chiese il Padre Provinciale, entrando nella camera del malato.
- Ce ne stiamo andando, Padre.
- Dove?
- In Cielo... Se non me lo impediscono i miei peccati, spero, con la misericordia di Dio, di andar là.
Questa era la disposizione d'animo del giovane novizio della Compagnia di Gesù, che aveva forzosamente interrotto i suoi studi di teologia a causa di una grave malattia che da tre mesi lo costringeva a letto. Otto giorni prima, aveva predetto che questi sarebbero stati per lui gli ultimi.
Già al mattino aveva chiesto il Viatico, che gli fu portato solo nel pomeriggio, perché lo ritenevano ancora in salute. Trascorse il giorno con atti di fede, suppliche e adorazione. I padri gesuiti non si davano per vinti di perdere il santo fratello, e tentavano di persuaderlo che la sua ora non era ancora arrivata. Egli, inflessibile, rispondeva:
- Morirò questa notte. Morirò questa notte.
Padri e novizi di tutte le case, avendo saputo della predizione della sua morte, accorsero per accomiatarsi da lui, raccomandarsi alle sue preghiere e chiedere i suoi ultimi consigli. La malattia gli aveva minato la salute del corpo, ma l'anima cresceva in santità ad ogni momento che passava. Così, ascoltava tutti con affetto, promettendo di ricordarsi di loro una volta salito al Cielo.
Giunta la sera il Padre Rettore, vedendo che Luigi parlava ancora con facilità, concluse che non sarebbe morto quella notte e diede ordine ai fratelli di andare a dormire. Rimasero nella stanza soltanto due sacerdoti per aiutare l'infermo, oltre al suo confessore, San Roberto Bellarmino.
Luigi non nascondeva la sua profonda gioia: andare in Cielo, unirsi definitivamente con Dio era quello che più aveva desiderato durante la sua breve vita!
Passato un po' di tempo, disse al confessore:
- Padre, può fare l'orazione funebre.
Il sacerdote la fece subito, con molta partecipazione e devozione. Raccolto, calmo e fiducioso, Luigi attendeva il momento supremo, il quale non tardò ad arrivare: verso le otto di sera, con gli occhi fissi sul crocifisso che teneva stretto tra le mani, entrò serenamente nei terribili dolori dell'agonia. Nessun gemito gli uscì dalle labbra, il suo sguardo non si allontanò neppure per un istante da Colui che tanto aveva sofferto per noi sulla Croce. Pronunciando il Santissimo Nome di Gesù, consegnò la sua anima a Dio nella pace più completa.»
Tratto da Araldi del Vangelo
Preghiamo.
O Dio, distributore dei doni celesti, che nell'angelico giovane Luigi unisti
mirabile innocenza di vita a pari penitenza; per i suoi meriti e per le sue
preghiere concedici che, non avendolo seguito nell'innocenza, lo imitiamo
almeno nella penitenza.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con
te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.
21 giugno, San Luigi Gonzaga
Nell’autunno del 1585 a Castiglione
delle Stiviere e dintorni, fino a Mantova, girava una strana voce: Luigi, il
nobile rampollo primogenito del signore della città Ferrante Gonzaga, così
bravo e così promettente per il futuro della dinastia, stava per rinunciare al
diritto di successione, in favore di Rodolfo, il secondogenito. Era vera la
voce? Purtroppo sì, ma molti sudditi speravano di no. E invece, un brutto giorno
nel castello di San Giorgio, a Mantova, ebbe proprio luogo la solenne cerimonia
della rinuncia alla primogenitura. Grande fu il dolore della popolazione
semplice, che già lo stimava.
Dicevano infatti: “Non eravamo degni d’averlo per padrone... egli è un santo e
Dio ce lo ha tolto”.
Grande dolore (mista a delusione e... rabbia) da parte del padre: aveva posto
tutta la propria fiducia e il futuro della propria casata in quel ragazzo...
che ora voleva andarsene, per inseguire i suoi strani ideali, abbandonando
tutto, potere e lusso, onori e ricchezze, ambizione e gloria. Non riusciva
ancora a capire, e tanto meno ad accettare. Comprensibile invece la gioia di
Rodolfo, il soggetto privilegiato dalla decisione: d’improvviso e senza colpo
ferire si vedeva spalancata la porta che tanto sognava: diventare marchese e
signore di Castiglione delle Stiviere, con annessi diritti e connessi
privilegi. E questo grazie a quello “strano” fratello, Luigi, che una volta gli
rispose essere lui stesso quello più felice. Per inciso: la storia ci dirà che
dopo non molti anni l’uno finirà sugli altari (fu dichiarato Beato nel 1605 dal
Papa Paolo V), l’altro invece consumerà i suoi giorni scomunicato e infine
assassinato.
