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giovedì 3 ottobre 2013

Romano Battaglia, pensieri -

Ho sempre passeggiato sulla riva del mare raccogliendo conchiglie, stecchi, oggetti abbandonati.
Mi è sembrato di vedere in quelle cose, depositate dalle onde, l'intera umanità con i suoi dolori e le sue gioie.
Il segreto che permette all'uomo di non invecchiare è quello di rimanere semplice e avere la capacità di scoprire un mondo anche in un granello di sabbia.
Non c'è niente di troppo piccolo per un essere piccolissimo qual è l'uomo.
Camminando lentamente dove le onde lambiscono la rena, ci addentriamo in riflessioni, pensieri e passo dopo passo, possiamo ritrovare la calma perduta, la serenità e soprattutto noi stessi.


Romano Battaglia - Sulla riva dei nostri pensieri



Bisogna cercare di prendere tutto quanto con ottimismo e ricordare che la vita è sempre degna di essere vissuta anche quando è noia, fatica, delusione. La notte non è mai così nera come prima dell'alba ma poi l'alba sorge sempre a cancellare il buio della notte.
Così ogni nostra angoscia, per quanto profonda prima o poi trova motivo di attenuarsi e placarsi, purchè lo vogliamo.
Sappiamo che c'è la luce perchè c'è il buio, che c'è la gioia perchè c'è il dolore, che c'è la pace perchè c'è la guerra e dobbiamo sapere che la vita vive di questi contrasti.
Alzatevi ogni mattino sereni e ringraziate Dio di essere ancora al mondo guardando il cielo con occhi luminosi e ricordatevi che nella vita ci sono giorni pieni di vento e pieni di rabbia, ci sono giorni pieni di pioggia e pieni di dolore, ci sono giorni pieni di lacrime.... ma poi ci sono giorni pieni d'amore che vi danno il coraggio di andare avanti per tutti gli altri giorni.
Non arrabbiatevi per cose di poco conto e cercate di conservare la calma anche nei momenti di tensione. 

Andate incontro agli altri offrendo la vostra amicizia e pensate che tutti possono essere amici anche quelli che vi sembrano scostanti e che, forse non aspettano da voi che una parola buona per fare il primo passo.
Solo così esisterete veramente e non sciuperete nessun istante della vita.
Respirate profondamente e con grande gratitudine perchè l'aria che respirate è la fonte della vita più del cibo e dell'acqua.
Cercate di non desiderare troppo, amate ciò che avete, senza inseguire falsi sogni che vi allontanano dalla realtà lasciandovi scontenti e insoddisfatti: perchè non sempre ciò che vi manca è ciò di cui avete bisogno.
Non siate invidiosi degli altri perchè non potete sapere se chi invidiate non nasconda qualcosa che voi non vorreste per nulla al mondo in caso di cambio.
Non indugiate troppo sugli errori e tenete presente che tutto può servire a rendervi migliore.
Cercate di essere sempre voi stessi a costo di qualche rinuncia.
Solo così potete trovare la vostra strada bianca in mezzo ai campi di grano. 

Romano Battaglia - Una rosa dal mare
Il segreto che permette all'uomo di non invecchiare è quello di rimanere semplice e avere la capacità di scoprire un mondo anche in un granello di sabbia. Non c'è niente di troppo piccolo per un essere piccolissimo quale è l'uomo. Una volta, un pescatore mi raccontò che se avessi trovato un pezzetto di legno logorato dal tempo avrei dovuto conservarlo perché poteva essere un resto della barca sulla quale navigò Gesù. Camminando lentamente dove le onde lambiscono la rena, lontani dal chiasso e dalla vita di tutti i giorni, ci addentriamo in riflessioni, considerazioni, pensieri e, passo dopo passo, possiamo ritrovare la calma perduta, le serenità e soprattutto noi stessi. E' come procedere a tu per tu con la nostra coscienza che ci chiede una prova di verità e di purezza. Il mare è come un cielo aperto sull'infinito del mondo: ci aiuta a ricordare le tappe della nostra vita che sembrano essere rappresentate dalla lunga serie di orme che lasciamo dietro di noi. Ho trascorso intere giornate passeggiando e ogni volta sono tornato a casa con le scarpe piene di sabbia e con nel cuore un po' più di saggezza.

