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martedì 23 agosto 2016

da: "Vivendo nella carne" - don Luigi Giussani

"...Per cui l'origine della strozzatura, l'origine dell'aridità, l'origine dell'inutilità del tempo che si usa, che si passa, è data da due cose. 
Prima cosa, la mancanza della fede: "Simone, mi ami tu più di costoro?" e lui per tutta la vita si è sentito ripercuotere da quella domanda: quello era un uomo che viveva la fede. O Zaccheo, che ha vissuto tutta la vita sentendo la ripercussione di quella parola. 
" Zaccheo!" - che gli ha detto quell'individuo, strano o altrimenti estraneo. "Anche se non capisco cosa vogliono dire, però sono parole che mi hai detto tu, o Signore. M'hai detto tu di dirle, me le suggerisci tu, attraverso il tuo corpo che è la Chiesa. E' la compagnia che tu mi hai data che mi suggerisce queste parole, per cui devono essere importanti": già questo ti obbliga a una pietas che altrimenti non conosceresti.
E il secondo fattore (il primo è la mancanza di fede) è la mancanza dell'umano, perchè non si possono dire delle parole che non abbiano senso per la mia esistenza: è un'onta, una vigliaccheria,  è una meschinità, è ripugnante. Invece delle parole potete mettere le azioni della giornata, potete mettere il lavoro della giornata. Per questo dicevo che anche il tagliare le fette nello scantinato semibuio (dove regnano i topi!) può essere una cosa grande. I

n che senso è una cosa grande?
Uno, se non si domanda questo non procede più - come abbiamo detto la prima sera gli Esercizi- non cammina più. Ma con che coraggio ripeti certe cose, se non t'accorgi da che cosa insorgono, che cosa giudicano e come cambiano la tua esperienza? " E', se cambia".

- Don Luigi Giussani -
da:  "Vivendo nella carne", pag. 38-39, ed. La Feltrinelli



"Dunque è stato detto che basta ripetere e si capisce di più.
Certamente questa è un'intuizione vera: ripetere fa capire di più, tant'è vero che bisogna scrivere; dicevano gli antichi ai propri scolari : "Semel scriptum, bis lectum": 
Però non è automatico: tu puoi alzarti e ripetere l'Angelus, ripetere le Lodi, ripetere... senza che niente di te si muova. Si muove, per esempio, soltanto la superficie di te: "Com'è bello questo inno. Nel primo chiarore del giorno"! : soltanto un aspetto cutaneo - come quando c'è un brivido che fa venire i brividi - ma non muove nè la mens, questa profonda misura delle cose, nè l'affectus, e tu resti sempre con i piedi impantanati dove sei.
La ripetizione in questo aggrava il tuo problema, non lo diminuisce: "Ho continuamente ripetuto e non ho mai capito, capisco di meno".
Invece occorre - ho detto- che tu sposti: quando ti alzi, devi spostarti.

Spostare che cosa? Spostare l'attenzione della tua mente, che è tesa al niente o sottesa violentemente da immagini non giudicative, non utili, almeno non necessarie. Da questa distrazione in cui normalmente l'uomo vive, devi
"spostarti" a fissare, da una parte, le grandi parole che sull'esperienza umana sono state dette da Gesù e, dall'altra parte, il sanguinoso bisogno che l'esperienza umana ha di parole consimili."

