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domenica 5 giugno 2022

Lo Spirito, l' Avvocato - monsignore Alessandro Maggiolini

La Pentecoste richiama e ripete la discesa dello Spirito Santo sulla Chiesa primitiva radunata nel Cenacolo - quattro gatti, si direbbe, se non se ne conoscesse il seguito. Non pretendo di imbastire la spiegazione della festa che ha rilevanza estrema e molteplici aspetti. Mi limito a considerare lo Spirito che ci viene donato: lo Spirito che nel Vangelo di Giovanni è chiamato con un nome inconsueto: il Difensore, l'Avvocato: Paracleto significa appunto Avvocato. Già è strana la ricerca dello Spirito. Lo si penserebbe lontano, e invece vive e respira in noi, quando siamo in grazia. Forse se ne parla poco proprio per questo: non ci sta davanti, ci sta dentro, ed è lui stesso a farci parlare di lui...

Un poco - mi si perdoni il paragone - come in certi gialli dove il colpevole non fugge dopo l'assassinio, ma si nasconde tra la folla che assiste all'arrivo della polizia e fa gesto di disapprovazione per l'accaduto e magari partecipa alle indagini così da far perdere le piste...

Chiedo ancora scusa del paragone un po' irriverente che m'è venuto così, senza motivo, e che non ho saputo ricacciar giù. Volevo semplicemente notare che in questo gioco a mosca cieca che è la vita di fede, non bisogna correre lontano all'impazzata per agguantare lo Spirito: bisogna dolcemente rientrare in noi stessi e lasciarci possedere da lui: ci attende nell'intimo più intimo di noi stessi, ci abita ancor prima che ce ne avvediamo...

Ed è chiamato - dicevo - «Difensore», «Avvocato». Forse anche qui la terminologia non ci aiuta molto a penetrare in un'atmosfera devota: ci fa pensare piuttosto ad un'aula di tribunale dove troviamo, oltre l'imputato e il giudice, il pubblico ministero - quello che accusa - e il difensore, appunto, l'avvocato che svolge la parte della difesa. Lo Spirito Santo - ecco - avrebbe il compito di difendere. Difendere chi? Che cosa?

Abbandoniamo l'immagine un po' fredda e burocratica del Palazzo di Giustizia. Pensiamo a noi. Non è forse vero che anche dentro di noi c'è un pubblico ministero che accusa spesso in modo globale e implacabile? O, più precisamente, non è forse vero che anche noi stessi abbiamo la requisitoria facile, un poco contro tutti e contro tutto? In certi momenti neri - ma non solo – le persone che accostiamo ci appaiono come zerbini da calpestare o mostri da evitare: non ci fidiamo, comunque, di loro; abbiamo già stabilito che non meritano un pizzico di stima o che nascondono una segreta intenzione di manipolarci, di giocarci; ne vediamo soltanto i limiti, i difetti, le cattiverie... Un giudizio universale e senza possibilità d'appello: una requisitoria senza scampo, appunto. Saremmo pronti talvolta a stizzirci non solo perché l'autista del pullman guida a strattoni e il vigile tarda a dare via libera, ma anche perché un collega d'ufficio ha i capelli castani e parla farfugliando, come se fosse colpa sua. E così è per le situazioni in cui ci troviamo: odiamo talvolta il nostro lavoro, il nostro modo di camminare e di gestire, il timbro di voce, l'educazione ricevuta... Tutto. Tutto ci irrita e ci innervosisce e ci umilia e ci spinge quasi a preparare la vendetta...

Vedete un poco, amici, se non abbiamo bisogno d'un avvocato. Siamo pubblici ministeri arcigni, drastici, impietosi - e un po' stolti -: un po' stolti perché anche gli orologi fermi sono esatti due volte al giorno; e non c'è persona o situazione che non offra pure qualche aspetto di positività e di bellezza...

