giovedì 30 aprile 2015

Quando sono diventata la mamma e la mamma è diventata la figlia? - Bombeck Erma

Una volta un fisico nucleare ha calcolato che le donne che hanno un bambino a vent'anni, hanno venti volte l'età del loro bambino.
Quando il bambino ha vent'anni e la madre quaranta, questa ha solo il doppio dell'età del bambino. 
Quando il bambino ha sessant'anni e la madre ottanta, la madre è solo di uno e un terzo più vecchia del bambino. 
Quando il bambino ha ottant'anni e la madre cento, la madre è solo di uno e un quarto più vecchia del bambino. 
Quando riuscirà il bambino a raggiungere la madre? 
Quando, davvero.
Comincia una notte mentre si dorme. La mamma non riesce a riposare, e vai nella sua stanza a rimboccarle le coperte sulle braccia nude?
Oppure un pomeriggio in cui, in preda all'irritazione, si esclama: «Come faccio a farti la permanente se non stai ferma? Se non ti importa di avere un aspetto decente, bene, a me importa, invece!» (Dio mio, è l'eco di una frase sentita mille volte! ) 
Oppure è cominciato in quel pomeriggio di pioggia in cui, tornando dal supermercato, hai pigiato di colpo sul freno, hai buttato istintivamente le braccia tra lei e il parabrezza per proteggerla e hai incontrato i suoi occhi, tristi, consapevoli? 
La transizione avviene lentamente, come tra lei e sua madre. 
Passaggio di poteri. 
Trasferimento di responsabilità. 
Passaggio di doveri. 
All'improvviso si cominciano a sputare tutte quelle frasi imparate sulle ginocchia della mamma. «Certo che stai male. Credi che non mi accorga che stai male? Passo a prenderti verso le undici per andare dal dottore. E fatti trovare pronta!»
«Allora, dov'è il golf? Sai che freddo fa nei negozi con l'aria condizionata! E l'ultima cosa di cui hai bisogno è un raffreddore.»
«Stai benissimo oggi. Non te l'avevo forse detto che quel vestito ti sarebbe piaciuto? Quell'altro ti faceva sembrare vecchia. Non c'è ragione di sembrar vecchia prima del necessario.»
«Devi far pipì prima di uscire? Sai com'è dal dottore. Bisogna farsi dare la chiave e far tutti quei chilometri di corridoio. Perché non cerchi di farla lo stesso... così non ci pensiamo più.»
«Se non sei troppo stanca andiamo a fare qualche compera. Hai fatto il riposino stamattina? Quando ti senti stanca, dimmelo che ti porto a casa. Lo sai che non riesco a far compere con te che te ne stai lì impaziente saltando da un piede all'altro.» (Buon Dio, l'hai veramente presa sottobraccio e l'hai quasi sollevata di peso?)
Ribellione? «Ti sarei grata, signorina, se lasciassi che sia io a prendere le mie decisioni. Lo so io quando sono stanca, e quando sono stanca ho il buon senso di andarmene a letto. Smettila di trattarmi come una bambina!» Non è ancora pronta per il passaggio alla vecchiaia.
Ma gli anni passano, lenti, insidiosi, e non c'è nessuno a cui chiedere aiuto. «Dove sono i miei occhiali? Non riesco mai a trovarli. Mi sono addormentata di nuovo al cinema? Com'è andata a finire? Si sono sposati?» «Fai tu il numero. Sai che sbaglio sempre.»
