domenica 4 dicembre 2016

Le scarpe di Natale – don Bruno Ferrero

C'era una volta una città i cui abitanti amavano sopra ogni cosa l'ordine e la tranquillità. Avevano fatto delle leggi molto precise, che regolavano con severità ogni dettaglio della vita quotidiana. 
Tutte le fantasie, tutto quello che non rientrava nelle solite abitudini era mal visto o considerato una stranezza. E per ogni stranezza era prevista la prigione.
Gli abitanti della città non si dicevano mai «buongiorno» per la strada; nessuno diceva mai «per piacere»; quasi tutti avevano paura degli altri e si guardavano sospettosamente.
C'erano anche quelli che denunciavano i vicini, se trovavano un po' troppo bizzarro il loro comportamento.
Il commissario Leonardi, capo della polizia, non aveva mai abbastanza poliziotti per condurre inchieste, sorvegliare, arrestare, punire...
Già nella scuola materna, i bambini imparavano a stare ben attenti alle loro chiavi. E c'erano chiavi per ogni cosa: per le porte, per l'armadietto, per la cartella, per la scatola dei giochi e perfino per la scatola delle caramelle!
La sera, la gente aveva paura. 
Rientravano tutti a casa correndo e poi sprangavano le porte e chiudevano ben bene le finestre.

Cristiana aveva i capelli biondi.
Erano rimasti tuttavia dei ragazzi che sapevano ancora scambiarsi qualche strizzata d'occhi e anche degli insegnanti che li incoraggiavano... Ma, soprattutto, c'era Cristiana.
Cristiana aveva i capelli biondi come il sole, gli occhi scintillanti come laghetti di montagna e non pensava mai: «Chissà che cosa dirà la gente?». Nella città si facevano molte dicerie sul suo conto. 
Perché Cristiana aiutava tutti quelli che avevano bisogno di aiuto, consolava i bambini che piangevano e anche i vecchietti rimasti soli, perché accoglieva tutti coloro che chiedevano un po' di denaro o anche solo qualche parola di speranza.
Tutto questo era scandaloso per la città. Non potevano proprio sopportare ulteriormente quel modo di vivere così diverso dal loro. E un giorno il commissario Leonardi, con venti poliziotti, andò ad arrestare Cristiana, o Cri-Cri, come l'avevano soprannominata gli amici. E per essere sicuro che non combinasse altre stranezze, la fece mettere in prigione. 
Questo accadde qualche giorno prima di Natale. Natale era una festa, ma molti non sapevano più di chi o di che cosa. 
Sapevano soltanto che in quei giorni si doveva mangiare bene e bere meglio. Ma senza esagerare, per non prendersi qualche malattia... 
Soprattutto, la sera della vigilia di Natale, tutti dovevano mettere le proprie scarpe davanti al camino, per trovarle piene di doni il giorno dopo. Una cosa questa che, nella città, facevano tutti, ma proprio tutti. Così fu anche quel Natale.

Una gran confusione
All'alba, tutti si precipitarono dove avevano messo le scarpe, per trovare i loro regali. Ma... che era successo? Non c'era l'ombra di un regalo. Neanche un torrone o un cioccolatino!
E poi... le scarpe!
In tutta la città, le scarpe risultavano spaiate. Il commendator Bomboni si trovò con una scarpina da ballo, una vecchia ottantenne aveva una scarpa bullonata da calcio, un bambino di cinque anni aveva una scarpa numero 43, e così di seguito. Non c'erano due scarpe uguali in tutta la città! 
Allora si aprirono porte e finestre e tutti gli abitanti scesero in strada. Ciascuno brandiva la scarpa non sua e cercava quella giusta. Era una confusione allegra e festosa. Quando i possessori delle scarpe scambiate si trovavano, avevano voglia di ridere e di abbracciarsi.
Si vide il commendator Bomboni pagare la cioccolata a una bambina che non aveva mai visto e una vecchietta a braccetto con un ragazzino.
Solo qualche finestra restava ostinatamente chiusa. 
Come quella del commissario Leonardi. Quando però il commissario sentì il gran trambusto che veniva dalla strada, pensò a una rivoluzione e corse a prendere le armi che teneva sul camino. Immediatamente il suo sguardo cadde sulle scarpe che aveva collocato davanti al camino. E anche lui si bloccò, sorpreso. Accanto alla sua pesante scarpa nera c'era... una pantofola rossa di Cri-Cri. Stringendo la pantofola rossa in mano, il commissario corse alla prigione.
La cella dove aveva rinchiuso Cri-Cri era ancora ben chiusa a chiave. Ma la ragazza non c'era. 
Ai piedi del tavolaccio, perfettamente allineate c'erano l'altra scarpa del commissario e l'altra pantofola rossa. Dal finestrino, protetto da una grossa inferriata, proveniva una strana luce. Il commissario si affacciò. Nella strada la gente continuava a scambiarsi le scarpe e ad abbracciarsi.
Con un'insolita commozione, il commissario si accorse che la luce che veniva dal finestrino era bionda e calda come il sole e aveva dei luccichii azzurri, come succede nei laghetti di montagna.
E incominciò a capire.

