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venerdì 10 febbraio 2023

Il cane e l'asino

Un giorno un taglialegna andava nel bosco con il proprio cane e il proprio asino. Il cammino era assai lungo e faticoso. A un certo punto della giornata il taglialegna si fermò in una radura, all'ombra di un faggio, dove si sdraiò e si addormentò beatamente.
Intanto l'asino si mise a brucare l'erba.
Il cane chiese all'asino: "Abbassati un attimo, nel paniere che hai sul dorso c'è del pane, lascia che ne prenda un pezzo, perché ho fame".
L'asino non voltò nemmeno il capo, non voleva perdere neanche un minuto, neanche un filo di quella soffice erba, il suo stomaco doveva riempirsi… Era così stanco!
Poi rispose a bocca piena: "Aspetta che si svegli il padrone, ti darà lui da mangiare". In quel momento sbucò dal margine del bosco un lupo che, a fauci spalancate, si avventò sull'asino.
L'asino chiese aiuto al cane: "Caro cane, aiutami, amico mio! ".
Il cane rispose: "Sono così stanco a affamato. Aspetta che il padrone si svegli, ti aiuterà lui"…
Povero asino, con la zampa sanguinante capì che ogni gentilezza e ogni favore bisogna farli a tempo debito, quando l'amico ne fa richiesta.

Solo così nasce la vera amicizia e la ricompensa…



L'amore non nasce da uno sforzo di volontà, riservato ai più bravi; l'amore viene da Dio, non dalla mia bravu­ra: amare comincia con il lasciarsi amare. Non sia­mo più bravi degli altri, siamo più ricchi. Ricchi di Dio.

- Padre Ermes Ronchi - 


Quanto è difficile parlare di pace oggi! 
Ci siamo illusi, nei decenni scorsi, di potere immaginare un mondo basato sulla reciproca tolleranza e sul rispetto delle diversità. 
L'inizio del terzo millennio, invece, ci ha posti davanti alla cruda realtà di un mondo in perenne lotta, in continua guerra. 
La pace, così tanto agognata, frutto della giustizia, come scrive il profeta Isaia, resta una chimera. Anche chi ha alzato forte la voce per chiedere la pace, spesso si è trovato a farlo con toni combattivi. Gesù, oggi, ci offre una soluzione, una differente chiave di lettura: la pace è suo dono ed è diversa da quella che propone il mondo. 
È suo dono: non solo una conquista ma l'accoglienza di una prospettiva diversa. Possiamo diventare testimoni di pace perché pacificati nel nostro intimo, possiamo costruire spazi di dialogo perché abbiamo un orizzonte di riferimento, il sogno di Dio. 
La pace, allora, va anzitutto coltivata in noi stessi, lasciando che sia la Parola a convertirci, mettendo noi a fuoco i nostri peccati e chiedendone perdono al Signore. 
Con un cuore pacificato diventeremo capaci, allora, di accogliere l'altro nella sua dimensione più profonda.

- Paolo Curtaz - 


Salve, o saldo fondamento della fede; 
Salve, o splendido contrassegno della grazia!
Salve, Tu per cui fu spogliato l'inferno; 
Salve, Tu per cui fummo rivestiti di gloria!
Salve, o voce perpetua degli Apostoli; 
Salve, o degli atleti invincibile coraggio!
Salve, o difesa contro i nemici invisibili; 
Salve, o ingresso alle porte del Paradiso!
Salve, perchè i cieli rallegransi insieme con la terra;
Salve, perché la terra tripudia insieme con i cieli!
Amen. 

Ave Maria!


