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mercoledì 7 giugno 2017

La libertà - Gustave Thibon

La parola libertà corrisponde a uno dei bisogni più profondi della natura umana. Ed è forse per questo che essa dà luogo a così tanta confusione e a tanti abusi.
Che cos’è la libertà? 
Non è l’indipendenza assoluta, poiché noi tutti dipendiamo da qualcuno o qualcosa: dall’aria che respiriamo, dal mestiere che facciamo, dagli esseri che ci circondano e dalla società umana tutta intera con la quale scambiamo quotidianamente dei servizi.
L’uomo si sente libero nella misura in cui può amare le cose e gli esseri da cui dipende: per esempio quando vive in ambiente a lui consono, quando esercita un mestiere che risponde alla propria vocazione interiore, quando sposa la donna di cui è innamorato ecc. 
Viceversa, sperimenta una sensazione di coercizione e schiavitù quando è vincolato, per via delle necessità dell’esistenza. a funzioni o a persone che gli ripugnano. 
Colui che non possiede la vocazione militare si sente schiavo in caserma; allo stesso modo, per chi non ama più la propria sposa i vincoli del matrimonio diventano delle catene.
Così, quando rivendichiamo la nostra libertà non è l’indipendenza assoluta che domandiamo: è la facoltà di passare da una dipendenza che rifiutiamo a una dipendenza che ci attrae.
Gli esempi di questo stato d’animo sono innumerevoli. Il bambino pigro che a scuola si annoia prova un vivo sentimento di liberazione quando gli viene permesso di giocare o di gironzolare. Tuttavia egli è schiavo di quell’istinto che lo spinge verso il gioco e il bighellonare.
La giovane « emancipata » che si ribella all’autorità dei genitori o alle regole della morale non reclama la libertà che per obbedire in maniera più servile agli idoli di una certa gioventù: la danza, il cinema, i flirt ecc.
Il teppista che rifiuta di obbedire alle leggi della società per entrare in una banda di malfattori si sottomette facilmente alle « leggi della malavita ».
Allo stesso modo, l’uomo che desidera disfarsi della propria donna allo scopo di sposare l’amante non è libero nei confronti della passione per la quale distrugge il focolare domestico.
Questi pochi esempi sono sufficienti a mostrare le schiavitù che ci minacciano sotto il nome e la maschera della libertà.
Essere libero significa poter fare ciò che si desidera. Occorre dunque vigilare sulla qualità e sull’orientamento dei nostri desideri. La libertà non è altro che la capacità di scegliere tra due obbedienze: se, nel negarci agli appelli che ci vengono dall’alto, rifiutiamo di essere servitori del vero e del bene, cadiamo sotto l’imperio delle passioni inferiori che ci rendono schiavi dell’errore e del male.
La parola libero in greco si dice autonomos: colui che obbedisce alla propria legge. 
Ma la legge dell’uomo, creata a immagine di Dio, vuol dire obbedire alla legge di Dio, equivale cioè ad amare e a servire. 

Ed è in questo senso che Seneca diceva: parere Deo libertas est. 
La libertà è obbedire a Dio.

- Gustave Thibon -
4 febbraio 1977
(Articolo originale: La liberté, « Itinéraires », n. 214, giugno 1977; traduzione redazionale)

© Copyright Henri de Lovinfosse, Waasmunster (Belgique)


"Non esiste per l'uomo indipendenza assoluta (un essere finito che non dipenda da nulla, sarebbe un essere separato da tutto, eliminato cioè dall' esistenza). Ma esiste una dipendenza morta che lo opprime e una dipendenza viva che lo fa sbocciare. 
La prima di queste dipendenze è schiavitù, la seconda è libertà...
Il fanciullo studioso corre liberamente alla scuola, il vero soldato si adatta amorosamente alla disciplina, gli sposi che si amano fioriscono nei "legami" del matrimonio. 
Ma la scuola, la caserma e la famiglia sono orribili prigioni per lo scolaro, il soldato o gli sposi senza vocazione. 
L'uomo non è libero nella misura in cui non dipende da nulla o da nessuno: è libero nell'esatta misura in cui dipende da ciò che ama, ed è prigioniero nell'esatta misura in cui dipende da ciò che non può amare. 
Così il problema della libertà non si pone in termini di indipendenza, ma in termini di amore." 