«Quest'anno niente albero di Natale. Non c'è nessuno per cui farlo e poi ci vogliono otto mesi per pulire il tappeto.»
«Dov'è il numero del volo e l'orario di partenza del mio aereo? Me li batti sempre a macchina e li metti insieme al biglietto. Ma io non riesco a leggerli, questi numeri così piccoli.»
Ribellione: «Dai, mamma, non sei poi così vecchia. Riesci a fare un sacco di cose da sola, perfino a infilare l'ago».
«E tu non sei certo troppo stanca per telefonare a Olivia e farle un salutino. Ti ha chiamato almeno quindici volte e tu hai fatto finta di niente. Perché non fate colazione insieme, qualche volta? Ti farebbe bene uscire un po'.»
«Come, sei in rosso? Non puoi tenere il conto degli assegni che firmi?»
La figlia non è ancora pronta a prendere su di sé il peso della madre. Ma le cose stanno filando in quella direzione.
Il primo anno che celebri il giorno di Natale a casa tua, fai tu il tacchino arrosto e tua madre prepara la tavola.
La prima volta che al cinema ti giri inconsciamente verso di lei e le fai «Shhhh!»
La prima volta che la prendi per un braccio camminando su un tratto ghiacciato.
Mentre i tuoi figli diventano forti e indipendenti, tua madre ritorna bambina.
«Mamma, non sono stata io a prendere la guida dei programmi TV.»
«Sì che sei stata tu.»
«No.»
«Sì.»
«No.»
«Sì.»
«No.»
«Ieri sera ho visto tuo padre. Ha detto che sarebbe tornato tardi.»
«Non è possibile. È morto, mamma.»
«Perché dici una cosa simile? Sei una bambina cattiva.»
«Ho visto il signor Evans, mi ha spinto sull'altalena per ore e ore.»
«Non c'è nessun signor Evans. Te lo sei inventato, non esiste.»
«Non è vero. Perché dici una cosa simile? Solo perché tu non lo vedi non vuol mica dire che non esiste.»
«Non vieni mai a trovarmi. Stai sempre dietro a quei bambini. Non hanno nemmeno bisogno di te.»
(«Vai ancora a giocare a bridge? Vai sempre fuori e poi non hai tempo di leggermi le storie!»)
«Per amor di Dio, mamma, lascia perdere il parrucchino di Fred. Lo sappiamo tutti che lo porta, e parlarne in continuazione non fa che peggiorare le cose.» («Attenta a come parli, bambina, e aspetta che gli altri ti rivolgano la parola.») 
La figlia medita: «Non dovrebbe essere così. Tutti quegli anni passati a lavarmi, vestirmi, darmi da mangiare, correggermi, darmi ordini, coccolarmi e soddisfare i miei desideri... volevo che venisse il mio turno... volevo esser io a comandare. E adesso che il momento è arrivato, perché sono così triste?»
Lavi e asciughi il corpo che un giorno ti ha ospitato. 
Imbocchi le labbra che hanno baciato lividi e ferite per lenire il dolore. 
Pettini i capelli che ti si rovesciavano addosso per farti ridere. 
Sistemi la coperta sulle gambe che ti portavano a passeggio. 
Fa tanti riposini quanti ne facevi tu. 
La accompagni in bagno e l'aspetti per rimetterla a letto. 
C'è una donna che verrà a tenerle compagnia la sera di Capodanno. Non credevi che sarebbe stato così.
Un giorno sei in macchina con tua figlia, lei frena bruscamente, e istintivamente le sue braccia si alzano tra te e il parabrezza, allo scopo di proteggerti. Dio mio! Così presto.