- don Luigi Giussani -
da: "Vivendo nella carne", pag. 42-43, ed. La Feltrinelli



"Il perdono è la misericordia, perchè è Dio, non uomo."
"Comunque, hai sottolineato la caratteristica più stupefacente dell'esperienza cristiana: il trionfo della letizia, il sopravvento della letizia. Non lo dico io, l'ha detto Gesù: "Questo vi ho detto perchè la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena."
Per esempio, il mugugno o il risentimento verso sè stessi perchè si è sbagliato, quando si è sbagliato è sbagliato! - come dice il profeta Osea la dove paragona Dio alla mamma con un bambino - Il bambino sbaglia, la mamma lo abbraccia e lo bacia. Se il bambino dicesse. " Va via, perchè io ho sbagliato", stonerebbe; la mamma risponderebbe: " Ma guarda che io sono mamma, non sono un bambino!
"E' quello che ha risposto Dio al profeta Osea "Sono Dio e non uomo".
Il perdono è la misericordia, perchè è Dio, non uomo.
Ti ringrazio dell'osservazione che hai fatto. Tu hai usato la parola...
Non c'è più tristezza...
Non c'è più tristezza. Ma questo è riverberato e indicato anche nei rapporti umani veri: in un rapporto umano vero di amore non c'è spazio per la tristezza; c'è spazio per il dolore, ma non per la tristezza."

- don Luigi Giussani -
da: "Vivendo nella carne", pag. 112-113, ed. La Feltrinelli



Buona giornata a tutti. :-)

venerdì 27 maggio 2016

Le due grazie che il Signore ci dona - don Luigi Giussani


Le due grazie che il Signore dona

sono la tristezza e la stanchezza.

La tristezza perché mi obbliga
alla memoria,
la stanchezza perché mi obbliga
alle ragioni per cui faccio le cose.
Fa' o Dio che una positività totale
guidi il mio animo,
in qualsiasi condizione mi trovi,
qualunque rimorso abbia,
qualunque ingiustizia
senta pesare su di me,
qualunque oscurità mi circondi,
qualunque inimicizia,
qualunque morte mi assalga,
perché Tu che hai fatto tutti gli esseri
sei per il bene.
Tu sei l'ipotesi positiva
su tutto ciò che io vivo.

- Don Luigi Giussani -



Il cammino del Signore è semplice come quello di Giovanni e Andrea, di Simone e Filippo, che hanno cominciato ad andare dietro a Cristo: per curiosità e desiderio. Non c'è altra strada, al fondo, oltre questa curiosità desiderosa destata dal presentimento del vero.

- don Luigi Giussani - 
da: Alla ricerca del volto umano, Rizzoli


Al mattino

Uno s'arresta un istante,
pensando che quelle ore che gli incombono

sono un pezzetto del cammino al destino:
Ti riconosco come il mio scopo!
Padre nostro che stai nei cieli
nel profondo, da cui io nasco.
Ti offro la mia giornata.
Questa mia giornata la riconosco come
un passaggio ulteriore verso di Te,
un pezzo del cammino verso di Te.
Aiutami a che io non mi abbandoni alla violenza
e sia me stesso,
ami, cioè affermi l'Altro,
perché io non mi faccio da me,
e perciò debbo rispettare ciò che sono,
ciò che Tu mi hai fatto.
E debbo rispettare l'altro,
e amare l'altro,
perché Tu l'hai fatto.
- Don Luigi Giussani - 



Inno a Maria

Salve, Maria, creatura la più preziosa della creazione;
salve Maria, purissima colomba; 
salve, Maria, torcia inestinguibile; 
salve, perché da Te nacque il Sole di giustizia. 
Salve, Maria, dimora dell’immensità, che racchiudesti nel tuo seno il Dio immenso, il Verbo unigenito, producendo senza aratro e senza seme, la spiga incorruttibile. 
Salve, Maria, Madre di Dio, acclamata dai profeti, benedetta dai pastori quando con gli Angeli cantarono il sublime inno a Betlemme: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà»’ (Lc 2,14). 
Salve, Maria, Madre di Dio, gioia degli Angeli, giubilo degli Arcangeli che Ti glorificano in Cielo. 
Salve, Maria, Madre di Dio: per Te adorarono Cristo i Magi guidati dalla stella d’oriente. 
Salve, Maria, Madre di Dio, per la quale Giovanni Battista, fin dal seno di sua madre, sobbalzò di gioia.. 
Salve, Maria, Madre di Dio, che portasti al mondo una grazia ineffabile. 
Salve, Maria, Madre di Dio, che facesti splendere nel mondo Colui che è la vera luce, nostro Signore Gesù Cristo. 
Salve, Maria, Madre di Dio, che portasti la luce a quelli che erano nelle tenebre e nell’ombra della morte. 
Salve, Maria, Madre di Dio, Madre di Colui che i Vangeli proclamano benedetto. 
Salve, Maria, Madre di Dio, per la quale venne al mondo il Vincitore della morte e il Distruttore dell’inferno. 
Salve, Maria, Madre di Dio, per la quale venne al mondo l’Autore della creazione e il Restauratore delle creature, il Re dei Cieli. 
Salve, Maria, Madre di Dio, per la quale rifulse e risplendette la gloria della Risurrezione…