Romano Battaglia - Sulla riva dei nostri pensieri





Buona giornata a tutti. :-)

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sabato 19 maggio 2012

La Parola contro la Forza - George Carlin -


“Il paradosso del nostro tempo è che abbiamo edifici sempre più alti, ma una moralità sempre più bassa.
Autostrade sempre più larghe, ma orizzonti più ristretti.
Spendiamo di più, ma abbiamo meno.
Comperiamo di più, ma godiamo di meno.
Abbiamo case più grandi, ma famiglie più piccole.
Più comodità, ma meno tempo.
Abbiamo più istruzione, ma meno buon senso.
Più conoscenza, ma meno giudizio.
Più esperti e ancor più problemi.
Più medicine, ma meno salute.
Beviamo troppo, fumiamo troppo.
Spendiamo senza ritegno e ridiamo troppo poco.
Guidiamo troppo veloci, ci arrabbiamo troppo.
Facciamo le ore piccole e ci alziamo stanchi.
Vediamo troppa TV e preghiamo di rado.
Abbiamo moltiplicato le proprietà, ma ridotti i nostri valori.
Parliamo troppo, amiamo troppo poco e odiamo spesso.
Abbiamo imparato come guadagnarci da vivere, non come vivere.
Abbiamo aggiunto anni alla vita, ma non vita agli anni.
Siamo andati e tornati dalla luna, ma non riusciamo ad attraversare la strada per incontrare il vicino di casa.
Abbiamo conquistato lo spazio esterno, ma non lo spazio interno.
Abbiamo creato cose più grandi, ma non migliori.
Abbiamo pulito l’aria, ma inquinato l’anima.
Abbiamo dominato l’atomo, ma non i pregiudizi.
Scriviamo di più, ma impariamo di meno.
Abbiamo imparato a sbrigarci, non ad aspettare.
Costruiamo computer più grandi per contenere più informazioni, per produrre più copie che mai, ma comunichiamo sempre meno.
Questi sono i tempi di fast food e digestioni lente.
Grandi uomini, piccoli caratteri.
Ricchi profitti, povere relazioni.
Questi sono i tempi di due redditi e più divorzi, case più belle, ma famiglie distrutte.
Questi sono i tempi dei viaggi veloci.
È un tempo in cui c’è troppo in vetrina ma niente in magazzino.
   
Ricordati di spender il tuo tempo con i tuoi cari ora.
Essi non saranno con te per sempre.
Ricordati di dire una parola gentile a qualcuno che ti guarda dal basso con soggezione, perché questa piccola persona presto crescerà e lascerà il tuo fianco.
Ricordati di dare un caloroso abbraccio alla persona che ti sta a fianco perché è l’unico tesoro che puoi dare col cuore e non costa nulla.
Ricordati di tenerle le mani e godi di questi momenti perché un giorno quella persona non sarà più lì.
Ricordati di dire “vi amo” ai tuoi cari, ma soprattutto pensalo: un bacio, un abbraccio possono curare ferite che vengono dal profondo dell’anima.
Dedica tempo all’amore, dedica tempo alla conversazione, dedica tempo per condividere i pensieri preziosi della tua mente.
 

E ricorda sempre:
 
La vita non si misura da quanti respiri facciamo, ma dai momenti che ci tolgono il respiro.”

- George Carlin -


George Denis Patrick Carlin (1937 – 2008), attore e commediografo statunitense

Buona giornata a tutti. :-)




giovedì 29 settembre 2011

La benedizione – don Bruno Ferrero -

Nella comunità dell'Arca dove aveva deciso di vivere, dopo una vita passata nel mondo universitario, un giorno il celebre padre Henri Nouwen fu avvicinato da una handicappata della comunità che gli disse: "Henri, mi puoi benedire?".
Padre Nouwen rispose alla richiesta in maniera automatica, tracciando con il pollice il segno della croce sulla fronte della ragazza.
Invece di essere grata, lei protestò con veemenza: "No, questa non funziona. Voglio una vera benedizione!".
Padre Nouwen si accorse di aver risposto in modo abitudinario e formalistico e disse: "Oh, scusami... ti darò una vera benedizione quando saremo tutti insieme per la funzione".
Dopo la funzione, quando circa una trentina di persone erano sedute in cerchio sul pavimento, padre Nouwen disse: "Janet mi ha chiesto di darle una benedizione speciale. Lei sente di averne bisogno adesso".
La ragazza si alzò e andò verso il sacerdote, che indossava un lungo abito bianco con ampie maniche che coprivano sia le mani che le braccia. Spontaneamente Janet lo abbracciò e pose la testa contro il suo petto. Senza pensarci, padre Nouwen la avvolse con le sue maniche al punto di farla quasi sparire tra le pieghe del suo abito.
Mentre si tenevano l'un l'altra padre Nouwen disse: "Janet, voglio che tu sappia che sei l'Amata Figlia di Dio. Sei preziosa agli occhi di Dio. Il tuo bel sorriso, la tua gentilezza verso gli altri della comunità e tutte le cose buone che fai, ci mostrano che bella creatura tu sei. So che in questi giorni ti senti un po' giù e che c'è della tristezza nel tuo cuore, ma voglio ricordarti chi sei: sei una persona speciale, sei profondamente amata da Dio e da tutte le persone che sono qui con te".
Janet alzò la testa e lo guardò; il suo largo sorriso dimostrò che aveva veramente sentito e ricevuto la benedizione.
Quando Janet tornò al suo posto, tutti gli altri handicappati vollero ricevere la benedizione. Anche uno degli assistenti, un giovane di ventiquattro anni, alzò la mano e disse: "E io?".
"Certo", rispose padre Nouwen. "Vieni".
Lo abbracciò e disse: "John, è cosi bello che tu sia qui. Tu sei l'Amato Figlio di Dio. La tua presenza è una gioia per tutti noi. Quando le cose sono difficili e la vita è pesante, ricordati sempre che tu sei Amato di un amore infinito".
Il giovane lo guardò con le lacrime agli occhi e disse: "Grazie, grazie molte".