- Don Bruno Ferrero -
Da: “Storie di Natale, d’Avvento e d’Epifania”, ed. Elledicì





Oggi si è indotti talvolta a pensare che la verità, la giustizia e la pace siano utopie e che esse si escludano mutuamente. Conoscere la verità sembra impossibile e gli sforzi per affermarla appaiono sfociare spesso nella violenza. D’altra parte, secondo una concezione ormai diffusa, l’impegno per la pace si riduce alla ricerca di compromessi che garantiscano la convivenza fra i Popoli, o fra i cittadini all’interno di una Nazione. Al contrario, nell’ottica cristiana esiste un’intima connessione tra la glorificazione di Dio e la pace degli uomini sulla terra, così che la pace non sorge da un mero sforzo umano, bensì partecipa dell’amore stesso di Dio. Ed è proprio l’oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a generare la violenza. Infatti, quando si cessa di riferirsi a una verità oggettiva e trascendente, come è possibile realizzare un autentico dialogo? In tal caso come si può evitare che la violenza, dichiarata o nascosta, diventi la regola ultima dei rapporti umani? In realtà, senza un’apertura trascendente, l’uomo cade facile preda del relativismo e gli riesce poi difficile agire secondo giustizia e impegnarsi per la pace...

- papa Benedetto XVI - 
dal "Discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede" 07 gennaio 2013 -



O Signore, fa' che io comprenda quale grande pace e sicurezza ha il cuore che non desidera cosa alcuna di questo mondo. Infatti, se il mio cuore brama di ottenere i beni terreni, non può essere né tranquillo né sicuro, perché cerca di avere quello che non ha o di non perdere quello che possiede.

- San Gregorio Magno -


Buona giornata a tutti. :-)





sabato 3 dicembre 2016

Dacci Signore il tuo mantello - Adriana Zarri -

Arriveremo con i piedi sporchi
e ce li laverai,
come facesti con gli apostoli.
Guarda, Signore, al nostro autunno
e raccogli le colpe
come una triste vendemmia.
Lasciaci nudi e soli,
senza consolazioni ambigue,
senza inganni pietosi,
senza grappoli verdi.
Donaci gli occhi di Maria peccatrice
e, scaldaci con il tuo mantello.
I giorni sono brevi
e le nottate lunghe.
Il fuoco si spegne nel camino.
Le castagne
si sono fatte nere,
il letto, è gelido e deserto.
Dacci, Signore, il tuo mantello!

- Adriana Zarri -
Tratto da "Il pozzo di Giacobbe. Raccolta di preghiere da tutte le fedi"


Dall’altra parte della terra
il sole che qui si cela dietro l’orizzonte,
là emerge dalla notte.
Così l’autunno ha un suo corrispondente
in una lontana primavera.

