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martedì 27 febbraio 2018

Il Povero e i Poveri da: "Diario di un curato di campagna" - Georges Bernanos

È la parola più triste dell'Evangelo, la più carica di tristezza. 
Prima di tutto, è rivolta a Giuda.
Giuda! San Luca ci riferisce che teneva i conti e che la sua contabilità non era pulitissima; e sia pure! Ma infine era il banchiere dei Dodici; e chi ha mai visto in regola la contabilità d'una banca? 
È probabile che gravasse un po' sulla provvigione, come tutti. A giudicare dalla sua ultima operazione, non sarebbe stato un brillante commesso d'agente di cambio, Giuda. 
Ma il buon Dio prende la nostra povera società qual è; al contrario di quello che fanno i buffoni che ne fabbricano una sulla carta, poi la riformano a tutta forza, sempre sulla carta, beninteso!
A dirla in breve, Nostro Signore conosceva benissimo il potere del danaro; e ha fatto accanto a sé un posticino al capitalismo; gli ha lasciato le sue possibilità; ha fatto persino il primo deposito di fondi. 
Trovo tutto questo prodigioso, che vuoi! Così bello! Dio non disprezza nulla.
Dopo tutto, se l'affare fosse andato bene, Giuda avrebbe probabilmente sovvenzionato dei sanatori, degli ospedali, delle biblioteche o dei laboratori. Avrai osservato che già s'interessava al problema del pauperismo, come un milionario qualsiasi. «Ci saranno sempre dei poveri tra voi» risponde Nostro Signore, «ma io non sarò sempre con voi». 
Il che significa: Non lasciar suonare invano l'ora della misericordia. Tu farai meglio a restituire immediatamente il danaro che m'hai rubato, invece di cercar di montare la testa dei miei apostoli con le tue speculazioni immaginarie sui fondi di profumeria e sui tuoi progetti d'opere sociali.
Per di più, credi di lusingare così il mio conosciutissimo gusto per i senzatetto; e sbagli completamente. 
Io non amo i miei poveri come le vecchie inglesi amano i gatti sperduti, o i tori delle corride. Sono abitudini da ricchi, codeste. 
Io amo la povertà d'un amore profondo, riflessivo, lucido - da uguale a uguale - come una sposa dal fianco fecondo e fedele. 
L’ho coronata con le mie proprie mani. Non le fanno onore tutti quelli che vogliono, e chi non ha prima rivestito la bianca tunica di lino non può servirla. 
Il pane dell'amarezza non può romperlo con lei chiunque voglia farlo. 
Ho voluto che sia umile e fiera, non servile. Non rifiuta il bicchiere d'acqua, purché sia offerto in mio nome; ed è in nome mio che lo riceve.
Se il povero traesse il suo diritto soltanto dalla necessità, il vostro egoismo lo avrebbe presto condannato allo stretto necessario, pagato con una riconoscenza e una servitù eterne. Così, oggi tu ti adiri contro questa donna che ha irrorato i miei piedi con un nardo pagato carissimo, come se i miei poveri non dovessero mai profittare dell'industria dei profumieri.
Sei proprio di quella razza di persone che, avendo dato due soldi a un vagabondo, si scandalizzano di non vederlo precipitarsi sull'istante dal fornaio, a riempirsi di pane raffermo che il commerciante, d'altronde, gli venderebbe come pane fresco. 
Al posto suo, andrebbero anche loro dal mercante di vino, giacché il ventre d'un miserabile ha più bisogno d'illusione che di pane. Disgraziati!
L’oro, a cui date tanta importanza, è forse qualcosa di diverso da un'illusione, da un sogno, e spesso soltanto dalla promessa d'un sogno? 
La povertà grava molto sulle bilance del mio Padre Celeste, e tutti i vostri tesori di fumo non ne equilibreranno i piattelli. 
Ci saranno sempre dei poveri, tra voi, per questa ragione: che vi saranno sempre dei ricchi, cioè degli uomini avidi e duri, i quali cercano meno il possesso che la potenza. 
Di questi uomini ve n'è tra i poveri come tra i ricchi; e il miserabile che smaltisce in un rigagnolo la sua ubriachezza forse è gonfio degli stessi sogni del Cesare addormentato sotto le cortine di porpora.
Ricchi o poveri, guardatevi piuttosto nella povertà come in uno specchio; poiché essa è l'immagine della vostra fondamentale delusione; essa conserva quaggiù il posto del Paradiso perduto, è il vuoto dei vostri cuori, delle vostre mani. 
L’ho messa così in alto, l'ho sposata, incoronata, solo perché conosco la vostra malizia.
Se avessi permesso che la consideraste come una nemica, o solo come una straniera, se vi avessi lasciato la speranza di cacciarla un giorno dal mondo, avrei nello stesso momento condannato i deboli. 
Giacché i deboli saranno sempre, per voi, un fardello insopportabile, un peso morto che le vostre orgogliose civilizzazioni si mandano dall'una all'altra, con ira e disgusto. 
Ho posto il mio segno sulla loro fronte, e voi non osate più avvicinarli altro che strisciando, divorate la pecora spersa, non oserete mai più attaccare il gregge. 
Basterebbe che il mio braccio si allontanasse un momento perché la schiavitù, che odio, risuscitasse da sé: poiché la vostra legge tiene i suoi conti in regola, e il debole non può dare altro che la propria pelle.