Buona giornata a tutti, :-)


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mercoledì 13 marzo 2019

Signore, non sono degno - San Francesco d'Assisi

Un villano incontrando santo Francesco gli disse: "Dimmi, se' tu frate Francesco d'Ascesi?".
Risponde santo Francesco che sì.
"Ora t'ingegna dunque, disse il villano, d'essere così buono come tu se' tenuto da ogni gente, perciò che molti hanno grande fede in te, e però io ti ammonisco che in te non sia altro che quello che la gente ne spera".
Udendo santo Francesco queste parole, non si isdegnò d'essere ammonito da uno villano, e non disse tra se medesimo: Che bestia è costui che m'ammonisce? Siccome direbbono oggi molti superbi che portano la cappa, ma immantanente si gittò in terra dello asino e inginocchiossi dinanzi a costui e baciogli i piedi, e sì lo ringrazia umilmente perch'egli avea degnato d'ammonirlo così caritativamente. Allora il villano insieme con li compagni di santo Francesco con grande divozione sì lo levarono da terra e ripuosonlo in su l'asino; e camminarono oltre.

(Fioretti di san Francesco, FF 1902)



Considera, o uomo, in quale sublime condizione ti ha posto il Signore Dio, poiché ti ha creato e formato a immagine del suo Figlio diletto. E neppure i demoni lo crocifissero, ma sei stato tu con essi a crucifiggerlo, e ancora lo crucifiggi quando ti diletti nei vizi e nei peccati.
Di che cosa puoi dunque gloriarti? Infatti, se tu fossi tanto sottile e sapiente da possedere tutta la scienza e da sapere interpretare tutte le lingue e acutamente perscrutare le cose celesti, in tutto questo non potresti gloriarti; poiché un solo demonio seppe delle realtà celesti e ora sa di quelle terrene più di tutti gli uomini insieme; e se tu operassi cose mirabili, come scacciare i demoni, tutte queste cose ti sono di ostacolo e non sono di tua pertinenza, ed in esse non ti puoi gloriare per niente; ma in questo possiamo gloriarci, nelle nostre infermità e nel portare sulle spalle ogni giorno la santa croce del Signore nostro Gesù Cristo.


- San Francesco -
Ammonizioni V


Mio Redentore, riconosco di essere infinitamente indegno di accostarmi a te e riceverti a motivo dei miei peccati e della mancanza di purezza, perciò ti dico: Signore, non sono degno. 
Anche se avessi tutto l'amore dei Serafini sarei, comunque, indegno di riceverti; allora ti ripeto ancora: Signore, non sono degno.

Mio amabile Signore, vieni ed opera in me quello per cui vieni. 
Sono un miserabile, ma la tua bontà non ti fa fermare ad osservare la mia miseria. 
Vieni nella mia anima e santificala, prendi possesso del mio cuore e purificalo, entra nel mio corpo, custodiscilo e non separarmi mai dal tuo amore.


Fuoco consumatore, brucia tutto ciò che in me è indegno della tua presenza e che può essere di ostacolo alla tua grazia ed al tuo amore.


Madre del mio Redentore, abbi compassione di me, povero peccatore, prega per me, affinché, per mezzo tuo, abbracci tuo Figlio con perfetto amore e divenga come il suo Cuore desidera.


- San Francesco d'Assisi -



Buona giornata a tutti. :-)

































































Preghiera del mattino

Signore Gesù, grazie per questo regalo di un nuovo giorno.
Un regalo che viene ad aggiungersi ai tanti altri che ho ricevuto da te.
Apri i miei occhi affinché io mi renda conto che tutto ciò che sono,
che tutto ciò che ho viene da te.
È dunque normale che tutto ciò che sono e possiedo
lo metta al tuo servizio e al servizio del mio prossimo.
Aiutami ad annunciare a coloro che incontrerò oggi
"tutto ciò che tu, Signore, hai fatto per me nella tua misericordia".




Buona giornata a tutti. :-)




giovedì 3 gennaio 2019

La speranza che non delude - card. Godfried Danneels

Come combattere la depressione? 
Come vivere la speranza, giorno per giorno, in tempi difficili? 
Da cosa si può riconoscere che noi siamo degli “esseri di speranza”? 
Perché la speranza non è un pio pensiero, un'ipotesi gratuita ma deve manifestarsi nel comportamento quotidiano. 
In altri termini, c'è “una spiritualità della speranza”? Tentiamo di discernerne i componenti.
Tutta la vita cristiana è costruita su tre pilastri: fede, speranza e carità.
Essi si tengono in reciproco equilibrio. Se si rompe l'equilibrio, il cristiano perde, per così dire, la bussola. Vacilla.