La sensazione di essere maledetti spesso colpisce più facilmente che la sensazione di essere benedetti.
Dobbiamo riscoprire il senso e la bellezza della benedizione.
E quando le cose sono difficili e la vita è pesante ricordati chi sei: sei una persona speciale, sei profondamente amato da Dio e da tutte le persone che sono con te.

(don Bruno Ferrero)
Fonte:  Solo il vento lo sa di Bruno Ferrero


Papa Giovanni Paolo II riceve la benedizione induista
Buona giornata a tutti. :-)








domenica 21 agosto 2011

Aurora della vita nuova – Madre Anna Maria Cànopi -

Vergine purissima,
innocenza del mondo,
tu sei l’aurora
che si dischiude ogni mattina
davanti al nostro sguardo;
con te ogni cosa rinasce limpida e buona,
e in ogni cuore fiorisce la speranza.
Il tuo immacolato candore
ci attiri alla bellezza dell’eterno Amore,
il tuo dolce sorriso
sia luce ai nostri passi,
dissipi le nubi dei nostri timori.
Accanto a te, Maria,
la nostra vita scorra
nella serenità e nella pace:
tu, che sei nata
per donare al mondo Gesù,
Figlio di Dio e nostro Salvatore,
fa’ che nelle nostre case
fiorisca la vita, regni l’amore,
abbondi la gioia
a lode e gloria di Dio,
Padre, Figlio e Spirito Santo.
Amen.

(Madre Anna Maria Cànopi)
Fonte: Il respiro dell’anima,Ed. Paoline, pag.103, Preghiere mariane

Madonna del Cardellino, 1505
 Raffaello, (1483-1520)
 Palazzo Medici Riccardi in Firenze, Italy



Buona giornata a tutti. :-)

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mercoledì 16 marzo 2011

Rassomiglianze – don Bruno Ferrero -

Una suora missionaria stava accuratamente curando le piaghe ripugnanti di un lebbroso. Faceva il suo lavoro sorridendo e chiacchierando con il malato, come fosse la cosa più naturale del mondo. A un certo punto chiese al malato:
«Tu credi in Dio?».
Il pover'uomo la fissò a lungo e poi rispose:
«Sì, adesso credo in Dio».
Un missionario viaggiava su un veloce treno giapponese e occupava il tempo pregando con il breviario aperto. Uno scossone fece scivolare sul pavimento una immaginetta della Madonna.
Un bambino seduto di fronte al missionario si chinò e raccolse l'immagine.
Curioso come tutti i bambini, prima di restituirla la guardò.
«Chi è questa bella signora?», chiese al missionario.
«E'... mia madre» rispose il sacerdote, dopo un attimo di esitazione.
Il bambino lo guardò, poi riguardò l'immagine.
«Non le assomigli tanto», disse.
Il missionario sorrise: «Eppure, ti assicuro che è tutta la vita che cerco di assomigliarle, almeno un po'».
Tu, a chi assomigli?   

(don Bruno Ferrero)

Fonte : Cerchi nell'acqua di Bruno Ferrero

Bruno Ferrero, sacerdote salesiano e scrittore italiano. conosciuto per le sue numerose pubblicazioni riguardanti l’uso del racconto nella catechesi, nell’insegnamento della religione a scuola e nella educazione in genere. È molto conosciuto per i suoi libri di storie, tutte con una morale alla fine.