- Georges Bernanos -
da: "Diario di un curato di campagna", pp. 54-56




«La mia idea di felicità è soprattutto anticonsumistica. 
Hanno voluto convincerci che le cose non durano e ci spingono a cambiare ogni cosa il prima possibile. Sembra che siamo nati solo per consumare e, se non possiamo più farlo, soffriamo la povertà. 
Ma nella vita è più importante il tempo che possiamo dedicare a ciò che ci piace, ai nostri affetti e alla nostra libertà. E non quello in cui siamo costretti a guadagnare sempre di più per consumare sempre di più. 
Non faccio nessuna apologia della povertà, ma soltanto della sobrietà.»


José Pepe Mujica, dall'intervista di Omero Ciai, Mujica e "l'apologia della sobrietà": "Chi accumula denaro è un malato. La ricchezza complica la vita", Repubblica.it, 6 novembre 2016



“Se discutete con un pazzo, è oltremodo probabile che abbiate la peggio: perchè il suo cervello cercherà tutte le strade per non essere trattenuto da argomenti che lo condurrebbero a un retto giudizio. 
Egli non è trattenuto dal senso del ridicolo o dal sentimento della carità o dalle mere certezze dell’esperienza. 
Egli è tanto più logico quanto più ha perduto ogni affetto sano. 
La frase con la quale generalmente si designa la pazzia è sotto questo aspetto sbagliata. 
Il pazzo non è già l’uomo che ha perduto la ragione, ma l’uomo che ha perduto tutto fuor che la ragione. 
La sua mente si muove in un cerchio perfetto ma ristretto. Un cerchio piccolo è infinito, come un cerchio grande; ma, pur essendo ugualmente infinito, non è ugualmente grande. 
Allo stesso modo una spiegazione assurda è completa come una spiegazione giusta, ma non abbraccia un campo altrettanto vasto. 
Una pallottola è tonda come il mondo, ma non è il mondo”.

- Gilbert Keith Chesterton - 
da: “Ortodossia”)



Buona giornata a tutti. :-)





mercoledì 7 febbraio 2018

Essere generosi è mollare la presa - Piero Ferrucci

Essere generosi vuol dire vincere l'antica ansia di perdere ciò che possediamo. Vuol dire ridisegnare i nostri confini. 
Per la persona generosa i confini sono permeabili. Ciò che è tuo - la tua sofferenza, i tuoi problemi - è anche mio: questa è la compassione. 
Ciò che è mio - i miei possessi, le mie abilità e conoscenze, le mie risorse, il mio tempo, la mia energia - è anche tuo. 
Questa è la generosità.