Fede e Speranza 
Senza la fede la speranza non può vivere: si trasforma nel sognare. Secondo la lettera agli Ebrei, “la fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono” ( Eb 11, 1) . 
Senza la fede negli eventi salvifici - Antico e Nuovo Testamento - la nostra speranza è solo immaginazione, una chimera.
Al contrario, senza la speranza, la fede è morta: una fossa comune dei fatti del passato che serve solo a popolare la memoria; non c'è più niente da aspettarsi, non c'è più niente di nuovo da vivere. Certamente, un tempo è successo qualcosa, ma la “rivoluzione” a fatto il suo tempo e il vulcano si è spento.
Questo gioco sottile della fede e della speranza è uno degli ingredienti di una spiritualità equilibrata: ne determina il grado di salute. 
Perché, nella fede, c'è già una parte di speranza: noi crediamo nella Risurrezione del Cristo a titolo di garanzia della nostra propria risurrezione che verrà. Ma nella speranza c'è anche una parte di fede: la speranza trova uno stimolo che gli offre la fede. Poiché la promessa si è già realizzata, essa si può nuovamente realizzare.

Doppia tentazione
In questo ambito il cristiano è sottoposto a due tentazioni: quello della temeraria fiducia nella novità e quella della mancanza d'immaginazione.
Colui che vive solo proteso all'avvenire, che si preoccupa solo delle sue realizzazioni, affrancato da tutta la saggezza trasmessa dal passato, costui è privato della memoria. 
Non si rende conto del fatto che certe “vie nuove” sono state sperimentate già da molto tempo e si sono rivelate impraticabili. 
Privato della memoria, egli sperimenta a tutto andare. Questa è la fonte di dolorose delusioni, e più tardi anche di demotivazione. 
Sono i rivoluzionari senza memoria che si ricongiungono per primi al campo dei conservatori.
Ma, al contrario, c'è anche la mancanza d'immaginazione, l'illusione d'una vita senza rischi. Ci si dimentica che c'è sempre “un di più” che non è ancora stato inventato o sperimentato. C'è qui una speranza insufficiente. 
Perché il momento presente contiene ancora tante cose meravigliose rimaste inutilizzate.

Speranza e Carità 
Chi ha fiducia in Dio e spera in Lui, deve come Lui donarsi interamente agli uomini. 
La speranza si riversa nella carità. Ciò suppone un delicato equilibrio tra i due atteggiamenti: attendere nella fiducia e rimboccarsi le maniche per l'azione. 
Il cristiano è sempre come seduto sul bordo estremo della sua sedia. 
Seduto su quello che dispone d'un appoggio sicuro: la speranza. All'estremo bordo della sedia, perché è pronto ad alzarsi e a pagare di persona. 
La poltrona del fannullone non fa parte dei suoi mobili.
Non si accorda una piena fiducia a Dio se non Lo si ama. E non si può amare Dio se non si ama il proprio prossimo. 
Così la fede conduce alla speranza e la speranza conduce all'amore. In sovrappiù non si spera mai solo per se stessi. La speranza non ha raggiunto il suo termine finché essa non si estende a tutti gli uomini, all'intero universo. Come posso raggiungere il cielo nella gioia, se so che sarò tutto solo?
Fede, speranza e carità, le tre grandi che non possono fare a meno l'una dell'altra. 
La fede vede cosa è già, la speranza dice ciò che verrà, la carità ama ciò che è; la speranza si occupa già di ciò che sarà. 
Per il nostro tempo la speranza sarebbe ugualmente la più grande? Comunque sia le tre si tengono reciprocamente in equilibrio e tutte e tre ci sono necessarie.

