanti le cose, le persone e il tempo, senza lasciare traccia alcuna nel nostro mondo interiore: tutto scompare, perché lo viviamo con superficialità. 
La vita è un continuo passaggio, una continua trasformazione che ha come elemento primo il tempo. 
Il tempo vive con noi le nostre gioie e i nostri dolori, assiste nel suo trascorrere, aiutandoci a comprendere che ogni cosa passa. E il cammino della vita, giorno dopo giorno, si consuma e il nostro tempo si esaurisce. 
In questo giorno, è importante ritornare a riflettere sulle cose essenziali dell’esistenza e sui valori autentici, per essere pronti all’incontro con Dio Amore. 
Nella luce di Dio, la morte è un passaggio dalla terra al cielo, un dolce incontro col Padre e gli Angeli verso la vita eterna.



Non piangere sulla mia tomba.
Non sono qui.
Non dormo.
Io sono mille venti che soffiano.
Sono lo scintillio del diamante sulla neve.
Sono il sole che brilla sul grano maturo.
Sono la pioggia lieve d’autunno.
Quando ti svegli nella calma mattutina,
sono il rapido fruscio degli uccelli che volano in cerchio.
Non piangere sulla mia tomba.
Non sono qui.
Non dormo.
Sono la tenera stella che brilla nella notte.
Non piangere sulla mia tomba. 
Io non sono lì,
ma dove tu mi puoi ricordare.

- Canto degli Indiani Navajo - 


"Rinnoviamo quest’oggi la speranza della vita eterna fondata realmente nella morte e risurrezione di Cristo.
"Sono risorto e ora sono sempre con te", ci dice il Signore, e la mia mano ti sorregge.
Ovunque tu possa cadere, cadrai nelle mie mani e sarò presente persino alla porta della morte.
Dove nessuno può più accompagnarti e dove tu non puoi portare niente,
là io ti aspetto per trasformare per te le tenebre in luce.
La speranza cristiana non è però mai soltanto individuale, è sempre anche speranza per gli altri.
Le nostre esistenze sono profondamente legate le une alle altre ed il bene e il male che ciascuno compie tocca sempre anche gli altri.
Così la preghiera di un’anima pellegrina nel mondo può aiutare un’altra anima che si sta purificando dopo la morte. Ecco perché oggi la Chiesa ci invita a pregare per i nostri cari defunti e a sostare presso le loro tombe nei cimiteri." 

- papa Benedetto XVI - 
Angelus 2 novembre 2008

Discesa agli Inferi e apparizione del Risorto, 
Cappella alla Sacred Heart University, Fairfield, Connecticut - USA, 2008


Non abbiate mai paura dell'ombra. È lì a significare che vicino, da qualche parte, c'è la luce che illumina.


- Ruth E. Renkel - 





martedì 25 ottobre 2016

Comunicazione tra gli uomini e circolazione delle idee - don Carlo Gnocchi

In passato il tempo per la formazione dei movimenti intellettuali o passionali e la misura della loro diffusione erano condizionati dalla lentezza e rarità dei mezzi di comunicazione tra gli uomini e della circolazione delle idee: cioè dalla parola parlata e dal libro; ma oggi tali mezzi hanno assunto una molteplicità, una rapidità, una varietà, una capillarità e una violenza di penetrazione e di suggestione tale - il cinematografo, la radio, la stampa quotidiana, la televisione - che, anche gli individui solitari e meglio “vaccinati” contro le epidemie del pensiero e delle passioni difficilmente riescono a restarne immuni. 
Solo così si spiegano gli uragani delle passioni collettive che sconvolgono il mondo moderno, estremamente sensibile, isterico e suggestionabile… 
Perché, quanto più frequente è oggi l’offerta delle idee altrui e delle soluzioni “già fatte” dei problemi, altrettanto minore è la possibilità materiale e morale di passarle al vaglio di una critica ponderata e di formarsene delle proprie; quanto più numerose sono le sollecitazioni e le impressioni alle quali si è sottoposti dall’esterno, tanto minore è il potere di riflessione e di resistenza interna dell’individuo. 
Non c’è più il tempo materiale e il raccoglimento necessario per pensare. 
La concitazione della vita moderna ha gettato l’uomo nella strada e in balia delle sue mille suggestioni.       

- Don Carlo Gnocchi - 
da: Restaurazione della persona umana, 1946




L’alterna vicenda subita dalle parole in questi ultimi anni è quanto di più indicativo si possa pensare ai fini della nostra ricerca ed è la causa prima dello sconsolato scetticismo di cui soffre la gioventù moderna troppo crudelmente illusa e vittima innocente delle nostre “esperienze” politiche.