Con la vittoria sui livelli antichi dell'inconscio e una ridefinizione dei confini, la generosità provoca in noi una trasformazione profonda. 
Inutile negarlo: spesso anche la persona più rilassata e gioviale nell'intimo è aggrappata ai suoi averi con tutte le sue forze. 
Questi muscoli emotivi sono sempre tesi. Ciò che abbiamo, o che crediamo di avere, ce lo teniamo stretto: una persona, una posizione sociale, un oggetto, la nostra sicurezza. E in questo trattenere c'è paura. 
Siamo come quei bambini, descritti da una parabola buddhista, che su una spiaggia hanno costruito i loro castelli di sabbia. 
Ognuno ha il suo castello. Ognuno ha il suo territorio. 
Tutti si sentono importanti: «È mio!», «È mio!». Magari si azzuffano, fanno la guerra. Poi cala la sera, i bambini ritornano alle loro case. Dimenticano i castelli di sabbia e vanno a dormire. 
Intanto l'alta marea cancella tutto. I nostri monumenti più preziosi sono castelli di sabbia. Vogliamo prenderci veramente così sul serio? 
La generosità molla la presa, è molto più rilassata.

- Piero Ferrucci -
da: La forza della gentilezza, Oscar Mondadori 2005


Noi, come razza umana, non siamo abituati alla generosità. 
La brutalità è per noi un linguaggio molto più comprensibile di una dimostrazione di amicizia. 

- Ai confini della realtà -




Due spiccioli

Signore Gesù,

quante volte mi nascondo
dietro ai “ Non ce la faccio...Non ho tempo...
Non ci riesco...Non sono capace...
Non posso proprio...”
Eppure tu non mi chiedi
di far tintinnare rumorosamente
monete pregiate e preziose
nella cassetta del tempio.


Tu mi chiedi due spiccioli
offerti con generosità.


E due spiccioli,
come la povera vedova,
ce li ho sempre,
ce li ho per tutti.


Un sorriso,
una carezza,
un pò di compagnia,
una parola buona,
una telefonata,
due righe...



Due spiccioli ce li ho.


Sempre.


Signore Gesù,
aiutami a tirarli fuori.


- don Tonino Lasconi -


Buona giornata a tutti. :-)








martedì 23 gennaio 2018

Incontro con il lebbroso – Tommaso da Celano

17. "Poi, come vero amante della umiltà perfetta, il Santo si reca tra i lebbrosi e vive con essi, per servirli in ogni necessità per amor di Dio. Lava i loro corpi in decomposizione e ne cura le piaghe virulente, come egli stesso dice nel suo Testamento: 'Quando era ancora nei peccati, mi pareva troppo amaro vedere i lebbrosi, e il Signore mi condusse tra loro e con essi usai misericordia'. La vista dei lebbrosi infatti, come egli attesta, gli era prima così insopportabile, che non appena scorgeva a due miglia di distanza i loro ricoveri, si turava il naso con le mani. Ma ecco quanto avvenne: nel tempo in cui aveva già cominciato, per grazia e virtù dell'Altissimo, ad avere pensieri santi e salutari, mentre viveva ancora nel mondo, un giorno gli si parò innanzi un lebbroso: fece violenza a se stesso, gli si avvicinò e lo baciò. Da quel momento decise di disprezzarsi sempre più, finché per la misericordia del Redentore ottenne piena vittoria.
Quand'era ancora nel mondo e viveva vita mondana, egli si occupava dei poveri, li soccorreva generosamente nella loro indigenza e aveva affetto di compassione per tutti gli afflitti. Una volta, che aveva respinto malamente, contro la sua abitudine, poiché era molto cortese, un povero che gli aveva chiesto l'elemosina, pentitosi subito, ritenne vergognosa villania non esaudire le preghiere fatte in nome di un Re così grande. Prese allora la risoluzione di non negar mai ad alcuno, per quanto era in suo potere, qualunque cosa gli fosse domandata in nome di Dio. E fu fedele a questo proposito, fino a donare tutto se stesso, mettendo in pratica anche prima di predicarlo il consiglio evangelico: Dà a chi ti domanda qualcosa e non voltar le spalle a chi ti chiede un prestito (Mt 5,42)."