- Bombeck Erma - 




Hanno oggettivamente dichiarato guerra alla ragionevolezza della famiglia.
Trovano intollerabile che un maschio e una femmina si uniscano stabilmente e mettano al mondo dei figli alla vecchia maniera, facendo l’amore, e che di quei figli si occupino con continuità, facendo uno il padre l’altra la madre, potendo raccontare loro anche, che so, del nonno nato in un’isola e della zia che amava i cappelli e le cartoline, perché quei figli sapranno da dove viene il loro seme, e non avranno mai l’angoscia di essere privi di una storia (o meglio, di averla ma di non poterla conoscere), senza radici, senza padri a cui ribellarsi, né avranno mai il senso di colpa di sapere che una povera indiana è stata sfruttata per pochi soldi mescolando con loro sangue e cellule e respiro e tutto il mischiabile, e poi sarà stata esclusa dalla loro vita quando ancora il cordone che li ha uniti starà pulsando sangue. 

- Costanza Miriano - 



Non importa quanta dignità tu pensi di avere: 
se un bambino ti passa una tazza vuota, tu devi bere. 





Buona giornata a tutti. :-)


mercoledì 29 aprile 2015

da: "Lettera a un bambino mai nato" - Oriana Fallaci

Stanotte ho saputo che c'eri: una goccia di vita scappata dal nulla. 
Me ne stavo con gli occhi spalancati nel buio e d'un tratto, in quel buio, s'è acceso un lampo di certezza: sì, c'eri. Esistevi. 
È stato come sentirsi colpire in petto da una fucilata. Mi si è fermato il cuore. E quando ha ripreso a battere con tonfi sordi, cannonate di sbalordimento, mi sono accorta di precipitare in un pozzo dove tutto era incerto e terrorizzante. Ora eccomi qui, chiusa a chiave dentro una paura che mi bagna il volto, i capelli, i pensieri. E in essa mi perdo. 
Cerca di capire: non è paura degli altri. Io non mi curo degli altri. 
Non è paura di Dio. Io non credo in Dio. 
Non è paura del dolore. Io non temo il dolore. 
È paura di te, del caso che ti ha strappato al nulla, per agganciarti al mio ventre. 
Non sono mai stata pronta ad accoglierti, anche se ti ho molto aspettato. Mi son sempre posta l'atroce domanda: e se nascere non ti piacesse? E se un giorno tu me lo rimproverassi gridando "Chi ti ha chiesto di mettermi al mondo, perché mi ci hai messo, perché?". 
La vita è una tale fatica, bambino. È una guerra che si ripete ogni giorno, e i suoi momenti di gioia sono parentesi brevi che si pagano un prezzo crudele. Come faccio a sapere che non sarebbe giusto buttarti via, come faccio a intuire che non vuoi essere restituito al silenzio? Non puoi mica parlarmi. 
La tua goccia di vita è soltanto un nodo di cellule appena iniziate. Forse non è nemmeno vita ma possibilità di vita. Eppure darei tanto perché tu potessi aiutarmi con un cenno, un indizio. 
La mia mamma sostiene che glielo detti, che per questo mi mise al mondo. 
La mia mamma, vedi, non mi voleva. Ero incominciata per sbaglio, in un attimo di altrui distrazione. E perché non nascessi ogni sera scioglieva nell'acqua una medicina. Poi la beveva, piangendo. La bevve fino alla sera in cui mi mossi, dentro il suo ventre, e le tirai un calcio per dirle di non buttarmi via. Lei stava portando il bicchiere alle labbra. Subito lo allontanò e ne rovesciò il contenuto per terra. 
Qualche mese dopo mi rotolavo vittoriosa nel sole, e se ciò sia stato bene o male non so. Quando sono felice penso che sia stato bene, quando sono infelice penso che sia stato male. Però, anche quando sono infelice, penso che mi dispiacerebbe non essere nata perché nulla è peggiore del nulla. 
Io, te lo ripeto, non temo il dolore. Esso nasce con noi, cresce con noi, ad esso ci si abitua come al fatto d'avere due braccia e due gambe. 
Io, in fondo, non temo neanche di morire: perché se uno muore vuol dire che è nato, che è uscito dal niente. 
Io temo il niente, il non esserci, il dover dire di non esserci stato, sia pure per caso, sia pure per sbaglio, sia pure per l'altrui distrazione. Molte donne si chiedono: mettere al mondo un figlio, perché? Perché abbia fame, perché abbia freddo, perché venga tradito ed offeso, perché muoia ammazzato alla guerra o da una malattia? E negano la speranza che la sua fame sia saziata, che il suo freddo sia scaldato, che la fedeltà e il rispetto gli siano amici, che viva a lungo per tentar di cancellare le malattie e la guerra. Forse hanno ragione loro. Ma il niente è da preferirsi al soffrire? 
Io perfino nelle pause in cui piango sui miei fallimenti, le mie delusioni, i miei strazi, concludo che soffrire sia da preferirsi al niente. E se allargo questo alla vita, al dilemma nascere o non nascere, finisco con l'esclamare che nascere è meglio di non nascere. Tuttavia è lecito imporre tale ragionamento anche a te? Non è come metterti al mondo per me stessa e basta? Non mi interessa metterti al mondo per me stessa e basta. Tanto più che non ho affatto bisogno di te.

- Oriana Fallaci -
da: "Lettera a un bambino mai nato", cap. 1



Le cose che il bambino ama
rimangono nel regno del cuore
fino alla vecchiaia.
La cosa più bella della vita
è che la nostra anima
rimanga ad aleggiare
nei luoghi dove una volta
giocavamo.