- Gustave Thibon - 





Ave Maria,
Madre di ogni nostro desiderio di felicità.
Tu sei la terra che dice sì alla vita.
Tu sei l’umanità che da il suo consenso a Dio.
Tu sei la nuova Eva e la madre dei viventi.
Tu sei la fede che accoglie l’imprevedibile,
ascolta lo Spirito creatore e si meraviglia.
Tu sei la Madre delle oscurità della fede,
che custodisce tutti gli avvenimenti nel suo cuore, 
indaga e medita tutti i nostri “perché?”
e si fida dell’avvenire di Dio, suo Signore.
Ave Maria, 
Madre di tutte le nostre sofferenze.
Tu sei la donna ritta ai piedi dell’uomo crocifisso,
tu sei la madre di tutti quelli che piangono
l’innocente massacrato e il prigioniero torturato.
Ave Maria, 
Madre di tutte le nostre speranze.
Tu sei la stella radiosa di un popolo
in cammino verso Dio.
Tu sei l’annuncio dell’umanità trasfigurata,
tu sei la riuscita della creazione
che Dio ha fatto per la sua eternità.


- Michel Hubaut, ofm -





Buona giornata a tutti. :-)









giovedì 6 ottobre 2016

Il controllo dei media - Noam Chomsky -

Il ruolo dei mezzi di comunicazione nella politica contemporanea ci costringe a chiederci in che tipo di mondo e in che genere di società vogliamo vivere e in particolare cosa intendiamo per società democratica. 
Comincerò con il contrapporre due diverse concezioni di democrazia. 
Una definisce democratica la società in cui il popolo ha i mezzi per partecipare in modo significativo alla gestione dei propri interessi e in cui i media sono accessibili e liberi. 
Una definizione di questo tipo si trova anche sul dizionario.
La concezione alternativa è quella che prevede una società in cui al popolo è proibito gestire i propri interessi e i mezzi di comunicazione sono strettamente e rigidamente controllati. 
Questa può apparire una forma di democrazia improbabile, ma è importante comprendere che si tratta della concezione prevalente. E lo è da lungo tempo, non solo nella prassi, ma anche nella teoria. Una lunga storia, risalente alle prime rivoluzioni democratiche moderne nell'Inghilterra del XVII secolo, riflette questa ideologia.
Nelle pagine che seguono mi occuperò del periodo contemporaneo, soffermandomi in particolare sullo sviluppo della seconda concezione di democrazia, e su come e perché il problema dei media e della disinformazione si inserisce in questo contesto.


- Noam Chomsky - 
da "Atti di aggressione e di controllo", Ed. Marco Tropea

La nascita della propaganda

Cominciamo con la prima operazione propagandistica di un governo moderno. Accadde durante l'amministrazione di Woodrow Wilson, che fu eletto presidente nel 1916 con un programma intitolato "Pace senza vittoria". La Prima guerra mondiale infuriava, e la popolazione americana era decisamente pacifista: riteneva che non ci fosse alcun motivo per farsi coinvolgere in un conflitto europeo. L'amministrazione Wilson invece era favorevole alla guerra, perciò doveva trovare un modo per ottenere il consenso popolare al proprio interventismo. Fu dunque istituita una commissione governativa per la propaganda, la Commissione Creel, che nel giro di sei mesi riuscì a trasformare una popolazione pacifista in un popolo fanatico e guerrafondaio, deciso a distruggere tutto quanto appartenesse alla Germania, a trucidare i tedeschi, a entrare in guerra e a salvare il mondo. Fu un grande risultato, il primo di una lunga serie. Già a quell'epoca e nel dopoguerra vennero utilizzate le stesse tecniche per scatenare un incontrollato red scare ("terrore rosso"), come fu chiamato, che riuscì a distruggere i sindacati e a cancellare pericolose abitudini come la libertà di stampa e la libertà di pensiero politico. L'appoggio dei media e del mondo degli affari, che di fatto organizzò e portò avanti gran parte dell'operazione, fu determinante, e il risultato fu un grande successo.
Fra quelli che parteciparono attivamente e con entusiasmo alla propaganda voluta da Wilson c'erano gli intellettuali progressisti, persone del circolo di John Dewey, i quali, come testimoniano i loro stessi scritti dell'epoca, erano molto orgogliosi di poter dimostrare che "i più intelligenti membri della comunità", cioè loro stessi, erano capaci di indurre alla guerra una popolazione riluttante, terrorizzandola e suscitando un fanatismo oltranzista. Il dispiegamento di mezzi fu ingente; per esempio, furono divulgate terribili storie sulle atrocità commesse dai tedeschi, cronache di bambini belgi con le braccia strappate e altri orrori di ogni sorta, che si trovano ancora nei libri di storia. Molte di quelle invenzioni erano frutto del ministero della Propaganda britannico, il cui impegno a quel tempo era finalizzato, come venne precisato nelle deliberazioni segrete, a "indirizzare il pensiero della maggioranza del mondo". Ma soprattutto miravano a controllare il pensiero dei membri più intelligenti della comunità statunitense, che avrebbero poi diffuso la propaganda da loro escogitata e convertito un paese pacifista all'isteria di guerra. Funzionò. Funzionò tutto perfettamente, e fu una lezione: la propaganda di stato, quando è appoggiata dalle classi colte e non lascia spazio al dissenso, può avere un effetto dirompente. Una lezione che Hitler e molti altri appresero a fondo e di cui si tiene conto ancora oggi.

