sabato 22 giugno 2024

Preghiera al SS Sacramento

 

O Verbo annichilito nell'Incarnazione, 
più annichilito ancora nell'Eucaristia,
vi adoriamo sotto i veli che nascondono la vostra divinità
e la vostra umanità nell'adorabile Sacramento.
In questo stato dunque vi ha ridotto il vostro amore!
Sacrificio perpetuo, vittima continuamente immolata per noi,
Ostia di lode, di ringraziamento, di propiziazione!
Gesù nostro mediatore, fedele compagno, dolce amico,
medico caritatevole, tenero consolatore, 

pane vivo disceso dal cielo,
cibo delle anime. 

Voi siete il tutto per i vostri figli!
A tant'amore però molti non corrispondono 

che con la bestemmia
e con le profanazioni; molti con l'indifferenza e la tiepidezza,
ben pochi con gratitudine ed amore.
Perdono, o Gesù, per quelli che vi oltraggiano! 
Perdono per la moltitudine degli indifferenti e degli ingrati!
Perdono altresì per l'incostanza, l'imperfezione,
la fiacchezza di quelli che vi amano!
Gradite il loro amore quantunque languido, 
ed accendetelo di più ogni dì;
illuminate le anime che non vi conoscono 

ed ammollite la durezza dei cuori
che vi resistono. 

Fatevi amare sulla terra, o Dio nascosto;
lasciatevi vedere e possedere nel Cielo! Amen.




Il Signore è la forza del suo popolo 
e rifugio di salvezza per il suo Cristo. 
Salva il tuo popolo, Signore, 
benedici la tua eredità, 
e sii la sua guida per sempre.




"Gesù sapeva benissimo che sarebbe stato conservato nei Tabernacoli anche solitari, senza contorno nella notte, all'infuori di una fiammella che le leggi della Chiesa esigono. 
Sapeva benissimo che anche nel giorno, secondo il variare della densità di fede nei tempi, cristiani sarebbero andati e non andati a rendere adorazione alla sua ineffabile Presenza, lo sapeva. 
Forse qualcheduno di noi avrebbe potuto obbiettargli: "Signore, fa' in modo di essere presente quando c'è gente che Ti adora, altrimenti è inutile". 
Inutile? No. 
Le Chiese possono essere vuote, ma Cristo nel tabernacolo non è inutile, perché l'Eucarestia, sia attraverso il Sacrificio – del quale oggi non parlo – sia attraverso il Sacramento permanente, è una fonte di forza, di grazia, di benedizione, di salvezza incessante. 
Ricordiamoci che è di lì che si germinano i vergini e le vergini, è di lì che sorgono i fondatori, è di lì che resistono i combattenti, è di lì forse che attraverso una vita apparentemente lontana da Dio si prepara la finale di salvezza nella sua misericordia, ma la si prepara attraverso questa Presenza, che appare a noi silenziosa e inerte, e non è né silenziosa né inerte. 
Non dobbiamo compiangere la solitudine che spesso è intorno ai Tabernacoli e che è sempre da condannarsi. 
Dobbiamo rimpiangere, dico rimpiangere e a piena ragione, coloro che si dimenticano che Gesù Cristo sta lì ad attenderli, come Egli, narrando la parabola del figliol prodigo, pone per tanto tempo immobile sulla soglia di casa il padre che non si stanca di aspettare il figlio, il quale alla fine ritorna ed è accolto come figlio, non come servo"

- Card. Giuseppe Siri - 



“Nostro Signore non scende dal cielo tutti i giorni per stare in una pisside d’oro. 
Si tratta di trovare un altro cielo che è infinitamente più amato da Lui, il cielo delle nostre anime, creato a sua immagine, i templi vivi dell’adorabile Trinità”.

- Santa Teresa di Lisieux - 



Buona giornata a tutti.:-)


venerdì 21 giugno 2024

Morte di San Luigi Gonzaga, Patrono della Purezza.

«- Allora, cosa faremo, Fra' Luigi?
chiese il Padre Provinciale, entrando nella camera del malato.
- Ce ne stiamo andando, Padre.
- Dove?
- In Cielo... Se non me lo impediscono i miei peccati, spero, con la misericordia di Dio, di andar là.
Questa era la disposizione d'animo del giovane novizio della Compagnia di Gesù, che aveva forzosamente interrotto i suoi studi di teologia a causa di una grave malattia che da tre mesi lo costringeva a letto. Otto giorni prima, aveva predetto che questi sarebbero stati per lui gli ultimi.
Già al mattino aveva chiesto il Viatico, che gli fu portato solo nel pomeriggio, perché lo ritenevano ancora in salute. Trascorse il giorno con atti di fede, suppliche e adorazione. I padri gesuiti non si davano per vinti di perdere il santo fratello, e tentavano di persuaderlo che la sua ora non era ancora arrivata. Egli, inflessibile, rispondeva:
- Morirò questa notte. Morirò questa notte.
Padri e novizi di tutte le case, avendo saputo della predizione della sua morte, accorsero per accomiatarsi da lui, raccomandarsi alle sue preghiere e chiedere i suoi ultimi consigli. La malattia gli aveva minato la salute del corpo, ma l'anima cresceva in santità ad ogni momento che passava. Così, ascoltava tutti con affetto, promettendo di ricordarsi di loro una volta salito al Cielo.
Giunta la sera il Padre Rettore, vedendo che Luigi parlava ancora con facilità, concluse che non sarebbe morto quella notte e diede ordine ai fratelli di andare a dormire. Rimasero nella stanza soltanto due sacerdoti per aiutare l'infermo, oltre al suo confessore, San Roberto Bellarmino.
Luigi non nascondeva la sua profonda gioia: andare in Cielo, unirsi definitivamente con Dio era quello che più aveva desiderato durante la sua breve vita!
Passato un po' di tempo, disse al confessore:
- Padre, può fare l'orazione funebre.
Il sacerdote la fece subito, con molta partecipazione e devozione. Raccolto, calmo e fiducioso, Luigi attendeva il momento supremo, il quale non tardò ad arrivare: verso le otto di sera, con gli occhi fissi sul crocifisso che teneva stretto tra le mani, entrò serenamente nei terribili dolori dell'agonia. Nessun gemito gli uscì dalle labbra, il suo sguardo non si allontanò neppure per un istante da Colui che tanto aveva sofferto per noi sulla Croce. Pronunciando il Santissimo Nome di Gesù, consegnò la sua anima a Dio nella pace più completa.»