Vegliare nella preghiera
Infatti non c'è che un solo esercizio di speranza: vegliare nella preghiera. L'atteggiamento silenzioso di attesa davanti a Dio è la scuola della speranza. Imparare ad attendere e porsi come una vedetta.
Tutta la Bibbia descrive la preghiera come vigilanza e attenzione: tenersi pronti per il ritorno del Signore presso di Lui e provvedere alle lucerne nella Sua attesa. I salmi sono i libri delle lamentazioni per eccellenza, dell'attesa della giustizia, dell'attesa che il giusto sia protetto e il perdono accordato al peccatore, della perseveranza nelle prove. “Mio Dio, mio Dio, quanto tempo ancora... ?”.
Pregare è anche mantenersi con pazienza tra il passato e l'avvenire. 
È prendere nelle mani la Bibbia e ricordarsi “le meraviglie che fece il Signore”. 
È il nutrire la propria memoria e permetterle di lavorare. Ma è anche lo sperare con il cuore ardente ai giorni del compimento, al tempo della ‘liberazione d'Israele' e del ritorno del Signore. “Maranatha”.
Pregare è render grazie per tutto quello che ci ha preceduti ed entrare già nelle promesse di quanto deve ancora venire. 
È esultare di gioia cantando il Magnificat ed esercitarsi al paziente abbandono del Nunc dimittis . 
È il sedersi tra Maria e Simeone, tra l'azione delle grazie e la speranza corrisposta.
A dire il vero, esiste per una cultura (e per una Chiesa!) una terapia della depressione diversa dalla preghiera? “
È perché voi non pregate, che siete senza coraggio” , potrebbe dire Giovanni alle Chiese in una nuova versione della sua Apocalisse.

Impegnarsi
La speranza non giungerà mai se io non m'impegno in niente, se non mi decido a fare qualcosa, se non scelgo. La nostra cultura deve reimparare a legarsi, a scegliere, a risolversi a qualcosa. Si è sviluppata una sorta d'irresolutezza generalizzata: di fronte al matrimonio, di fronte ad ogni impegno definitivo, di fronte a ogni decisione di rendersi disponibili in maniera impegnativa. 
Può darsi che ci siano delle spiegazioni di questo atteggiamento, delle motivazioni più o meno ammissibili. Ma ci sono anche delle ragioni soggiacenti molto poco eleganti. 
Una specie di narcisismo che non permette di rinunciare alle proprie comodità, il bisogno di garanzie assolute - questa mentalità che spinge a sottoscrivere un'assicurazione a fronte di qualsiasi cosa - e a volte manifestamente la pigrizia e il “ciascuno per sé”.
Ma bisogna anche rilevare nella nostra cultura il disagio della percezione del tempo. Non solo l'impossibilità di aspettare, la legge del “tutto, tutto subito”, ma anche la diffidenza fondamentale per il credito da accordare al tempo. 
Dobbiamo imparare di nuovo a fare del tempo un amico... aspettando di ridivenire sensibili a una realtà chiamata classicamente “Provvidenza divina”. 
Quando vorremo capire che Dio si prende cura di noi molto meglio di quanto lo possiamo fare noi stessi?



La crisi della Fedeltà 
Nella sfera del “provvisorio” nella quale noi evolviamo, sopravviene anche la crisi della lealtà. E questo in tanti ambiti: matrimoni, amicizie, affari, ambienti di lavoro. 
La fedeltà non la si guarda più con ammirazione, ma tutt'al più con sorpresa, se non con compassione.
Così si degrada il tessuto sociale: è logorato. 
Da che tempo è tempo, la fedeltà ha avuto un ruolo legato fino a un certo punto con il tragico della condizione umana. 
La fedeltà di Lefte al suo voto lo portò ad immolare sua figlia. 
La fedeltà di Antigone alle leggi non scritte dell'amore fraterno la condusse alla morte. Questo tragico era profondamente umano, anche se pagano. Proclamava chiaro e forte che non si può mancare alla parola data. La nostra epoca non conosce più i tormenti di questo aspro dramma pagano. Ne conosce altri. 
Lo strappo di tanti partner abbandonati e di tanti bambini privati dei genitori, la fatica di dover continuamente riprovare con qualcun altro, i cinici preavvisi significati a delle persone che invecchiando rischiano di costar troppo caro, la rottura dei contratti, quella specie di amnesia che riguarda i propri impegni passati...
L'infedeltà rende una società profondamente deprimente. In più, l'infedeltà ha la tendenza di propagarsi con la velocità dei funghi in una foresta. Un girotondo di streghe. 
Ogni infedeltà fa venir voglia alla parte lesa di fare altrettanto.
Se vogliamo sfuggire a questo funesto ingranaggio, bisognerà ritrovare la virtù naturale della fedeltà. Ricordandoci che è d'altronde il tratto più caratteristico di Dio: è un Dio fedele.


