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sabato 21 maggio 2016

Da: Il Quinto Evangelio, 1975 - Mario Pomilio

Dovete sapere che San Bartolomeo aveva scritto anche lui il suo bel Vangelo. Sapendo di dover morire mandò il libro ai Settanta, che sono i Settanta preti che hanno in custodia le Scritture. Appena costoro l'ebbero letto, cominciarono a lamentarsi: “E che faremo noi se questo Vangelo si divulga? Qui è scritto che dobbiamo fare penitenza e rinunziare ai beni del mondo e quello che abbiamo metterlo in comune con chi non ha.”
 Presero dunque quel libro e lo nascosero in una grotta. Ma li vide Gesù e subito li richiamo:  “Che cosa avete fatto delle mie verità? Esponetele invece in alto, che ognuno le possa leggere.”
Stavano tutti confusi, ma il più vecchio suggerì: “Portiamo dunque il libro in alto, secondo quanto ci è ordinato.”
Andarono allora in cima al Sinai e lo esposero su una rupe in modo bensì da potersi leggere, ma solo aggrappandosi alla rupe.
È così che il Vangelo di san Bartolomeo è rimasto sconosciuto e nessuno ne parla mai. Ma ogni tanto, quando più forte soffia il vento in cima al monte, un foglio se ne stacca e va a cadere in mezzo agli uomini. E coloro che lo raccolgono, lo guardano pieni di stupore, lo trovano bello come gli altri quattro Vangeli e vanno poi gridando in giro le verità d'amore che vi sono scritte.

- Mario Pomilio -
Il Quinto Evangelio, 1975, Rusconi Editore


«Si dice che all'interno dei quattro vangeli noti è come se ce ne fosse uno ancora sconosciuto. Ma ogni volta che la fede accenna a rifiorire, è segno che qualcuno ha intravisto quel Vangelo.» (pag 86)

- Mario Pomilio -
Il Quinto Evangelio, 1975, Rusconi Editore



"Una volta un dottore incontrò il Cristo Gesù: 'Signore, io so bene che tu fosti il Messia e quel che pronunziasti è pieno di sapienza. Ma come può essere che un sol libro basti in eterno a tanta gente?'. Gli rispose Gesù: 'Egli è vero quel che dici. Ma tu non sai che il popol mio lo riscrive ogni dì'" (pag. 87)

- Mario Pomilio -
Il Quinto Evangelio, 1975, Rusconi Editore



"Un uomo andava pellegrino cercando il quinto evangelio. Lo venne a sapere un santo vescovo e, per l'affetto di averlo veduto vecchio e stanco, gli mandò a dire queste parole: “Procura d'incontrare il Cristo e avrai trovato il quinto evangelio'"(pag. 323)

- Mario Pomilio -
Il Quinto Evangelio, 1975, Rusconi Editore



"La tradizione cristiana in fondo cos'altro è se non un lungo apocrifo, un andare cercando il Vangelo dei Vangeli?" (pag. 347) 

- Mario Pomilio -
Il Quinto Evangelio, 1975, Rusconi Editore




"... l'aspettativa quasi d'un altro libro che finisca quello che gli altri hanno lasciato incompiuto. E in pratica, mentalmente, lo veniamo scrivendo: ogni nuova domanda che ci poniamo intorno al Cristo che altro è, in definitiva, se non una pagina di quel libro?" (pag. 349)
- Mario Pomilio -
Il Quinto Evangelio, 1975, Rusconi Editore




Preghiera a Maria Addolorata

Regina dei martiri, 
che sostenesti i più atroci dolori 
e compisti nel tuo cuore il più eroico dei sacrifici, 
io voglio unire le mie pene alle tue.
Vorrei essere vicina a te come san Giovanni 
e le pie donne per consolarti della perdita del tuo Gesù. 
Purtroppo riconosco che anch'io con i miei peccati 
sono stato causa della morte del tuo Figlio diletto.
Ti chiedo perdono, o madre addolorata. 
Accetta in riparazione l'offerta che io ti faccio di me stesso, 
e il proposito di volerti sempre amare per l' avvenire.
Metto nelle tue mani tutta la mia vita; 
fa' che io possa farti amare anche da tante anime 
che vivono lontane del tuo Cuore materno. Amen.

Buona giornata a tutti. :-)