- Noam Chomsky - 
capitolo 3 del libro intitolato "Atti di aggressione e di controllo", Ed. Marco Tropea


“È facile dire che quello che occorre è la Democrazia, ma è meno facile affrontare il fatto indiscutibile che la Democrazia è limitata allorché le risorse e i mezzi di comunicazione sono concentrati in poche mani.”  

- Noam Chomsky  -



Buona giornata a tutti. :-)


mercoledì 24 agosto 2016

da: Il gabbiano Jonathan Livingston - Richard Bach -

Era di primo mattino, e il sole appena sorto luccicava tremolando sulle scaglie del mare appena increspato. A un miglio dalla costa un peschereccio arrancava verso il largo.
E fu data la voce allo Stormo. E in men che non si dica tutto lo Stormo Buonappetito si adunò, si diedero a giostrare ed accanirsi per beccare qualcosa da mangiare. Cominciava così una nuova dura giornata. Ma lontano di là soletto, lontano dalla costa e dalla barca, un gabbiano si stava allenando per suo conto: era il gabbiano Jonathan Livingston. Si trovava a una trentina di metri d’altezza: distese le zampette palmate, aderse il becco, si tese in uno sforzo doloroso per imprimere alle ali una torsione tale da consentirgli di volare lento. E infatti rallentò tanto che il vento divenne un fruscìo lieve intorno a lui, tanto che il mare ristava immoto sotto le sue ali.
Strinse gli occhi, si concentrò intensamente, trattenne il fiato, compì ancora uno sforzo per accrescere solo… d’un paio… di centimetri… quella… penosa torsione e…
D’un tratto gli si arruffano le penne, entra in stallo e precipita giù. I gabbiani, lo sapete anche voi, non vacillano, non stallano mai. Stallare, scomporsi in volo, per loro è una vergogna, è un disonore.

Ma il gabbiano Jonathan Livingston – che faccia tosta, eccolo là che ci riprova ancora, tende e torce le ali per aumentarne la superficie, vibra tutto nello sforzo e patapunf stalla di nuovo – no, non era un uccello come tanti.
La maggior parte dei gabbiani non si danno la pena di apprendere, del volo, altro che le nozioni elementari: gli basta arrivare dalla costa a dov’è il cibo e poi tornare a casa.

- Richard Bach - 
da: Il gabbiano Jonathan Livingston




Per la maggior parte dei gabbiani, volare non conta, conta mangiare. 
A quel gabbiano lì, invece, non importava tanto procurarsi il cibo, quanto volare. Più d’ogni altra cosa al mondo, a Jonathan Livingston piaceva librarsi nel cielo. 
Ma a sue spese scoprì che, a pensarla in quel modo, non è facile poi trovare amici, fra gli altri uccelli.
E anche i suoi genitori erano afflitti a vederlo così: che passava giornate intere tutto solo, dietro i suoi esperimenti, quei suoi voli planati a bassa quota, provando e riprovando.

- Richard Bach - 
da: Il gabbiano Jonathan Livingston



Mettere in pratica l’amore voleva dire rendere partecipe
della verità da lui appresa, conquistata,
qualche altro gabbiano che a quella stessa verità anelasse.