La Speranza si prende cura degli altri 
L'esclusione, comunque si manifesti, provoca molta disperazione nella nostra società. 
Esclusione dal lavoro e dall'avvenire, esclusione da se stesso, dalla patria e dalla cultura, esclusione dalle cure e dall'alloggio. Troppa gente oltrepassa il limite. Questo assomiglia a una spirale che si stringe sempre di più, un laccio attorno al collo. 
Tutti gli assistenti sociali, gli uomini politici, i sacerdoti e gli animatori pastorali la conoscono bene. È la preoccupazione costante dei servizi sociali, e la Fondazione Re Baldovino l'ha studiata a fondo dal punto di vista scientifico.
Cosa dovremo fare se vogliamo dare delle possibilità alla speranza? Certamente dei provvedimenti di giustizia s'impongono alla collettività. Molti responsabili politici ci lavorano d'altronde con prudenza. Ma si è creata anche una rete di punti d'ascolto e soccorso, troppo numerosi per enumerarli, che funzionano spesso grazie al numero di benefattori, e ricevendo migliaia di persone, giovani e vecchie, con tutti i loro possibili problemi. Poiché i servizi pubblici non bastano, né per il numero, né per l'efficacia, né soprattutto per questa prossimità affettuosa necessaria a chi soffre. 
Pensiamo al corpo umano: quando un'arteria s'incrosta e si ostruisce, sono dei piccoli vasi sanguigni che ne sostituiscono la funzione. Quindi, a fianco degli organismi pubblici, agiscono delle migliaia di piccoli centri di speranza. 
La speranza si prende dunque cura degli altri. Questo è sufficiente?

La Speranza anticipa
La speranza non può accontentarsi di limitare o riparare i danni quando il danno è fatto. 
La speranza è anche previdente. Vuole agire preventivamente. Se noi non agiamo preventivamente, in effetti trascuriamo le vittime ed esponiamo il contribuente a degli oneri sempre più pesanti. Poiché la vittima è già ferita e riparare costa molto più che prevenire. Oltre tutto la società avrà la tendenza a scindersi in assistenti e assistiti. La frattura sociale diventerà sempre più profonda.
Dove si colloca la prevenzione? Nelle scuole e nelle famiglie. Non bisogna investire di più in questa azione? Non solo dal punto di vista finanziario, ma anche psicologicamente? 
La mancanza di speranza nella nostra società è spesso imputabile al fatto che genitori ed educatori abdicano. Da ciò la necessità di lanciare questo appello profetico: “Aiutate i genitori e i maestri” . 
Tutto quello che non si fa a casa e a scuola, si iscriverà automaticamente un giorno al debito della società.

- card. Godfried Danneels -
(Il testo è tratto dalla lettera pastorale: Espérer?)

Buona giornata a tutti. :-)





giovedì 10 maggio 2018

La carità fraterna - Madeleine Delbrêl

Come base e nerbo della vita comune secondo il vangelo è la carità fraterna. La comunione alla vita di Dio è la sola fonte di un amore reciproco. 
La forza la si trae dall’essere partecipi di un appello comune. 
La vita comune è sopra ogni altra cosa il terreno dove affonda le sue radici la nostra carità. 
Nella vita comune noi possiamo verificare, fortificare, espandere il nostro stato di carità. 
Questo non avverrà mai a poco prezzo. 
Ma ogni difficoltà può essere, con l’aiuto di ognuno, meno difficile per ognuno, come può per ognuno divenire troppo difficile a causa di ognuno.
La vita comune non deve renderci giudici gli uni degli altri. 
Dei fratelli non si giudicano tra loro, ciò di cui possiamo dare giudizio è se la vita insieme è deviata, lesa, disonorata.
“Fare amare l’amore” in ognuno, ad ognuno nella vita comune, è tutta un’arte, una delle arti più belle che esistano. 