- Adriana Zarri -


"Il sole ci aveva sfiancati, resi febbrosi;
ora la nebbia ci placa, ci fa rientrare in noi.
Le finestre aperte sono come finestre chiuse,
non offrono visioni ma solo tende di grigio.
E’ tempo di chiuderle e riscoprire la casa.
Autunno di silenzio ritrovato,
di concentrazione densa,
di solitudine calda,
di meditazione,
di preghiera,
di te"

- Adriana Zarri -


 L’autunno è tempo di preghiera, di ascolto,
di lenta e faticosa attesa di te.
E tu vieni furtivo.
L’autunno è il tempo della fede:
del credere ciò che non è ancora,
del credere che sarà,
che fiorirà,
che darà frutti.
L’autunno è tempo di raccolta,
ma di una seminagione lontana;
ed è tempo di semina,
per un lontano raccolto [...]
Autunno di frutti caduti,
autunno di foglie secche,
autunno di nebbie grigie,
autunno tuo:
del tuo passaggio silenzioso,
del tuo amore paziente,
della tua attesa lunga.

- Adriana Zarri -


Buona giornata a tutti. :-)




venerdì 2 dicembre 2016

La favoletta di Don Camillo - Giovannino Guareschi


Don Camillo raccontò questa favoletta:
«Un feroce lupo pieno di fame girava per la campagna e arrivò a un gran prato recinto da una altissima rete metallica. Dentro pascolavano tranquille le pecorelle. Il lupo girò tutt’attorno per vedere se qualche maglia si fosse allentata nella rete, ma non trovò buchi.
Scavò con le zampe per fare un buco nella terra e passar sotto la rete, ma ogni fatica fu vana. Tentò di saltare la siepe, ma non riusciva neppure ad arrivare a metà. Allora si presentò alla porta del recinto e gridò: “Pace! Siamo tutti creature di Dio e dobbiamo vivere secondo le sue leggi!”.
Le pecorelle si appressarono e allora il lupo disse con voce ispirata: “Viva la legalità! Finisca il regno della violenza! Facciamo una tregua!”. “Bene!”, risposero le pecorelle. “Facciamo una tregua!”.
Il lupo si accucciò davanti alla porta del recinto e passava il tempo cantando. Ogni tanto si levava e andava a brucare l’erba ai piedi della rete metallica. “Uh! Guarda, guarda!”, si stupirono le pecore. “Mangia l’erba anche lui, come noi! Non ci avevano mai detto che i lupi mangiano l’erba!…”.
“Io non sono un lupo!”, rispose il lupo. “Io sono una pecora come voi. Una pecora di un’altra razza”. Poi spiegò che le pecore di tutte le razze avrebbero dovuto fare causa comune.
“Perché”, disse alla fine, “non fondiamo un Fronte Pecorale Democratico? Io ci sto volentieri e non pretendo nessun posto di comando. È ora che ci uniamo contro chi ci tosa, ci ruba il latte e ci manda al macello!”.
“Parla bene!”, osservarono alcune pecore. “Bisogna fare causa comune!”.
E aderirono al Fronte Pecorale Democratico e, un bel giorno, aprirono le porte.
Il lupo, diventato capo del piccolo gregge, cominciò, in nome dell’Idea, la epurazione di tutte le pecore antidemocratiche e le prime furono quelle che gli avevano aperto la porta.
Alla fine l’opera di epurazione terminò, e quando non rimase più neppure una pecora il lupo esclamò trionfante: “Ecco finalmente il popolo tutto unito e concorde! Andiamo a democratizzare un altro gregge!”»

- Giovannino Guareschi -
Fonte: da “Don Camillo e il suo gregge”


Non si può vaticinare niente in forma compiuta. 
Nessuno è in grado di vedere in modo preciso, ma quello che si può dire è che l'avventura umana non può durare all'infinito. 
Per l'uomo la catastrofe deriva dal fatto che non può rimanere solo. Non c'è persona che possa rimanere sola con se stessa. 
Oggi tutti quelli che dovrebbero vivere con se stessi si affrettano ad accendere il televisore o la radio. 
Io credo che se un governo sopprimesse la televisione, gli uomini si ammazzerebbero gli uni con gli altri per la strada, perché il silenzio li terrorizzerebbe. 
In un lontano passato, le persone rimanevano molto più in contatto con se stesse, per giorni, per mesi, ma oggi non è più possibile. 
Perciò si può dire che la catastrofe si sia già verificata, il che significa che noi viviamo in modo catastrofico.