Per la verità, si era levata anche qualche voce critica verso quella decisione.
Ma Luigi aveva risposto:
“Cerco la salvezza, cercatela anche voi! Non si può servire a due padroni... È
troppo difficile salvarsi per un signore di Stato!”.
E molti capirono il messaggio.
Luigi, quando prese questa decisione, aveva 17 anni. E così, il 4 novembre
1585, si incamminò verso Roma, dove sarebbe entrato nella giovane Compagnia di
Gesù (i Gesuiti). Con sé portava una lettera del padre al Superiore Generale
dell’Ordine:
“Lo mando a Vostra Signoria Rev.ma che gli sarà Padre più utile di me... Ella
diviene padrone del più caro pegno che io abbia al mondo e della principale
speranza che io avessi nella conservazione di questa mia casa”.
Questo ci dà la misura della grandissima stima e aspettative da parte di tutti,
di cui godeva Luigi Gonzaga, e, date le sue doti, del brillante avvenire che
tutti sognavano per lui.
Grande stima, ammirazione e aspettative lo accompagneranno in quei pochi anni
che visse da gesuita.
Dopo la sua morte il padre Generale testimoniò:
“Io non pensai mai che dovesse morire di quella infermità, perché ritenevo per
certo che Dio Nostro Signore l’avesse chiamato alla Compagnia di Gesù per
dargli a suo tempo il governo di lei, per suo gran bene”.
Un’aspettativa non certo da poco: lo vedeva già, a suo tempo, superiore
generale ovvero successore del grande Ignazio di Loyola, il fondatore stesso
dei Gesuiti.
Nelle corti, per “aprire gli occhi”
Luigi nacque il 7 marzo 1568, figlio di Ferrante Gonzaga, marchese di
Castiglione delle Stiviere (presso Mantova), un uomo orgoglioso e duro, dedito
al gioco ma anche attaccato alla famiglia ed alla fede, e da Marta di Sàntena,
una contessa piemontese, donna molto buona e religiosa che lascerà una profonda
influenza sul figlio. Luigi era di intelligenza brillante e aperta, dal
carattere forte e focoso, talvolta ostinato e duro. Una volta fu udito
affermare: “Sono un pezzo di ferro contorto che deve essere raddrizzato”. Aveva
il destino già segnato: diventare marchese imperiale come il padre. E così fin
da bambino fu gradualmente fatto entrare in quel mondo nobile e dorato, spesso
corrotto e corruttore, dove non di rado regnava il culto dell’effimero e
dell’apparenza, il tutto condito di banalità e vanità. Luigi, ancora fanciullo,
conobbe la vita di corte di Firenze (1578, con i Medici) dove ebbe la
possibilità di giocare con le principessine Eleonora (futura duchessa di Mantova)
e con Maria de’ Medici (futura regina di Francia), a Mantova e poi anche a
Madrid, alla corte di Filippo II (1582).
Fu all’età di dieci anni che Luigi, nella chiesa dell’Annunziata proprio a
Firenze, si offrì a Dio, e spontaneamente “si consacrò a Maria, come Lei si era
consacrata a Dio”. Capiva quello che faceva? Certamente, giudicando dalla vita
che condusse dopo: intuiva bene il significato del gesto e fu sempre coerente
con esso. Intanto cresceva sempre più non solo il gusto della preghiera e della
meditazione ma anche una certa insofferenza per quel mondo circostante ricco e
gaudente, frivolo e futile nonché, spesso, spiritualmente vuoto.
Luigi si era proposto come ideale di seguire Cristo incondizionatamente e per
amore suo anche la povertà. Da Firenze passò a Mantova, e qui si ammalò. I
medici gli ordinarono una dieta durissima, a pane e acqua. Luigi approfittò
della situazione per imparare volontariamente a... fare penitenza, per amore a
Cristo Crocifisso. Qui poi ebbe la consolazione di fare la prima comunione
dalle mani del Card. Carlo Borromeo (San), in visita pastorale.
Intanto il mondo di corte gli stava sempre più stretto, ne intuiva i limiti
umani e spirituali, e anche i pericoli per sé, e così a poco a poco stava
maturando il proposito di rinunciare alla primogenitura. Ne parlò prima alla
madre, poi dovette sopportare le burla dei parenti e la inevitabile quanto
comprensibile violenta opposizione del padre. Questi era fiero di Luigi: ne
voleva fare un grande erede e la fortuna del marchesato. Le premesse di
intelligenza, cultura e capacità diplomatiche c’erano (cose che mancavano al
fratello). Ferrante Gonzaga era furioso solo alla prospettiva della rinuncia.