- Kahlil Gibran - 




Neanche per un uomo la vita è facile, sai? Poiché avrai muscoli più saldi, ti chiederanno di portare fardelli più pesanti, ti imporranno arbitrarie responsabilità. Poiché avrai la barba, rideranno se tu piangi e perfino se hai bisogno di tenerezza. Eppure, o proprio per questo, essere un uomo sarà un’avventura meravigliosa: un’impresa che non ti deluderà mai. Essere un uomo significa essere una persona.

- ‪Oriana Fallaci -
Da: “Lettera a un bambino mai nato”




Vigliacco. Ipocrita vigliacco.
Tu che le telefonavi soltanto perché lo buttasse via.
Tu che per due mesi sei rimasto nascosto come un disertore.
Tu che sei andato da lei solo perché ti ho pregato.
Fate sempre così, vero? Vi spaventate e ci lasciate sole e al massimo tornate da noi in nome della paternità.
Tanto che vi costa la paternità?
Un ventre sfasciato da un ingrossamento ridicolo?
La pena del parto, la tortura dell’allattamento?
Il frutto della paternità vi viene scodellato dinanzi come una minestra già cotta, posato sul letto come una camicia stirata.
Non avete che da dargli un cognome se siete sposati, neanche quello se siete fuggiti.
Ogni responsabilità è della donna, ogni sofferenza, ogni insulto.
Puttana, le dite se ha fatto l’amore con voi.
La parola puttano non esiste nel dizionario: usarla è un errore di glottologia.
Sono millenni che ci imponete i vostri vocaboli, i vostri precetti, i vostri abusi.
Sono millenni che usate il nostro corpo senza rimetterci nulla.
Sono millenni che ci imponete il silenzio e ci relegate al compito di mamme.
In qualsiasi donna cercate una mamma.
A qualsiasi donna chiedete di farvi da madre: perfino se è vostra figlia.
Dite che non abbiamo i vostri muscoli e poi sfruttate la nostra fatica anche per farvi lucidare le scarpe.
Dite che non abbiamo il vostro cervello e poi sfruttate la nostra intelligenza anche per farvi amministrare il salario.
Eterni bambini, fino alla vecchiaia, restate bambini da imboccare, pulire, servire, consigliare, consolare, proteggere nelle vostre debolezze e nelle vostre pigrizie.
Io vi disprezzo.
E disprezzo me stessa per non saper fare a meno di voi, per non gridarvi più spesso: siamo stanche d’esservi mamme.
Siamo stanche di questa parola che avete santificata per il vostro interesse, il vostro egoismo.

- Oriana Fallaci - 
da: "Lettera a un bambino mai nato"



Buona giornata a tutti. :-)







martedì 28 aprile 2015

da: "Il profumo", 1985 - Patrick Süskind

Per un attimo fu talmente confuso che credette realmente di non aver mai visto in vita sua una cosa bella come quella fanciulla. Tuttavia vedeva solo il suo contorno da dietro, contro la candela. 
Naturalmente pensò di non aver mai sentito un odore così buono. Ma poiché conosceva gli odori umani a migliaia, odori di uomini, di donne, di bambini, non riusciva a comprendere come un essere umano potesse emanare un odore tanto squisito. In genere le persone avevano odori insulsi o miserabili. 
I bambini avevano un odore insipido, gli uomini un odore di orina, di sudore acre e di formaggio, le donne di grasso rancido e di pesce in via di decomposizione. 
Di nessunissimo interesse, del tutto ripugnanti erano gli odori delle persone. 
E dunque, per la prima volta in vita sua, Grenouille non si fidò del suo naso e dovette chiamare in aiuto gli occhi per credere a quello che stava annusando. Ma la confusione dei suoi sensi non durò a lungo. 
In realtà gli servì soltanto un attimo per accertarsi con i suoi occhi, dopo di che si abbandonò senza riserva alcuna alle percezioni del suo senso olfattivo. E annusò che era una persona, annusò il sudore delle sue ascelle, il grasso dei suoi capelli, l’odore di pesce del suo sesso; annusò tutto col massimo piacere. Il suo sudore aveva un profumo fresco come la brezza del mare, il sebo dei suoi capelli dolce come olio di noce, il suo sesso come un mazzo di ninfee bianche, la pelle come fiori d’albicocco… e l’insieme di tutte queste componenti dava un profumo così ricco, così equilibrato, così affascinante, che tutto ciò che Grenouille aveva annusato fino allora in fatto di profumi, anche tutto ciò che per gioco aveva creato dentro di sé come costruzioni olfattive, d’un tratto divenne puro nonsenso. 
Centinaia di migliaia di odori sembravano non valere più nulla di fronte a quest’unico odore. Questo solo era il principio superiore secondo il quale si dovevano classificare gli altri profumi. Era la pura bellezza.
Per Grenouille era chiaro che senza il possesso di quel profumo la sua vita non aveva più alcun senso. Doveva conoscerlo fin nei minimi dettagli, fin nell’ultima e più minuta delle sue particelle: ricordarlo soltanto nel suo insieme non gli bastava. Voleva imprimere come con un marchio questo profumo da apoteosi nel caos della sua anima nera, analizzarlo con la massima esattezza e da allora in poi pensare, vivere, annusare soltanto secondo le strutture interne di questa formula magica.
Si avviò lentamente verso la fanciulla, sempre più vicino, finché, sotto la tettoia, si fermò a un passo dalle sue spalle. Lei non lo udì.
Aveva capelli rossi e portava un vestito grigio senza maniche. Le sue braccia erano di un bianco candido, e le mani erano gialle per il succo delle mirabelle tagliate. 
Grenouille stava curvo sopra di lei e aspirava il suo odore ora totalmente puro, così come saliva dalla sua nuca, dai suoi capelli, dalla scollatura del suo vestito, e lo lasciava scorrere dentro di sé come una lieve brezza. Non si era mai sentito così bene.