Lo Spirito Santo in noi si assume esattamente questa funzione ingrata e serena di difensore: ci riconcilia con gli altri e con le cose; ci riappacifica con noi stessi; ci aiuta a raggiungere, con il coraggio di cambiare, anche il coraggio di accettare il mondo che ci sta attorno e che è dentro di noi; ci offre pure un senso di umorismo che distende le ciglia aggrottate e ci rende capaci di sorridere. L'umorismo è un gran dono di Dio. Consente quello splendido viaggio d'avventura che è lo scoprire la nostra casa come un continente inesplorato; consente di stupirci dei vicini più noti; di non prenderci troppo sul serio; di giungere perfino a. prenderci gioco un poco di noi stessi...

Vieni, Spirito Santo!

(Alessandro Maggiolini)





«Nel giorno di Pentecoste fu dato ai cristiani lo Spirito Santo nella grazia e nel giorno di Pentecoste i Giudei ricevettero la legge nel timore: la legge dunque fa riconoscere peccatori, la grazia libera dal peccato; la legge atterrisce, la grazia attrae; la legge porta alla pena, la grazia offre la misericordia».

  (Sant’Agostino)



Buona giornata a tutti :-)







lunedì 9 novembre 2020

I miracoli di Cristo non sono gesti spettacolari – Mons. Alessandro Maggiolini

 I miracoli di Cristo non sono gesti spettacolari. 

Sono atti di bontà che manifestano il regno tra noi: il Regno che è salvezza di tutto l'uomo.

Così, anche la guarigione di un sordomuto, oltre che realtà, può essere "segno" di un intervento del Signore Gesù che ci libera il cuore.

L'egoismo è sempre disattenzione a Dio e agli altri. 

È chiusura in noi stessi. È affondare nella solitudine e nella disperazione.
Abbiamo bisogno di ascoltare e di parlare.

Di ascoltare, innanzitutto. 

Viviamo in una cultura intrisa di parole e vuota di senso e di passione.

Talvolta, una persona che taccia e presti ascolto è una grande benedizione.

Dio ci parla nella sua Chiesa. I fratelli ci dicono le loro sofferenze e le loro gioie avare.

Ascoltare e parlare, intervenendo con saggezza e pulizia, con tenerezza e vigore, con il linguaggio giusto, con il tono appropriato.

Dicendo ciò che va detto.

Ne nasce una incomparabile comunione con Dio che rende sorridente la vita.

Ne nasce una fraternità che ha Dio come Padre e Cristo come primogenito.

Per morire e risorgere con lui.

(Mons. Alessandro Maggiolini)



"Il pellegrinaggio interiore della fede verso Dio si svolge soprattutto nella preghiera. Sant’Agostino ha detto una volta che la preghiera, in ultima analisi, non sarebbe altro che l’attualizzazione e la radicalizzazione del nostro desiderio di Dio. 

Al posto della parola “desiderio” potremmo mettere anche la parola “inquietudine” e dire che la preghiera vuole strapparci alla nostra falsa comodità, al nostro essere chiusi nelle realtà materiali, visibili e trasmetterci l’inquietudine verso Dio." 

 - Papa Benedetto XVI -


È il miracolo dell’amore di Dio, che fa germogliare e fa crescere ogni seme di bene sparso sulla terra. E l’esperienza di questo miracolo d’amore ci fa essere ottimisti, nonostante le difficoltà, le sofferenze e il male che incontriamo. 

 -  papa Benedetto XVI -







Buona settimana a tutti quanti! :-) 


martedì 20 ottobre 2020

Umorismo, ultimo dono della preghiera - Alessandro Maggiolini

La preghiera non intristisce? Non toglie il gusto della vita?

Non rende incapaci di sorridere? Non lega ad una maschera di ascetica truce? Non impone il disinteresse per ciò che passa? 

Non consegna ad una fatalità senza scampo, a cui occorre soltanto piegarsi, come giunchi al passare della corrente?... 

Niente, e così sia: e ci teniamo la nostra mestizia. Insomma, i credenti che pregano, sanno ancora cantare, raccontare una barzelletta, godere delle cose di ogni giorno? Nel mondo d'oggi fan da orchestra o da platea?...

Verrebbe voglia di prendere in contropiede le domande.
Davvero viviamo in un mondo che scoppia dalla felicità? 