La sua iniziazione sarebbe lunga. Occorrerebbe la volontà di una certa apertura, di una certa attenzione, di scoprire ciò che è “l’altro” negli altri.
L’interdipendenza che lega i membri della fraternità li sottomette gli uni agli altri. 
Ognuno deve considerare gli altri come persone che gli sono state affidate, tutti devono essere consapevoli che ognuno dei fratelli gli è stato affidato; affidato come si affida qualcuno ad un amico prima di morire.
Chiunque siano le persone  le ameremo con tutte le nostre forze, ma anche con quell’amore incredibile che Dio soltanto ha, che Dio soltanto è. 
Se sembriamo avere delle preferenze è perché l’amore non può non agire, non può non rispondere secondo i bisogni. Se pensiamo vi siano delle “preferenze evangeliche”, non sono delle vere preferenze, ma è solo l’amore che non può lasciare  aver fame coloro che hanno fame, essere nudi coloro che non hanno abito, piangere coloro che piangono, peccare quelli che peccano, dimenticare coloro che si trovano nelle tenebre della morte.
La vita insieme non è che un moto d’aria sottile e violento per impedire, per impedirci di carbonizzare o di vegetare sotto le ceneri, perché fuori, chiunque, qualunque cosa, riceva quello che può attendere dall’amore.
Se la fraternità non incontra una certa gioia, c’è da temere che non persegua un certo amore.

- Madeleine Delbrel -
da: "Comunità secondo il Vangelo", ed. Gribaudi 1996




Al di sopra di beghe, pettegolezzi, livori, deve ispirarci la carità cristiana.

- San Giuseppe Moscati - 



Carità (s.f.). Un'amabile disposizione dell'animo che induce a perdonare negli altri i peccati e i vizi cui siamo dediti noi stessi.

- Ambrose Bierce -



Che cos'è una comunità senza carità fraterna? Un purgatorio o meglio un inferno anticipato.

- Giuseppe Allamano - 



Buona giornata a tutti. :-)