- Emil Cioran - 
da: "Un apolide metafisico" 



«Ma prima o poi ci sarà una nuova generazione di giovani che svegliandosi dal torpore, nel quale il potere li ha intrappolati, rovisteranno nelle soffitte impolverate dei loro genitori e troveranno uno zaino e un sacco a pelo e a questo punto andranno “lungo la strada” a riprendere il cammino interrotto».

- Jack Kerouac -




Buona giornata a tutti. :-)

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giovedì 1 dicembre 2016

da: "24 minuti a Natale - Dio si avvicina" - don Guglielmo Cazzulani -

Introduzione
Sarà che ce lo volevano rubare. Sarà che è  finito in pasto al consumismo, preda di commer­cianti e imbonitori, e che i giorni che precedono il Natale di tutto sono pieni, tranne che delle cose  più importanti. Corriamo, ci affanniamo, presi come siamo da un'angoscia che ci stringe la gola.
Arriveremo in capo a tutto?
Poi però non c'è persona al mondo, pur assediata da mille incombenze, che non cerchi un minuto di silenzio per viverlo bene, il Natale. Sotto la scorza di tanta banalità che continua­mente lo opprime, c'è sempre un cuore bambino che chiede di pulsare. Affiora il ricordo di cento altri natali, spesso sperduti in un tempo lontano, dove invece c'era spazio per tutto: le fiabe dei nonni, la novena in parrocchia, la vigilia trascor­sa a consegnare i pacchi agli anziani. Il Natale non ha mai tradito la sua magia. Forse per colpa  di quel bisogno di spiritualità che ci portiamo scolpito dentro, quel desiderio di sentirci amati, e di trovare una ragione che giustifichi gli infiniti caotici cammini che siamo costretti a scarabocchiare sulla tavola di questa vita.
Davvero, Dio, un giorno ti sei tanto innamorato di noi da infi­larti nel nostro stesso cunicolo, lo stesso che noi scaviamo da sempre, sospettando qualche volta che non porti da nessuna parte?
Dio che respira in una culla. Pur con tutta la fantasia di cui sono capaci gli uomini, non ci saremmo mai aspettati di contemplare uno spettacolo del genere.
Così queste pagine - un minuto al giorno - sono dedicate alla stragrande maggioranza degli uomini, mendicanti di tempo, assorbiti da troppi impegni che quotidianamente infestano l'agenda. Uomini che qualche volta avrebbero voglia di piantare lì tutto, rosi come sono dalla nostalgia, e di rifugiarsi in un paese lontano, fatto su misura per loro, che non deve poi essere troppo diverso da quello che hanno conosciuto nell'infanzia. Uomini che soprattutto non vogliono perdere il succo della storia che ci porta a Natale. Ne avvertono prepotente il bisogno. Come di chi, per spingere avanti la carretta, gratta il fondo del barile, confidando di trovare ancora, mischiato con gli avanzi di un'intera vita, un piccolo resi­duo di speranza.

- don Guglielmo Cazzulani -
da: "24 minuti a Natale - Dio si avvicina", pagg 5-6, ed. Ancora libri