venerdì 23 ottobre 2015

Un lampo - Piero Gribaudi -

Quando vide che il tramonto stava dipingendo di viola le nubi, Eleazar si accorse, come ridestandosi da un sogno, di averla fatta grossa. 
Che cosa avrebbe detto a casa? Gli avrebbero creduto? Ma soprattutto che cosa avrebbero mangiato, quella sera, il babbo e la mamma?
Fu quest'ultimo pensiero a spingerlo di corsa verso i 12 canestri allineati accanto a un pozzo abbandonato. Vuoti! Vuoti anch'essi come la sua bisaccia, che sentiva rendergli sul fianco floscia come un pensiero inutile.
La sua bisaccia che poche ore prima conteneva un tesoro: cinque pani e due grandi pesci essiccati.
Che cosa era successo? Perché si era prestato con tanta spontaneità, lui - l'unico che avesse con sé un po' di cibo - a quell'incredibile gioco cui aveva assistito con stupore, gioia, emozione, sino a dimenticare il correre del tempo?
Stentava ancora a raccapezzarsi, in quel susseguirsi di eventi: la richiesta del suo prezioso cibo da parte dei discepoli di Gesù, il suo sì immediato, e poi il movimento continuo della mano del Rabbi nell'estrarre dalla sua bisaccia quel che non poteva contenere: migliaia di pani, migliaia di pesci, a saziare le migliaia di persone tra le quali si era infilato anche lui quasi per caso, per curiosità, per udire parole che solo in parte aveva capite ma che gli erano scese nel cuore come il più squisito dei cibi.
E poi, quell'allegro desinare in gruppi a forma di aiuole di cinquanta, cento persone, rese un po' ebbre dell'abbondanza del cibo spirituale e di quello materiale; al punto che il Rabbi, vedendo lo spreco dei rifiuti nell'erba, aveva ordinato di raccoglierli in dodici cesti.
Tutto straordinario, incredibile, quasi magico. Ma la conclusione? Lui, che pure si era saziato, aveva completamente dimenticato i suoi cinque pani e i suoi due pesci.
Ce n'erano talmente tanti! Ce n'erano, appunto... Ma adesso, che tutti se n'erano andati, pure i cesti degli avanzi erano stati svuotati. E lui che era costretto a tornare a casa a raccontare cose dell'altro mondo, però a mani vuote.
A Eleazar venne un groppo in gola, un grosso nodo di pianto e rabbia. 
E diede un gran calcio all'ultimo cesto. Vide così, acceso dall'ultimo raggio dell'ultimo sole, un piccolissimo lampo. Gli si avvicinò.
Era un pesciolino non più lungo del suo mignolo, rimasto incastrato fra le maglie del cesto. Lo raccolse, e fu allora che notò una formica trascinare una mollica di pane dieci volte più grande di lei.
Raccolse anche la mollica. Forse, mostrando a casa quei minuscoli avanzi, avrebbe potuto illustrare meglio tutte le meraviglie cui aveva assistito. 
Ne era assai poco convinto, Eleazar, ma tentar non nuoce.
Fu così che lo avrete già capito, Eleazar trasse quella sera a casa, sul povero tavolo disadorno, di fronte alle ghirlande di occhi dei fratellini e di mamma e papà, non uno ma diecimila pesciolini piccini e diecimila briciole di pane.
Sinché il tavolo fu colmo sino al soffitto, e i pesciolini scivolavano a terra e ai piedi del tavolo si moltiplicavano pure i gatti e le galline facendo un gran chiasso.

Alla fine, smise di affondare la mano nella bisaccia, perché le dita gli dolevano, il sole era ormai alto, i fratellini dormivano per la grande abbuffata. Mamma e papà continuavano a chiedergli di quell'uomo, Gesù, e di quale magia avesse fatto lui, il loro figliolo generoso e distratto. E lui non sapeva che rispondere, se non con un sorriso.

- Piero Gribaudi - 
da: "Bimbi del Vangelo"

Moltiplicazione dei pani e dei pesci 
mosaico in S. Apollinare Nuovo, Ravenna

È la vita a costituire l'unica realtà e il vero mistero. 
La vita è molto di più che semplice materia chimica, che nelle sue fluttuazioni assume quelle forme elevate che ci sono note. 
La vita persiste, passando come un filo di fuoco attraverso tutte le forme prese dalla materia. 
Lo so. Io sono la vita. 
Sono passato per diecimila generazioni, ho vissuto per milioni di anni, ho posseduto numerosi corpi. Io, che ho posseduto tali corpi, esisto ancora, sono la vita, sono la favilla mai spenta che tuttora divampa, colmando di meraviglia la faccia del tempo, sempre padrone della mia volontà, sempre sfogando le mie passioni su quei rozzi grumi di materia che chiamiamo corpi e che io ho fuggevolmente abitato.


- Jack London - 





«Sulla vita affettiva, sulla personalità e lo sviluppo, sui diritti e sui doveri, gli "esperti" sanno tutto. E i genitori devono solo ascoltare, imparare e adeguarsi. Privati del loro ruolo, essi diventano spesso eccessivamente appesantiti e possessivi nei confronti dei loro figli, fino a non correggerli. 
Tendono ad affidarli sempre più agli "esperti", anche per gli aspetti più delicati e personali della loro vita, mettendosi nell’angolo da soli; e così i genitori oggi corrono il rischio di autoescludersi dalla vita dei loro figli. 
E questo è gravissimo!» 

- Papa Francesco - 
20 maggio 2015





Preghiera all’angelo custode

"Angelo Santo, amato da Dio, 
ti prego, per amore a Gesù Cristo, 
che quando sarò ingrato e ostinatamente sordo ai tuoi consigli, 
tu non voglia, per questo abbandonarmi; 
al contrario, riportami subito sulla retta via, se ho deviato; 
insegnami, se sono ignorante; 
rialzami, se sono caduto; 
sostienimi, se sono in pericolo e conducimi alla felicità eterna. 
Amen."