Preghiamo.
O Dio, distributore dei doni celesti, che nell'angelico giovane Luigi unisti mirabile innocenza di vita a pari penitenza; per i suoi meriti e per le sue preghiere concedici che, non avendolo seguito nell'innocenza, lo imitiamo almeno nella penitenza.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.
 


 21 giugno, San Luigi Gonzaga

Nell’autunno del 1585 a Castiglione delle Stiviere e dintorni, fino a Mantova, girava una strana voce: Luigi, il nobile rampollo primogenito del signore della città Ferrante Gonzaga, così bravo e così promettente per il futuro della dinastia, stava per rinunciare al diritto di successione, in favore di Rodolfo, il secondogenito. Era vera la voce? Purtroppo sì, ma molti sudditi speravano di no. E invece, un brutto giorno nel castello di San Giorgio, a Mantova, ebbe proprio luogo la solenne cerimonia della rinuncia alla primogenitura. Grande fu il dolore della popolazione semplice, che già lo stimava.
Dicevano infatti: “Non eravamo degni d’averlo per padrone... egli è un santo e Dio ce lo ha tolto”.
Grande dolore (mista a delusione e... rabbia) da parte del padre: aveva posto tutta la propria fiducia e il futuro della propria casata in quel ragazzo... che ora voleva andarsene, per inseguire i suoi strani ideali, abbandonando tutto, potere e lusso, onori e ricchezze, ambizione e gloria. Non riusciva ancora a capire, e tanto meno ad accettare. Comprensibile invece la gioia di Rodolfo, il soggetto privilegiato dalla decisione: d’improvviso e senza colpo ferire si vedeva spalancata la porta che tanto sognava: diventare marchese e signore di Castiglione delle Stiviere, con annessi diritti e connessi privilegi. E questo grazie a quello “strano” fratello, Luigi, che una volta gli rispose essere lui stesso quello più felice. Per inciso: la storia ci dirà che dopo non molti anni l’uno finirà sugli altari (fu dichiarato Beato nel 1605 dal Papa Paolo V), l’altro invece consumerà i suoi giorni scomunicato e infine assassinato.
Per la verità, si era levata anche qualche voce critica verso quella decisione. Ma Luigi aveva risposto:
“Cerco la salvezza, cercatela anche voi! Non si può servire a due padroni... È troppo difficile salvarsi per un signore di Stato!”.
E molti capirono il messaggio.
Luigi, quando prese questa decisione, aveva 17 anni. E così, il 4 novembre 1585, si incamminò verso Roma, dove sarebbe entrato nella giovane Compagnia di Gesù (i Gesuiti). Con sé portava una lettera del padre al Superiore Generale dell’Ordine:
“Lo mando a Vostra Signoria Rev.ma che gli sarà Padre più utile di me... Ella diviene padrone del più caro pegno che io abbia al mondo e della principale speranza che io avessi nella conservazione di questa mia casa”.
Questo ci dà la misura della grandissima stima e aspettative da parte di tutti, di cui godeva Luigi Gonzaga, e, date le sue doti, del brillante avvenire che tutti sognavano per lui.
Grande stima, ammirazione e aspettative lo accompagneranno in quei pochi anni che visse da gesuita.
Dopo la sua morte il padre Generale testimoniò:
“Io non pensai mai che dovesse morire di quella infermità, perché ritenevo per certo che Dio Nostro Signore l’avesse chiamato alla Compagnia di Gesù per dargli a suo tempo il governo di lei, per suo gran bene”.
Un’aspettativa non certo da poco: lo vedeva già, a suo tempo, superiore generale ovvero successore del grande Ignazio di Loyola, il fondatore stesso dei Gesuiti.