- Don Carlo Gnocchi - 
da: Restaurazione della persona umana, 1946




Il mondo moderno vive a grandi agglomerati: masse urbanistiche, masse operaie, masse scolastiche, masse impiegatizie, masse militari… 
Ora: la convivenza di molti uomini smussa gli angoli delle caratteristiche personali, facilita il contagio delle idee e dei gusti e provoca la lenta formazione di un codice di vita e di pensiero, che è il minimo comune denominatore della collettività... 
Si aggiunga a tutto questo la rapida e capillare diffusione e circolazione delle idee, resa possibile dai mezzi moderni di propaganda: il giornale, la radio, la stampa e il cinematografo. 
Si richiede oggi un potere critico, una vigilanza assidua e una saldezza di convinzioni non comuni, per riuscire a difendere e conservare il patrimonio delle proprie convinzioni e l’indipendenza del giudizio personale, sotto il bombardamento incessante delle idee altrui e nell’assedio accanito che ci pongono d’intorno i mezzi moderni di propaganda, ai quali è ormai impossibile sottrarsi se si vuol vivere nel proprio tempo.

- Don Carlo Gnocchi - 
da: Restaurazione della persona umana, 1946




Gli uomini parlano lingue diverse e reciprocamente inintelleggibili - come i pretenziosi costruttori della torre di Babele - perché il punto di riferimento e la norma divina, valevole per ogni uomo, per ogni tempo e per ogni condizione, sono venuti a crollare.

- Don Carlo Gnocchi - 
da: Restaurazione della persona umana, 1946


"La vita non si inventa né si improvvisa
con un atto di volontà,
sincero ed eroico finché si vuole;
la vita si costruisce,
come una casa,
pietra su pietra,
atto per atto,
giorno per giorno.
Niente d’improvviso nella natura".

- don Carlo Gnocchi - 





Buona giornata a tutti. :-)



venerdì 12 agosto 2016

Santa Chiara scaccia i saraceni - Tommaso da Celano -

“In quel periodo travagliato che la Chiesa attraversò in diverse parti del mondo sotto l'impero di Federico, la valle Spoletana beveva più spesso delle altre il calice dell'ira. 
Erano stanziate lì, per ordine imperiale, schiere di soldati e nugoli di arcieri saraceni, fitti come api, per devastare gli accampamenti, per espugnare le città. E una volta, durante un assalto nemico contro Assisi, città particolare del Signore, e mentre ormai l'esercito si avvicina alle sue porte, i Saraceni, gente della peggiore specie, assetata di sangue cristiano e capace di ogni più inumana scelleratezza, irruppero nelle adiacenze di San Damiano, entro i confini del monastero, anzi fin dentro al chiostro stesso delle vergini.
Si smarriscono per il terrore i cuori delle Donne, le voci si fanno tremanti per la paura e recano alla Madre i loro pianti. 

Ella, con impavido cuore, comanda che la conducano, malata com'è, alla porta e che la pongano di fronte ai nemici, preceduta dalla cassetta d'argento racchiusa nell'avorio, nella quale era custodito con somma devozione il Corpo del Santo dei Santi.
E tutta prostrata in preghiera al Signore, nelle lacrime parlò al suo Cristo: «Ecco, o mio Signore, vuoi tu forse consegnare nelle mani di pagani le inermi tue serve, che ho allevato per il tuo amore? Proteggi, Signore, ti prego, queste tue serve, che io ora, da me sola, non posso salvare». Subito una voce, come di bimbo, risuonò alle sue orecchie dalla nuova arca di grazia: «Io vi custodirò sempre!». «Mio Signore - aggiunse - proteggi anche, se ti piace, questa città, che per tuo amore ci sostenta». E Cristo a lei: «Avrà da sostenere travagli, ma sarà difesa dalla mia protezione».
Allora la vergine, sollevando il volto bagnato di lacrime, conforta le sorelle in pianto: «Vi do garanzia, figlie, che nulla soffrirete di male; soltanto abbiate fede in Cristo!».
Né vi fu ritardo: subito l'audacia di quei cani, rintuzzata, è presa da spavento; e abbandonando in tutta fretta quei muri che avevano scalato, furono sgominati dalla forza di colei che pregava.
E subito Chiara ammonisce quelle che avevano udito la voce di cui sopra ho parlato, dicendo loro severamente: «Guardatevi bene, in tutti i modi, dal manifestare a qualcuno quella voce finché io sono in vita, figlie carissime».”