- San Giovanni Berchmans -



Buona giornata a tutti. :-)


domenica 6 settembre 2015

I Have the Dream - Don Tonino Bello -

Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia, e gli aveva fatto una tunica dalle lunghe maniche. 
I suoi fratelli, vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano e non potevano parlargli amichevolmente. 
Ora Giuseppe fece un sogno e lo raccontò ai fratelli, che lo odiarono ancora di più. (...) I suoi fratelli andarono a pascolare il gregge del loro padre a Sichem. Allora Giuseppe andò in cerca dei suoi fratelli e li trovò a Dotan. 
Essi lo videro da lontano e, prima che giungesse vicino a loro, complottarono di farlo morire. Si dissero l’un l’altro: "Ecco, il sognatore arriva! Orsù, uccidiamolo e gettiamolo in qualche cisterna! Poi diremo: una bestia feroce l’ha divorato! Così vedremo che ne sarà dei suoi sogni !". (...) Il suo padrone si accorse che il Signore era con lui e che quanto egli intraprendeva il Signore faceva riuscire nelle sue mani. (...)
Ora, in una medesima notte, il coppiere e il panettiere del re d’Egitto, che erano detenuti nella prigione, ebbero tutti e due un sogno, ciascuno il suo sogno, che aveva un significato particolare. 
Alla mattina Giuseppe venne da loro e vide che erano afflitti. Allora interrogò gli eunuchi del faraone che erano con lui in carcere nella casa del suo padrone e disse: "Perché quest’oggi avete la faccia così triste?". Gli dissero: "Abbiamo fatto un sogno e non c’è chi lo interpreti".

(...) Al termine di due anni, il faraone sognò di trovarsi presso il Nilo. 

Ed ecco salirono dal Nilo sette vacche, belle di aspetto e grasse e si misero a pascolare tra i giunchi. Ed ecco, dopo quelle, sette altre vacche salirono dal Nilo, brutte di aspetto e magre, e si fermarono accanto alle prime vacche sulla riva del Nilo. Ma le vacche brutte di aspetto e magre divorarono le sette vacche belle di aspetto e grasse. E il faraone si svegliò. Poi si addormentò e sognò una seconda volta: ecco sette spighe spuntavano da un unico stelo, grasse e belle. Ma ecco sette spighe vuote e arse dal vento d’oriente spuntavano dopo quelle. Le spighe vuote inghiottirono le sette spighe grosse e piene. Poi il faraone si svegliò: era stato un sogno. 
Alla mattina il suo spirito ne era turbato, perciò convocò tutti gli indovini e tutti i saggi dell’Egitto. Il faraone raccontò loro il sogno, ma nessuno lo sapeva interpretare al faraone. (...)
Allora il faraone convocò Giuseppe. Lo fecero uscire in fretta dal sotterraneo ed egli si rase, si cambiò gli abiti e si presentò al faraone. (...) 
Allora Giuseppe disse al faraone: "Il sogno del faraone è uno solo: quello che Dio sta per fare, lo ha indicato al faraone. Le sette vacche belle sono sette anni e le sette spighe belle sono sette anni: è solo un sogno. E le sette vacche magre e brutte, che salgono dopo quelle, sono sette anni e le sette spighe vuote, arse dal vento d’oriente, sono sette anni: vi saranno sette anni di carestia. 
È appunto ciò che ho detto al faraone: quanto Dio sta per fare, l’ha manifestato al faraone. Ecco stanno per venire sette anni, in cui sarà grande abbondanza nel paese d’Egitto e la carestia consumerà il paese. 
(Gen. 37,3-5.12.17-20 ; 40,5-8; 41,1-8.14.25-30)




Carissimo Giuseppe, la domanda la giro a te, che te ne intendi: se, cioè, la razza dei sognatori sia utile all’umanità oppure va combattuta, proprio per quella carica di fuga che il sogno sembra favorire. Quando me la son sentita rivolgere io, me la son cavata con una citazione di lusso: "Troppi uomini pratici mangiano il pane intriso col sudore della fronte del sognatore". 