Nelle corti, per “aprire gli occhi”
Luigi nacque il 7 marzo 1568, figlio di Ferrante Gonzaga, marchese di Castiglione delle Stiviere (presso Mantova), un uomo orgoglioso e duro, dedito al gioco ma anche attaccato alla famiglia ed alla fede, e da Marta di Sàntena, una contessa piemontese, donna molto buona e religiosa che lascerà una profonda influenza sul figlio. Luigi era di intelligenza brillante e aperta, dal carattere forte e focoso, talvolta ostinato e duro. Una volta fu udito affermare: “Sono un pezzo di ferro contorto che deve essere raddrizzato”. Aveva il destino già segnato: diventare marchese imperiale come il padre. E così fin da bambino fu gradualmente fatto entrare in quel mondo nobile e dorato, spesso corrotto e corruttore, dove non di rado regnava il culto dell’effimero e dell’apparenza, il tutto condito di banalità e vanità. Luigi, ancora fanciullo, conobbe la vita di corte di Firenze (1578, con i Medici) dove ebbe la possibilità di giocare con le principessine Eleonora (futura duchessa di Mantova) e con Maria de’ Medici (futura regina di Francia), a Mantova e poi anche a Madrid, alla corte di Filippo II (1582).
Fu all’età di dieci anni che Luigi, nella chiesa dell’Annunziata proprio a Firenze, si offrì a Dio, e spontaneamente “si consacrò a Maria, come Lei si era consacrata a Dio”. Capiva quello che faceva? Certamente, giudicando dalla vita che condusse dopo: intuiva bene il significato del gesto e fu sempre coerente con esso. Intanto cresceva sempre più non solo il gusto della preghiera e della meditazione ma anche una certa insofferenza per quel mondo circostante ricco e gaudente, frivolo e futile nonché, spesso, spiritualmente vuoto.
Luigi si era proposto come ideale di seguire Cristo incondizionatamente e per amore suo anche la povertà. Da Firenze passò a Mantova, e qui si ammalò. I medici gli ordinarono una dieta durissima, a pane e acqua. Luigi approfittò della situazione per imparare volontariamente a... fare penitenza, per amore a Cristo Crocifisso. Qui poi ebbe la consolazione di fare la prima comunione dalle mani del Card. Carlo Borromeo (San), in visita pastorale.
Intanto il mondo di corte gli stava sempre più stretto, ne intuiva i limiti umani e spirituali, e anche i pericoli per sé, e così a poco a poco stava maturando il proposito di rinunciare alla primogenitura. Ne parlò prima alla madre, poi dovette sopportare le burla dei parenti e la inevitabile quanto comprensibile violenta opposizione del padre. Questi era fiero di Luigi: ne voleva fare un grande erede e la fortuna del marchesato. Le premesse di intelligenza, cultura e capacità diplomatiche c’erano (cose che mancavano al fratello). Ferrante Gonzaga era furioso solo alla prospettiva della rinuncia.
Tornati da Madrid (1584) ordinò ai due figli di fare un giro di cortesia per le varie corti italiane. L’obiettivo ufficiale era “distrarre” un po’ Luigi, con un’altra vita di corte magari più brillante, e, secondo motivo nemmeno troppo segreto, la speranza che incrociasse gli sguardi e suscitasse l’interesse di qualche bella principessa di sangue blu. Il ragazzo fu quindi spedito a Mantova, a Parma, a Ferrara, a Pavia e a Torino, fresca capitale (dal 1563) dei Savoia.
Ma Luigi al ritorno, anche davanti a tutto il parentado, fu irremovibile nel suo proposito: rinuncia al marchesato per farsi religioso gesuita. A quel punto pensarono, tristemente sospirando, che la vocazione di quel ragazzo così intelligente e riflessivo, così calmo ma deciso, veniva proprio da Dio, e non era un capriccio adolescenziale. E si rassegnarono.

Il motto: “Come gli altri”, cioè senza privilegi
Luigi entrò nella Compagnia di Gesù nell’anno 1587, a Roma, dopo il noviziato. Durante questo periodo i padri Gesuiti si accorsero subito di avere tra le mani un vero gioiello spirituale. Non solo non aveva bisogno di tutti i discorsi di stampo ascetico, ma il loro problema era di moderare ed equilibrare l’ardore penitenziale che era già patrimonio spirituale del soggetto che dovevano formare. E si crearono anche situazioni al limite dell’umorismo. Luigi era così abituato alla penitenza e all’autocontrollo ascetico che i suoi formatori non trovarono di meglio che proibirgli di... fare penitenza. Con il risultato che per lui la vera penitenza era non fare penitenza.
E siccome soffriva di emicrania il padre spirituale gli consigliò di non pensare troppo intensamente a Dio, con il risultato che doveva sforzarsi maggiormente per obbedire... di non pensare a Dio, per amore di Dio. Confidava ad un suo formatore anziano:
“Veramente io non so che fare. Il padre rettore mi proibisce di fare orazione, acciò che con l’attenzione io non faccia violenza alla testa: ed io maggior forza e violenza mi fo, mentre cerco di distraèr la mente da Dio che io tenerla sempre raccolta in Dio, perché questo già per l’uso mi è quasi diventato connaturale, e vi trovo quiete e riposo e non pena”.
Dio gli era così presente che giunse a pregare: “Allontanati da me, Signore”. Non so quanti santi hanno osato pregare così, escludendo San Pietro, ma questi aveva detto le stesse parole per altri ben noti motivi.
Luigi era già impegnato negli studi di teologia quando sulla città di Roma si abbatté un’immane tragedia: prima la siccità, poi la carestia, infine un’epidemia di tifo. Nell’opera di assistenza che i Gesuiti prestarono, fu presente anche lui: sempre a fianco dei malati, specialmente i più ripugnanti e i moribondi. Girava anche per i palazzi dei nobili a chiedere l’elemosina per quei poveracci. Lo faceva seguendo, lui di sangue nobile, il motto: “Come gli altri”, dimenticando cioè tutti i privilegi. Questo coraggio e questa forza, anche fisica, sentiva che gli veniva da Dio stesso e dal Cristo che lui serviva nei sofferenti. Fino a quando raccolse un moribondo, malato di peste, e se lo caricò sulle spalle per portarlo all’ospedale. Probabilmente fu contagiato proprio in quella circostanza.
La sua fine comunque arrivò velocemente ma non inaspettatamente. All’incontro con Dio era preparatissimo e anche la morte non gli faceva paura tanto che a tutti diceva “Me ne vado felice” e alla stessa madre, nell’ultima lettera, raccomandava di non piangere il proprio figlio come morto ma come vivente e per sempre felice davanti a Dio. Il giorno della sua nascita al cielo fu il 21 giugno 1591, assistito da San Roberto Bellarmino, uno dei grandi Gesuiti della prima ora. Luigi Gonzaga fu un martire non della fede (anche se ne aveva tanta) ma della carità, fino a donare la propria vita per il prossimo
Come si vede da questi piccoli tratti, qui la stoffa del giovane santo, secondo tutti i canoni della santità cristiana, è facilmente riconoscibile e proponibile. Invece non fu così.
Nel clima anticlericale dell’800 (e anche del primo ’900) la sua santità non solo non fu riconosciuta ma fu ostacolata. In un certo senso ha fatto testo la frase del Gioberti (1801-1852) che aveva scritto essere la santità del Gonzaga “inutile e dannosa a imitarsi”. Invece, escludendo alcuni elementi (forse un po’ esagerati) propri del suo carattere e del tempo in cui visse, i tratti salienti della sua santità hanno un grande valore e sono proponibile anche ai giovani di oggi, così bisognosi di veri e sostanziosi modelli da imitare, e non di effimeri, superficiali e piccoli “eroi” creati ad hoc dall’onnipotente circo mediatico e commerciale.