- Patrick Süskind - 


Nel diciottesimo secolo visse in Francia un uomo, tra le figure più geniali e scellerate di quell'epoca non povera di geniali e scellerate figure. Qui sarà raccontata la sua storia. Si chiamava Jean-Baptiste Grenuille, e se il suo nome, contrariamente al nome di altri mostri geniali quali de Sade, Saint-Just, Fouché, Bonaparte ecc., oggi è caduto nell'oblio non è certo perché Grenuille stesse indietro a questi più noti figli delle tenebre per spavalderia, disprezzo degli altri, immoralità, empietà insomma, bensì perché il suo genio e unica ambizione rimase in un territorio della storia che non lascia traccia: nel fugace regno degli odori.

- Patrick Süskind - 
Il profumo, Incipit



Il profumo ha una forza di persuasione più convincente delle parole, dell'apparenza, del sentimento e della volontà. Non si può rifiutare la forza di persuasione del profumo, essa penetra in noi come l'aria che respiriamo penetra nei nostri polmoni, ci riempie, ci domina totalmente, non c'è modo di opporvisi.

- Patrick Süskind - 
da: "Il profumo"



Centinaia di migliaia di odori sembravano non valere più nulla di fronte a quest'unico odore. Questo solo era il principio superiore secondo il quale si dovevano classificare gli altri profumi. Era pura bellezza.

- Patrick Süskind - 
da: "Il profumo"







Buona giornata a tutti. :-)