Buona giornata a tutti. :-)


mercoledì 16 marzo 2016

Liberati dal giogo del male - don Luigi Giussani -

"Dal paese d'Egitto ci hai tratti
E cammini con noi nel deserto,
Per condurci alla santa montagna
Sulla quale s'innalza la Croce."

Inno dei Vespri del Tempo di Quaresima 
  
Liberati dal giogo del male, descrive quello che è il tempo liturgico della Quaresima.
La Quaresima è il ricordo del lungo viaggio fatto dagli ebrei per essere liberati dall'Egitto, che è simbolo della schiavitù del male, dell'alienazione; è il ricordo di quel grande passaggio durato quarant'anni nel deserto.
Ma noi sentiamo la vita come un esodo, come l'uscita verso il suo significato? Questo significato già ci è stato dato, perciò la vita come esodo è l'affermarne in noi di qualcosa che è già presente, a differenza degli Ebrei che camminavano verso qualcosa che ancora non avevano. 
Percepire la vita come esodo, e percepire lo scopo della vita come la Pasqua ultima, vera, eterna, significa ricondurre tutto il desiderio della vita all'affermarsi in noi di quello che è già accaduto, che è già dentro la nostra vita, di quella storia che è incominciata con Abramo, che ha avuto il suo culmine profetico in Mosè e la grande avventura del popolo ebraico dall'Egitto fino alla Palestina.
Perciò non ci possiamo meravigliare che la parola "deserto" o la parola "sete", "fame", o la parola "confusione" o la parola "lamento", o la parola " ribellione" gremiscano questo esodo nuovo, come hanno gremito l'esodo antico. 
Ma il presentimento della grazia profonda di Pasqua, che è l'inizio della Presenza che è già in noi, è solo in proporzione al desiderio che abbiamo che si manifesti in noi quello che è già presente, ciò che avvenne.
"Pascha nostra immolatus est Christus", "Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato".
Questo è il fulcro, dovrebbe essere il fulcro di tutto il nostro modo di pensare, di giudicare, di sentire, e dovrebbe diventare la forma del nostro decidere, del nostro atteggiamento pratico.
Qui è contenuto tutto il discorso quaresimale: che la Croce è necessaria alla Risurrezione, che il sacrificio è necessario per la verità dei rapporti, perché non sia menzogna il nostro rapporto tra di noi e con le cose.

- Don Luigi Giussani -

da: “Tutta la terra desidera il Tuo volto”



Il nostro maestro interiore 

(..) Guardate, voi giovani avete un grosso difetto - l'ho avuto anch'io - ed è la ricerca del padre. Si va alla ricerca del maestro, della guida autorevole, del grande condottiero; no, siamo tutti figli di Dio e non c'è maestro; il nostro maestro è nell’ invisibile. 
"Uno solo è il vostro maestro ed è nell'invisibile": questa è una parola che non troverete in nessuna conoscenza religiosa, solo nel cristianesimo.
I cristiani hanno un solo maestro; ed egli è nell'invisibile, nel profondo del nostro essere.
C'è chi approfitta del fatto che molti uomini hanno bisogno di un maestro. 

Ci sono dittatori e ci sono quelli che vogliono essere dominati dai dittatori; il dittatore ha la possibilità di esserlo soltanto se ci sono degli schiavi.
Liberarsi dalla ricerca del capo, camminare ognuno col proprio  passo, è la grande libertà cristiana; l'andare a cercare direttori spirituali e tutte le varie guide è un decadere nella religione del Padre. 