Autore: Mario Scudu


Dalla LETTERA ALLA MADRE

Io invoco su di te, mia Signora, il dono dello Spirito Santo e consolazioni senza fine. Quando mi hanno portato la tua lettera, mi trovavo ancora in questa regione di morti. Ma facciamoci animo e puntiamo le nostre aspirazioni verso il cielo dove loderemo Dio eterno nella terra dei viventi...
La carità consiste, come dice San Paolo, nel “rallegrarsi con quelli che sono nella gioia e nel piangere con quelli che sono nel pianto”. Perciò, madre illustrissima, devi gioire grandemente perché per merito tuo, Dio mi indica la vera felicità e mi libera dal timore di perderlo.
Ti confiderò, o illustrissima signora, che meditando le bontà divine, mare senza fondo e senza confini, la mia mente si smarrisce. Non riesco a capacitarmi come il Signore guardi alla mia piccola e breve fatica e mi premi con il riposo eterno e dal cielo mi inviti a quella felicità che io fino ad ora ho cercato con negligenza e offra a me, che assai poche lacrime ho sparso per esso, quel tesoro che è il coronamento di grandi fatiche e pianto.
O illustrissima Signora, guardati dall’offendere l’infinita bontà divina, piangendo come morto chi vive al cospetto di Dio e che con la sua intercessione può venire incontro alle tue necessità molto più che in questa vita.
La separazione non sarà lunga. Ci rivedremo in cielo e insieme uniti all’autore della nostra salvezza, godremo gioie immortali, lodandolo con tutta la capacità dell’anima e cantando senza fine le sue grazie. Egli ci toglie quello che prima ci aveva dato solo per riporlo in un luogo più sicuro ed inviolabile e per ornarci di quei beni che noi stessi sceglieremo.
Ho detto queste cose solo per obbedire al mio ardente desiderio che tu, o illustrissima signora e tutta la famiglia, consideriate la mia partenza come un evento gioioso. E tu continua ad assistermi con la tua materna benedizione, mentre sono in mare verso il porto di tutte le mie speranze. Ho preferito scriverti perché niente mi è rimasto con cui manifestarti in modo più chiaro l’amore ed il rispetto che, come figlio, devo alla mia madre.

PREGHIERA di Papa Giovanni Paolo II, santo

San Luigi, povero in spirito a te con fiducia ci rivolgiamo benedicendo il Padre celeste perché in te ci ha offerto una prova eloquente del suo amore misericordioso. Umile e confidente adoratore dei disegni del Cuore divino, ti sei spogliato sin da adolescente di ogni onore mondano e di ogni terrena fortuna. Hai rivestito il cilizio della perfetta castità, hai percorso la strada dell’obbedienza, ti sei fatto povero per servire Iddio, tutto a lui offrendo per amore.
Tu, puro di cuore, rendici liberi da ogni mondana schiavitù. Non permettere che i giovani cadano vittime dell’odio e della violenza; non lasciare che essi cedano alle lusinghe di facili e fallaci miraggi edonistici. Aiutali a liberarsi da ogni sentimento torbido, difendili dall’egoismo che acceca, salvali dal potere del Maligno.
Rendili testimoni della purezza del cuore.
Tu eroico apostolo della carità ottienici il dono della divina misericordia che smuova i cuori induriti dall’egoismo e tenga desto in ciascuno l’anelito verso la santità.
Fa’ che anche l’odierna generazione abbia il coraggio di andare contro corrente, quando si tratta di spendere la vita, per costruire il Regno di Cristo.
Sappia anch’essa condividere la tua stessa passione per l’uomo, riconoscendo in lui, chiunque egli sia, la divina presenza di Cristo.
Con te invochiamo Maria, la Madre del Redentore.
A lei affidiamo l’anima e il corpo, ogni miseria ed angustia, la vita e la morte, perché tutto in noi, come avvenne in te, si compia a gloria di Dio, che vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.


Buona giornata a tutti :-)





giovedì 20 giugno 2024

I dieci ladri della tua energia - Dalai Lama

1- Lascia andare le persone che solo condividono lamentele, problemi, storie disastrose, paura e giudizio sugli altri. Se qualcuno cerca un cestino per buttare la sua immondizia, fa sì che non sia la tua mente.

2- Paga i tuoi debiti in tempo. Nel contempo fai pagare a chi ti deve o scegli di lasciarlo andare, se ormai non lo può fare.

3- Mantieni le tue promesse. Se non l'hai fatto, domandati perché fai fatica. Hai sempre il diritto di cambiare opinione, scusarti, compensare, rinegoziare e offrire un'alternativa ad una promessa non mantenuta; ma non farlo diventare un'abitudine. Il modo più semplice di evitare di non fare una cosa che prometti di fare e dire NO subito.

4- Elimina nel possibile e delega i compiti che preferisci non fare e dedica il tuo tempo a fare quelli che ti piacciono.

5- Permettiti di riposare quando ti serve e dati il permesso di agire se hai un'occasione buona.

6- Butta, raccogli e organizza, niente ti prende più energia di uno spazio disordinato e pieno di cose del passato che ormai non ti servono più.

7- Dà priorità alla tua salute, senza il macchinario del tuo corpo lavorando al massimo, non puoi fare molto. Fai delle pause.

8- Affronta le situazioni tossiche che stai tollerando, da riscattare un amico o un famigliare, fino a tollerare azioni negative di un compagno o un gruppo; prendi l'azione necessaria.

9- Accetta. Non per rassegnazione, ma niente ti fa perdere più energia di litigare con una situazione che non puoi cambiare.

10-Perdona, lascia andare una situazione che è causa di dolore, puoi sempre scegliere di lasciare il dolore del ricordo.