Buona giornata a tutti. :-)





martedì 15 febbraio 2011

Via con il vento – don Bruno Ferrero -

Nel prato di un giardino pubblico, con il tiepido sole della primavera, in mezzo all'erba tenera, erano spuntate le foglie dentellate e robuste dei Denti di Leone. Uno di questi esibì un magnifico fiore giallo, innocente, dorato e sereno come un tramonto di maggio. Dopo un po' di tempo il fiore divenne un "soffione": una sfera leggera, ricamata dalle coroncine di piumette attaccate ai semini che se ne stavano stretti stretti al centro del soffione.
E quante congetture facevano i piccoli semi. Quanti sogni cullava la brezza alla sera, quando i primi timidi grilli intonavano la loro serenata.
"Dove andremo a germogliare?".
"Chissà?".
"Solo il vento lo sa".
Un mattino il soffione fu afferrato dalle dita invisibili e forti del vento. I semi partirono attaccati al loro piccolo paracadute e volarono via, ghermiti dalla corrente d'aria.
"Addio... addio", si salutavano i piccoli semi.
Mentre la maggioranza atterrava nella buona terra degli orti e dei prati, uno, il più piccolo di tutti, fece un volo molto breve e finì in una screpolatura del cemento di un marciapiede. C'era un pizzico di polvere depositato dal vento e dalla pioggia, così meschino in confronto alla buona terra grassa del prato.
"Ma è tutta mia!", si disse il semino. Senza pensarci due volte, si rannicchiò ben bene e cominciò subito a lavorare di radici.
Davanti alla screpolatura nel cemento c'era una panchina sbilenca e scarabocchiata. Proprio su quella panchina si sedeva spesso un giovane. Era un giovane dall'aria tormentata e lo sguardo inquieto.
Nubi nere gli pesavano sul cuore e le sue mani erano sempre strette a pugno.
Quando vide due foglioline dentate verde tenero che si aprivano la strada nel cemento. Rise amaramente: "Non ce la farai! Sei come me!", e con un piede le calpestò.
Ma il giorno dopo vide che le foglie si erano rialzate ed erano diventate quattro.
Da quel momento non riuscì più a distogliere gli occhi dalla testarda coraggiosa pianticella. Dopo qualche giorno spuntò il fiore, giallo brillante, come un grido di felicità.
Per la prima volta dopo tanto tempo il giovane avvilito sentì che il risentimento e l'amarezza che gli pesavano sul cuore cominciavano a sciogliersi. Rialzò la testa e respirò a pieni polmoni. Diede un gran pugno sullo schienale della panchina e gridò: "Ma certo! Ce la possiamo fare!".
Aveva voglia di piangere e di ridere. Sfiorò con le dita la testolina gialla del fiore.
Le piante sentono l'amore e la bontà degli esseri umani. Per il piccolo e coraggioso Dente di Leone la carezza del giovane fu la cosa più bella della vita.


Non chiedere al Vento perché ti ha portato dove sei.
Anche se sei soffocato dal cemento, lavora di radici e vivi.
Tu sei il messaggio.
(don Bruno Ferrero) 
Fonte: Solo il vento lo sa di Bruno Ferrero



Buona giornata a tutti. :-)



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martedì 8 febbraio 2011

L’amicizia - Gibran Kahlil -

Il vostro amico
è il vostro bisogno saziato.
E’ il campo che seminate con amore
e che mietete ringraziando.
Egli è la vostra mensa e la vostra dimora
perché, affamati, vi rifugiate in lui
e lo cercate per la vostra pace.
Se l’amico vi confida il suo pensiero
non nascondetegli il vostro.
Quando lui tace
il vostro cuore non smette di ascoltarlo,
perché nell’amicizia
ogni pensiero, desiderio, speranza
nasce nel silenzio e si partecipa con gioia.
Se vi separate dall’amico
non addoloratevi, perché la sua assenza
v’illumina su ciò che più in lui amate.
E non vi sia nell’amicizia altro intento
che scavarvi nello spirito a vicenda.
Condividetevi le gioie
sorridendo nella dolcezza amica,
perché nella rugiada delle piccole cose
il cuore scopre il suo mattino
e si conforta.

(Gibran Kahlil)