Nella religione del Figlio uno solo è il maestro ed è nell'invisibile, nel profondo di noi. 
Questa non è faciloneria: quando affrontiamo noi stessi con lucidità, coraggio e rispetto, ci spaventiamo, perchè il nostro essere profondo esige da noi delle azioni che il nostro essere superficiale non vorrebbe compiere; ma questo è il maestro.(..)

- Giovanni Vannucci -
Tratto da: “Cristo e la libertà”




La preghiera di Gesù come Figlio “uscito dal Padre” esprime in modo particolare il fatto che egli “va al Padre”. 
“Va” e al Padre conduce tutti coloro che il Padre “ha dato a lui” (cf. Gv 16, 28.17). 
A tutti, inoltre, lascia il durevole patrimonio della sua preghiera filiale: “Quando pregate, dite: “Padre nostro . . .”” (Mt 6, 9cf. Lc 11, 2). 
Come appare da questa formula insegnata da Gesù, la sua preghiera al Padre è caratterizzata da alcune note fondamentali: è una preghiera piena di lode, piena di sconfinato abbandono alla volontà del Padre, e, per quanto concerne noi, piena di implorazione e di richiesta di perdono. 
In questo contesto rientra in modo particolare la preghiera di ringraziamento.

- San Giovanni Paolo II, papa -
Udienza Generale, Mercoledì, 29 luglio 1987



Tutto, Signore, custodisci, 
nel palmo della tua mano; 
perché la vita 
- tutta la vita ch'io conosco, 
e anche la vita che non ho vissuta - 
è appena una goccia di rugiada, 
sopra il tuo palmo aperto. 
Però io ci ho nuotato dentro, 
a quella goccia; 
per me è stata grande come te 
perché, al di fuori, non ti avrei conosciuto 
né ti potrei conoscere. 
Questa vita che è tua, 
perché viene da te, 
questa vita che è mia, 
perché tu me l'hai data, 
è la goccia, il lago, il mare 
nel quale ho navigato, per tanti anni 
e dal quale non posso essere tolto 
perché boccheggerei, 
come fa un pesce, 
fuori della sua acqua

- Adriana Zarri - 
Da: Dodici lune



Buona giornata a tutti. :-)










sabato 9 gennaio 2016

Offerta della giornata - Don Luigi Giussani

Signore,
riconosco che tutto da te viene,
tutto è grazia,
gratuitamente dato,
misterioso,
che non posso decifrare,
ma che io accetto secondo le circostante

 in cui si concreta tutti i giorni
e te lo offro,
e tutte le mattine te lo offro,
e cento volte al giorno
se tu hai la bontà di farmelo ricordare
io te lo offro.
(don Luigi Giussani)





“Perché mi hai creato?”. “Perché ti ho amato!”. “E perché mi hai amato?”. “Perché ti ho amato!”. “E perché nella confusione delle tenebre del mondo, Tu sei venuto come luce sul mio cammino, sulla mia strada, mi hai afferrato e collocato dentro di Te, dentro il mistero della tua persona, mi hai chiamato alla comunione con Te?”. 
“Perché ti ho amato!”. “E perché mi hai amato?”. “Perché ti ho amato!”. 
La gratuità è l’infinito, che è ragione a se stesso. 
“E perché nella lunga fila del popolo cristiano, così facilmente distratto, così facilmente distolto dal suo centro dal mondo in cui vive, così facilmente abbandonato, come pecore abbandonate dai pastori, mi hai raggiunto così concretamente in quella tale occasione che mi ha determinato a un atteggiamento, ad un assetto di vita diverso?”. 
“Per amore, per carità, gratuitamente, “gratis”. 