La fede che preferisco - dice Dio - è la speranza

- Carles Péguy - 



Quando comincia la speranza

Me lo spiegava così.
Mi diceva che i primi anni di ministero erano fradici di fede. S'era studiato a memoria le cinque prove dell'esistenza di Dio, contenute nella Summa di san Tommaso. Così, quando si accostava qualche giovane incerto, il solito cacadubbi di turno, era tutto un bello sciorinare di argomen­tazioni.
Mai uno di quelli non-convinti che si convinse.
Poi ci furono gli anni della carità. I cortili delle parrocchie si riempirono di bidoni e di container: tutti da imbottire di carta e di stracci, per mo­netizzare il lavoro, e mandare aiuti alle missioni, ai poveri, a chi per tanti motivi aveva bisogno di sostegno per vivere. L'oratorio trasformato in un termitaio, con persone volenterose che andavano su e giù con di quei sacchi in spalla da far paura, che pareva di essere in una miniera.
Poi finirono anche quegli anni. Senza neanche accorgersene, ci si trovò con i capelli bianchi, era arrivata l'anzianità. Uno comincia a fare quattro conti su ciò che ha combinato in vita, e scopre che la casella in fondo, quella del totale, riporta una cifra un po' più bassa di quella che s'era messo in preventivo all'inizio.
È qui che comincia il tempo della speranza.
Non so cosa ho fatto, non so cosa ho combina­to in questa vita, non so cosa ho costruito e cosa ho risolto.
Ma spero. È un tempo di grazia perché si depongono tante aggressività nei confronti dell'esistenza. Si abbandona quella mania tutta umana di voler imporre agli altri progetti che alla fine sono assolutamente propri, e quindi venati da una forte tinta di egoismo. Entra in cuore una sensazione strana, una certa impressione di pace. Finalmente ci si affida a Dio: forse non lo si era mai fatto prima. Ma non è un salto angoscioso, di quelli che ti fanno tremare di paura. Finalmente non si è più soli. Si capisce un po' meglio questo Dio che non è sceso fin quaggiù pretendendo che fossimo più santi di prima, ma che si è fatto nostro compagno di viaggio, fratello di tutti, specialmente dei più deboli e fragili.
Ce ne vogliono di sbagli, di miraggi, di tenten­namenti, prima di capire che cosa sia il vangelo, la bella notizia.
Ecco, alla fine di tutto, si spera.

- don Guglielmo Cazzulani -
da: "24 minuti a Natale - Dio si avvicina", pagg 7-8, ed. Ancora libri



Buona giornata a tutti. :-)




mercoledì 30 novembre 2016

Sulla vita e sulla morte

Signore Gesù, sono qui dinanzi a te, in salute.
Sento la vita palpitare dentro di me,
e gioisco infinitamente contemplando il creato,
ascoltando il canto degli uccelli,
sperimentando la tenerezza di quanti mi circondano.
Il futuro si apre dinanzi come una ricca pianura
nella quale seminare i miei progetti,
realizzare i miei sogni, raccogliere le mie opere.
E, benché ne senta difficoltà,
faccio uno sforzo su me stesso per accettare che la mia vita finirà,
e che un giorno dovrò dar conto delle mie parole e delle mie azioni.
In quel giorno mi chiederai il più costoso ma il più bel sacrificio,
il sacrificio di tutto ciò che mi hai dato sulla terra.
Ma, in compenso, tu ti consegnerai a me interamente,
e secondo le tue promesse mi darai il centuplo
di quanto ho sacrificato per te.
Sin da ora, Signore, nel pieno uso della mia libertà,
con tutta la lucidità della mia mente,
con tutta la forza della mia volontà, ti presento,
come fascio di fiori appena colto,
i miei affetti e i miei sogni, le mie opere e i miei progetti.

Nelle tue mani pongo l'offerta della mia vita:
accetto la sua fine, quando e come vorrai.
Ti chiedo solo un dono: la tua grazia e la tua amicizia.





Vita e morte non sono due estremi lontani l’uno dall’altro. Sono come due gambe che camminano insieme, ed entrambe ti appartengono. In questo stesso istante stai vivendo e morendo allo stesso tempo. Qualcosa in te muore a ogni istante. Nell’arco di settant’anni la morte arriverà a compimento. In ogni istante continui a morire, e alla fine morirai davvero.

- Osho -



Ognuno che perdiamo prende una parte di noi;
Uno spicchio alla fine rimane,
Che come la luna, una torbida notte,
È chiamato dalle maree.


- Emily Dickinson - 







Il cardinale Schuster diceva che il purgatorio è come un corso di esercizi spirituali: uno riflette, pensa, vede le cose sbagliate che ha fatto, gli dispiace, si purifica. Mi piace pensare che il nostro purgatorio, il purgatorio di ciascuno, sia quello di vedere tutte le stupidaggini che abbiamo fatto nella vita. Ce ne verrà un tale rossore che ci purifica e ci manda in Paradiso... 
Mi è congeniale in questo senso la descrizione dantesca delle anime “che vanno a farsi belle”. 

