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venerdì 17 aprile 2020

Piccolissimo omaggio a un grande scrittore Luis Sepùlveda


La più bella storia d'amore

L’ultima nota del tuo addio
mi disse che non sapevo nulla
e che arrivavo
al tempo necessario
di imparare i perché della materia.
Così, fra pietra e pietra
seppi che sommare è unire
e che sottrarre ci lascia
soli e vuoti.
Che i colori riflettono
l’ingenua volontà dell’occhio.
Che i solfeggi e i sol
raddoppiano la fame dell’orecchio
Che è la strada e la polvere
la ragione dei passi.
Che la via più breve
fra due punti
è il giro che li unisce
in un abbraccio sorpreso.
Che due più due
può essere un pezzo di Vivaldi.
Che i geni gentili
stanno nelle bottiglie di buon vino.
Una volta imparato tutto questo
tornai a disfare l’eco del tuo addio
e al suo posto palpitante scrissi
la Più Bella Storia d’Amore
ma, come dice l’adagio,
non si finisce mai
d’imparare e aver dubbi.
Così, ancora una volta
facilmente come nasce una rosa
o si morde la coda una stella cadente,
seppi che la mia opera era scritta
perché La Più Bella Storia d’Amore
è possibile solo
nella serena e inquietante
calligrafia dei tuoi occhi.

- Luis Sepúlveda -


In un prato vicino a casa tua o a casa mia viveva una colonia di lumache sicurissime di trovarsi nel posto migliore del mondo. 

Nessuna di loro si era mai spinta fino al limitare del prato, né tanto meno fino alla strada asfaltata che iniziava proprio là dove crescevano gli ultimi fili d'erba. 
E siccome non avevano viaggiato non potevano fare confronti, quindi ignoravano che per gli scoiattoli il posto migliore era sulla cima dei faggi, o che per le api non c'era posto più piacevole delle arnie di legno disposte in fila dall'altra parte del prato.

- Luis Sepúlveda -

da: Storia di una lumaca che scoprì l'importanza della lentezza, ed. Guanda





"Me ne vado, e tornerò soltanto quando saprò perché siamo così lente, e quando avrò un nome."

Così annuncia alle compagne la sua decisione di allontanarsi la nostra lumaca, suscitando disapprovazione e anche sarcasmo.
Lentamente, molto lentamente, abbandona il rigoglioso prato e la protezione del calicanto e si incammina verso l'ignoto. Vuole incontrare chi potrà offrire una risposta alle sue domande.



- Luis Sepúlveda -


da: Storia di una lumaca che scoprì l'importanza della lentezza, editore Guanda


Lungo la strada incontrerà animali diversi, tra i quali un gufo un po' triste e una tartaruga molto saggia chiamata Memoria. Sarà lei a battezzarla e a dare un senso alla sua ricerca, mostrandole il grave rischio che incombe sul piccolo pezzo di terra in cui vive in pace la colonia di lumache: "La mia lentezza è servita a incontrarti, a farmi dare un nome da te, a farmi mostrare il pericolo, e ora so che devo avvertire le mie compagne."