- Dalai Lama -


 Perché ci sono certi esseri il cui acume, la cui lucidità e chiarezza mentale aumentano ogni giorno, mentre in altri, al contrario, diminuiscono?

Perché i primi sono legati all'Intelligenza universale, credono in essa, la amano, e a poco a poco essa si rivela a loro poiché è attirata da quell'amore. Gli altri, invece, che non riconoscono la sua esistenza, si precludono il cammino dell'evoluzione; sono concentrati solo sulla propria intelligenza, ma siccome questa vive delle proprie riserve, dopo un certo tempo si esaurisce.

Tutti coloro che rifiutano e negano l'Intelligenza cosmica limitano le proprie facoltà mentali. Ora, ciascuno può scegliere: o il cammino di tutti gli scienziati e i filosofi materialisti, oppure il cammino degli Iniziati e dei grandi Maestri, i quali ogni giorno ricevono delle rivelazioni, perché attingono incessantemente all'oceano infinito dell'Intelligenza cosmica.

 - Omraam Mikhaël Aïvanhov - 


Buona giornata a tutti :-)

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martedì 18 giugno 2024

Che burlone Dio che affida l’annuncio del Regno a persone balbuzienti, come Mosè! - Paolo Curtaz

Il prezioso tesoro del Regno di Dio è affidato alle nostre fragili mani, come vasi di creta.

E questo suscita ancora stupore, come lo stupore dell’incredulità dei concittadini che non riconoscono nel figlio di Giuseppe l’atteso e lo stupore del Maestro davanti alla durezza dei loro e dei nostri cuori.

Che burlone Dio che affida l’annuncio del Regno a persone balbuzienti, come Mosè!

Come Amos, ognuno di noi è strappato alla sua quotidianità per diventare profeta, per contrapporsi al profeta di corte, Amasia, pagato per applaudire alle opere del re Geroboamo.
Come i discepoli, Gesù invia tutti a noi a preparargli la strada, ad annunciare il vangelo.
Siamo mandati a preparare la venuta del Signore, non a sostituirlo, a testimoniare la sua presenza attraverso la nostra esperienza.
La Chiesa è sempre e solo preparazione all’ incontro con Dio, è a totale servizio del Regno, lo accoglie e, per quanto riesce, lo realizza.
Non siamo inviati a vendere un prodotto, ma ad annunciare e a suscitare una salvezza: la nostra.
Vedendo che viviamo da salvati, uomini e donne in cerca di risposte e di speranza si interrogano e richiedono ragione della speranza che è in noi.

Marco pone delle condizioni all’annuncio, una sintesi per ricordare ai discepoli con quale stile sono chiamati ad annunciare il Regno. 
I discepoli sono mandati ad annunciare il Regno a due a due. 
Non esistono navigatori solitari tra i credenti, tutta la credibilità dell’annuncio si gioca sulla sfida del poter costruire comunità. 

Al geniale guru solitario Gesù preferisce il faticoso percorso della condivisione fra anime: è l’amore che abbiamo fra di noi che annuncia, non la dialettica spettacolare.

Parlare della comunità in termini astratti è bello e poetico; vivere nella propria comunità, concreta con quel membro del gruppo, con quel viceparroco, con quel cantore, è un altro affare. 

Le piccinerie che emergono dagli ambienti vaticani ancora ci ricordano che è la comunione a rendere testimonianza della verità delle nostra parole. No, non mi scandalizzo delle manovre vaticane, finché non riesco a superare quelle della mia parrocchia.

Gesù ci tiene alla scommessa della convivenza, fatta per amore al Vangelo, pone quel a due a due come condizione prioritaria all’annuncio. 

Al di sopra delle simpatie e dei caratteri, Gesù ci invita ad andare all’ essenziale, a non fermarci alle sensazioni di pelle, a credere che la testimonianza della comunione, nonostante noi, può davvero spalancare i cuori.
La Chiesa non è il club dei bravi ragazzi, non ci siamo scelti, Gesù ci ha scelto per avere potere sugli spiriti immondi. 
La Parola che professiamo e viviamo caccia la monnezza dai cuori, la parte tenebrosa che ci abita.
Fare comunione pone un limite alle ombre che abitano in ciascuno di noi: senza eliminarle, la luce che porta il vangelo ci illumina e, così facendo, ci rende luminosi gli uni per gli altri.
(Paolo Curtaz)


“Il dolore è una componente della finitezza delle creature. Un dato che nella nostra società orgogliosa e tecnologica, che qualcuno ha definito “post-mortale”, non si vuole accettare. Si occulta in tutti i modi la morte, o magari si insegue la possibilità di vivere fino a 120 o 130 anni, continuando ad allontanare l’appuntamento. Dobbiamo invece avere il coraggio di guardare in faccia malattia e morte come componenti dell’esistenza”. 

- Gianfranco Ravasi -

 cardinale della Chiesa Cattolica, biblista, teologo, ebraista ed archeologo





Se non puoi essere un pino sul monte,
sii una saggina nella valle,
ma sii la migliore, piccola saggina sulla sponda del ruscello.
Se non puoi essere un albero, sii un cespuglio.
Se non puoi essere un’autostrada, sii un sentiero.
Se non puoi essere il sole, sii una stella.
Sii sempre il meglio di ciò che sei.
Cerca di scoprire il disegno che sei chiamato ad essere;
poi mettiti con passione a realizzarlo nella vita.

(Martin Luter King)


Martin Luther King Jr. (Atlanta, 15 gennaio 1929 –Memphis, 4 aprile 1968)
E' stato un politico, attivista e pastore protestante statunitense, leader dei diritti civili.
È stato il più giovane Premio Nobel per la pace della storia, riconoscimento conferitogli nel 1964 all'età di soli trentacinque anni.
Riconosciuto apostolo instancabile della resistenza non violenta, eroe e paladino dei reietti e degli emarginati, "redentore dalla faccia nera", King venne colpito da un colpo di fucile di precisione alla testa mentre era sul balcone del motel di Memphis. Trasportato al St. Joseph's Hospital, i medici constatarono un irreparabile danno cerebrale, la sua morte venne annunciata alle 19:05 del 4 aprile 1968. Sull’assassinio non è mai stata fatta chiarezza.