- don Luigi Giussani -
 da "Il miracolo dell'ospitalità", pag.24 



Perché l’ospitalità è un miracolo? Sembrerebbe la cosa più scontata: aprire la porta della propria casa per fare entrare qualcuno dovrebbe essere normale.
Perché, allora, don Giussani la paragona a un fatto miracoloso? Perché dovrebbe essere l’esperienza normale di una famiglia, e invece è così eccezionale che quando accade tutti ci stupiamo.
Viviamo in un contesto umano, culturale e sociale frutto di una lunga storia, che ha eroso i fattori dell’esperienza elementare: uno innanzitutto, cioè l’apertura originale del cuore e la percezione della realtà come positiva, come carica di promessa per la propria vita. Nel tempo si è introdotta una distanza per cui le cose e le persone sono diventate come estranee. È terribile questa affermazione di Sartre: «Le mie mani, cosa sono le mie mani? La distanza incommensurabile che mi divide dal mondo degli oggetti e mi separa da essi per sempre».
Benedetto XVI ha richiamato la famiglia a essere «unita e aperta alla vita, ben inserita nella società e nella Chiesa, attenta alla qualità delle relazioni oltre che all’economia dello stesso nucleo familiare» (Lettera in vista del VII Incontro Mondiale delle Famiglie – Milano 2012). La stessa consapevolezza del ruolo decisivo della famiglia nel mondo contemporaneo emerge negli interventi e nei dialoghi tenuti da don Giussani ai gruppi dell’Associazione «Famiglie per l’Accoglienza». La parola ospitalità – di cui affido e adozione sono sinonimo — traccia dunque l’identikit di una famiglia che, con gratitudine e impegno, si rende aperta alla vita, riconoscendone la sacralità e irriducibilità ultima alla pura misura dell’uomo. Da questa realtà di famiglia occorre ripartire oggi per affrontare in maniera efficace e pienamente umana la crisi — economica, ma ancor prima morale — che incombe sul mondo contemporaneo.

Julián Carrón -
Dall’introduzione al libro "Il miracolo dell'ospitalità", nella ristampa del 2012



Buona giornata a tutti :-)

www.leggoerifletto.it






sabato 26 dicembre 2015

da: don Luigi Giussani, omelia per la festa di S. Stefano, Desio, 26 dicembre 1944 -

"...La pace vera, quella che importa e che è la sicurezza grande della coscienza che cerca di fare la volontà di Dio; la pace vera, quella che importa e che è la tranquillità profonda che ognuno di noi può sentire, ma che è quasi impossibile far capire a uno che non la prova; che ci lascia lo strazio e il dolore e l’ansia della fatica, ma che in fondo all’anima, appena ci ritorniamo, ci fa trovare una fedele rassegnazione, una silenziosa e certa speranza; la pace vera, quella che importa e che è una pazienza piena di bontà e di comprensione per gli altri, che son tutti nostri fratelli e miseri come noi. Ecco Stefano, colpito a morte, cade in ginocchio con un ultimo grido pieno di pace: «Signore, perdona loro questo peccato» (cfr. At 7,60).
Ci dia Gesù Bambino, per intercessione della Madonna, come la diede al Suo primo martire, la forza sovrumana di saperLo seguire sulla strada della Croce, che è la legge di ogni vita, che è la legge di ogni vero amore, che è - ora - soprattutto la legge della vera amicizia con Cristo. Questa forza Egli la darà ai suoi poveri fratelli uomini, i cui giorni disgraziati fanno toccare con mano come non siamo fatti per la terra.
A noi che dobbiamo soffrire e non vogliamo soffrire, noi che dobbiamo piangere e versiamo con amarezza impotente le nostre lacrime; noi che siamo spogliati e martoriati, e ci ribelliamo con istinto di belve ferite agli strappi rudi; noi che dobbiamo morire e vorremmo fuggire dalla morte con raccapriccio e con orrore. Ci dia di soffrire in pace; di piangere in pace; di sentirci martoriati in pace; di morire in pace.
Nella sua visione dell’Apocalisse S. Giovanni vide davanti al trono dell’Agnello, cioè di Cristo, una immensa moltitudine di persone biancovestita, con una palma tra le mani. Domandò chi fossero: «Essi sono coloro che vennero dalla tribolazione e hanno reso bianche le loro vesti nel sangue dell’Agnello [cioè nella croce e nel dolore]. Perciò ora sono davanti al trono di Dio. Essi non avranno più né fame né sete, né il sole mai tramonterà per essi. E l’Agnello li condurrà per sempre alla sorgente della vita, della felicità, e Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi» (cfr. Ap 7,14-17). Et absterget Deus omnem lacrimam ex oculis eorum. Che meravigliosa cosa! Ricordiamo, fratelli, nel nostro dolore, la visione di S. Giovanni, e confortiamoci al dolcissimo pensiero che «Dio asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi».