TITOLO PRIMO Il cielo, che gravava minaccioso a pochi palmi dalle teste, sembrava una pancia d'asino rigonfia. 
Il vento, tiepido e appiccicoso, spazzava via alcune foglie morte e scuoteva con violenza i banani rachitici che decoravano la facciata del municipio. 
I pochi abitanti di El Idilio, e un pugno di avventurieri arrivati dai dintorni, si erano riuniti sul molo e aspettavano il loro turno per sedersi sulla poltrona portatile del dottor Rubicundo Loachamín, il dentista, che leniva i dolori dei suoi pazienti con una curiosa sorta di anestesia orale. «Ti fa male?» chiedeva. I pazienti, aggrappati ai braccioli della poltrona, rispondevano spalancando smisuratamente gli occhi e sudando a fiumi. Alcuni volevano togliersi dalla bocca le mani insolenti del dentista per rispondergli con un insulto adeguato, ma le loro intenzioni si scontravano con le braccia robuste e la voce autoritaria dell'odontoiatra. «Sta' fermo, cazzo! Via le mani! Lo so che fa male. E di chi è la colpa? Vediamo un po'. Mia? No. È del Governo! Ficcatelo bene nella zucca. È colpa del Governo se hai i denti marci. È colpa del Governo se ti fa male.» 
Allora assentivano afflitti, chiudendo gli occhi o annuendo leggermente. Il dottor Loachamín odiava il Governo. Odiava tutti i governi dal primo all'ultimo. Figlio illegittimo di un emigrante iberico, aveva ereditato dal padre una tremenda rabbia contro tutto quello che sapeva di autorità, ma i motivi di quell'odio si erano smarriti in qualche baldoria giovanile, e i suoi sproloqui di anarchico si erano trasformati in una specie di verruca morale, che lo rendeva simpatico. Vociferava continuamente contro il governo di turno e contro i gringos che a volte arrivavano dagli impianti petroliferi del Coca, forestieri sfacciati che fotografavano senza permesso le bocche spalancate dei suoi pazienti. Accanto a lui, lo scarso equipaggio del Sucre caricava caschi di banane verdi e sacchi di caffè in chicchi. Sul molo, da una parte, erano ammucchiate le casse di birra, di acquavite Frontera, di sale e le bombole di gas sbarcate in precedenza. 
Il Sucre sarebbe salpato non appena il dentista avesse finito di aggiustare ganasce, avrebbe risalito le acque del fiume Nangaritza per immettersi poi nel Zamora, e dopo quattro giorni di lenta navigazione avrebbe raggiunto il porto fluviale di El Dorado. 
La barca, una vecchia bagnarola mossa dalla decisione del capomeccanico, dallo sforzo dei due uomini robusti che formavano l'equipaggio, e dalla volontà tisica di un vecchio motore diesel, non sarebbe tornata fin dopo la stagione delle piogge, che già si preannunciava nel cielo coperto. 
Il dottor Rubicundo Loachamín visitava El Idilio due volte l'anno, come il postino, che raramente portava corrispondenza per qualche abitante. 
Dalla sua borsa scalcagnata apparivano soltanto documenti ufficiali destinati al sindaco, o i ritratti austeri e scoloriti dall'umidità dei governanti di turno. 
La gente aspettava l'arrivo della barca con la sola speranza di vedere rinnovata la sua provvista di sale, gas, birra e acquavite, ma il dentista era accolto con sollievo, soprattutto dai sopravvissuti alla malaria, stanchi di sputare i resti della dentatura e ansiosi di avere la bocca libera da schegge per provarsi una delle protesi bene ordinate su un tappetino violetto dall'aria cardinalizia. 
Bestemmiando contro il Governo, il dentista ripuliva le gengive dagli ultimi pezzetti di dente e subito dopo ordinava loro di sciacquarsi la bocca con acquavite. «Bene, vediamo un po'. Questa come ti va?» «Mi stringe. Non riesco a chiudere la bocca.» «Cazzo! Che tipini delicati. Forza, provatene un'altra.» «Questa mi sta larga. Se starnutisco, la perdo.» «E tu non prendere il raffreddore, coglione. Su, apri la bocca.»

E loro gli obbedivano. Dopo essersi provati diverse dentiere trovavano la più comoda e discutevano il prezzo, mentre il dentista disinfettava le altre immergendole in una marmitta piena di acqua bollita e clorata.