- Richard Bach - 
da: Il gabbiano Jonathan Livingston


Solo un paio di considerazioni su questo bel libro. Jonathan non è un ribelle: è solo un giovane gabbiano che compie ciò che "sente" di dover fare, seguendo il suo istinto, la sua mente, il suo cuore, anche se spesso questo comporta a dover fare scelte sofferte ed anche coraggiose. 
Lo stesso Bach, autore del libro, dedica la sua opera al "vero gabbiano Jonathan, che vive nel profondo di tutti noi". 
Dovremmo tutti avere il coraggio di certe azioni, senza il timore di non riuscire nel nostro intento o di rimanerne delusi. 
Solo con il coraggio riusciremo a vedere tutte quelle cose che ci faranno sentire finalmente vivi, e saremo capaci di far volare lontano quel gabbiano che è dentro nel nostro cuore.


Buona giornata a tutti. :-)




sabato 6 agosto 2016

Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare (pagg.91,92,93) - Luis Sepùlveda

Non hai fame, Fortunata? Ci sono i calamari – spiegò Zorba.
La gabbianella non aprì becco.
Ti sentì male? – insistè preoccupato Zorba – Sei malata?
Vuoi che mangi per farmi ingrassare? – domandò lei senza guardalo.
Perché tu cresca sana e forte – rispose Zorba.
E quando sarò grassa, inviterai i topi a mangiarmi? – stridette con i lucciconi agli occhi.
Da dove tiri fuori queste sciocchezze? - miagolò deciso Zorba.
Lì per lì per scoppiare a piangere. Fortunata gli riferì tutto quello che Mattia le aveva strillato. Zorba le leccò le lacrime e all’improvviso si sentì miagolare come non aveva mai fatto prima.
Sei una gabbiana. Su questo lo scimpanzé  ha ragione, ma solo su questo. Ti vogliamo tutti bene, Fortunata. E ti vogliamo bene perché sei una gabbiana, una bella gabbiana.
Non ti abbiamo contraddetto quando ti abbiamo sentito stridere che eri un gatto, perché ci lusinga che tu voglia essere come noi, ma sei diversa e ci piace che tu sia diversa.
Non abbiamo potuto aiutare tua madre, ma te sì.
Ti abbiamo protetta fin da quando sei uscita dall'uovo.
Ti abbiamo dato tutto il nostro affetto senza alcuna intenzione di fare di te un gatto.
Ti vogliamo gabbiana.
Sentiamo che anche tu ci vuoi bene, che siamo i tuoi amici, la tua famiglia, ed è bene tu sappia che con te abbiamo imparato qualcosa che ci riempie di orgoglio: abbiamo imparato ad apprezzare, a rispettare e ad amare un essere diverso.
È molto facile accettare e amare chi è uguale a noi, ma con qualcuno che è diverso è molto difficile, e tu ci hai aiutato a farlo.
Sei una gabbiana e devi seguire il tuo destino di gabbiana.
Devi volare. Quando ci riuscirai, Fortunata, ti assicuro che sarai felice, e allora i tuoi sentimenti verso di noi e i nostri verso di te saranno più intensi e più belli, perché sarà l'affetto tra esseri completamente diversi.
Volare mi fa paura – stridette Fortunata alzandosi.
Quando succederà, io sarò accanto a te – miagolò Zorba leccandole la testa – L’ho promesso a tua madre. –
La gabbianella e il gatto nero grande e grosso iniziarono a camminare. Lui le leccava teneramente la testa, e lei gli copriva il dorso con una delle sue ali tese.
(Luis Sepùlveda)
Fonte: Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare,Luis Sepùlveda, Salani Editore (pagg.91,92,93)



Ora volerai, Fortunata.
Respira.
Senti la pioggia.
È acqua.
Nella tua vita avrai molti motivi per essere felice, uno di questi si chiama acqua, un altro si chiama vento, un altro ancora si chiama sole ed arriva sempre come ricompensa dopo la pioggia.
Apri le ali…
Ora volerai.
Il cielo sarà tutto tuo.
- Luis Sepùlveda -