Ti piace? È di Kahil Gibran, un poeta delle tue parti, libanese per la precisione. Il quale, nello scriverla, deve aver pensato a te. Anzi, la frase mi sembra così pertinente con la tua storia, che potrebbe far benissimo da titolo ai capitoli trentasette e seguenti della Genesi, in cui si racconta del tuo mestiere di inguaribile sognatore. 
Dei dodici, eri il figlio prediletto di Giacobbe. E si capisce perché: gli eri nato in vecchiaia. Tra le tante attenzioni, quando eri ancora giovanetto, tuo padre volle confezionarti lui stesso una tunica dalle maniche lunghe. 
Non l’avesse mai fatto! Ogni volta che, con quell’abito firmato, comparivi in mezzo ai fratelli sbracati sotto gli ardori della canicola, li facevi crepare d’invidia. Un giorno, il vaso traboccò per via di certi sogni che ti mettesti a raccontare. 
Tutto elegante, che sembravi uscito da una "boutique" di via Veneto, parlavi di covoni di grano che si inchinavano davanti al tuo e di undici stelle che, insieme col sole e con la luna, si prostravano di fronte a te. 
I tuoi fratelli, allora, non ne poterono più. Che il vecchio padre, rincitrullito dall’arteriosclerosi, stravedesse per te, potevano anche sopportarlo. Ma che tu, servendoti dei sogni, ti mettessi a prevedere future egemonie su di loro, era proprio il colmo. 
Se ti avessero potuto ammazzare con una randellata, l’avrebbero fatto seduta stante. Comunque, pensarono bene di rinviare la vendetta a un’occasione più propizia. Per il momento si limitarono a mandarti un sacco di accidenti a te, alla tua tunica, ai tuoi sogni. E chi sa che non scrissero sui muri sotto casa, perché tuo padre potesse vedere: abbasso il visionario! La storia sappiamo tutti come andò a finire. Che quei praticoni dei tuoi fratelli, grevi di asprigni sudori di campo, dopo aver complottato per farti fuori: Ecco, il sognatore arriva! 
Orsù uccidiamolo...così vedremo che ne sarà dei suoi sogni! 
Ti vendettero a dei mercanti ismaeliti, i quali ti condussero in Egitto dove facesti fortuna. Finché un giorno in Egitto, essendo scoppiata la carestia, non ci arrivarono anche loro, morti di fame, alla ricerca disperata di frumento. 
E, senza saperlo, finirono col mangiare il pane che proprio tu, grazie a una irresistibile carriera originata dalla tua esperienza in materia di sogni, eri riuscito a mettere da parte. Morale della favola? Non bisogna sparare sui sognatori. Perché, a dispetto di ogni realismo scientifico che pretende di far tenere a ogni costo i piedi per terra, coloro che oggi camminano con la testa per aria saranno gli unici ad aver ragione domani. Grazie, sognatore.

Ma torniamo in Egitto, dove, all’improvviso, smettesti di sognare per conto tuo, e cominciasti a fare l’interprete dei sogni per conto terzi. 

Dunque: inizialmente le cose si misero abbastanza bene, perché andasti a finire, come uomo di fiducia, nella casa di un pezzo grosso della corte. 
La corte vera, però, fu quella che ti fece la moglie del principale. 
Poverina, bisogna capire anche lei :eri bello di forma e avvenente di aspetto e non seppe resistere al tuo fascino. Finché un giorno, avendo tu respinto energicamente certe sue spudorate profferte, si sentì ferita nell’orgoglio di donna e, girando la frittata, fu lei che ti accusò di violenza presso il marito. 
Il quale non si fece pregare due volte e ti spedì per direttissima in prigione. 
In quel tempo, come oggi da noi a San Vittore, le patrie galere dovevano traboccare di detenuti eccellenti, se è vero che, tra gli altri, c’erano anche il capo dei coppieri e il capo dei panettieri del faraone. 
Due gerarchi di tutto rispetto. 
Con la differenza, però, che essi erano andati a finire in carcere, non per storie di bustarelle, ma per aver contestato in pubblico la prepotenza del re. 
Una notte, l’uno e l’altro fecero un sogno così strano, che la mattina seguente alla tua domanda perché mai avessero quella faccia da funerale, essi risposero: Abbiamo fatto un sogno e non c’è chi lo interpreti! 
Quella frase mi rotola sull’anima come un macigno. 
Perché sintetizza il grido di tutti gli oppressi. 
Di tutti i prigionieri del regime. 
Di tutti i violentati dai sistemi di potere. 
Di tutte le vittime dei palazzi. 
Di tutti coloro, cioè, che abitano i sotterranei della storia, ai quali l’ingiustizia subìta non impedisce di sognare, ma che non trovano sulla loro strada gente capace di decifrare i loro sogni. 
Quella frase mi scomoda, perché mi fa capire quanto sia sacrilego il mio scettico sorriso di fronte alle utopie dei poveri, nella cui anima, anche d’inverno, fioriscono grappoli di speranze, con tutte le variazioni sul tema del celebre "I have the dream" di Martin Luther King: 
"Ho il sogno che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli degli antichi schiavi e i figli degli antichi schiavisti saranno capaci di sedere insieme alla tavola della fratellanza. 
Ho il sogno che un giorno anche lo stato del Mississippi, uno stato soffocante per l’afa dell’oppressione, sarà trasformato in un’oasi di pace e di giustizia. Ho il sogno che i miei quattro bambini un giorno vivranno in una nazione in cui non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per il contenuto del loro carattere. 
Ho il sogno...". 
Quella frase mi torna in mente ogni volta che, a uno a uno, se ne vanno i vecchi profeti, e all’orizzonte non si vedono discepoli che ne ereditino il mantello, e lasciano sia pure per poco lo sgomento del vuoto, e i poveri sembrano rimanere più soli. 
Allora, ti confesso, anche a me nasce un sogno nel cuore: quello di una Chiesa più audace, che si decida a scendere nelle carceri degli uomini e, organizzando la speranza degli ultimi, smetta di essere la notaia dell’ineluttabile, e divenga finalmente ministra dei loro sogni. I have the dream!