- Luis Sepúlveda - 

Da: Il vecchio che leggeva romanzi d'amore (Un vejo que leía novelas de amor, 1989),editore Guanda

 


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lunedì 8 gennaio 2018

da: "Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare" - Luis Sepùlveda

La trama (in brevissimo). 
La gabbiana Kengah con le ali sporche di petrolio riesce, con le ultime forze, a raggiungere la città di Amburgo e precipita sul balcone di una casa dove abita il gatto Zorba. 
Prima di morire, la povera gabbiana riesce ad affidare il suo primo (e ultimo) uovo a Zorba, dopo avergli strappato tre importanti promesse: 
1) Di non mangiare l’uovo 
2) Di averne cura finché non nascerà la gabbianella 
3) Di insegnarle a volare. 

Con grande amore il gattone “cova” l’uovo e così nasce Fortunata. Zorba, con l’aiuto dei gatti del porto,  riesce ad allevare e a proteggere la gabbianella che cresce nella convinzione di essere un gatto. 
Un brutto giorno la scimmia Mattia (invidiosa,  antipatica, bisbetica e un po’ cattiva)  le rivela la verità: sei adottata....non sei un gatto ma un gabbiano… i gatti del porto ti allevano per mangiarti…


Non hai fame, Fortunata? Ci sono i calamari – spiegò Zorba. 
La gabbianella non aprì becco. 
Ti sentì male? – insistè preoccupato Zorba – Sei malata? 
Vuoi che mangi per farmi ingrassare? – domandò lei senza guardalo.
Perché tu cresca sana e forte – rispose Zorba
E quando sarò grassa, inviterai i topi a mangiarmi? – stridette con i lucciconi agli occhi.
Da dove tiri fuori queste sciocchezze? - miagolò deciso Zorba.
Lì per lì per scoppiare a piangere. Fortunata gli riferì tutto quello che Mattia le aveva strillato. Zorba le leccò le lacrime e all’improvviso si sentì miagolare come non aveva mai fatto prima.
Sei una gabbiana. Su questo lo scimpanzé  ha ragione, ma solo su questo. Ti vogliamo tutti bene, Fortunata. E ti vogliamo bene perché sei una gabbiana, una bella gabbiana.
Non ti abbiamo contraddetto quando ti abbiamo sentito stridere che eri un gatto, perché ci lusinga che tu voglia essere come noi, ma sei diversa e ci piace che tu sia diversa.
Non abbiamo potuto aiutare tua madre, ma te sì.
Ti abbiamo protetta fin da quando sei uscita dall'uovo.
Ti abbiamo dato tutto il nostro affetto senza alcuna intenzione di fare di te un gatto.
Ti vogliamo gabbiana.
Sentiamo che anche tu ci vuoi bene, che siamo i tuoi amici, la tua famiglia, ed è bene tu sappia che con te abbiamo imparato qualcosa che ci riempie di orgoglio: abbiamo imparato ad apprezzare, a rispettare e ad amare un essere diverso.
È molto facile accettare e amare chi è uguale a noi, ma con qualcuno che è diverso è molto difficile, e tu ci hai aiutato a farlo.
Sei una gabbiana e devi seguire il tuo destino di gabbiana.
Devi volare. Quando ci riuscirai, Fortunata, ti assicuro che sarai felice, e allora i tuoi sentimenti verso di noi e i nostri verso di te saranno più intensi e più belli, perché sarà l'affetto tra esseri completamente diversi.
Volare mi fa paura – stridette Fortunata alzandosi.
Quando succederà, io sarò accanto a te – miagolò Zorba leccandole la testa – L’ho promesso a tua madre. –
La gabbianella e il gatto nero grande e grosso iniziarono a camminare. Lui le leccava teneramente la testa, e lei gli copriva il dorso con una delle sue ali tese.
- Luis Sepùlveda -
Fonte: Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare,Luis Sepùlveda, Salani Editore (pagg.91,92,93)