- Tommaso da Celano -
Fonte: Tommaso da Celano, Vita prima di San Francesco d'Assisi, nn. 348-349




„Il mondo circostante era, come si è già notato, un groviglio di dipendenze familiari, feudali, e altre. L'idea complessa di San Francesco era che i Piccoli Frati dovessero essere come pesciolini, liberi di muoversi a proprio piacimento in quella rete. E potevano farlo proprio per il loro essere piccoli e perciò guizzanti. [... ] 
Calcolando, per così dire, su questa astuzia innocente, il mondo era destinato ad essere circuito e conquistato da lui, e impacciato nel reagire alla sua azione. 
Non si poteva di certo lasciar morire di fame un uomo continuamente votato al digiuno, né lo si sarebbe potuto distruggere e ridurre alla miseria, poiché era già un mendicante. 
Vi sarebbe stata una soddisfazione ben scarna anche nel percuoterlo con un bastone, poiché egli si sarebbe lasciato andare a salti e canti di gioia, essendo l'umiliazione la sua unica dignità. 
E nemmeno lo si sarebbe potuto impiccare, perché il cappio sarebbe divenuto la sua aureola".


- Gilbert Keith Chesterton - 
da: " Francesco", VII



4 ottobre, ed il serafico padre migra da questa vita a Dio.

Si fa deporre "nudo a terra" e "sembrava l'immagine del crocifisso".
Passa con facilità da questo mondo al Padre, com'è invece difficile attraversare "sorella nostra morte corporale" se non si è trovati nudi delle cose di questo mondo. "Guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali" ed invece felici "quilli ke trovarà ne li toi santissime volontade ke lla morte seconda no li farà male".
A lui non ha fatto male, anzi.




Buona giornata a tutti. :-)




domenica 17 dicembre 2017

Attesa. Vigilanza. Speranza. Preghiera. Povertà. Penitenza. Conversione. Testimonianza. Solidarietà. Pace. Trasparenza – + don Tonino Bello, Vescovo

C’è una parola chiave che caratterizza quest’arco dell’anno liturgico, e attorno alla quale noi articoliamo abilmente i contenuti dell’annuncio cristiano: attesa. 
E’ come una bambola russa: ad aprirla, cioè, ne trovi un’altra: vigilanza
Se apri anche questa, ci trovi dentro speranza
E così via, fino a giungere alle più interessanti sottospecie della stessa famiglia. Messe tutto allo scoperto, queste bambole riempirebbero un tavolo di buoni sentimenti. 
E’ un gioco bellissimo di implicazioni e di esplicazioni, che ci fa vedere quanto sia esteso il fronte su cui deve esprimersi la nostra conversione in questo periodo che ci prepara al Natale.

Attesa. Vigilanza. Speranza. Preghiera. Povertà. Penitenza. Conversione. Testimonianza. Solidarietà. Pace. Trasparenza. 

Dopo aver meditato i testi biblici, sarebbe interessante sedersi attorno al tavolo con la gente e chiedere, per ogni bambola russa, il nome delle altre successivamente racchiuse. Ne verrebbe fuori un campionario di atteggiamenti interiori davvero interessante che, proprio perché elaborato da un processo critico, potrebbe essere assunto con più facilità come telaio ascetico su cui disegnare il cammino dell’avvento.

Ma, con questa procedura, si rimane ancora un po’ troppo dalla parte dell’uomo. Si dà troppo l’impressione, cioè, che l’avvento costituisca un espediente ciclico che, con le sue risorse, ci stimola a ricentrare la vita sul piano morale, e basta.

