Camminai a lungo prima di arrivare in cima alla montagna dove nasce il fiume. Mentre salivo ricordavo le parole di Sirio nella capanna durante quella notte di luna di Notte Infinita: «La vita è uguale a un fiume che nasce come un piccolo rivolo sulle alte montagne dove tutto è pace, purezza e silenzio. Seguendo il suo corso sino al mare si può conoscere la vita. Ero partito all'alba, quando la natura ha ancora gli occhi semichiusi, e nell'aria si avverte il respiro lento del Creatore che pensa al nuovo giorno.
Lungo il sentiero sassoso che si snodava fra gli ulivi, a poca distanza dalle ultime case della pianura, un profumo acre di rosmarino e nepitella mi ricordava giorni lontani, quando con mio padre percorrevo queste strade per andare alla ricerca di qualcosa da mangiare. C'era la guerra, in Versilia, si era fermato il fronte; le strade erano vuote e la gente quasi tutta scappata sulle montagne.
Una mattina anche noi dovemmo lasciare la casa di mia nonna a Capriglia perché non era più sicura. Sulle montagne vicine, sopra Massa, i tedeschi sparavano colpi di cannone. Caricammo sopra un carretto i materassi e portammo poche cose, l'indispensabile per vivere, e con noi i nostri affetti familiari. La strada sterrata scendeva verso Valdicastello, la vicina valle protetta dalle montagne dove nacque Giosué Carducci, snodandosi in ampie curve, sfiorando gli ulivi che, muovendosi al vento, parevano d'argento. Era giugno, cantavano le cicale, nell'aria volava la lana dei pioppi che si ergevano rari lungo la via.
Ero piccolo, non capivo quello che stava accadendo nel mondo, ma provavo una grande angoscia, quando vedevo gli occhi di mia madre e di mio padre che si bagnavano di lacrime di paura. Tutto era legato a un filo, il domani non dava certezza e i giorni di festa parevano malati. Mentre scendevamo con quel carretto pesante che mio padre tratteneva a fatica, guardavo il mare distante che tremolava brillando: una inspiegabile nostalgia mi prese, il canto delle cicale e il profumo di rosmarino mi ricordavano cose lontane. La strada diventava sempre più ripida e il carretto sempre più pesante. Nei pressi di un casolare incontrammo un uomo che insegnò a mio padre come frenare le ruote con un robusto ramo posto trasversalmente nella parte anteriore e premuto contro i cerchioni grazie all'aiuto di una corda tenuta tra le mani.
L'avvicinarsi alla pianura faceva aumentare la nostra paura: laggiù i tedeschi nascondevano i loro cannoni; ogni tanto aerei inglesi sorvolavano la zona e potevamo sentire i colpi secchi e fitti delle mitragliatrici: a volte i bossoli cadevano fra i rami degli ulivi. Fortunatamente arrivammo sani e salvi a Valdicastello. Ricorderò sempre quel viaggio col carretto e mio padre che piangeva. A sera tornammo a prendere mia madre malata.
Quanti ricordi scorrono nella mia mente mentre salgo sulla montagna a cercare il fiume della vita. È un viaggio pieno di emozioni e di riflessioni: i palpiti dell'infanzia, gli ardori della giovinezza si uniscono alla calma della maturità.
Ma chi sono io? mi domandavo. Un falco roteava alto nel cielo. Che cosa cerco, e quale sarà il mio destino? Salivo, e la mia mente si apriva, e anche gli avvenimenti lontani mi apparivano molto vicini: credevo di ascoltare le parole di mia madre e mio padre che mi davano i primi insegnamenti della vita. Poi, a un tratto, mi fermai perché sul sentiero sassoso c'era un uccello che pigolava disperato. Era un fringuello, lo avevo riconosciuto dalle penne colorate. Da ragazzo ne avevo allevati tanti quando era il tempo dei nidi.
La montagna che dovevo raggiungere era lassù, nascosta tra le nuvole bianche. La sua vetta era viola, il suo profilo assomigliava a quello di un animale addormentato. Mano a mano che salivo, la vegetazione si faceva sempre più scarsa. Gli alberi, le felci, le siepi si diradavano, apparivano qua e là nude rocce. Ogni tanto mi fermavo ad ammirare la pianura e più giù il mare immenso; lontane, velate, scorgevo anche le isole. Tutto quel mondo silenzioso e disabitato aveva l'apparenza di un sogno. A tratti una voce pareva ripetermi le parole di Khalil Gibran:
Forse hai sentito parlare della montagna benedetta. Qualora tu ne raggiungessi mai la cima, proverai un solo desiderio scendere e ritrovarti con chi abita a valle. Ecco perché si chiama, la montagna benedetta.
Avevo intrapreso quel viaggio che desideravo da tempo al fine di cercare una spiegazione all'inquietudine, all'angoscia della mia esistenza. Forse non ho mai saputo che cosa sia la felicità; tante volte ho perduto il treno della serenità per cercare altri lidi lontani, e perdermi nel nulla.
“Tra un attimo e l'altro della vita c'è una speranza che attende un'altra speranza. In quel breve spazio abita spesso l'amore. Per ogni difficile amore c'è una speranza più grande che sta fra un attimo e l'altro del cuore.”
Una rosa dal mare
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