Buona giornata a tutti :-)



domenica 16 giugno 2024

Cosa mi appresto a fare.. - Card. Carlo Maria Martini

 E ora forse vi chiederete che cosa mi appresto a fare dopo aver compiuto i 75 anni e aver esercitato il ministero di vescovo per ventidue anni e sette mesi, che è quasi identicamente il tempo in cui servì questa Chiesa il mio grande predecessore Sant'Ambrogio, alla cui l'ombra vorrei collocarmi come ultimo dei suoi discepoli. Ciò che mi preparo a fare vorrei esprimerlo con due parole: una che indica novità e un'altra che indica continuità.

La parola che indica novità è quella pronunciata da Paolo nel discorso di Mileto: "Ed ecco ora, avvinto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme senza sapere ciò che là mi accadrà" (At 20,22). Paolo continua dicendo che lo Spirito santo in ogni città gli attesta che lo attendono catene e tribolazioni. Non so quanto possa voler dire questa parola per me, ma certamente sento mia la parola pronunciata subito dopo da Paolo: "Non ritengo tuttavia la mia vita meritevole di nulla, purché conduca termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio" (At 20,24).
L'aspetto nuovo della mia vita è dunque Gerusalemme, dove vorrei compiere un servizio umile e silenzioso di preghiera e di studio.

Nella parola di Paolo è espressa anche la continuità con il servizio fatto finora. Egli dice infatti di volere soprattutto e anzitutto "rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio", e richiama così la consegna di Gesù ai Dodici all'inizio degli Atti: "Avrete forza dallo Spirito santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme…e fino agli estremi confini della terra" (At 1,8). 
E' la continuità della testimonianza al messaggio della grazia di Dio che costituisce il filo rosso del servizio di un vescovo anche nel passaggio da vescovo residenziale a vescovo emerito. 
Un vescovo emerito non ha certamente più alcuna responsabilità amministrativa e decisionale, ma mantiene uno strettissimo legame e una grave responsabilità davanti a Dio verso tutti coloro che gli sono stati affidati, a cui ha consacrato la sua vita e dai quali non potrà mai distaccarsi spiritualmente. Per questo un vescovo emerito continua a sentire come sue le gioie, le prove, le tentazioni, gli interrogativi che toccano la vita di quella porzione di popolo che rimane sempre pur sempre la sua Chiesa, come pure i problemi di tutte le persone che in questo territorio cercano con sofferenza e con cuore sincero la verità e la giustizia. 

Un vescovo rimane legato a tutte queste persone soprattutto col ministero dell'intercessione. 
Anzi vorrei dire che una certa distanza, anche fisica, dagli eventi e dalle urgenze quotidiane permetterà al vescovo emerito di abbracciare con più calma e con uno sguardo più ampio la totalità delle situazioni, delle persone, delle biografie, godendo con chi cammina sereno per la via della verità, soffrendo con chi è nell'oscurità e nel dolore, sentendosi partecipe della ricerca di chi vuole più luce. 
Questa è la spiritualità che intendo vivere per quanto tempo il Signore vorrà ancora darmi, mentre dividerò le mie occupazioni tra lo studio e la preghiera. Sento che il servizio dell'intercessione è in piena continuità con la testimonianza che ho cercato di dare in questi anni. 
È un'intercessione che non ha confini né di spazio né di tempo, perché si estende fino alla pienezza del Regno e guarda a quel tempo in cui, come dice il profeta Michea "il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli di Israele" (Mi 5,2: prima lettura). 
E' una intercessione che mantiene e approfondisce tra noi qui legami forti che si sono stretti in questi anni e che niente potrà sciogliere. 
Tanto più che mi pare di poter dire come Paolo, all'inizio della lettera ai Filippesi, che "vi porto nel cuore" e che "Dio mi è testimone del profondo affetto che ho per tutti voi nell'amore di Cristo Gesù" (Fil 1,7-8). Anzi il testo greco di questa lettera permette di tradurre non solo "vi porto nel cuore" ma anche reciprocamente "voi avete nel cuore me, voi che siete tutti partecipi della grazia che mi è stata concessa" (Fil 1,7).

Questa preghiera di intercessione è la preghiera praticata fin dalla antichità, a partire da quella di Mosè con le braccia alzate sul monte fino a quella di Gesù per i suoi nell'ultima cena (cfr Gv 17) e alle preghiere di Paolo all'inizio delle sue lettere. È stato detto che per Paolo " il vertice del nostro vivere è la preghiera di intercessione, che si concreta in un grande ringraziamento, o un grande ringraziamento che si esplica in una continua preghiera di intercessione " (don Giuseppe Dossetti, in un commento alla lettera ai Colossesi). Ed è così che Paolo prega ad esempio perché i fedeli di Colossi abbiano " una piena conoscenza della volontà di Dio con ogni sapienza e intelligenza spirituale", perché possono comportarsi "in maniera degna del Signore per piacergli in tutto " (Col 1,9-10). E all'inizio della lettera agli Efesini rende grazie e prega " perché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui " (Ef 1,17).

Questa era già fin d'ora la mia preghiera per voi, ma essa si esprimeva soprattutto nelle celebrazioni liturgiche. Ora avrò più tempo per pregare, e mi eserciterò quindi maggiormente in questa intercessione che è suscitata nel nostro cuore da quello Spirito che "intercede con insistenza per noi con gemiti inesprimibili" (Rom 8,26). Sono certo che anche voi pregherete così per me ed è con tale fiducia che concludo affidando tutta la Chiesa diocesana "Al Signore e alla parola della sua grazia" (At 20,32) che ha il potere di purificare e di portare a pienezza ogni sforzo sincero, perché "tutto concorre al bene di coloro che amano Dio" (Rom 8,28).