La trama del libro (in brevissimo):
La gabbiana Kengah con le ali sporche di petrolio riesce, con le ultime forze, a raggiungere la città di Amburgo e precipita sul balcone di una casa dove abita il gatto Zorba.
Prima di morire, la povera gabbiana riesce ad affidare il suo primo (e ultimo) uovo a Zorba, dopo avergli strappato tre importanti promesse:
1) Di non mangiare l’uovo
2) Di averne cura finché non nascerà la gabbianella
3) Di insegnarle a volare.
Con grande amore il gattone “cova” l’uovo e così nasce Fortunata.
Zorba, con l’aiuto dei gatti del porto,  riesce ad allevare e a proteggere la gabbianella che cresce nella convinzione di essere un gatto.
Un brutto giorno la scimmia Mattia (invidiosa,  antipatica, bisbetica e un po’ cattiva)  le rivela la verità: sei adottata....non sei un gatto ma un gabbiano… i gatti del porto ti allevano per mangiarti…


Buona giornata a tutti. :-)





venerdì 6 maggio 2016

A tutti gli illusi - Corrado d'Elia

A tutti gli illusi, a quelli che parlano al vento.
Ai pazzi per amore, ai visionari,
A coloro che darebbero la vita per realizzare un sogno.
Ai reietti, ai respinti, agli esclusi. 

Ai folli veri o presunti.
Agli uomini di cuore,
A coloro che si ostinano a credere nel sentimento puro.
A tutti quelli che ancora si commuovono.
Un omaggio ai grandi slanci, alle idee e ai sogni.
A chi non si arrende mai, a chi viene deriso e giudicato.
Ai poeti del quotidiano.
Ai “vincibili” dunque, e anche
Agli sconfitti che sono pronti a risorgere e a combattere di nuovo.
Agli eroi dimenticati e ai vagabondi.
A chi dopo aver combattuto e perso per i propri ideali, ancora si sente invincibile.
A chi non ha paura di dire quello che pensa.
A chi ha fatto il giro del mondo e a chi un giorno lo farà.
A chi non vuol distinguere tra realtà e finzione.
A tutti i cavalieri erranti.
In qualche modo, forse è giusto e ci sta bene…
a tutti i teatranti.

- Corrado d'Elia - 
dallo spettacolo-monologo "Don Chisciotte, diario intimo di un sognatore" 
di Corrado d'Elia, registra, attore e drammaturgo 

(erroneamente attribuito come tratto dal "don Chisciotte" di Miguel de Cervantes)





Ricorda, caro mio Sancho, chi vale di più, deve fare di più.


- Miguel de Cervantes - 
da : “Don Chisciotte”



“La libertà è uno dei doni più preziosi dal cielo concesso agli uomini: i tesori tutti che si trovano in terra o che stanno ricoperti dal mare non le si possono agguagliare: e per la libertà, come per l'onore, si può avventurare la vita, quando per lo contrario la schiavitù è il peggior male che possa arrivare agli uomini.” 


- Miguel de Cervantes - 
da : “Don Chisciotte”




Vergine del silenzio - San Giovanni Paolo II

Santa Maria,
Vergine del silenzio e di misteriosa pace:
addolorata forte fedele,
attendi presso il sepolcro,
dove tace la Parola e giace il Santo di Dio.
Attendi vigile
che dal buio scaturisca la Luce,
dalla terra germogli la Vita.
Attendi l’alba del giorno senza tramonto,
l’ora del parto dell’umanità nuova.
Attendi di vedere nel Figlio risorto
il volto nuovo dell’uomo redento,
di udire il nuovo saluto di pace,
di cantare il nuovo canto di gloria.
Vergine dello Spirito, icona della Chiesa,
implora per noi la tua fede nella Parola,
la tua speranza nel Regno,
il tuo amore per Dio e per l’uomo.
A te, gloriosa Madre di Dio,
beata per la fede,
donna della pietà immensa,
la nostra lode perenne e grata. Amen.

- San Giovanni Paolo II, papa -

(Via Crucis del Venerdì Santo 1991)