Ed eccoci giunti al terzo atto della tua carriera, che ti vide interprete non più dei tuoi sogni, e neppure dei sogni degli ultimi, ma interprete dei segni inviati dal cielo ai potenti della terra. Mi riferisco alla ben nota storia delle vacche grasse e delle vacche magre, che apparvero in sogno al faraone, con la simmetrica riproposizione, nel corso della stessa notte, delle spighe piene e delle spighe vuote. Un rompicapo preoccupante per il re e per tutta la sua corte. Quali presagi si nascondevano sotto i simboli di quelle sette vacche floridissime, divorate in un baleno da altrettante vacche, orride e macilente, comparse tra i giunchi del Nilo? E quale lettura dare al sogno delle sette spighe, turgide e splendenti, inghiottite all’improvviso da altrettante spighe vuote e bruciate dal vento? Fu così che si ricordarono di te, che marcivi in prigione. Qualcuno parlò delle tue abilità divinatorie, e al faraone che volle interpellarti di persona, tu spiegasti il mistero senza frasi di comodo. Gli dicesti che vacche grasse e spighe gonfie rappresentavano l’abbondanza dei beni e lo sperpero delle risorse ambientali, di cui gli Egiziani, se non si fosse intervenuti per tempo, avrebbero pagato lo scotto con durissimi anni di carestia, simbolizzati appunto dalle vacche magre e dalle spighe vuote. Poi aggiungesti, con accenti profetici, che bisognava correre ai ripari. Che bisognava ridurre i consumi. Che era necessario cambiare la politica sull’impiego delle energie. Che era indispensabile frenare la corsa allo spreco. Che non era possibile portare avanti i folli parametri del dispendio dei beni naturali non rinnovabili a cui la terra veniva sottoposta. Che, insomma, solo con una intelligente strategia di recupero delle risorse, e con un forte programma di risanamento dei guasti ambientali, si poteva preservare il futuro dalla tragedia della fame. Tu almeno, dai sotterranei della storia (oggi si direbbe: dai Sud della terra), dalla parte degli ultimi, dalle postazioni dei diseredati, le cose le vedevi così. Il faraone diede ascolto alla voce dei poveri. E fu la salvezza per tutti. Caro Giuseppe, come sono cambiati i faraoni di oggi! Non sono più disponibili a dare ascolto ai profeti del sottosuolo. Sorridono sui loro vaticini. E non sanno che farsene delle loro previsioni sui disastri dell’habitat o sui buchi dell’ozono, sull’effetto serra o sulle piogge acide, sulle deforestazioni dell’Amazzonia o sul degrado atmosferico, sulle scorie radioattive o sull’inquinamento delle acque, sull’abuso della biotecnologia o sulla desertificazione della terra... 

Gli interpreti dei sogni ci sono ancora oggi. Ma sono ridotti a funzione di grillo parlante. 
Per i potenti, quello che conta è stabilire il primato dell’economia sull’uomo, preferire la salvaguardia del mercato alla salvaguardia della natura, difendere il sistema consolidato della finanza sul patto generazionale che ci obbliga a consegnare ai posteri una terra abitabile. 
Ti è giunta eco di "Eco 92" di Rio de Janeiro? 
Hai sentito le tesi allucinanti dei moderni faraoni? Anche lì si è agitato lo spettro delle vacche magre. E sai qual è stata la risposta? "Ma quali vacche magre d’Egitto"!

- Don Tonino Bello -
Tratto da: “Ad Abramo e alla sua Discendenza”



"Per i poveri anche una sagrestia può bastare! Solo allora potremo celebrare liturgie vere e riti credibili. 
E le ostie consacrate avranno finalmente il gusto del grano e il sapore della libertà".

- don Tonino Bello -



"Voglio dirvi questo: non vendetevi a nessuno. Anche a costo di morire di fame. Resistete tenacemente alle lusinghe di chi pensa di manipolarvi il cervello comprandovi con quattro soldi".

- don Tonino Bello -




Buona giornata a tutti. :-)