- Card. Giacomo Biffi - 



Avvenga di me secondo la tua parola.
Per i nostri morti
questo si è attuato definitivamente.
Essi sono nella dolce casa
per cui l'uomo nasce,
alla quale l'uomo è chiamato.
Adesso vedono il rapporto
che c'è fra quella dolce casa
definitiva ed eterna
e il segno fragile,
ma reale di essa,
che è la compagnia in cui sono vissuti.
E chiedono a noi,
dopo l'esperienza fatta,
di essere generosi, vigili, sensibili,
impegnati senza paura del sacrificio nel vivere
questo anticipo della dolce casa
a cui siamo incamminati.
Ci supplicano di poter dire
con maggiore verità quello che cantiamo sovente:
"Troppo perde il tempo chi ben non t'ama".
Essi lo sanno.
Senza paragone più che prima.
E per questo ci incitano che
"avvenga di noi secondo la sua parola".
Ci aiutano a dire l' Angelus
con profondità di attenzione,
come raramente ci avviene
per la distrazione che ci consuma.
(don Luigi Giussani)


Buona giornata a tutti. :-)





martedì 29 novembre 2016

L’abisso dentro di me e altre preghiere - Chiara Lubich

La Trinità dentro di me!
L’abisso dentro di me!
L’immenso dentro di me!
La voragine d’amore dentro di me!
Il Padre che Gesù ci ha annunciato
dentro di me!
Il Verbo!
Lo Spirito Santo che voglio sempre avere
per servire l’Opera, dentro di me!
Non domando di meglio.
Voglio vivere in questo abisso,
perdermi in questo sole,
convivere con la Vita Eterna.
E allora?
Potare la vita fuori
e vivere quella di dentro.
Di quanto taglio di comunicazioni
con l’esterno
di tanto Parlo con la Trinità
dentro di me.

- Chiara Lubich -

Adorazione della Santissima Trinità
Albrecht Dùrer - 1511
Kunsthistorisches Museum - Germania

Fu così che ti trovai

Quando si parla d'amore, Signore,
forse gli uomini pensano ad una cosa sempre uguale.
Ma quanto è vario l'amore!
Ricordo che quando t'ho incontrato non mi preoccupavo d'amarti.
Forse perché eri Tu che mi hai incontrato
e Tu stesso pensavi a riempire il mio cuore.
Ricordo che alle volte ero tutta fiamma,
anche se il fardello della mia umanità mi dava noia
e avevo l'impressione di trascinare il peso.
Allora, già d'allora per grazia tua,
capivo un po' chi ero io e chi Tu,
e vedendo quella fiamma come un dono tuo.
Poi mi hai indicato una via per trovarti.
«Sotto la croce, sotto ogni croce - mi dicevi - ci sono io.
Abbracciala e mi troverai».
Me l'hai detto molte volte
e non ricordo le argomentazioni che adducevi.
So che mi hai convinta.
Allora, al sopravvivere d'ogni dolore, pensavo a te,
e con volontà ti dicevo il mio sì...
Ma la croce restava il buio che incupiva l'anima,
lo strazio che la dilaniava, o altro...
Quante sono le croci della vita!
Ma Tu, più tardi, mi hai insegnato ad amarti nel fratello e allora,
 incontrato il dolore, non mi fermavo ad esso, ma accettatolo,
pensavo a chi mi stava accanto, dimentica di me,
E dopo pochi istanti, tornata in me,
trovavo il mio dolore dileguato.
Così per anni e anni: ginnastica continua della croce,
ascetica dell'amore.
Sono passate tante prove e Tu lo sai:
Tu che conti i capelli del mio capo, le hai annoverate nel tuo cuore.
Ora l'amore è un altro: non è solo volontà.
Lo sapevo che Dio è Amore, ma non lo credevo così.

 - Chiara Lubich - 




Signore, dammi tutti i soli...
Ho sentito nel mio cuore la passione che invade il tuo
per tutto l'abbandono in cui nuota il mondo intero.
Amo ogni essere ammalato e solo.
Chi consola il loro pianto?
Chi compiange la loro morte lenta?
E chi stringe al proprio cuore il cuore disperato?
Dammi, mio Dio, d'essere nel mondo
il sacramento tangibile del tuo amore:
d'essere le braccia tue, che stringono a sé
e consumano in amore
tutta la solitudine del mondo.

- Chiara Lubich -




















Buona giornata a tutti. :-)