+Card. Carlo Maria Martini)
Duomo 8 settembre 2002 

Leggi il testo integrale https://www.chiesadimilano.it/cms/documenti-del-vescovo/c-m-martini/cm-interventi/vi-porto-nel-cuore-15157.html
Omelia per la Natività della Beata Vergine Maria - Duomo di Milano, 8 settembre 2002


Signore, tu sei la mia vita, senza di te il vivere non è vivere.

- Card.Carlo Maria Martini -




«E' fondamentale conoscere la Scrittura per scoprire l'amore di Dio per l'uomo e la sua lunga storia d'amore per noi che si è dispiegata nella storia della salvezza».

- Card. Carlo Maria Martini -



























Buona giornata a tutti :-)



venerdì 14 giugno 2024

Il Male a volte vuole che il bene sia fatto - Paulo Coelho

Il poeta persiano Rumi narra che, un giorno, Muawiya, il primo califfo della stirpe degli Omayyadi, mentre stava dormendo nel suo palazzo, fu svegliato da uno strano individuo.

"Chi sei?" gli domandò.
"Sono Lucifero" fu la risposta.
"E che cosa vuoi, qui?"
"È già l'ora della preghiera, e tu stai ancora dormendo."
Muawiya rimase stupito. Perché il Principe delle Tenebre - colui che sempre brama l'anima degli uomini di poca fede — cercava di aiutarlo a compiere un dovere religioso?
Ma Lucifero spiegò: 

"Ricorda che io sono stato creato come un angelo della luce. Nonostante ciò che mi è accaduto nel corso dell'esistenza, non posso dimenticare la mia origine. Un uomo può recarsi a Roma o a Gerusalemme, ma porta sempre nel cuore i valori della sua patria: la medesima cosa vale per me. Io amo ancora il Creatore, che mi ha nutrito nella gioventù e mi ha insegnato il Bene. Non mi ribellai contro di Lui, perché non lo amavo: anzi, al contrario, lo amavo così tanto che fui pervaso dalla gelosia quando creò Adamo. In quel momento, volli sfidare il Signore — e fu la mia rovina. Comunque, ricordo ancora le parole di benedizione che mi furono riservate un giorno, e forse agendo in modo buono ed equo potrei far ritorno in Paradiso."
Muawiya rispose:
"Mi è impossibile credere a ciò che dici. Tu sei responsabile della distruzione di molte persone sulla faccia della terra."
"Devi crederci, invece," insistette Lucifero. "Solo Dio può creare e distruggere, perché è l'Onnipotente.  Allorché creò l'uomo, fra gli attributi della vita, Egli introdusse il desiderio, la vendetta, la compassione e la paura. Di conseguenza, quando scorgi intorno a te il Male, non devi incolpare me: io sono soltanto lo specchio per le cose brutte che accadono."
Rendendosi conto che c'era qualcosa di strano e sbagliato in quella faccenda, Muawiya pregò con grande fervore, affinché Dio lo illuminasse.  Trascorse l'intera notte conversando e discutendo con Lucifero ma, nonostante le brillanti argomentazioni del suo interlocutore, non si lasciò convincere.
Quando stava per albeggiare, finalmente Lucifero cedette, spiegando:
"Va bene, hai ragione tu.  Ieri pomeriggio, quando sono venuto a svegliarti per non farti perdere la preghiera, non avevo certo l'intenzione di avvicinarti alla Luce Divina.  

Sapevo perfettamente che, se tu avessi trasgredito quel tuo dovere, saresti stato assalito da una tristezza profonda e, nei giorni successivi,  avresti pregato con il doppio della fede, invocando il perdono per aver dimenticato di onorare il sacro precetto. 

 Agli occhi di Dio, ciascuna di quelle preghiere recitate con amore e pentimento vale duecento orazioni mormorate in maniera automatica e ordinaria.  

Alla fine, saresti stato più puro e più ispirato, Dio ti avrebbe amato di più e io sarei stato ancora più lontano dalla tua anima."
Lucifero scomparve. Subito dopo, nella stanza si materializzò un angelo di luce:
"Non dimenticare mai la lezione di oggi," disse a Muawiya. "Talvolta il Male assume le sembianze di un emissario del Bene, ma la sua intenzione recondita resta quella di provocare un'enorme distruzione."
Quel giorno - e nelle giornate successive -, Muawiya pregò con pentimento, compassione e fede. 

Le sue preghiere furono udite mille volte da Dio.

- Paulo Coelho - 
da: “sono come il fiume che scorre” - Paulo Coelho


“Anche se avesse dovuto significare partenza, solitudine tristezza, l’amore valeva comunque ogni centesimo del suo prezzo. “

- Paulo Coelho - 

(Tratto dal libro”Sulla sponda del fiume Piedra mi sono seduta e ho pianto”



Buona giornata a tutti :-)


www.leggoerifletto.it




mercoledì 12 giugno 2024

Lettere dal carcere a Munevver - Nazim Hikmet

 Che sta facendo adesso
adesso, in questo momento?
É a casa? Per la strada ?
Al lavoro? In piedi? Sdraiata?
Forse sta alzando il braccio?

Amor mio
come appare in quel movimento
il polso bianco e rotondo!

Che sta facendo adesso
adesso, in questo momento?

Un gattino sulle ginocchia
Lei lo accarezza.
O forse sta camminando
ecco il piede che avanza.
Oh i tuoi piedi che mi son cari
che mi camminano sull’anima
che illuminano i miei giorni bui!
-
A che pensa?
-

A me? O forse…chi sa
ai fagioli che non si cuociono.
O forse si domanda
perché tanti sono infelici
sulla terra.
Che sta facendo adesso
adesso, in questo momento?