Tornati da Madrid (1584) ordinò ai due figli di fare un giro di cortesia per le
varie corti italiane. L’obiettivo ufficiale era “distrarre” un po’ Luigi, con
un’altra vita di corte magari più brillante, e, secondo motivo nemmeno troppo
segreto, la speranza che incrociasse gli sguardi e suscitasse l’interesse di
qualche bella principessa di sangue blu. Il ragazzo fu quindi spedito a
Mantova, a Parma, a Ferrara, a Pavia e a Torino, fresca capitale (dal 1563) dei
Savoia.
Ma Luigi al ritorno, anche davanti a tutto il parentado, fu irremovibile nel
suo proposito: rinuncia al marchesato per farsi religioso gesuita. A quel punto
pensarono, tristemente sospirando, che la vocazione di quel ragazzo così
intelligente e riflessivo, così calmo ma deciso, veniva proprio da Dio, e non
era un capriccio adolescenziale. E si rassegnarono.
Il motto: “Come gli altri”, cioè senza
privilegi
Luigi entrò nella Compagnia di Gesù nell’anno 1587, a Roma, dopo il noviziato.
Durante questo periodo i padri Gesuiti si accorsero subito di avere tra le mani
un vero gioiello spirituale. Non solo non aveva bisogno di tutti i discorsi di
stampo ascetico, ma il loro problema era di moderare ed equilibrare l’ardore
penitenziale che era già patrimonio spirituale del soggetto che dovevano
formare. E si crearono anche situazioni al limite dell’umorismo. Luigi era così
abituato alla penitenza e all’autocontrollo ascetico che i suoi formatori non
trovarono di meglio che proibirgli di... fare penitenza. Con il risultato che
per lui la vera penitenza era non fare penitenza.
E siccome soffriva di emicrania il padre spirituale gli consigliò di non
pensare troppo intensamente a Dio, con il risultato che doveva sforzarsi
maggiormente per obbedire... di non pensare a Dio, per amore di Dio. Confidava
ad un suo formatore anziano:
“Veramente io non so che fare. Il padre rettore mi proibisce di fare orazione,
acciò che con l’attenzione io non faccia violenza alla testa: ed io maggior
forza e violenza mi fo, mentre cerco di distraèr la mente da Dio che io tenerla
sempre raccolta in Dio, perché questo già per l’uso mi è quasi diventato
connaturale, e vi trovo quiete e riposo e non pena”.
Dio gli era così presente che giunse a pregare: “Allontanati da me, Signore”.
Non so quanti santi hanno osato pregare così, escludendo San Pietro, ma questi
aveva detto le stesse parole per altri ben noti motivi.
Luigi era già impegnato negli studi di teologia quando sulla città di Roma si
abbatté un’immane tragedia: prima la siccità, poi la carestia, infine
un’epidemia di tifo. Nell’opera di assistenza che i Gesuiti prestarono, fu
presente anche lui: sempre a fianco dei malati, specialmente i più ripugnanti e
i moribondi. Girava anche per i palazzi dei nobili a chiedere l’elemosina per
quei poveracci. Lo faceva seguendo, lui di sangue nobile, il motto: “Come gli
altri”, dimenticando cioè tutti i privilegi. Questo coraggio e questa forza,
anche fisica, sentiva che gli veniva da Dio stesso e dal Cristo che lui serviva
nei sofferenti. Fino a quando raccolse un moribondo, malato di peste, e se lo
caricò sulle spalle per portarlo all’ospedale. Probabilmente fu contagiato
proprio in quella circostanza.
La sua fine comunque arrivò velocemente ma non inaspettatamente. All’incontro
con Dio era preparatissimo e anche la morte non gli faceva paura tanto che a
tutti diceva “Me ne vado felice” e alla stessa madre, nell’ultima lettera,
raccomandava di non piangere il proprio figlio come morto ma come vivente e per
sempre felice davanti a Dio. Il giorno della sua nascita al cielo fu il 21
giugno 1591, assistito da San Roberto Bellarmino, uno dei grandi Gesuiti della
prima ora. Luigi Gonzaga fu un martire non della fede (anche se ne aveva tanta)
ma della carità, fino a donare la propria vita per il prossimo
Come si vede da questi piccoli tratti, qui la stoffa del giovane santo, secondo
tutti i canoni della santità cristiana, è facilmente riconoscibile e
proponibile. Invece non fu così.