- Tommaso da Celano - 
da Vita di Santa Chiara  (Legenda Sanctae Clarae Virginis)



Prima di morire, come già aveva fatto Francesco, Chiara benedice le sue Sorelle presenti e future indicando loro il cuore della vocazione cristiana e clariana, l'amore: 

“…Siate sempre amanti di Dio, delle vostre anime e di tutte le vostre Sorelle, e siate sempre sollecite di osservare quanto avete promesso al Signore. Il Signore sia con voi sempre , e ora voi siate sempre con Lui. Amen” (FF2857)

Chiara ha compreso che l’amore riversato da Dio nel nostro cuore ci rende sempre più capaci di amare noi stessi, perché ci insegna a guardarci con i Suoi stessi occhi di misericordia e, allo stesso tempo, ci apre alla comunione con gli altri attraverso l’accoglienza e il perdono.

                                                                          


















I Santi manifestano in diversi modi la presenza potente e trasformante del Risorto; hanno lasciato che Cristo afferrasse così pienamente la loro vita da poter affermare con san Paolo “non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Seguire il loro esempio, ricorrere alla loro intercessione, entrare in comunione con loro, “ci unisce a Cristo, dal quale, come dalla Fonte e dal Capo, promana tutta la grazia e tutta la vita dello stesso del Popolo di Dio” (Conc. Ec. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium 50).


- papa Benedetto XVI -





Preghiera a Maria SS. per le Anime del Purgatorio più dimenticate 

O Maria, pietà di quelle povere Anime che,
chiuse nelle prigioni tenebrose del luogo di espiazione,
non hanno alcuno sulla terra che pensi a loro.
Degnatevi, o buona Madre,
abbassare su quelle abbandonate uno sguardo di pietà;
ispirate a molti cristiani caritatevoli il pensiero di pregare per esse,
e cercate nel Vostro Cuore di Madre i modi di venire pietosamente in loro aiuto.
O Madre del perpetuo soccorso,
abbiate pietà delle Anime più abbandonate del Purgatorio.
Misericordioso Gesù, date loro il riposo eterno. Amen.

Tre Salve Regina



Buona giornata a tutti :-)

www.leggoerifletto.it


  


giovedì 4 agosto 2016

4 agosto san Giovanni Maria Vianney

Tutta la santità e la perfezione di un'anima consiste nell'amar Gesù Cristo nostro Dio, nostro sommo bene e nostro Salvatore. 
La carità è quella che unisce e conserva tutte le virtù che rendono l'uomo perfetto.
Forse Iddio non si merita tutto il nostro amore? Egli ci ha amati sin dall'eternità. «Uomo, dice il Signore, considera ch'io sono stato il primo ad amarti. Tu non eri ancora al mondo, il mondo neppure v'era ed io già t'amavo. Da che sono Dio, io t'amo». 
Vedendo Iddio che gli uomini si fan tirare da benefici, volle per mezzo de' suoi doni cattivarli al suo amore. Disse pertanto: «Voglio tirare gli uomini ad amarmi con quei lacci con cui gli uomini si fanno tirare, cioè coi legami dell'amore». Tali appunto sono stati i doni fatti da Dio all'uomo. Egli dopo di averlo dotato di anima colle potenze a sua immagine, di memoria, intelletto e volontà, e di corpo fornito dei sensi, ha creato per lui il cielo e la terra e tante altre cose tutte per amor dell'uomo; acciocché servano all'uomo, e l'uomo l'ami per gratitudine di tanti doni.
Ma Iddio non è stato contento di donarci tutte queste belle creature. Egli per cattivarsi tutto il nostro amore è giunto a donarci tutto se stesso. L'Eterno Padre è giunto a darci il suo medesimo ed unico Figlio. Vedendo che noi eravamo tutti morti e privi della sua grazia per causa del peccato, che fece? Per l'amor immenso, anzi, come scrive l'Apostolo, per il troppo amore che ci portava, mandò il Figlio diletto a soddisfare per noi, e così renderci quella vita che il peccato ci aveva tolta.
E dandoci il Figlio (non perdonando al Figlio per perdonare a noi), insieme col Figlio ci ha donato ogni bene: la sua grazia, il suo amore e il paradiso; poiché tutti questi beni sono certamente minori del Figlio: «Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?» (Rm 8, 32).

(San Giovanni Maria Vianney)




































«Un carro di opere buone, trascinato dal cavallo della superbia, va sempre a finire all'inferno. Invece un carro anche di miserie e di peccati, trascinato dal cavallo dell'umiltà, va quasi sempre a finire in paradiso». 

(San Giovanni Maria Vianney)





I Santi manifestano in diversi modi la presenza potente e trasformante del Risorto; hanno lasciato che Cristo afferrasse così pienamente la loro vita da poter affermare con san Paolo “non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). 
Seguire il loro esempio, ricorrere alla loro intercessione, entrare in comunione con loro, “ci unisce a Cristo, dal quale, come dalla Fonte e dal Capo, promana tutta la grazia e tutta la vita dello stesso del Popolo di Dio” (Conc. Ec. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium 50).