da:  don Luigi Giussani, omelia per la festa di S. Stefano, Desio, 26 dicembre 1944



Per ricordare a tutti che il Natale non è un palcoscenico per mettere in mostra un clima sereno, spolverato di sentimenti di bontà (tirati fuori giusto per la festa, poi durante l'anno, beh... mica è sempre Natale!), condito di "Jingle bells" spaccamaroni (a partire dai cellulari alle lucine made in China.. persino nei presepi (ecco perché la Santa Famiglia è fuggita in Egitto!) mancano all'appello solo i campanelli dei citofoni), diviso nell'eterna lotta tra "panettone o pandoro?", fruscii di pacchetti-regalo (oh, che bello grazie! 
Lo sognavo da tempo... ma come hai fatto a pensare proprio a questa cosa? E via ... in soffitta), ebbene per ricordarci che Natale non è tutto questo, la liturgia oggi ci mette in compagnia di S. Stefano, il primo martire. 
Già, perché quel "tenero bambinello" non è venuto "per farsi servire, ma per servire e dare la sua vita" perché avessimo la vita. E, nel Vangelo, chi possiede la vita non è colui che ci si attacca come una cozza allo scoglio, ma colui che sceglie liberamente di donarla perché la vita dell'umanità cresca. Ecco cosa ci ricorda Stefano, ecco a cosa ci riporta il mistero dell'Incarnazione. Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona giornata.

- Don Luciano Locatelli -





Don Giussani sulla Festa di Santo Stefano

S. Stefano fu il primo che per seguire il Maestro Divino sacrificò la propria vita. La festa del suo martirio unitamente a quella del S. Natale di cui completa il pensiero, ci danno una lezione di sacrificio. 
Il suo martirio ci indica un mezzo per aiutarci a vivere questa lezione di sacrificio; il suo martirio ce ne fa vedere i frutti preziosi.
Noi non comprenderemo nulla del vero significato del Natale, se non sentiamo vivamente che Dio si fece uomo per salvare noi: e per salvarci doveva sacrificarsi. Il Bambino, che contempliamo in questi giorni con tutto l’affetto e la riconoscenza di uomini credenti, porta impresso sulla sua fronte a programma di tutta la sua vita e monito alla nostra anima pensosa:
«Io son nato a morire per te».



«Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato» (Mt 10,22).
"Queste parole del Signore - ha detto - non turbano la celebrazione del Natale, ma la spogliano di quel falso rivestimento dolciastro che non le appartiene... Per accogliere veramente Gesù nella nostra esistenza e prolungare la gioia della Notte Santa, la strada è proprio quella indicata da questo Vangelo, cioè dare testimonianza a Gesù nell'umiltà, nel servizio silenzioso, senza paura di andare controcorrente e di pagare di persona. E se non tutti sono chiamati, come santo Stefano, a versare il proprio sangue, ad ogni cristiano però è chiesto di essere coerente in ogni circostanza con la fede che professa".
"La coerenza - ha aggiunto a braccio - è un dono da chiedere al Signore: essere come Gesù".