Nel clima anticlericale dell’800 (e anche del primo ’900) la sua santità non
solo non fu riconosciuta ma fu ostacolata. In un certo senso ha fatto testo la
frase del Gioberti (1801-1852) che aveva scritto essere la santità del Gonzaga
“inutile e dannosa a imitarsi”. Invece, escludendo alcuni elementi (forse un
po’ esagerati) propri del suo carattere e del tempo in cui visse, i tratti
salienti della sua santità hanno un grande valore e sono proponibile anche ai
giovani di oggi, così bisognosi di veri e sostanziosi modelli da imitare, e non
di effimeri, superficiali e piccoli “eroi” creati ad hoc dall’onnipotente circo
mediatico e commerciale.
Autore: Mario Scudu
Io invoco su di te, mia Signora, il dono dello Spirito Santo e consolazioni
senza fine. Quando mi hanno portato la tua lettera, mi trovavo ancora in questa
regione di morti. Ma facciamoci animo e puntiamo le nostre aspirazioni verso il
cielo dove loderemo Dio eterno nella terra dei viventi...
La carità consiste, come dice San Paolo, nel “rallegrarsi con quelli che sono
nella gioia e nel piangere con quelli che sono nel pianto”. Perciò, madre
illustrissima, devi gioire grandemente perché per merito tuo, Dio mi indica la
vera felicità e mi libera dal timore di perderlo.
Ti confiderò, o illustrissima signora, che meditando le bontà divine, mare
senza fondo e senza confini, la mia mente si smarrisce. Non riesco a
capacitarmi come il Signore guardi alla mia piccola e breve fatica e mi premi
con il riposo eterno e dal cielo mi inviti a quella felicità che io fino ad ora
ho cercato con negligenza e offra a me, che assai poche lacrime ho sparso per
esso, quel tesoro che è il coronamento di grandi fatiche e pianto.
O illustrissima Signora, guardati dall’offendere l’infinita bontà divina,
piangendo come morto chi vive al cospetto di Dio e che con la sua intercessione
può venire incontro alle tue necessità molto più che in questa vita.
La separazione non sarà lunga. Ci rivedremo in cielo e insieme uniti all’autore
della nostra salvezza, godremo gioie immortali, lodandolo con tutta la capacità
dell’anima e cantando senza fine le sue grazie. Egli ci toglie quello che prima
ci aveva dato solo per riporlo in un luogo più sicuro ed inviolabile e per
ornarci di quei beni che noi stessi sceglieremo.
Ho detto queste cose solo per obbedire al mio ardente desiderio che tu, o
illustrissima signora e tutta la famiglia, consideriate la mia partenza come un
evento gioioso. E tu continua ad assistermi con la tua materna benedizione,
mentre sono in mare verso il porto di tutte le mie speranze. Ho preferito
scriverti perché niente mi è rimasto con cui manifestarti in modo più chiaro
l’amore ed il rispetto che, come figlio, devo alla mia madre.
PREGHIERA di Papa Giovanni Paolo II, santo
San Luigi, povero in spirito a te con fiducia ci rivolgiamo benedicendo il
Padre celeste perché in te ci ha offerto una prova eloquente del suo amore
misericordioso. Umile e confidente adoratore dei disegni del Cuore divino, ti
sei spogliato sin da adolescente di ogni onore mondano e di ogni terrena
fortuna. Hai rivestito il cilizio della perfetta castità, hai percorso la
strada dell’obbedienza, ti sei fatto povero per servire Iddio, tutto a lui
offrendo per amore.
Tu, puro di cuore, rendici liberi da ogni mondana schiavitù. Non permettere che
i giovani cadano vittime dell’odio e della violenza; non lasciare che essi
cedano alle lusinghe di facili e fallaci miraggi edonistici. Aiutali a
liberarsi da ogni sentimento torbido, difendili dall’egoismo che acceca,
salvali dal potere del Maligno.
Rendili testimoni della purezza del cuore.
Tu eroico apostolo della carità ottienici il dono della divina misericordia che
smuova i cuori induriti dall’egoismo e tenga desto in ciascuno l’anelito verso
la santità.
Fa’ che anche l’odierna generazione abbia il coraggio di andare contro
corrente, quando si tratta di spendere la vita, per costruire il Regno di
Cristo.
Sappia anch’essa condividere la tua stessa passione per l’uomo, riconoscendo in
lui, chiunque egli sia, la divina presenza di Cristo.
Con te invochiamo Maria, la Madre del Redentore.
A lei affidiamo l’anima e il corpo, ogni miseria ed angustia, la vita e la
morte, perché tutto in noi, come avvenne in te, si compia a gloria di Dio, che
vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.
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