- Papa Benedetto XVI - 




Signor mio Gesù Cristo, che per l'amore che porti agli uomini, Te ne stai notte e giorno in questo Sacramento tutto pieno di pietà e di amore, aspettando, chiamando ed accogliendo tutti coloro che vengono a visitarti, io Ti credo presente nel Sacramento dell'Altare. 
Ti adoro nell'abisso del mio niente, e Ti ringrazio di quante grazie mi hai fatte; specialmente di avermi donato Te stesso in questo Sacramento, e di avermi data per Avvocata la tua Santissima Madre Maria e di avermi chiamato a visitarti in questa chiesa. 
Io saluto oggi il tuo amantissimo Cuore ed intendo salutarlo per tre fini: primo, in ringraziamento di questo gran dono; secondo, per compensarti di tutte le ingiurie, che hai ricevuto da tutti i tuoi nemici in questo Sacramento: terzo, intendo con questa visita adorarti in tutti i luoghi della terra, dove Tu sacramentato te ne stai meno riverito e più abbandonato. Gesù mio, io ti amo con tutto il cuore. 
Mi pento di aver per il passato tante volte disgustata la tua Bontà infinita. Propongo con la tua grazia di non offenderti più per l'avvenire: ed al presente, miserabile qual sono, io mi consacro tutto a Te: ti dono e rinunzio tutta la mia volontà, gli affetti, i desideri e tutte le cose mie. 
Da oggi in avanti fai di me e delle mie cose tutto quello che ti piace. Solo ti chiedo e voglio il tuo santo amore, la perseveranza finale e l'adempimento perfetto della tua volontà. 
Ti raccomando le anime del Purgatorio, specialmente le più devote del Santissimo Sacramento e di Maria Santissima. 
Ti raccomando ancora tutti i poveri peccatori. 
Unisco infine, Salvator mio caro, tutti gli affetti miei cogli affetti del tuo amorosissimo Cuore e così uniti li offro al tuo Eterno Padre, e lo prego in nome tuo, che per tuo amore li accetti e li esaudisca. Così sia.

- Sant’Alfonso Maria de Liguori -






Buona giornata a tutti. :-)


sabato 19 marzo 2016

Pietà per la nazione - Lawrence Ferlinghetti

Pietà per la nazione i cui uomini sono pecore
e i cui pastori sono guide cattive.
Pietà per la nazione i cui leader sono bugiardi
i cui saggi sono messi a tacere.
Pietà per la nazione che non alza la propria voce
tranne che per lodare i conquistatori
e acclamare i prepotenti come eroi
e che aspira a comandare il mondo
con la forza e la tortura.
Pietà per la nazione che non conosce
nessun’altra lingua se non la propria
nessun’altra cultura se non la propria.
Pietà per la nazione il cui fiato è danaro
e che dorme il sonno di quelli
con la pancia troppo piena.
Pietà per la nazione – oh, pietà per gli uomini
che permettono che i propri diritti vengano erosi
e le proprie libertà spazzate via.

Patria mia, lacrime di te
dolce terra di libertà!

- Lawrence Ferlinghetti -





La vocazione dell'uomo non è quella di realizzare una sua perfezione di vita, è quella di realizzare Dio stesso, perché Dio stesso vuol vivere nell'uomo. 
E allora, che cosa puoi chiedere a Dio se non una infinita santità?
Pertanto, non è presunzione chiedere molto: è sempre, piuttosto, peccato di timidezza, d'incredulità nell'amore, il chiedere meno che lui, il voler meno che lui. D'altra parte, fintantoché si chiede meno di lui, Dio può anche non ascoltarci, perché qualunque altra cosa tu gli chieda, potrebbe non rientrare nei piani divini. Ma se gli chiediamo lui stesso, egli non potrebbe mai negarci quello che gli chiediamo. 
Perché è precisamente questo il fondamento di ogni nostra speranza, anzi di ogni nostro rapporto con lui : l'amore suo infinito per il quale egli tutto si è dato e vuol comunicarsi, perché l'uomo viva in lui e lo possegga come suo bene, come sua ricchezza, come sua eternità. 

- don Divo Barsotti - 
da: "La presenza del Cristo"
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È quando noi siamo lontani da Dio che l'insegnamento diviene lungo e disteso, e ha bisogno di moltiplicare i suoi simboli, i suoi argomenti e i suoi trattati... Così quando trattai, nella teologia simbolica, di Dio, dovetti scrivere tanti e tanti volumi. Poi, quanto più mi sono avvicinato a Dio e ai nomi divini, tanto più il mio discorso si è fatto breve. 
Ma ora poi che debbo giungere a parlare della mia unione con lui, non posso più parlare, tutta la teologia termina nel puro silenzio, o almeno in una sola parola.

- Dionigi il mistico - 


Buona giornata a tutti. :-)