- Nazim Hikmet - 

Nazim Hikmet (primo a destra) nel Carcere di Bulsa -Turchia

Preghiera dietro le sbarre

«O Dio, dammi il coraggio di chiamarti Padre.
Sai che non sempre riesco a pensarti con l’attenzione che meriti.
Tu non ti sei dimenticato di me, anche se vivo spesso lontano dalla luce del tuo volto.
Fatti sentire vicino, nonostante tutto, nonostante il mio peccato grande o piccolo, segreto o pubblico che sia.
Dammi la pace interiore, quella che solo tu sai dare.
Dammi la forza di essere vero, sincero; strappa dal mio volto le maschere che oscurano la consapevolezza che io valgo qualcosa solo perché sono tuo figlio. Perdona le mie colpe e dammi insieme la possibilità di fare il bene.
Accorcia le mie notti insonni;
dammi la grazia della conversione del cuore.
Ricordati, Padre, di coloro che sono fuori di qui e che mi vogliono ancora bene, perché pensando a loro, io mi ricordi che solo l’amore da vita mentre l’odio distrugge e il rancore trasforma in inferno le lunghe e interminabili giornate.
Ricordati di me, o Dio, amen»

- Tommaso Notarstefano -


Fotografia: Anonimo dal web

Chi è Jacques Fesch? E' un giovane moderno, che a 24 anni commette un terribile delitto, epilogo di una vita vuota e senza ideali, piena di egoismo e di capricci. Ecco una veloce cronaca del delitto. 
Il 24 febbraio 1954 Jacques entra al mattino nel negozio di un cambiavalute e ordina un quantitativo d'oro. L'uomo si fida perché sa che alle spalle del giovane c'è un opadre facoltoso che può pagare. 
Nel pomeriggio dello stesso giorno Jacquaes torna per prelevare l'oro e approfittando di un momento di disattenzione del cambiavalute lo colpisce alla testa con il calcio della pistola del padre. 
Il cambiavalute reagisce urlando. Jacques fugge e si nasconde in un palazzo vicino fino a che è riconosciuto da un poliziotto accorso sul posto. All'ingiunzione di fermarsi Jacques spara e uccide l'agente di polizia. Intervengono poi altri agenti che lo catturano.
Perché questo delitto assurdo? 
Jacques voleva aprire una propria attività e chiede un grosso prestito al padre che glielo rifiuta. Sa che il figlio ha le mani bucate! Allora Jacques decide di compiere una rapina: di procurarsi i soldi con l'inganno.
Che cosa accade in carcere? 
Viene raggiunto dal cappellano ma egli lo rifiuta dicendo: "Io non ho la fede e non ho bisogno di lei!". Passano i giorni, chiuso tra quattro pareti, solo con la sua disperazione. 
Ma una notte: "Era una sera, nella mia cella... Nonostante tutte le catastrofi che da alcuni mesi si erano abbattute sulla mia testa, io restavo ateo. 
Ora quella sera, ero a letto con gli occhi aperti e soffrivo realmente per la prima volta nella mia vita per le conseguenze del mio delitto; ed è allora che un grido mi scaturì dal petto, un appello di soccorso: "Mio Dio, Mio Dio aiutami!". 
E istantaneamente, come un vento violento, che passa senza che si sappia dove viene, lo Spirito del Signore mi prese alla gola! Ho creduto e non capivo più come avessi fatto prima a non credere. 
La grazia mi ha visitato e una grande gioia s'è impossessata di me e soprattutto una grande pace". 
Quella notte Jacques udì una voce che gli diceva: "Tu ricevi le grazie della tua morte!". Una frase per lui incomprensibile, il cui senso capirà più tardi.
Inizia una nuova vita in Cristo. 
Il cambiamento di questo giovane è qualche cosa di straordinario: è una testimonianza di quanto Dio può operare. "Ora veramente ho la certezza di cominciare a vivere per la prima volta. Ho la pace e ho dato un senso alla mia vita, mentre prima non ero che un uomo morto!". 
Jacques organizza la vita in prigione come la vita in un monastero: si dà un orario per la preghiera, legge libri religiosi e la Bibbia, scrive lettere per dare conforto ai suoi famigliari, che stanno vivendo una grossa crisi, vuole soprattutto poter vivere per riparare il male fatto.
Arriva il giorno del processo: il 3 aprile 1957 si apre il processo che si conclude con la sua condanna a morte. In quel momento capisce la frase: "Tu ricevi le grazie della tua morte!". 
Jacques dopo un iniziale smarrimento vive la sentenza e la condanna come una vocazione ad amare fino in fondo la croce di Gesù. 
Egli desidera prepararsi spiritualmente alla sua morte e desidera salutare da vero cristiano tutti coloro che lo hanno amato e coloro a cui ha fatto del male. Scrive alla moglie e alla sua piccola figlia di 6 anni, si mette in contatto, tramite il suo avvocato anche con la famiglia del gendarme che lui ha ucciso per chiedere il perdono. 
Nonostante il grande cambiamento di vita che stupisce lo stesso presidente della Repubblica a cui era stata inoltrata la domanda di grazia, la sentenza viene confermata per il 30 settembre.

Le ultime ore: l'attesa dell'incontro con Gesù. 
"Ancora soltanto qualche ora di lotta, prima di conoscere Colui che è l'Amore. Oggi sarò in cielo. Cara mamma, innanzi tutto ti devo dire un grosso grazie per tutto l'amore di cui mi hai circondato in questi ultimi mesi... Tu sai che Gesù ha detto nel suo vangelo: Ero carcerato e siete venuti a visitarmi. 
Con queste righe io ti affido la mia bambina e mia moglie. Proteggile assiduamente. Amale in Dio e sii certa che di lassù io vi proteggerò e veglierò su di voi...". 
Alle 5,30 del mattino del 30 settembre le guardie carcerarie che sono venute a prenderlo per l'esecuzione capitale, lo trovano in ginocchio e in preghiera accanto al letto rifatto. 
Si confessa e riceve l'Eucarestia. 
Abbraccia il crocefisso e si avvia verso la ghigliottina... 
Le ultime sue parole: "Signore non abbandonarmi, io confido in te!".




Buona giornata a tutti. :-)