Capitolo Undicesimo:  Il Volo

Una pioggia fitta cadeva su Amburgo e dai giardini si alzava un profumo di terra umida. L'asfalto delle strade splendeva e le insegne al neon si riflettevano deformi sulla superficie bagnata. Un uomo avvolto in un impermeabile camminava in una solitaria strada del porto dirigendo i suoi passi verso il bazar di Harry.
- Assolutamente no! - strillò lo scimpanzè.
- Anche se mi conficcate i vostri cinquanta artigli nel culo, io la porta non la apro! -
- Ma nessuno ha intenzione di farti del male. Ti abbiamo solo chiesto un favore, tutto qui - miagolò Zorba.
L'orario di apertura va dalle nove del mattino alle sei del pomeriggio. È il regolamento e deve essere rispettato strillò Mattia.
Per i baffi del tricheco! Non potresti essere gentile almeno una volta in vita tua, macaco?  miagolò Sopravento.
Per favore, signora scimmia  stridette supplichevole Fortunata.
Impossibile! Il regolamento mi impedisce di allungare la mano e di aprire il chiavistello che voi, sacchi di pulci, non avendo dita non potete aprire strillò in tono canzonatorio Mattia.
Sei una scimmia terribile, terribile!  miagolò Diderot.
C'è un umano per strada e sta guardando l'orologio  annunciò Segretario che sbirciava fuori.
È il poeta! Non c'è tempo da perdere!  miagolò Zorba correndo a tutta velocità verso la finestra.
Le campane della chiesa di San Michele iniziarono a suonare i dodici rintocchi della mezzanotte e l'umano sussultò al rumore di vetri rotti. 
Il gatto nero grande e grosso cadde per strada in mezzo a una pioggia di schegge, ma si rialzò senza preoccuparsi per le ferite alla testa, e saltò di nuovo dentro la finestra dalla quale era uscito.
L'umano si avvicinò nel preciso istante in cui una gabbiana veniva sollevata da vari gatti fino al davanzale. Dietro i gatti, uno scimpanzè si palpeggiava la faccia cercando di tapparsi occhi, orecchi e bocca allo stesso tempo.
Prendila! Che non si ferisca coi vetri  miagolò Zorba.
Venite qua tutti e due  disse l'umano prendendola in braccio.
L'umano si allontanò in fretta dalla finestra del bazar. Sotto l'impermeabile aveva un gatto nero grande e grosso e una gabbiana dalle piume d'argento.
Canaglie! Banditi! Me la pagherete!  strillò lo scimpanzè.
Te la sei voluta. E sai cosa penserà Harry domani? Che sei stato tu a rompere il vetro  ribatté Segretario.
Accidenti, anche stavolta è riuscito a togliermi i miagolii di bocca  protestò Colonnello.
- Per i denti della murena! Sul tetto! Vedremo volare la nostra Fortunata! - miagolò Sopravento.
Il gatto nero grande e grosso e la gabbianella stavano ben comodi sotto l'impermeabile, al calduccio contro il corpo dell'umano che camminava con passi rapidi e sicuri. Sentivano i loro tre cuori battere con ritmi diversi, ma con la stessa intensità.
Gatto, sei ferito?  chiese l'umano vedendo delle macchie di sangue sui risvolti dell'impermeabile.
Non importa. Dove andiamo?  chiese Zorba.
Capisci l'umano?  stridette Fortunata.
Sì. Ed è una brava persona che ti aiuterà a volare  le assicurò Zorba.
Capisci la gabbiana?  chiese l'umano.
Dimmi dove stiamo andando  insisté Zorba.
Da nessuna parte, siamo arrivati  rispose l'umano.
Zorba fece capolino. Erano davanti a un edificio alto. Sollevò gli occhi e riconobbe il campanile di San Michele illuminato da vari riflettori. I fasci di luce colpivano in pieno la sua struttura slanciata rivestita di lastre di rame che il tempo, la pioggia e i venti avevano coperto di una patina verde.