La tragedia dell’olocausto attraverso l’amicizia di due bambini
Il bambino con il pigiama a righe
Dal regista inglese Mark Herman una bella storia, adattamento del romanzo del giovane scrittore irlandese John Boyne. Le musiche del premio Oscar James Horner (Titanic) e la fotografia del francese Benoît Delhomme contribuiscono a creare una favola nera che cerca di offrire una prospettiva unica sugli effetti del pregiudizio e della violenza nei confronti degli innocenti.Berlino, anni Quaranta. Un bambino di otto anni, Bruno (Asa Butterfield), si trasferisce con la sua famiglia in una casa di campagna fuori Berlino, a pochi passi da un campo di concentramento in cui si pratica l’eliminazione sistematica degli ebrei. Il padre di Bruno (David Thewlis) è un ufficiale delle SS neopromosso alla direzione del campo nazista. Bruno, Fa conoscenza con Shmuel (interpretato dall’esordiente su grande schermo Jack Scanlon), un bambino che si trova al di là del recinto in filo spinato (la cui utilità non è nemmeno lontanamente immaginata dal piccolo tedesco) e che indossa perennemente una divisa a righe. Tra i due scoppia subito l’amicizia: Bruno vede Shmuel affaticato, affamato, ma la sua innocenza non gli consente di capire il perché di tale condizione. Costruisce, perciò, una spiegazione tutta sua, infantile ed ingenua, come vuole la sua età: il campo non è altro che una fattoria, le divise a righe sono semplicemente dei pigiami, e i numeri di matricola con cui sono contrassegnati gli internati fanno solo parte di un gioco. Ma sarà Shmuel ad aprire pian piano gli occhi di Bruno, fino a fargli mettere in dubbio anche le azioni del padre, nei riguardi del quale aveva sempre riposto una completa fiducia. Purtroppo, entrambi i ragazzi saranno letteralmente travolti dall'orribile verità in cui hanno avuto la sfortuna di imbattersi.



Buona giornata a tutti :-)

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mercoledì 2 febbraio 2011

Quanto ci separa – don Bruno Ferrero --

Un saggio sufi si imbarcò su una nave per recarsi dall'altra parte del mare. A metà della traversata si scatenò una tempesta di tale violenza che le onde altissime scagliavano la nave in su e in giù come se fosse un fuscello. Tutti avevano una paura tremenda, e chi pregava, chi si rotolava gridando, chi gettava tutti i suoi beni in mare. Solo il saggio rimaneva imperturbabile.
Quando la tempesta si calmò, e a poco a poco il colore tornò sulle gote dei naviganti, alcuni di loro si rivolsero al saggio e gli chiesero:
"Ma come mai tu non hai avuto paura? Non ti sei accorto che tra noi e la morte c'era soltanto una tavola di legno?".
"Certo, ma nel corso della vita mi sono accorto che spesso c'è ancor meno".

Quanto ci separa dalla morte? E davvero così sottile il confine tra la vita e la morte.
Negli ultimi mesi di vita, Don Bosco camminava a fatica. Chi lo vedeva attraversare i cortili spesso gli chiedeva: "Dove va, Don Bosco?".
La risposta era sempre la stessa: "In Paradiso".
Lo potremmo dire tutti, ad ogni passo della nostra vita: "Sto arrivando, Signore".

(don Bruno Ferrero)

Fonte: A volte basta un raggio di sole di Bruno Ferrero

La nave dei folli
Hieronymus Bosch (1450-1516)

Parigi, Musèe du Louvre


Per metà imbarcazione e per metà albero della cuccagna
la nave dei folli trasporta il suo carico di gaudenti
che si abbandonano ai piaceri della carne.



Buona giornata a tutti. :-)