lunedì 27 aprile 2015

La regina del bosco - Maria Maddalena Covassi

La grande quercia del bosco era molto vecchia.
Nella corteccia del tronco e dei rami, i solchi lasciati dal tempo erano profondi.
Non sapeva ancora quanto le rimanesse da vivere.
Un tempo era stata eletta regina del bosco, non solo per la sua grandezza, ma anche per la sua bontà.
Nel folto della sua chioma, come un grande mamma teneva i nidi degli uccellini.
Li riparava dal freddo e dal vento, durante l’inverno, e dalla calura nelle giornate estive.
Il suo impegno era quello di mantenere l’ordine e la giustizia affinché nel bosco  tutto funzionasse a dovere.
Ma ora era giunto il tempo di lasciare la corona.
Voglio eleggere il mio successore –disse – per fare questo ho bisogno di aiuto, chiamerò i miei amici uccellini.
Detto questo diede un forte scossone alla sua chioma e da questa uscirono cinguettando spaventati un gran numero di uccellini dai più svariati colori.
-Ho bisogno di voi – disse la quercia- voglio affidarvi un compito.
Gli uccellini ripresisi dallo spavento si fermarono sui rami ad ascoltare.
Voglio riunire tutti gli alberi –disse la quercia- per nominare il mio successore.
Andate e dite ad ognuno che questa sera al chiarore della luna piena ci sarà una grande assemblea.
Gli uccellini fecero quello che gli aveva chiesto la quercia; nel bosco, intanto, si spargeva la notizia che mise in allarme tutte le piante.
Ogni albero era convinto di possedere le migliori qualità, e perciò si sentiva in diritto di essere eletto.
C’era chi si vantava di avere un bel tronco lungo e diritto, chi una grande e folta chioma, altri ritenevano di far maturare dei frutti meravigliosi.
Per migliorare il loro aspetto, gli alberi chiamarono in aiuto alcuni animaletti.
Gli scoiattoli con la coda, si misero a lucidare il tronco del loro albero preferito e per fare questo salivano e scendevano dall’albero.
Il picchio lavorò incessantemente tutto il giorno picchiettando per mangiare tutte le larve e i  vermetti .
Venne la notte, la luna era già alta nel cielo e  i suoi raggi rendevano scintillanti le foglie degli alberi bagnate dall’umidità della sera.
La grande quercia dalla sua posizione riusciva a vedere tutti perché si trovava proprio in cima ad una collinetta.
Bene –disse- vedo che siete tutti pronti! Sapete perché vi ho chiamato; ora vorrei sentire le vostre voci.
Il carpino fu il primo a prendere la parola.
- Cara quercia, ci dispiace molto che tu abbia deciso di non governarci più; sono convinto che non avrai difficoltà nella scelta di colui che continuerà a governare con la tua stessa saggezza e lo stesso impegno.
E’un impegno faticoso, che richiede un albero dal legno duro, tenace e compatto che sia in grado di combattere le avversità, e tu lo sai che io possiedo tutte queste qualità.
- Hai dimenticato una cosa! - disse il tiglio che si trovava poco distante .
Io vivo molti anni, anzi decenni, e questo mi sembra un aspetto da non sottovalutare…potrei governare a lungo.
Non dimenticate l’altezza – disse il pino – il mio sguardo arriva fino al mare, da quassù potrei controllare ogni cosa.
La grande quercia ascoltava attentamente mentre la luna osservava perplessa.
Il gufo saggio che se ne stava appollaiato su un ramo scuoteva la testa.
- Puoi parlare !- disse la quercia- mi sarebbe utile un tuo consiglio.
Da molti anni vivo in questo bosco -disse il gufo -  conosco tutti gli alberi, i loro pregi e i loro difetti.
Non c’è nessuno che sia perfetto, ognuno ha qualcosa di diverso ed è questo che  li rende unici e speciali.
Tutti sono utili per la nostra sopravvivenza, nei tronchi troviamo riparo, nei rami si costruiscono i nidi, i frutti degli alberi ci sfamano, le gemme e i fiori profumati servono alle api per il loro miele delizioso.
Ti ringrazio caro gufo, le tue parole mi hanno fatto riflettere -disse la quercia – e prima di prendere una decisione voglio pensarci bene.  
Intanto vicino ad una siepe, al limitare del bosco un cipresso e un coniglio chiacchieravano animatamente: - Fatti avanti –diceva il coniglio- che cosa aspetti a parlare?!
Ma io di che cosa posso vantarmi ?- rispose il cipresso- che per parlare con il suo amico stava piegato quasi fino a toccare la punta per terra.
Io ti conosco bene - disse il coniglio – tu non ami il chiasso e le chiacchiere inutili.
E’ vero che vivi in disparte, un po’ isolato, ma non per questo non conosci il bosco! Tu non parli molto, ma ascolti tanto, sei onesto e saggio e chi ha bisogno può contare sul tuo aiuto.
 E vero, è così! - Dissero in coro la volpe, l’orso, il riccio e gli altri animaletti che avevano ascoltato la conversazione. -
Il nostro amico cipresso ha un grande cuore, noi vogliamo che ci accudisca e ci governi.
Erano queste le parole che la grande quercia voleva sentire e così prese la sua decisione e fece diventare il timido cipresso il re del bosco.
La luna nel cielo sorrise compiaciuta e poi stanca, se ne andò a dormire, lasciando il posto ai primi deboli raggi di sole.

 (Maria Maddalena Covassi)


Signore,
ch'io non cerchi di raccogliere sorrisi
quanto di seminarli.

- Anna Marinelli - 




L'unico modo di avere un amico è esserlo.