venerdì 17 aprile 2015

La forza del peccato - Padre Alberto Maggi -

E’ stata la religione a inventare il senso del peccato attribuendolo anche ad aspetti comuni dell’esistenza umana.
L’uomo senza la Legge religiosa non saprebbe mai che certi comportamenti sono peccato. Basta leggere le regole relative al puro e all’impuro contenute nei capitoli 11-16 del Libro del Levitico per rendersene conto. 
Per quale misterioso motivo il Creatore proibisce di mangiare la lepre (Lv 11,6), tra l’altro definita nel Libro del Levitico un animale che rumina, e permette di mangiare “ogni specie di cavallette” (Lv 11,22)? E perché si possono mangiare i grilli ma non il maiale (Lv 11,7.22)?
Certe regole alimentari-religiose oggi possono far sorridere, ma basta riandare a un cattolicesimo non molto lontano per constatare che era considerato un peccato mortale mangiare carne il venerdì, ed era peccato tutto quel che atteneva non solo alla sfera sessuale ma anche semplicemente a quella genitale, perché il comandamento divino “Non commettere adulterio” veniva presentato nel catechismo con “Non commettere atti impuri”.
Non si cerca di minimizzare il senso del peccato, ma di riportarlo nel suo giusto significato perché, altrimenti, quando tutto è peccato, nulla è più peccato.
Nei vangeli il peccato non è la trasgressione di una Legge religiosa ma il male che concretamente si fa agli altri e di conseguenza a se stessi, come bene è stato formulato dal Concilio Vaticano II dove si afferma che il peccato è “una diminuzione per l’uomo stesso, impedendogli di conseguire la propria pienezza” (GS 1,13).
Il peccato non offende Dio ma l’uomo impedendogli di crescere: “Forse offendono me, dice il Signore? Non offendono forse se stessi per la propria vergogna?” (Ger 7,19).
La religione attraverso la Legge crea il peccato rivendicando poi solo a se stessa la potestà di perdonarlo, e basa tutto il suo prestigio e il suo potere sul concetto di peccato.
Quel che rende forte la religione è il senso del peccato, e, come scrive Paolo ai Corinti, “la forza del peccato è la Legge” (1 Cor 15,56).
Per mantenere il suo potere l’istituzione religiosa rende la Legge impossibile da osservare in modo che il credente si trovi sempre in condizione di peccato, come denuncia il profeta Osea in un brano dove il Signore rimprovera i sacerdoti affermando che “essi si nutrono dei peccati del mio popolo; e sono avidi della sua iniquità” (Os 4,8).
Il Signore accusa i sacerdoti di condurre volontariamente il popolo nel peccato per poi poterci guadagnare. I custodi della volontà di Dio si trasformano in seduttori del popolo di Dio.
Per comprendere questa denuncia occorre sapere che nel culto giudaico i peccati venivano perdonati attraverso offerte di sacrifici di animali e generi alimentari che servivano al nutrimento e al sostentamento del clero.
Più la gente peccava e più il clero ingrassava, e per mantenere costante il flusso delle offerte occorreva rendere la Legge impossibile da osservare, falsificando così la volontà stessa di Dio, come denuncia Geremia nella sua reprimenda contro gli scribi: “Voi come potete dire: Noi siamo saggi e la Legge del Signore è con noi! A menzogna l’ha ridotta la penna menzognera degli scribi” (Ger 8,8).
L’impossibilità di osservare la Legge, manipolata secondo gli interessi degli scribi e l’avidità del clero, è bene espressa da Pietro nello scontro di Gerusalemme con i credenti di tendenza farisaica: “Perché continuate a tentare Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri, né noi siamo stati in grado di portare? Noi crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati e nello stesso modo anche loro” (At 15,10).

Padre Alberto Maggi
http://www.studibiblici.it/


In questa giostra d'amore, le cadute non devono avvilirci, ancorché fossero gravi, purché ci rivolgiamo a Dio nel Sacramento della Penitenza con dolore sincero e proposito retto. 

Il cristiano non è un collezionista fanatico di certificati di servizio senza macchia. Gesù Nostro Signore, che tanto si commuove dinanzi all'innocenza e alla fedeltà di Giovanni, si intenerisce allo stesso modo, dopo la caduta di Pietro, per il suo pentimento. 
Gesù, che comprende la nostra fragilità, ci attrae a sé guidandoci come per un piano inclinato ove si sale a poco a poco, giorno per giorno, perché desidera che il nostro sforzo sia perseverante. 
Ci cerca come cercò i discepoli di Emmaus, andando loro incontro; come cercò Tommaso per mostrargli e fargli toccare con le sue stesse mani le piaghe aperte sul suo corpo. 
Proprio perché conosce la nostra fragilità Gesù attende sempre che torniamo a Lui.

- San Josemaria Escrivá -




... La cultura cristiana è una cultura definita e pervasa dall'amore per il prossimo e dalla misericordia, e proprio per questo anche dal senso della giustizia sociale ... 
L'autentica cultura europea non è una cultura soltanto della "mente" o della "ragione", ma una cultura del "cuore": una cultura che si lascia compenetrare e riscaldare dallo Spirito Santo, e perciò una cultura di misericordia...

- Joseph  Ratzinger  - 

da: " Christlicher Glaube und Europa"





Dal Sacramento della Riconciliazione, dobbiamo ricavare due vantaggi:
1) ci confessiamo per venire risanati;
2) ci confessiamo per essere educati perché, alla pari d'un bambino, la nostra anima ha bisogno di continua educazione.
Gesù mio, per esperienza so che l'anima non va lontana con le proprie forze, s'affatica molto e non conclude. 

Abbiamo bisogno della confessione, perché commettiamo continuamente degli errori, avendo noi una mente che non sa discernere ciò che giova. 
Una cosa però ho anche capito, cioè che devo pregare molto per il confessore affinché lo illumini lo spirito di Dio. 
Quando mi confesso senza prima aver pregato per lui, egli mi capisce poco.

- Dal Diario di Suor Faustina -



Concedimi di lodarti, o Vergine santissima!