domenica 28 gennaio 2018

La Legge della divina carità - San Tommaso d'Aquino 28 gennaio 2018

"E’ evidente che non tutti possono dedicarsi a fondo alla scienza; e perciò Cristo ha emanato una legge breve e incisiva che tutti possano cono­scere e dalla cui osservanza. nessuno per ignoranza possa ritenersi scusato. 
E questa è la legge della divina carità. Ad essa accenna l’Apostolo con quelle parole: “Il Signore pronunzierà sulla terra una parola breve” (Rm 9, 28). 
Questa legge deve costituire la norma di tutti gli atti umani. 
Come infatti vediamo nelle cose artificiali che ogni lavoro si dice buono e retto se viene compiuto secondo le dovute regole, così anche si riconosce come retta e virtuosa la azione dell’uomo, quando essa è conforme alla re­gola della divina carità. Quando invece è in con­trasto con questa norma, non è né buona, né retta, né perfetta. 
Questa legge dell’amore divino produce nel­l’uomo quattro effetti molto desiderabili. 
In primo luogo genera in lui la vita spirituale. E’ noto in­fatti che per sua natura l’amato è nell’amante. E perciò chi ama Dio, lo possiede in sé medesimo: “Chi sta nell’amore sta in Dio e Dio sta in lui” (1 Gv 4, 16). 
E’ pure la legge dell’amore, che l’aman­te venga trasformato nell’amato. Se amiamo il Si­gnore, diventiamo anche noi divini: “Chi si unisce al Signore, diventa un solo spirito con lui ” (1 Cor 6, 17). A detta di sant’Agostino, “come l’anima è la vita del corpo, così Dio è la vita dell’anima ”. 
L’anima perciò agisce in maniera virtuosa e per­fetta quando opera per mezzo della carità, me­diante la quale Dio dimora in essa. Senza la carità, in verità l’anima non agisce: “Chi non ama rimane nella morte” (1 Gv 3, 14). 
Se perciò qualcuno pos­sedesse tutti i doni dello Spirito Santo, ma non avesse la carità, non avrebbe in sé la vita. Si tratti pure del dono delle lingue o del dono della fede o di qualsiasi altro dono: senza la carità essi non conferiscono la vita. Come avviene di un cadavere rivestito di oggetti d’oro o di pietre preziose: resta sempre un corpo senza vita. 
Secondo effetto della carità è promuovere la osservanza dei comandamenti divini: “L’amore di Dio non è mai ozioso — dice san Gregorio Magno —quando c’è, produce grandi cose; se si rifiuta di essere fattivo, non è vero amore”. Vediamo infatti che l’amante intraprende cose grandi e difficili per l’amato: “Se uno mi ama osserva la mia parola”(Gv 14, 25). 
Chi dunque osserva il comandamento e la legge dell’amore divino, adempie tutta la legge. 
Il terzo effetto della carità è di costituire un aiuto contro le avversità. 
Chi possiede la carità non sarà danneggiato da alcuna avversità: “Ogni cosa concorre al bene di coloro che amano Dio ”(Rm 8, 28); anzi è dato di esperienza che anche le cose avverse e difficili appaiono soavi a colui che ama. 
Il quarto effetto della carità è di condurre alla felicità. 
La felicità eterna è promessa infatti soltanto a coloro che possiedono la carità, senza la quale tutte le altre cose sono insufficienti. Ed è da tenere ben presente che solo secondo il diverso grado di carità posseduto si misura il diverso grado di felicità, e non secondo qualche altra virtù. 
Molti infatti furono più mortificati degli Apostoli; ma questi sorpassano nella beatitudine tutti gli altri proprio per il possesso di un più eccellente grado di carità. E così si vede come la carità ot­tenga in noi questo quadruplice risultato. 
Ma essa produce anche altri effetti che non vanno dimenticati: quali, la remissione dei peccati, l’illuminazione del cuore, la gioia perfetta, la pace, la libertà dei figli di Dio e l’amicizia con Dio."
   

Dagli “Opuscoli teologici ” di san Tommaso d’Aquino, sacerdote; in Opuscula theologica, II, nn. 1137-1154, ed. Marietti, 1954.  



La prima cosa necessaria al cristiano è la fede. Senza di essa nessuno di noi potrebbe, lealmente, dirsi cristiano.

La fede produce come un germoglio di vita eterna, la quale in sostanza altro non è che il conoscere [svelatamente] Dio (cf. Gv 17, 3). Quaggiù ne abbiamo una conoscenza iniziale mediante la fede, ma in futuro diverrà perfetta, e conosceremo Dio nella sua realtà. La fede, cioè, sta alla base delle realtà divine in cui speriamo (cf. Eb 11, 1). Sicché, nessuno potrà giungere alla beatitudine derivante da una piena conoscenza di Dio, se prima non ne accoglie l'esistenza per mezzo della fede (35).

- San Tommaso d'Aquino -




Rendimi obbediente

Rendimi, Signore mio Dio,
obbediente senza ripugnanza,
povero senza rammarico, casto senza presunzione,
paziente senza mormorazione, umile senza finzione,
giocondo senza dissipazione, austero senza tristezza,
prudente senza fastidio, pronto senza vanità,
timoroso senza sfiducia, veritiero senza doppiezza,
benefico senza arroganza,
così che io senza superbia corregga i miei fratelli
e senza simulazione li edifichi con la parola e con l'esempio.
Donami, o Signore, un cuore vigile
che nessun pensiero facile allontani da te,
un cuore nobile che nessun attaccamento ambiguo degradi,
un cuore retto che nessuna intenzione equivoca possa sviare,
un cuore fermo che resista ad ogni avversità,
un cuore libero che nessuna violenza possa soggiogare.
Concedimi, Signore mio Dio,
un'intelligenza che ti conosca,
una volontà che ti cerchi,
una sapienza che ti trovi,
una vita che ti piaccia,
una perseveranza che ti attenda con fiducia,
una fiducia che, alla fine, ti possegga.

- San Tommaso d'Aquino -
Sacerdote e dottore della chiesa




Buona giornata a tutti. :-)