Papa Francesco, Angelus del 26 dicembre 2014





Buona giornata a tutti. :-)



sabato 19 dicembre 2015

L'Angelo e la favola -

Degli angeli che calarono a frotte dal più alto dei cieli a cantare il “Gloria” stilla capanna dove nacque Gesù Bambino, uno si perse. 
Era un angelo distratto, sempre assorto nei suoi pensieri. Fu così che, quando scese sulla terra in quella notte fatale, l’angelo favolista vide, poco discosto da Betlemme, un gruppo di ragazzini che, dopo aver anch’essi fatto visita a Gesù, se ne tornavano a casa. 
Quale magnifica occasione. Sceso accanto a loro in veste di pellegrino dalla barba bianca, incominciò uno dei suoi racconti. 
Ed era l’alba quando i bambini furono costretti dalle grida delle mamme a tornare a casa, con la fantasia ed il cuore accesi da decine di meravigliose fiabe che l’anziano pellegrino aveva raccontato loro.
Il sole stava sorgendo e per Gesù iniziava la prima giornata terrestre. 
L’angelo pellegrino era in ritardo, molto in ritardo. E per di più non ricordava più, assolutamente, come si facesse a ridiventare angelo: una formula? Ma quali parole? Un pensiero chiave? Ma quale?
L’unica soluzione era andare da Gesù, chiedergli scusa e raccontargli tutto. Ma Gesù ora non era che un bimbetto in fasce, un bimbo di donna. 
E il Bimbo e la Donna, alle parole del pellegrino, non seppero proprio cosa rispondere: il Bimbo perché sorrideva soltanto e non sapeva ancora parlare; la Donna perché non conosceva che il Mistero che portava stretto al petto.
Fu così che l’angelo—pellegrino cominciò il suo girovagare terreno. 
E tanto gli piacque narrar favole ai bambini di quaggiù che il Signore, quando fu tornato nei Cieli e lo vide attorniato da bambini con gli occhi spalancati e la bocca aperta per la meraviglia, ce lo lasciò. 
Ancor oggi di tanto in tanto appare. 
E’ talmente invecchiato che la sua veste umana gli si è logorata completamente. 
Ma ben lo conoscono le mamme, quando suggerisce loro le più belle favole; ben lo conoscono i poeti, quando sussurra al loro cuore i versi più ricchi di fantasia e di colore; ed anche qualche prete, quando sente nel cuore un certo pizzicorino che lo spinge a dire — finalmente — cose meravigliose. 
Ma tutti lo conosceremo, se saremo stati buoni, nel momento del nostro volo verso il cielo. 
Quel momento buio sarà illuminato dalla Favola più bella ch’egli solo sa raccontare così bene perché così bene egli solo la conosce. 
Ci ricorderemo d’invocarlo, almeno allora?

(Riduzione da un racconto di Piero Gribaudi)













Se noi avessimo gli occhi degli Angeli nel guardare nostro Signore Gesù Cristo che è presente sull’altare e che ci guarda, come Lo ameremmo! 

 - San Giovanni Maria Vianney - Curato d’Ars - 


La pesatura delle anime. 
Lunetta della chiesa di San Biagio a Talignano (PR)


"L'istante è come l'Avvento, poiché l'istante non è ancora il compimento. E se è già compiuto, perché Cristo è venuto, se l'istante porta nel suo grembo un "già", anche in questo senso è ancora attesa del compimento, o meglio, è attesa che si manifesti ciò che è già avvenuto, e che esso porta nel suo grembo.
La parola più amica dell'istante, perciò, è la parola "Avvento". E il sentimento che domina l'istante e lo fa diventare ricco di pace, carico di vigilanza e produttivo, è proprio l'attesa."

- Don Luigi Giussani - 




L’Avvento, come la Quaresima, è una stagione per la preghiera e per l’emendamento dei nostri cuori. 
Dal momento che arriva in inverno, il fuoco è un segno adatto per aiutarci a celebrare l’Avvento. 
Se Cristo sta per venire più pienamente nelle nostre vite in questo Natale, se Dio sta per incarnarsi realmente per noi, allora il fuoco dovrà essere presente nella nostra preghiera. 
Il nostro culto e la nostra devozione dovranno alimentare quel genere di fuoco nelle nostre anime che può davvero cambiare i nostri cuori. 
La nostra è una grande responsabilità per non sprecare questo tempo di Avvento.

- Edward Hays - 
Sacerdote contemplativo cattolico, Nebraska - U.S.A.




Buona giornata a tutti. :-)