“Concedimi di lodarti, o Vergine santissima,
con il mio impegno e sacrificio personale.
Concedimi di vivere, lavorare, soffrire,
consumarmi e morire per Te, solamente per Te.
Concedimi di condurre a Te il mondo intero.
Concedimi di contribuire
ad una sempre maggiore esaltazione di Te,
alla più grande esaltazione possibile di Te.
Concedimi di renderti una tale gloria
che nessuno mai Ti ha tributato finora.
Concedi ad altri di superarmi nello zelo
per la tua esaltazione,
e a me di superare loro,
così che in una nobile emulazione la tua gloria
si accresca sempre più profondamente,
sempre più rapidamente, sempre più intensamente,
come desidera Colui che Ti ha innalzata
in modo così ineffabile al di sopra di tutti gli esseri”.


- San Massimiliano M. Kolbe - 







Buona giornata a tutti. :-)






sabato 1 novembre 2014

1° novembre - Giornata della Santificazione Universale -

"Normalmente quando pensiamo ai santi noi immaginiamo che sono persone eccezionali, lontani da tutti, fuori dalla nostra esistenza quotidiana.
La santità è una cosa normale. E’ il destino di ogni essere umano, di gente ordinaria come noi.
La folla dei santi, di cui ci parla l’Apocalisse, siamo noi. La santità è il fine della nostra esistenza.
Ma la santità è un’ambizione? La santità è qualcosa che dobbiamo ricercare? In che senso noi possiamo dire che dobbiamo aspirare alla santità? In primo luogo bisogna che noi dobbiamo diventare persone mosse dal desiderio profondo e passionato da qualcosa. La nostra società consumistica celebra quotidianamente piccoli desideri. Tenta di farci credere che noi possiamo essere felici solamente realizzando i nostri piccoli desideri: avere una macchina, passare delle belle vacanze... La ricerca di Dio, il cammino verso la santità comincia nel momento in cui noi non ci accontentiamo del benessere naturale, ma quando noi diciamo: “No, io voglio di più, e altro , che queste cose”. Sovente noi pensiamo che i santi siano delle persone che sono riusciti a controllare e a regolare i loro desideri. Tutto è controllato in loro. Ma può essere che essi siano piuttosto delle persone che hanno saputo svegliare in loro i desideri e le passioni radicate profondamente nel loro essere? Ho letto un testo sui santi domenicani e sono stato colpito dal fatto che essi erano persone appassionate.
Pensate a San Tommaso d’Aquino, per esempio. Il suo biografo Tocco, lo ha chiamato “l’uomo del desiderio”. Una leggenda narra che Gesù, un giorno, domandò a Tommaso cosa desiderasse, Tommaso rispose: “Domine, non nisi te. Signore nient’altro che te!”
Avendo il desiderio profondo di capire, Tommaso rifiuta le soluzioni facili. Egli voleva comprendere meglio il suo Dio, ma era tanto onesto che percepiva che era impossibile. Un uomo di desiderio. E noi altri, come studenti, siamo veramente affascinati dal desiderio di comprendere, o siamo soddisfatti ci promuovono con summa cum laude?
Pensiamo a Bartolomeo de Las Casas che aveva questa passione inesauribile per la giustizia e il desiderio instancabile per un mondo nel quale gli Indiani potessero vivere con dignità. Egli scriveva al re: “Io penso che Dio voglia che io riempia il cielo e la terra, e il mare ancora, di grida, di lacrime e di gemiti per la giustizia.”
Noi tutti parliamo della giustizia. Noi sappiamo che dobbiamo cercarla. Ma la giustizia è veramente una passione che tocca profondamente il nostro essere? O i nostri propositi sono delle vane parole? Pensiamo a Caterina da Siena. Appassionata per la riforma della Chiesa, parlava del Cristo come del desiderio e dell’amore in lei.
Tutti, noi vorremmo trasformare la Chiesa; una Chiesa più giusta e più onesta. Ma abbiamo noi una vera passione, come Caterina? Siamo invitati a raggiungere la folla immensa dei santi, di ogni lingua e nazione. Ma la prima cosa che ci è chiesta è che noi siamo delle persone appassionate. Discutendo con alcuni giovani che volevano diventare domenicani la mia prima domanda fu: “siete appassionati per qualcosa?”
Perché questo è molto più importante del desiderio di entrare nell’Ordine.
Se c’è passione in noi, Dio può cominciare a lavorare!
Beati i poveri, i miti, beati gli afflitti. Noi siamo invitati a essere felici.
E’ difficile trovare dei santi tristi. I santi sono i beati perché la loro vita è conforme al loro desiderio più profondo; essi sono scappati dalla prigione delle loro piccole ambizioni, delle piccole passioni.
Essi sono leggeri nel loro cuore. Essendo stati percepiti nel loro profondo desiderio, non possono prendersi troppo sul serio.
Il nostro problema è che ci prendiamo troppo sul serio. Siamo invitati a lasciare dietro di noi non solo le nostre piccole ambizioni m anche le piccole identità.
A partire dal XVII sec. noi Europei siamo stati assillati dalla questione sull’identità. Chi sono? Qual è la mia identità come essere umano, come cristiano, come domenicano? E ci richiudiamo nelle nostre piccole identità che ci danno poco sicurezza.
La S. Scrittura ci offre liberazione. Essa ci spalanca le porte, perché noi possiamo immaginare chi siamo.
San Giovanni ci dice: "Il mondo non ci conosce - noi siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è ancora stato rivelato”. Noi siamo stati liberati dall’ossessione dell’identità, perché ciò che noi siamo è inimmaginabile.
Dal XVII sec. le nostre società hanno sviluppato l’orrore nei riguardi della folla. Nella folla, l'individuo perde la sua identità. Nella folla noi non sappiamo chi siamo. La folla è pericolosa, come la folla della Rivoluzione Francese. Ma per noi, c’è una folla immensa, che nessuno può contare, la folla dei santi. Il nostro destino è appartenere a questa folla; è qui che noi saremo liberati da tutte le nostre piccole questioni d'identità, perché chi siamo è al di la di ciò che noi possiamo immaginare. E noi saremo liberi."