Buona giornata a tutti. :-)




lunedì 25 aprile 2016

Il prezzo della libertà

C'era una volta un aquilone. Era legato ad un filo sottile e si librava nell'aria, come danzando, pilotato dolcemente dalle mani esperte di un piccolo uomo, il suo creatore. 
L'aquilone gioiva nel vederlo sorridere mentre lui danzava, ma un giorno sentì il desiderio di andare più in alto, di volare da solo e si accorse che quel filo, quel filo sottile glielo impediva.
D'un tratto quell'esile filo che era stato l'unione col suo creatore divenne per lui come una catena opprimente. 
L'aquilone cominciò a dimenarsi, a dare strattoni, ad imprecare contro quel piccolo uomo che lo teneva prigioniero. Tanto si agitò che ad un certo punto il filo si spezzò.
L'aquilone cominciò a volare da solo, finalmente libero, felice di danzare nel vento senza catene.
Il piccolo uomo lo chiamava, supplicandolo di non andare troppo in alto, ma egli, ormai libero, non ascoltava le sue parole.
Improvvisamente il vento divenne più forte e cominciò a sbatterlo da ogni parte, a trascinarlo in una folle corsa.
Avrebbe voluto rallentare, fermarsi per un attimo, ma non poteva.
Il vento lo feriva con le sue raffiche mortali, lo mandava a sbattere contro le cime degli alberi e non poteva scansarle. 
I rami aguzzi gli strappavano brandelli di carta, mettevano a dura prova il suo esile scheletro.
L'aquilone cominciò ad aver paura, a pensare che presto il suo volo sarebbe finito per sempre.
Guardò giù e, sotto di sé, vide il piccolo uomo che correva affannosamente, cercando di non perderlo di vista.
Provò nostalgia per quel viso sorridente, ma il vento non gli dava tregua, sembrava divertirsi a tormentarlo.
All'improvviso il vento cominciò a scemare e l'aquilone pensò che presto si sarebbe finalmente fermato. Guardò diritto davanti a sé e vide una grossa pozzanghera che sì faceva sempre più vicina.
Provò un brivido di terrore, ma non poteva cambiare strada. L'acqua lo accolse in un abbraccio mortale e sentì la carta rammollirsi, disfarsi lentamente.
E' la fine, - pensò - ma poi, improvvisamente si sentì sollevato delicatamente da una mano familiare. Il piccolo uomo, tutto sporco di fango, lo asciugò pazientemente, curò le sue ferite, sistemò il suo esile scheletro e lo legò di nuovo con quel piccolo filo.
Passarono i giorni e l'aquilone tornò a volare legato a quel filo sottile, tra le mani del piccolo uomo. Capì che era bello volare insieme a lui, danzare per lui e quel filo sottile non gli sembrò più una catena crudele, ma un appiglio sicuro, un rifugio contro le avversità.
Aveva capito, finalmente, che la libertà è bella, ma ha un prezzo, che occorre pagare.

Fonte: Segno nel mondo, Soci, Anno V n. 2 del 31/01/1995





La famiglia, dunque, è composta da un uomo e una donna uniti nel vincolo del matrimonio con fine oblativo per procreare. Altri tipi di unione non hanno motivo di definirsi famiglia, queste cose non le ho inventate io, le ha fatte la natura e contro di essa, visto che va di moda l’ecologismo, non possiamo andare.

- Mons. Paolo Atzei - 
Vescovo di Sassari


La vocazione del custodire è l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. Ed è il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo. Ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio! 

- Papa Francesco - 



In realtà noi non possiamo distinguere una legge buona da una cattiva in nessun altro modo se non in base ad una norma della natura; non solo il giusto e l’ingiusto vengono distinti per natura, ma anche tutto ciò che è buono e ciò che è turpe  […] pensare che queste cose siano frutto dell’opinione 
e non poste dalla natura, è da pazzi.

- Cicerone - 



«Non abbiate paura di apparire diversi e di venire criticati per ciò che può sembrare perdente o fuori moda: coloro che sembrano più lontani dalla mentalità e dai valori del Vangelo, hanno un profondo bisogno di vedere qualcuno che osi vivere secondo la pienezza di umanità manifestata da Gesù Cristo.»

- Papa Benedetto XVI -


.. c'è una dittatura dolce in giro, lenta e inesorabile, che esautora il Parlamento, che si regge sul sostegno dei benestanti, che si alimenta di corruttele e di saltimbanchi, che se ne frega dei poveri, che vende armi nel mondo, che ci nutre di menzogne, che ingrassa i bilanci delle banche e del malaffare, che deturpa il creato e le coscienze, che illude le nuove generazioni cancellando il passato e il futuro .. sì, c'è una dittatura implacabile e liquida in giro, che ha prenotato il suo tempo per il prossimo ventennio .. e forse, delusa e oltraggiata, non tornerà più la nostra affaticata democrazia ..

- Benito Fusco - 




Buona giornata a tutti. :-)