Le porte sono chiuse  miagolò Zorba.
Non tutte  disse l'umano. Nelle notti di burrasca ho l'abitudine di venire qui a fumare e a riflettere in solitudine. Conosco un'entrata per noi. 
Fecero un giro e si intrufolarono da una piccola porta laterale che l'umano aprì con l'aiuto di un coltello a serramanico. Poi tirò fuori di tasca una torcia e, guidati dal suo sottile fascio di luce, iniziarono a salire una scala a chiocciola che sembrava interminabile.
Ho paura  stridette Fortunata.
Ma vuoi volare, vero?  miagolò Zorba.
Dal campanile di San Michele si vedeva tutta la città. La pioggia avvolgeva la torre della televisione, e al porto le gru sembravano animali in riposo.
Guarda, si vede il bazar di Harry. I nostri amici sono laggiù  miagolò Zorba.
Ho paura! Mamma!  stridette Fortunata.
Zorba saltò sulla balaustra che girava attorno al campanile. In basso le auto sembravano insetti dagli occhi brillanti. L'umano prese la gabbiana tra le mani.
No! Ho paura! Zorba! Zorba!  stridette Fortunata beccando le mani dell'umano.
Aspetta. Posala sulla balaustra  miagolò Zorba.
Non avevo intenzione di buttarla giù  disse l'umano.
Ora volerai, Fortunata. Respira. Senti la pioggia. È acqua. Nella tua vita avrai molti motivi per essere felice, uno di questi si chiama acqua, un altro si chiama vento, un altro ancora si chiama sole e arriva sempre come una ricompensa dopo la pioggia. Senti la pioggia. Apri le ali miagolò Zorba.
La gabbianella spiegò le ali. I riflettori la inondavano di luce e la pioggia le copriva di perle le piume. L'umano e il gatto la videro sollevare la testa con gli occhi chiusi.
La pioggia. L'acqua. Mi piace!  stridette.
Ora volerai  miagolò Zorba.
Ti voglio bene. Sei un gatto molto buono  stridette Fortunata avvicinandosi al bordo della balaustra.
Ora volerai. Il cielo sarà tutto tuo  miagolò Zorba.
Non ti dimenticherò mai. E neppure gli altri gatti  stridette lei già con metà delle zampe fuori dalla balaustra, perché come dicevano i versi di Atxaga, il suo piccolo cuore era lo stesso degli equilibristi.
Vola!  miagolò Zorba allungando una zampa e toccandola appena.
Fortunata scomparve alla vista, e l'umano e il gatto temettero il peggio. Era caduta giù come un sasso. Col fiato sospeso si affacciarono alla balaustra, e allora la videro che batteva le ali sorvolando il parcheggio, e poi seguirono il suo volo in alto, molto più in alto della banderuola dorata che corona la singolare bellezza di San Michele.
Fortunata volava solitaria nella notte amburghese. Si allontanava battendo le ali con energia fino a sorvolare le gru del porto, gli alberi delle barche, e subito dopo tornava indietro planando, girando più volte attorno al campanile della chiesa.
Volo! Zorba! So volare!  strideva euforica dal vasto cielo grigio.
L'umano accarezzò il dorso del gatto.
Bene, gatto. Ci siamo riusciti  disse sospirando.
Sì, sull'orlo del baratro ha capito la cosa più importante  miagolò Zorba.
Ah sì? E cosa ha capito?  chiese l'umano.
Che vola solo chi osa farlo  miagolò Zorba.
Immagino che adesso tu preferisca rimanere solo. Ti aspetto giù  lo salutò l'umano.
Zorba rimase a contemplarla finché non seppe se erano gocce di pioggia o lacrime ad annebbiare i suoi occhi gialli di gatto nero grande e grosso, di gatto buono, di gatto nobile, di gatto del porto.