Senza dubbio, tutto questo non è sbagliato. Però si corre il rischio di trasformare l’avvento in una specie di palestra spirituale, in cui si pratica l’allenamento intensivo alle buone virtù. 
La qual cosa resta sempre un’esercitazione eccellente, ma dà un’immagine riduttiva di questo grande momento di grazia. 
Occorre allora guardare le cose anche dalla parte di Dio. Sì, perché anche in cielo oggi comincia l’Avvento, il periodo dell’attesa. Qui sulla terra è l’uomo che attende il ritorno del Signore. Nel cielo è il Signore che attende il ritorno dell’uomo. 
E’ una visione prospettica splendida, che ci fa recuperare una dimensione meno preoccupata degli aspetti morali della vita cristiana e più interessata a cogliere il disegno divino di salvezza. 
Forse si potrebbe ripetere anche qui il gioco delle bambole russe. Visto che anche per Dio la parola chiave dell’avvento è attesa: ma quali ulteriori parole si potrebbero successivamente trovare l’una all’ interno dell’altra? Si può provare a indicarne due, cogliendo l’anima dei testi biblici proclamati: salvezza e pace. 
La parola salvezza evoca il progetto finale di Dio, così come viene abbozzato nelle prime letture e nel salmo responsoriale. I popoli che salgono al monte del Signore e che esultano finalmente dinanzi a Gerusalemme esprimono il trasalimento di Dio, che vede raccolte attorno a sé tutte le genti, nello stadio finale del Regno. Attese irresistibili di comunione. Solidarietà con l’uomo. Bisogno di comunicargli la propria vita. Disponibilità a un perdono senza calcoli. Questo sono i sentimenti di Dio, così come ci viene dato di coglierli nella filigrana delle letture bibliche.
Oggi è impossibile, durante la liturgia, non rifarsi alla tenerezza del Padre, alle sue sollecitudini, alle sue ansie per il ritorno a casa di ogni figlio. Viene in mente l’espressione della parabola del figlio prodigo: «Mentre era ancora lontano, il padre lo vide (Lc 15,20). Di qui l’avvio della speranza in ognuno di noi. Coraggio, «la notte è avanzata, il giorno è vicino. La nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti» 
Di qui anche l’avvio dell’impegno. Che cosa fare per non deludere le attese del Signore? Quali sono le «opere delle tenebre» che bisogna gettare, e quali le «armi della luce» di cui bisogna rivestirsi? 
Non si potrebbe oggi fare, magari con opportuni silenzi, una sorta di check-up, individuale e collettivo, in fatto di comunione? Forse si torna ancora al prontuario dei buoni atteggiamenti morali, ma stavolta come galassia di impegni, affinché la gioia di Dio sia completa. 
La parola pace evoca, invece tutta una serie di percorsi obbligati per poter giungere alla salvezza. 
Oggi non bisogna lasciarsi sfuggire l’occasione della concretezza, per dire senza frasi smorzate che pace, giustizia e salvaguardia del creato sono il compito primordiale di ogni comunità cristiana. Che attingere a piene mani alla riserva utopica del Vangelo è l’unico realismo che oggi ci venga consentito. Che osare la pace per fede, sfidando il buon senso della carne e del sangue, è la prova del nove sul credito che sappiamo esprimere a favore della parola del Signore. Che la non violenza attiva deve divenire criterio irrinunciabile che regola tutti i rapporti personali e comunitari. 
La lettura non tollera interpretazioni di comodo. Se noi cristiani permetteremo l’ingrandirsi degli arsenali delle spade e delle lance a danno dei depositi dei vomeri e delle falci, non risponderemo alle attese di Dio. 
Così pure, se non sapremo leggere in termini fortemente critici le esercitazioni dei popoli nell’arte della guerra, sviliremo Isaia, estingueremo la nostra carica profetica, e difficilmente, nella notte di Natale, potremo accogliere l’esplosione dello «shalom», annunciato dagli angeli agli uomini che Dio ama (Lc 2,14).

+ don Tonino Bello, Vescovo 
[Antologia degli Scritti, Vol. 6, pg. 222-225]




Altro Natale:
culle insanguinate
senza lacrime di madri,
pianti sconsolati di fame
senza latte, senza pace,
senza ninne nanne.