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giovedì 6 gennaio 2011

Il viaggio del quarto re - don Ferrero Bruno -

Nei giorni in cui era imperatore Cesare Augusto ed Erode regnava a Gerusalemme, viveva nella città di Ecbatana, tra i monti della Persia, un certo Artabano.
Era un uomo alto e bruno, sulla quarantina. Gli occhi sfavillanti, la fronte da sognatore e la bocca da soldato lo rivelavano uomo sensibile ma di volontà ferrea, uno di quegli uomini sempre alla ricerca di qualcosa.
Artabano apparteneva all'antica casta sacerdotale dei Magi, detti adoratori del fuoco.
Un giorno convocò tutti i suoi amici e fece loro, più o meno, questo discorso:
«I miei tre compagni tra i Magi — Gaspare, Melchiorre e Baldassarre — e io stesso abbiamo studiato le antiche tavole della Caldea e abbiamo calcolato il tempo. Cade quest'anno.
Abbiamo studiato il cielo e abbiamo visto una nuova stella, che ha brillato per una sola notte e poi è scomparsa. I miei fratelli stanno vegliando nell'antico tempio delle Sette Sfere, a Borsippa, in Babilonia, e io veglio qui. Se la stella brillerà di nuovo, tra dieci giorni partiremo insieme per Gerusalemme, per vedere e adorare il Promesso, che nascerà Re d'Israele. Credo che il segno verrà. Mi sono preparato per il viaggio. Ho venduto la mia casa e i miei beni, e ho acquistato questi gioielli — uno zaffiro, un rubino e una perla — da portare in dono al Re. E chiedo a voi di venire con me in pellegrinaggio, affinché possiamo trovare insie­me il Principe».
Così dicendo, trasse da una piega recondita della cintura tre grosse gemme, le più belle mai viste al mondo. Una era blu come un frammento di cielo notturno, una più rossa di un raggio del tramonto, una candida come la cima innevata di un monte a mezzogiorno.
Ma un velo di dubbio e diffidenza calò sui volti dei suoi amici, come la nebbia che si alza dalle paludi a nascondere i colli.
«Artabano, questo è solo un sogno», disse uno. E tutti se ne andarono.
Artabano rimase solo e uscì sulla terrazza della sua casa. Allora, alta nel cielo, perfetta di radioso candore, vide pulsare la stella dell'annuncio.
«Salvami.»
Djemal, il più veloce e resistente dei dromedari di Artabano, divorava la sabbia dei deserti con le sue lunghe zampe. Artabano doveva calcolare bene i tempi per giungere all'appuntamento con gli altri Magi. Passò lungo i pendii del monte Orontes, scavati dall'alveo roccioso di cento torrenti. Percorse le pianure dei Nisseni, dove i famosi branchi di cavalli scuotevano la testa all'avvicinarsi di Djemal, e si allontanavano al galoppo in un tuonare di zoccoli. Varcò molti passi gelidi e desolati, arrancando penosamente fra i crinali flagellati dal vento; si addentrò in gole buie, seguendo la traccia ruggente del fiume che le aveva scavate.
Era in vista delle mura sbrecciate di Babilonia, quando, in un boschetto di palme, vide un uomo che giaceva bocconi sulla strada. Sulla pelle, secca e gialla come pergamena, portava i segni della febbre mortale che infieriva nelle paludi in autunno. Il gelo della morte già lo aveva afferrato alla gola. Artabano si fermò. Prese il vecchio tra le braccia. Era leggero e gli ricordava suo padre. Lo portò in un albergo e chiese all'albergatore di avere cura del vecchio e ospitarlo per il resto dei suoi giorni. In pagamento gli diede lo zaffiro.
Il giorno seguente, Artabano ripartì. Sollecitava Djemal che volava sfiorando il terreno, ma ormai i tre Re Magi erano partiti senza aspettare il loro fratello persiano. Non volevano perdere l'appuntamento con il Grande Re.
Artabano arrivò in una vallata deserta dove enormi rocce si innalzavano fra le ginestre dai fiori dorati. All'improvviso udì delle urla venire dal folto degli arbusti. Saltò giù dalla cavalcatura e vide un drappello di soldati che trascinavano una giovane donna con gli abiti a brandelli. Artabano mise mano alla spada, ma i soldati erano troppi e non poteva affrontarli tutti insieme.
La ragazza notò l'aureo cerchio alato che aveva al petto. Si svincolò dalla stretta dei suoi aguzzini e si gettò ai suoi piedi. «Abbi pietà» gli gridò «e salvami, per amore di Dio! Mio padre era un mercante, ma è morto, e ora mi hanno preso per vendermi come schiava e pagare così i suoi debiti. Salvami!».
Artabano tremò, ma mise la mano nella cintura e con il rubino acquistò la libertà della giovane. La ragazza gli baciò le mani e fuggì verso le montagne con la rapidità di un capriolo. Le mani vuote.
Intanto Gasparre, Melchiorre e Baldassarre erano arrivati alla stalla dove stavano Giuseppe, Maria e il piccolo Gesù.
I tre santi re si prostrarono davanti al bambino e presentarono i loro doni.
Gasparre aveva portato un magnifico calice d'oro.
Melchiorre porse un incensiere da cui si levavano volate di profumato incenso.
Baldassarre presentò la preziosa mirra.
Il bambino guardò i doni, serio serio.
Artabano correva e correva. Arrivò a Betlemme mentre dalle case si levavano pianti e fiamme, e l'aria tremava come trema nel deserto. I soldati dalle spade insanguinate, eseguendo gli ordini di Erode, uccidevano tutti i bambini dai due anni in giù. Vicino a una casa in fiamme un soldato dondolava un bambino nudo tenendolo per una gamba. Il bambino gridava e si dibatteva. Il soldato diceva: «Ora lo lascio, ed egli cadrà nel fuoco... farà un buon arrosto! ». La madre alzava urla acutissime. Con un sospiro, Artabano prese l'ultima gemma che gli era rimasta, la magnifica perla più grossa di un uovo di piccione, e la diede al soldato perché restituisse il figlio alla madre. Così fu. Ella ghermì il bambino, lo strinse al petto e fuggì via.
Solo molto tardi Artabano trovò la stalla dove si nascondevano il bambino, Maria e Giuseppe. Giuseppe si stava preparando a fuggire e il bambino era sulle ginocchia di sua madre. Ella lo cullava teneramente cantando una dolce ninna nanna.
Artabano crollò in ginocchio e si prostrò con la fronte al suolo. Non osava alzare gli occhi, perché non aveva portato doni per il Re dei Re. «Signore, le mie mani sono vuote. Perdonami...», sussurrò.
Alla fine osò alzare gli occhi. Il bambino forse dormiva? No, il bambino non dormiva.
Dolcemente si girò verso Artabano. Il suo volto splendeva, tese le manine verso le mani vuote del re e sorrise.