Laufenburg, Foresta Nera,1996

- Luis Sepùlveda -
Fonte: Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare,Luis Sepùlveda, Salani Editore


Buona giornata a tutti. :-)

sabato 6 agosto 2016

Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare (pagg.91,92,93) - Luis Sepùlveda

Non hai fame, Fortunata? Ci sono i calamari – spiegò Zorba.
La gabbianella non aprì becco.
Ti sentì male? – insistè preoccupato Zorba – Sei malata?
Vuoi che mangi per farmi ingrassare? – domandò lei senza guardalo.
Perché tu cresca sana e forte – rispose Zorba.
E quando sarò grassa, inviterai i topi a mangiarmi? – stridette con i lucciconi agli occhi.
Da dove tiri fuori queste sciocchezze? - miagolò deciso Zorba.
Lì per lì per scoppiare a piangere. Fortunata gli riferì tutto quello che Mattia le aveva strillato. Zorba le leccò le lacrime e all’improvviso si sentì miagolare come non aveva mai fatto prima.
Sei una gabbiana. Su questo lo scimpanzé  ha ragione, ma solo su questo. Ti vogliamo tutti bene, Fortunata. E ti vogliamo bene perché sei una gabbiana, una bella gabbiana.
Non ti abbiamo contraddetto quando ti abbiamo sentito stridere che eri un gatto, perché ci lusinga che tu voglia essere come noi, ma sei diversa e ci piace che tu sia diversa.
Non abbiamo potuto aiutare tua madre, ma te sì.
Ti abbiamo protetta fin da quando sei uscita dall'uovo.
Ti abbiamo dato tutto il nostro affetto senza alcuna intenzione di fare di te un gatto.
Ti vogliamo gabbiana.
Sentiamo che anche tu ci vuoi bene, che siamo i tuoi amici, la tua famiglia, ed è bene tu sappia che con te abbiamo imparato qualcosa che ci riempie di orgoglio: abbiamo imparato ad apprezzare, a rispettare e ad amare un essere diverso.
È molto facile accettare e amare chi è uguale a noi, ma con qualcuno che è diverso è molto difficile, e tu ci hai aiutato a farlo.
Sei una gabbiana e devi seguire il tuo destino di gabbiana.
Devi volare. Quando ci riuscirai, Fortunata, ti assicuro che sarai felice, e allora i tuoi sentimenti verso di noi e i nostri verso di te saranno più intensi e più belli, perché sarà l'affetto tra esseri completamente diversi.
Volare mi fa paura – stridette Fortunata alzandosi.
Quando succederà, io sarò accanto a te – miagolò Zorba leccandole la testa – L’ho promesso a tua madre. –
La gabbianella e il gatto nero grande e grosso iniziarono a camminare. Lui le leccava teneramente la testa, e lei gli copriva il dorso con una delle sue ali tese.
(Luis Sepùlveda)
Fonte: Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare,Luis Sepùlveda, Salani Editore (pagg.91,92,93)



Ora volerai, Fortunata.
Respira.
Senti la pioggia.
È acqua.
Nella tua vita avrai molti motivi per essere felice, uno di questi si chiama acqua, un altro si chiama vento, un altro ancora si chiama sole ed arriva sempre come ricompensa dopo la pioggia.
Apri le ali…
Ora volerai.
Il cielo sarà tutto tuo.
- Luis Sepùlveda -





La trama del libro (in brevissimo):
La gabbiana Kengah con le ali sporche di petrolio riesce, con le ultime forze, a raggiungere la città di Amburgo e precipita sul balcone di una casa dove abita il gatto Zorba.
Prima di morire, la povera gabbiana riesce ad affidare il suo primo (e ultimo) uovo a Zorba, dopo avergli strappato tre importanti promesse:
1) Di non mangiare l’uovo
2) Di averne cura finché non nascerà la gabbianella
3) Di insegnarle a volare.
Con grande amore il gattone “cova” l’uovo e così nasce Fortunata.
Zorba, con l’aiuto dei gatti del porto,  riesce ad allevare e a proteggere la gabbianella che cresce nella convinzione di essere un gatto.
Un brutto giorno la scimmia Mattia (invidiosa,  antipatica, bisbetica e un po’ cattiva)  le rivela la verità: sei adottata....non sei un gatto ma un gabbiano… i gatti del porto ti allevano per mangiarti…