Altro Natale
non con il piccolo presepe
tra gente semplice, fedele,
ma su strade d'asfalto,
tra l'urlo dei motori
nel brivido della morte violenta.

Altro Natale
senza compassione
dove Tu, Dio,
vuoi nascere ancora
per amare con cuore d'uomo.
Vieni, non mancare,
perché c'è sempre Lei ad aspettarti
in mezzo a noi:
la Povera,
la Vergine,
la Madre. 

 - Madre Anna Maria Cànopi -



Buona giornata a tutti. :-)







giovedì 23 novembre 2017

Parafrasi del Padre Nostro - San Francesco d’Assisi

O santissimo Padre nostrocreatore, redentore, consolatore e salvatore nostro.
Che sei nei cielinegli angeli e nei santi, illuminandoli alla conoscenza, perché tu, Signore, sei luce, infiammandoli all'amore, perché tu, Signore, sei amore, ponendo la tua dimora in loro e riempiendoli di beatitudine, perché tu, Signore, sei il sommo bene, eterno, dal quale proviene ogni bene e senza il quale non esiste alcun bene.
Sia santificato il tuo nomesi faccia luminosa in noi la conoscenza di te, affinché possiamo conoscere l'ampiezza dei tuoi benefici, l'estensione delle tue promesse, la sublimità della tua maestà e la profondità dei tuoi giudizi.
Venga il tuo regnoperché tu regni in noi per mezzo della grazia e ci faccia giungere nel tuo regno, ove la visione di te è senza veli,
l'amore di te è perfetto,
la comunione di te è beata, 
il godimento di te senza fine. 

Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terraaffinché ti amiamo con tutto il cuore, sempre pensando a te; con tutta l'anima, sempre desiderando te; con tutta la mente, orientando a te tutte le nostre intenzioni e in ogni cosa cercando il tuo onore; e con tutte le nostre forze, spendendo tutte le nostre energie e sensibilità dell'anima e del corpo a servizio del tuo amore e non per altro; e affinché possiamo amare i nostri prossimi come noi stessi, trascinando tutti con ogni nostro potere al tuo amore, godendo dei beni altrui come dei nostri e nei mali soffrendo insieme con loro e non recando nessuna offesa a nessuno.
Il nostro pane quotidianoil tuo Figlio diletto, il Signore nostro Gesù Cristo, dà a noi oggi: in memoria, comprensione e reverenza dell'amore che egli ebbe per noi e di tutto quello che per noi disse, fece e patì.
E rimetti a noi i nostri debitiper la tua ineffabile misericordia, per la potenza della passione del tuo Figlio diletto e per i meriti e l'intercessione della beatissima Vergine e di tutti i tuoi eletti.
Come noi li rimettiamo ai nostri debitori: e quello che non sappiamo pienamente perdonare, tu, Signore, fa' che pienamente perdoniamo sì che, per amor tuo, amiamo veramente i nemici e devotamente intercediamo presso di te, non rendendo a nessuno male per male e impegnandoci in te ad essere di giovamento a tutti.
E non ci indurre in tentazionenascosta o manifesta, improvvisa o insistente.
Ma liberaci dal malepassato, presente e futuro.

- San Francesco d’Assisi -




La cosiddetta «Parafrasi del Padre Nostro» di San Francesco è una delle preghiere che manifestano meglio la radice evangelica della sua spiritualità. Francesco portava inciso nell’anima un profondo sentimento della paternità di Dio. 
Per lui era come l’aria che respirava e il clima che avvolgeva la sua vita di ogni giorno. 
Non c’è dunque niente di strano che nella sua preghiera si rivolga in primo luogo al Padre. 
Nei suoi scritti lo menziona più di cento volte.


“Nel sorgere del sole, ogni uomo dovrebbe lodare Dio per aver creato questo astro, che durante il giorno dà agli occhi la loro luce; la sera quando viene la notte, ogni uomo dovrebbe lodare Dio per quest’altra creatura, nostro fratello fuoco, che, nelle tenebre, permette ai nostri occhi di vedere la luce. Siamo tutti come dei ciechi, e per mezzo di queste due creature, Dio ci dà la luce. Per questo, per queste creature e per le altre che ci servono ogni giorno, dobbiamo lodare particolarmente il loro glorioso Creatore!”