(Omelia di fr. Timothy Radcliffe - Friburgo, 1° Novembre 1992 )


Preghiera ai Santi del Paradiso

O spiriti celesti e voi tutti Santi del Paradiso,
volgete pietosi lo sguardo sopra di noi,
ancora peregrinanti in questa valle di dolore e di miserie.
Voi godete ora la gloria che vi siete meritata
seminando nelle lacrime in questa terra di esilio.
Dio è adesso il premio delle vostre fatiche,
il principio, l'oggetto e il fine dei vostri godimenti.
O anime beate, intercedete per noi!
Ottenete a noi tutti di seguire fedelmente le vostre orme,
di seguire i vostri esempi di zelo e di amore ardente a Gesù
e alle anime, di ricopiare in noi le virtù vostre,
 affinché diveniamo un giorno partecipi della gloria immortale. 
Amen.


Non crediate mai che i santi nascano tali, che vengano al mondo come 'prodotto finito' o, comunque, inevitabilmente destinati a divenire ciò che in realtà divengono.

- Cyril Martindale - 
da "Santi"




Festeggiare tutti i santi è guardare coloro che già posseggono l’eredità della gloria eterna. Quelli che hanno voluto vivere della loro grazia di figli adottivi, che hanno lasciato che la misericordia del Padre vivificasse ogni istante della loro vita, ogni fibra del loro cuore. I santi contemplano il volto di Dio e gioiscono appieno di questa visione. Sono i fratelli maggiori che la Chiesa ci propone come modelli perché, peccatori come ognuno di noi, tutti hanno accettato di lasciarsi incontrare da Gesù, attraverso i loro desideri, le loro debolezze, le loro sofferenze, e anche le loro tristezze. 
Questa beatitudine che dà loro il condividere in questo momento la vita stessa della Santa Trinità è un frutto di sovrabbondanza che il sangue di Cristo ha loro acquistato. Nonostante le notti, attraverso le purificazioni costanti che l’amore esige per essere vero amore, e a volte al di là di ogni speranza umana, tutti hanno voluto lasciarsi bruciare dall’amore e scomparire affinché Gesù fosse progressivamente tutto in loro. È Maria, la Regina di tutti i Santi, che li ha instancabilmente riportati a questa via di povertà, è al suo seguito che essi hanno imparato a ricevere tutto come un dono gratuito del Figlio; è con lei che essi vivono attualmente, nascosti nel segreto del Padre.




«… ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani.» (Ap 7,9)




«Nel grande disegno di Dio ogni dettaglio è importante, anche la tua, la mia piccola e umile testimonianza, anche quella nascosta di chi vive con semplicità la sua fede nella quotidianità dei rapporti di famiglia, di lavoro, di amicizia.
Ci sono i santi di tutti i giorni, i santi “nascosti”, una sorta di “classe media della santità”, come diceva uno scrittore francese, quella “classe media della santità” di cui tutti possiamo fare parte.»

- papa Francesco -
omelia nella basilica di san Paolo fuori le mura - 14 aprile 2013

 I Santi in Paradiso- Beato Angelico


"...dire che il Santo è l’uomo vero
è un’affermazione più provocatoria 
di quel che possa sembrare: 
significa infatti affermare che solo l’uomo 
che vive intensamente il rapporto col Dio 
può godere del rapporto con la realtà mondana 
in modo autentico. 
Significa attaccare frontalmente 
quel sottile dualismo tra valori mondani e valori spirituali,
tra naturale e soprannaturale,
tra mondo e Dio, 
in cui molto cattolicesimo moderno 
ha sempre più rischiato di lasciarsi intrappolare.
Il rapporto con Dio - scrive ancora don Giussani - 
è l’ipotesi di lavoro più adeguata
all’incremento e alla realizzazione dell’unità della personalità. 
Per questo il mondo ha ancora, 
anzi soprattutto oggi, 
bisogno dello “spettacolo della santità”

da: La santità del laico 
nel pensiero di Luigi Giussani 
e Divo Barsotti



Auguri a tutti :-)