Buona giornata a tutti. :-)





lunedì 3 ottobre 2011

Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare (pagg.91,92,93) - Luis Sepùlveda -

La trama (in brevissimo). La gabbiana Kengah con le ali sporche di petrolio riesce, con le ultime forze, a raggiungere la città di Amburgo e precipita sul balcone di una casa dove abita il gatto Zorba. Prima di morire, la povera gabbiana riesce ad affidare il suo primo (e ultimo) uovo a Zorba, dopo avergli strappato tre importanti promesse: 1) Di non mangiare l’uovo 2) Di averne cura finché non nascerà la gabbianella 3) Di insegnarle a volare. Con grande amore il gattone “cova” l’uovo e così nasce Fortunata. Zorba, con l’aiuto dei gatti del porto,  riesce ad allevare e a proteggere la gabbianella che cresce nella convinzione di essere un gatto. Un brutto giorno la scimmia Mattia (invidiosa,  antipatica, bisbetica e un po’ cattiva)  le rivela la verità: sei adottata....non sei un gatto ma un gabbiano… i gatti del porto ti allevano per mangiarti…
Non hai fame, Fortunata? Ci sono i calamari – spiegò Zorba.
La gabbianella non aprì becco.
Ti sentì male? – insistè preoccupato Zorba – Sei malata?
Vuoi che mangi per farmi ingrassare? – domandò lei senza guardalo.
Perché tu cresca sana e forte – rispose Zorba.
E quando sarò grassa, inviterai i topi a mangiarmi? – stridette con i lucciconi agli occhi.
Da dove tiri fuori queste sciocchezze? - miagolò deciso Zorba.
Lì per lì per scoppiare a piangere. Fortunata gli riferì tutto quello che Mattia le aveva strillato. Zorba le leccò le lacrime e all’improvviso si sentì miagolare come non aveva mai fatto prima.
Sei una gabbiana. Su questo lo scimpanzé  ha ragione, ma solo su questo. Ti vogliamo tutti bene, Fortunata. E ti vogliamo bene perché sei una gabbiana, una bella gabbiana.
Non ti abbiamo contraddetto quando ti abbiamo sentito stridere che eri un gatto, perché ci lusinga che tu voglia essere come noi, ma sei diversa e ci piace che tu sia diversa.
Non abbiamo potuto aiutare tua madre, ma te sì.
Ti abbiamo protetta fin da quando sei uscita dall'uovo.
Ti abbiamo dato tutto il nostro affetto senza alcuna intenzione di fare di te un gatto.
Ti vogliamo gabbiana.
Sentiamo che anche tu ci vuoi bene, che siamo i tuoi amici, la tua famiglia, ed è bene tu sappia che con te abbiamo imparato qualcosa che ci riempie di orgoglio: abbiamo imparato ad apprezzare, a rispettare e ad amare un essere diverso.
È molto facile accettare e amare chi è uguale a noi, ma con qualcuno che è diverso è molto difficile, e tu ci hai aiutato a farlo.
Sei una gabbiana e devi seguire il tuo destino di gabbiana.
Devi volare. Quando ci riuscirai, Fortunata, ti assicuro che sarai felice, e allora i tuoi sentimenti verso di noi e i nostri verso di te saranno più intensi e più belli, perché sarà l'affetto tra esseri completamente diversi.
Volare mi fa paura – stridette Fortunata alzandosi.
Quando succederà, io sarò accanto a te – miagolò Zorba leccandole la testa – L’ho promesso a tua madre. –
La gabbianella e il gatto nero grande e grosso iniziarono a camminare. Lui le leccava teneramente la testa, e lei gli copriva il dorso con una delle sue ali tese.
(Luis Sepùlveda)
Fonte: Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare,Luis Sepùlveda, Salani Editore (pagg.91,92,93)

Vola solo chi osa farlo. (Sepùlveda Luis)


Buona giornata a tutti. :-)

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