- Ralph Waldo Emerson - 
"Amicizia"



Un amico
  
Ho stretto la mano dell'amico, Signore,
e improvvisamente, di fronte a quel volto triste e preoccupato,
ho temuto la tua assenza nel suo cuore.
Sono impacciato come davanti ad un tabernacolo chiuso
quando ignoro se tu vi abiti.
Se tu non fossi presente, Signore, noi saremmo separati.
Perché la sua mano nella mia non sarebbe che carne su carne,
e il suo cuore per il mio, cuore d'uomo per l'uomo.
Voglio la tua vita per lui e per me insieme,
perché voglio che il mio amico sia, per tuo merito,
il mio fratello.

- Padre Michel Quoist -



Buona giornata a tutti. :-)



domenica 26 aprile 2015

Il segreto dell’Amore - Tiziano Terzani -

Se mi chiedete: ma com’è che sei riuscito a stare quarantadue anni con la stessa persona, in questi tempi in cui si consuma tutto: si consumano le scarpe, gli orologi, i telefonini e anche i partner, i mariti, le mogli e perfino i fidanzati?
Io non ho formule, non ho nemmeno risposte ai problemi del mondo, che sono immensi, ho soltanto delle domande, non ho nemmeno certezze, ho dei dubbi da porre a chi crede di avere certezze e poi non le ha. La formula del mio matrimonio è questa: grandi presenze e grandi assenze. Vi faccio anche l’esempio: io avevo già due figli piccoli, e facevo il corrispondente di guerra in Vietnam, dove non potevo tenere la famiglia perché era pericoloso. Chi di voi lo ha studiato, si ricorderà che, nel 1968, in Vietnam c’erano i vietcong che attaccavano le città, e non si poteva tenere i bambini in una zona di guerra, e così i miei stavano con la madre a Singapore, mentre io facevo il corrispondente di guerra in Vietnam, in Cambogia, nel Laos, e poi nelle guerriglie in Indonesia, in Malesia... ero sempre fuori.
Stavo via due o tre settimane e poi tornavo a casa. Ed era bellissimo tornare, perché ero pieno di piccoli regali per i bambini, e tante esperienze da raccontare a mia moglie, che a sua volta mi raccontava le sue. E questo era bello perché tutt’e due avevamo qualcosa da scambiarci. Tant’è vero che dopo un po’ di giorni mia moglie mi diceva: «Ma non hai qualche altra guerra da andare a raccontare?».
Per cui la mia formula era questa: grandi presenze e grandi distacchi.
L’amore!? Una cosa che ormai è diventata così poco di moda. Chi di voi ha i capelli bianchi come me, si ricorderà che la nostra generazione, diceva «fare all’amore» e non «fare sesso». Io trovo, che se insegnassimo ai nostri figli già queste espressioni, avremmo fatto qualcosa di interessante. Avremmo riportato nella vita quella cosa stupenda e meravigliosa che è l’amore. Qualcosa che è più grande della materia.
Qualcuno dirà: «Ma il sesso è importante!». Lo dite a me che ho 63 anni e ho girato il mondo? Ma è la cantina, non è l’ultimo piano!
Molti giovani oggi hanno paura a dire: «Sono innamorato, ti amo!»
Perché pensano che sia una debolezza, una vulnerabilità, uno sdilinquimento che non è una forza. Io trovo che se riparliamo d’amore è bellissimo, e il mio messaggio ai giovani è: vi prego, riscoprite la voce del cuore, la testa è bella, la testa è importante, ma la ragione non è tutto! Dobbiamo ascoltare il cuore e il cuore parla con la voce uguale. Mussulmani, cristiani, ottentotti, il cuore è uguale dappertutto. Non c’è un cuore orientale e un cuore occidentale, non c’è una psiche orientale e una psiche occidentale: noi siamo dentro la psiche che è uguale dappertutto. La vita è una, una! Questa piccola straordinaria vita è parte di una cosa meravigliosa, dell’universo...
Certi grandi dicono che la miglior forma di comunicazione è il silenzio. E le parole spesso sono trappole. Vi faccio un esempio con una parola che tutti, tutti, tutti conosciamo. La parola “amore”. A volte è una cosa meravigliosa, a volte una grande sofferenza, a volte una grande gioia, a volte una grande forza, a volte un fuoco, a volte un senso di insufficienza... amore.