(don Bruno Ferrero)

Liberamente tratto da  : Bruno Ferrero, Tutte storie, ed. LDC, pg 78-83.

I Magi offrono i loro doni a Gesù
Andrea Mantegna - 1495 ca.


Buona giornata a tutti. :-)

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lunedì 20 dicembre 2010

Il piccolo re solitario - don Ferrero Bruno --

Lontano, lontano da qui, in un mare dal nome strano, c'era una piccola isola, con le spiagge bianche e le colline verdi.
Sull'isola c'era un castello e nel castello viveva un piccolo re. Era un re abbastanza strano, perché non aveva sudditi. Nemmeno uno.
Ogni mattina il piccolo re, dopo aver sbadigliato ed essersi stiracchiato,si lavava le orecchie e si spazzolava i denti; poi si calcava in testa la corona e cominciava la sua giornata. Se splendeva il sole, il piccolo re correva sulla spiaggia a fare sport. Era un grande sportivo. Deteneva infatti tutti i record
del regno: da quello dei cento metri di corsa sulla sabbia, al lancio della pietra, a tutte le specialità di nuoto, eccetto lo sci acquatico, perché non trovava nessuno che guidasse il reale motoscafo. E dopo ogni gara, il re si premiava con la medaglia d'oro. Ne aveva ormai tre stanze piene.
Ogni volta che si appuntava la medaglia sul petto, si rispondeva con garbo:
"Grazie, maestà!".
Nel castello c'era una biblioteca, e gli scaffali erano pieni di libri. Al re piacevano molto i fumetti d'avventure. Un po' meno le fiabe, perché nelle fiabe tutti i re avevano dei sudditi. "E io neanche uno!" si diceva il re. "Ma come dice il proverbio: è meglio essere soli che male accompagnati".
E quando faceva i compiti, si dava sempre dei bellissimi voti. "Con i complimenti di sua maestà", si dichiarava.
Una sera, però, sentì un certo nonsoché che lo rendeva malinconico; camminò fino alla spiaggia, deciso a cercare qualche suddito, e pensava: "Se solo avessi cento sudditi".
Allora proseguì sulla spiaggia verso destra, ma la riva era completamente deserta."Se solo avessi cinquanta sudditi", disse il re; tornò indietro e camminò sulla spiaggia verso sinistra fino a che poté, ma la riva era ugualmente deserta. Il re si sedette su uno scoglio ed era un po' triste; e di conseguenza non si accorse nemmeno che quella sera c'era un magnifico tramonto.
"Se solo avessi dieci sudditi, probabilmente sarei più felice".
Notò lontano sul mare alcuni pescatori sulle loro barche e si rallegrò.
"Sudditi", gridò il re; "sudditi, da questa parte, ecco il re, urrà!".
Ma i pescatori non lo sentirono, e tutto quel gridare rese rauco il re. Tornò a casa e scivolò sotto la sua bella trapunta colorata; si addormentò e sognò un milione di sudditi che gridavano "urrà" nel momento in cui lo vedevano.
Non dormì a lungo. Un vociare forte e disordinato lo svegliò. Il piccolo re non aveva sudditi, ma aveva dei nemici accaniti. Erano i pirati del terribile Barbarossa.Sembravano sbucare dall'orizzonte, con la loro nave irta di cannoni, con i loro baffi spioventi e il ghigno feroce, e i coltellacci fra i denti.
"All'arrembaggio!", gridava Barbarossa, il più feroce di tutti.
E i trentotto pirati entravano urlando nel castello e facevano man bassa di tutto quello che trovavano. A forza di scorrerie, nel castello era rimasto ben poco di asportabile, così i pirati avevano preso l'abitudine di riportare qualcosa ogni volta per poterlo rubare nella scorreria successiva. Il piccolo re aveva una paura tremenda dei pirati e soprattutto del crudele  Barbarossa che ogni volta sbraitava: "Se prendo il re, lo appendo all'albero della nave!". Così, quando sentiva arrivare i pirati, si nascondeva in uno dei tanti nascondigli segreti del castello.Dentro, rannicchiato nel buio, aspettava la partenza dei pirati. Era così da tanto tempo ormai, e il piccolo re non si sentiva affatto un fifone. "Se avessi un esercito", pensava, "Barbarossa e la sua ciurma non la passerebbero liscia". Un mattino, il re si svegliò a un suono completamente nuovo. Lo ascoltò e si rese conto che non aveva mai udito un suono simile. "Forse sono arrivati i miei sudditi", pensò il re, e andò ad aprire la porta. Sul gradino della porta sedeva un enorme gatto arancione. "Buongiorno", disse il re con grande dignità; "io sono il re, urrà".