Frate Francesco d'Assisi


Buona giornata a tutti. :-)




mercoledì 22 novembre 2017

da: "Il denaro" - Charles Peguy

...Ai miei tempi tutti cantavano...
Nella maggior parte dei luoghi di lavoro
si cantava; oggi vi si sbuffa.
Direi quasi che allora
non si guadagnava praticamente nulla.
Non si ha l’idea di quanto i salari
fossero bassi.
Nondimeno tutti mangiavano.
Anche nelle case più umili
c’era una sorta di agiatezza
di cui si è perduto il ricordo.
Conti, non se ne facevano.
Perché c’era poco da contare.
Ma i figli potevano essere allevati.
E se ne tiravano su.
Era sconosciuta questa
odiosa forma di strangolamento
che oggi ci torce ogni anno di più.
Non si guadagnava; non si spendeva;
e tutti vivevano.
Ogni fatto era un avvenimento; consacrato.
Ogni cosa era una tradizione,
un insegnamento;
tutte le cose avevano
un loro rapporto interiore,
costituivano la più santa abitudine...

- Charles Peguy - 

da: "Il denaro"

Strade, angoli, piazze e quartieri... sono tanti i luoghi in cui uomini e donne, senza nome, muoiono per indifferenza o solitudine.
Non esistono, Signore, samaritani che appaiono dal nulla. 
Non ci sono, Gesù, samaritani che arrivano da altri mondi.
Esistiamo noi, con le nostre scelte, E ci sei tu con la tua audace proposta:
«Vai e anche tu fai ciò che ho fatto io. 
Vai e tendi la mano a chi è povero. Vai e sorridi a chi è solo. 
Vai e apri il tuo cuore a chi è triste. 
Vai e abbraccia chi è caduto e sanguina».
Signore Gesù, rendi vera la nostra fede, insegna al nostro cuore ad amare veramente, aiuta le nostre gambe e le nostre mani ad andare verso gli altri, perché il mondo possa scoprire, e sentire il tuo amore, nel nostro credere, amando. Amen. 


sr Mariangela frp Tassielli, Paoline



La preghiera di chi non ha più niente

Signore, non ho più niente
eppure ho tutto, perché ho Te.
Non ho cibo a sufficienza,
ma mi basta quello che ricevo dalla gente
o che guadagno con il mio onesto lavoro.
Non ho casa, ove riposare,
ma mi contento del cielo
sotto il quale riposo ogni tanto,
memore della tua esperienza,
di un Dio che non ha neppure
una pietra ove poggiare il suo capo stanco.
Non ho denaro che mi possa aiutare a vivere con dignità
ma accolgo, con sofferenza, l'elemosina di tanta gente.
Quanto é difficile Signore essere povero oggi come allora,
ma nessuno di noi ha scelto di esserlo di propria volontà.
Tu sai la sofferenza di quanti non hanno nulla
nel nostro tempo affamato di guadagni e di posizioni sempre più agiate.
Non Ti chiedo di rimuovere solo la mia povertà,
ma la povertà di tanti popoli oppressi a causa dell'ingiustizia
e della cattiva gestione delle risorse della Terra.
Fa, o Dio della Provvidenza, che nessun bambino
sia più povero su questa Terra,
che nessun ammalato sia abbandonato a se stesso
senza alcuna assistenza e sicurezza,
che nessun anziano vengano lasciato nella solitudine
senza il conforto di qualcuno,
che nessun giovane abbia a soffrire a causa
del cattivo esempio degli adulti,
che in tutte le famiglie e su tutte le mense del mondo
arrivi quotidianamente quel pane di ogni genere
che ti chiediamo ogni giorno per noi e per tutti
con la stessa preghiera che ci hai insegnato Tu.
Amen.


Buona giornata a tutti. :-)