- Tiziano Terzani -




Io chi sono? La risposta sta nel porsi la domanda, nel rendersi conto che io non sono il mio corpo, non sono quello che faccio, non sono quello che posseggo, non sono i rapporti che ho, non sono neppure i miei pensieri, non le mie esperienze, non quell'Io a cui teniamo così tanto. La risposta è senza parole. È nell'immergersi silenzioso dell'Io nel Sé.

- Tiziano Terzani -



“E chi legge più di poesia? Il suo valore esaltante è stato dimenticato! Eppure una poesia può accendere nel petto un calore, forte come quello dell’amore. Una poesia, meglio di tutti i whiskies, meglio del Valium e del Prozac, potrebbe “tirare su”, sollevare l’animo, perchè alza il punto di vista da cui guardare il mondo. quando ci si sente soli ci sarebbe da trovare più compagnia nel leggere dei bei versi che nell’accendere la televisione!”

- Tiziano Terzani -
da “Un indovino mi disse” 



Ogni crisi, ogni difficoltà, è come una moneta:
da una parte porta con sé il pericolo, dall'altra l'opportunità.
Capovolgete la moneta.
Non perdetevi l'opportunità di emergere da questa crisi 
più forti e più intelligenti, migliori.”

- Jeffrey J. Davis - 




Preghiera su ogni sofferenza

Benedetta sei tu, o Maria,
modello della nostra fede
ed immagine viva del nostro itinerario verso Cristo. 
Benedetta sei tu, Vergine Maria,
modello di carità e di amore materno,
per tutti coloro che cercano consolazione.
Benedetta sei tu, che hai generato per noi la sorgente della vita.
Benedetta perché hai associato ciascuno di noi
alla sofferenza redentrice di Cristo Crocifisso,
e ci hai chiamati a servire chi soffre.
Benedetta sei tu, perché ci precedi sulla via del Vangelo
e ci inviti a fare ciò che Egli ci dirà di compiere 
lungo le vie del mondo.
Benedetta sei tu, perché ci insegni ad amare i poveri,
gli umili, i peccatori, come Dio li ama.
Benedetta sei tu, Madre del Signore,
e benedetto il frutto del tuo grembo,
Gesù Cristo nostro Signore.
Beata Colei che ha creduto!
Beato chi vive la Parola del Signore!
Si apra il nostro cuore al mistero dell'amore di Dio,
si converta la nostra vita alla ricchezza del suo perdono.
Avremo così la gioia, la luce, la vita,
poiché la misericordia divina si stende su quelli che lo temono.
Maria, Immacolata Madre di Dio e degli uomini,
ascolta la preghiera dei malati,
esaudisci le nostre invocazioni,
dona al mondo la pace; donaci Gesù, nostra vera pace.



Buona giornata a tutti. :-)







sabato 25 aprile 2015

Un'anima tu avevi - Pedro Salinas

Un’anima tu avevi 
cosi chiara ed aperta 
ch’io non potetti mai 
nella tua anima entrare. 

Andavo in cerca di aditi angusti, 
d’alti e difficili passaggi…
Si andava alla tua anima 
per aperti cammini. 

Preparai un’alta scala
- sognavo di alte mura 
che le fossero a guardia -
però l’anima tua
era senza riparo
di muri e di recinti. 

E ricercai la stretta porta 
della tua anima, 
ma non aveva accessi, 
così franca com’era, 
la tua anima.

Dov’è che cominciava? 
Dov’è che aveva termine? 
E rimasi per sempre seduto 
sulle vaghe frontiere della tua anima.

- Pedro Salinas -




Ci sono mappe, traiettorie e tragitti di carne tra i nei, da tracciare con i soli polpastrelli che superano qualsiasi geografia; meridiani e paralleli di pelle sottile, colline di scapole farsi corso di fiume lungo le vertebre.

- Mariella Buscemi -



Il dolore rende duri. Gli animali feriti sono sempre i più aggressivi perché mettono in gioco la vita non avendo più nulla da perdere. 
Quando ci imbattiamo nella rabbia della sofferenza altrui è il momento giusto per diventare forti, non per combattere ma per riuscire a sostenere l'altro e l'unico allenamento che conosco per potercela fare è uno solo: amare incondizionatamente.




“Il fallimento di una relazione è quasi sempre un fallimento di comunicazione.” 

- Zygmunt Bauman -





Buona giornata a tutti. :-)