"E io sono il gatto", disse il gatto. "Tu sei mio suddito", disse il re. "Lasciami entrare", ribatté il gatto; "ho fame e ho freddo". Il re lasciò entrare il gatto nella sua casa, e il gatto fece un giro intorno e vide quanto era grande e confortevole. "Che bellissima casa hai". "Sì, non è male", disse il re; e improvvisamente si accorse di tutte le cose che non aveva mai visto in molti anni. "E' perché io sono il re", disse il re; ed era molto soddisfatto. "Io resterò qui", decise il gatto, e si sistemò nella casa per vivere con il re; e il re fu felice perché ora aveva finalmente un suddito. "Dammi del cibo", disse il gatto, e il re corse via immediatamente per andare a prendere cibo per il gatto. "Fammi un letto", disse il gatto; e il re corse alla ricerca di una trapunta e di un cuscino. "Ho freddo", disse il gatto; e il re accese un fuoco affinché il gatto potesse scaldarsi. "Ecco fatto, signor Suddito", disse il re al gatto. E il gatto rispose: "Grazie, signor Re". E il re non notò neppure che, sebbene fosse il re, serviva il gatto. Il tempo passava e il re era felice in compagnia del gatto, e il gatto mostrava al re ogni cosa che il re nella sua solitudine era riuscito a dimenticare: il tramonto, la rugiada del mattino, le conchiglie colorate e la luna che scivolava attraverso il cielo come la barca dei pescatori sul mare. Qualche volta accadeva al re di passare davanti a uno specchio, e quando vedeva la sua immagine diceva: "Il re, urrà". E si salutava. Non era più il campione assoluto dell'isola. Il gatto lo batteva nel salto in alto, in lungo e nell'arrampicata sugli alberi; ma il re continuava a eccellere nel nuoto e nel lancio della pietra. Un mattino, il re sentì bussare alla porta del castello. Corse ad aprire, pensando: "Arrivano i sudditi". Si trovò davanti un piccoletto con la faccia allegra. Era un pinguino, con la camicia bianca e il frac di un bel nero lucente. "Buongiorno", disse il re con grande dignità; "io sono il re, urrà". "E io sono un pinguino", disse il pinguino. "Tu sei mio suddito", disse il re.
"Lasciami entrare", ribatté il pinguino; "ho fame e ho i piedi congelati.
Sono stufo di abitare su un iceberg". Il re lasciò entrare il pinguino nella sua casa e gli presentò il gatto, che fu molto felice di fare conoscenza con il pinguino. "Penso che mi fermerò qui con voi", disse il pinguino. Il re ne fu felicissimo. Adesso aveva due sudditi. Corse a preparare una buona cenetta per il pinguino, mentre il gatto portava al nuovo ospite due soffici pantofole. "Io farò il maggiordomo. Mi ci sento portato", dichiarò il pinguino. "Terrò in ordine il castello e servirò gli aperitivi in terrazza". Così furono in tre a guardare i tramonti. Ed era ancora meglio che in due. Il re non vinceva più molte gare sportive, perché il pinguino lo batteva a nuoto e nei tuffi. Scoprì, sorprendentemente, che si può essere contenti anche se non si vince sempre. Ma una sera, lontano all'orizzonte, apparve la nave del pirata Barbarossa. "Presto scappiamo a nasconderci", gridò il re. "Neanche per sogno", disse il gatto. "Siamo in tre e possiamo battere quei prepotenti". "Certo", ribatté il pinguino. "Basta avere un piano". "Nell'armeria del castello c'è l'armatura del gigante Latus", disse il re. "Bene", disse il gatto. "Ci infileremo nell'armatura e affronteremo i pirati". "Il gatto si metterà sulle mie spalle, e il re sul gatto, così potrà brandire la spada", continuò il pinguino. "Approvo il piano", concluse il re. Così fecero. Quando approdarono alla spiaggia, i pirati rimasero paralizzati dalla sorpresa. Verso di loro, a grandi passi ondeggianti, avanzava un gigante che brandiva un enorme e minaccioso spadone. "E' tornato il gigante Latus!", gridarono. "Si salvi chi può!". E si buttarono in acqua per raggiungere la nave. Da allora nessuno li vide mai più. Sulla spiaggia dell'isola il piccolo re, il gatto e il pinguino si abbracciarono ridendo. Poi il gatto e il pinguino sollevarono il re e lo gettarono in aria gridando: "Re è il migliore amico che c'è, urrà!".

(don Bruno Ferrero)
 Fonte:Bruno Ferrero, Nuove Storie



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