O ridiamo a comando: quando il comico giunge alla battuta e alla televisione, fuori campo, compare il cartello luminoso: «applausi», e tutti battono le mani come collegiali? E il comico è felice, dentro; o fa il mestiere di suscitare l'ilarità? E son canti di allegria quelli che si ascoltano al juke-box - e magari non si capisce una parola -, o sono un modo di coprire col rumore una tristezza che non si riesce ad accettare? E gli stessi giovani, che dovrebbero essere il domani, la speranza, la freschezza dell'esistenza, son davvero felici, spensierati e serenamente impegnati come talvolta si assicura? O affogano spesso nella noia? O si inaspriscono spesso nella rabbia, nell'odio? 

Non vale imbastire polemiche. Ma occorre pure accordarsi su che cosa voglia dire gioia, serenità, pace, allegria. È il chiasso della bisboccia? È l'evasione dai problemi? È il darsi pacche sulle spalle? È lo stordirsi fino all'esaurimento?...

Torniamo alla preghiera.
C'è un «test» infallibile per valutare se si tratta di preghiera autentica o di contraffazione. Ed è questo: vedere se ci si alza dal colloquio con Dio rasserenati ed impegnati al tempo stesso, o se ci si alza affranti o irritati. 

Nel secondo caso, quel che si è fatto non è preghiera: è narcisismo; un guardarsi allo specchio per detestarsi - ne abbiamo tutti i motivi - o per compiacerci - fa tenerezza questa candida e un po' stupida esaltazione di noi stessi -; o è un caricarci di aggressività: il prender coscienza delle esigenze dell'uomo e il buttarci con risentimento, con disperazione nel nostro compito di aiutare i fratelli, camusianamente, senza neppure la consolazione d'avere un Dio da bestemmiare, contro cui avventarci.
No, la preghiera vera è genesi d'umorismo. 

D'umorismo, che è cosa diversa dall'ironia e dal sarcasmo. 

L'ironia è atteggiamento freddo, arido, distaccato. 

Il sarcasmo è perfino disprezzo e volontà di distruzione: parte da uno scetticismo cattivo che mette in ridicolo per umiliare, per annientare... L'umorismo... L'umorismo, dicevo, è frutto della preghiera. Bisogna chiederlo al Signore perché è arte difficile, e non sempre la natura lo consente pienamente.
È un osservare le persone e le cose con simpatia, sapendo cogliere gli aspetti positivi anche là dove tutto sembrerebbe da condannare - il mezzo bicchiere pieno, non il mezzo bicchiere vuoto -; è un riuscire a godere delle vicende più usuali, quelle che càpitano nei giorni qualsiasi e che ci lasciamo scivolare accanto senza neppure badarci... E tutto ciò non con l'aria indifferente del disinteressato, dallo scettico blu, ma con la partecipazione cordiale di chi vuole costruire la storia, mutare il mondo, o non so cosa; ma pure non si lascia impaurire dall'ultimo fatto di cronaca: guarda lontano e si impegna come può. 

Come Dio, questo supremo barzellettista e comico che «gioca - dice la Scrittura - nel mondo», ma pure vi è presente fino a morirne...

La preghiera: consola e spinge ad assumere le proprie responsabilità. 

Non c'è ideologia che riesca a consolare una donna brutta. 

Non c'è politica che riesca ad esigere, col pane, i gerani alla finestra... Eppure si tratta di cose importanti...
Lasciatemi ripetere una frase vietata, amici: un cristiano triste è un triste cristiano. Per invitare a pregare.

- Alessandro Maggiolini Mons. -


Io voglio insegnarvi un metodo di vita cristiana, che vi possa nel tempo stesso rendere allegri e contenti, additandovi quali siano i veri divertimenti e i veri piaceri

 - San Giovanni Bosco - 


Buona giornata a tutti. :-)





lunedì 9 settembre 2019

Pregare, come si fa? - Alessandro Maggiolini

D'accordo: pregare si deve; lo dice il Vangelo. Un credente non può esimersi.
Ma come? E come fa, uno che non ha mai pregato, ad iniziare?

Potrei rispondere coi manuali di spiritualità. 
Suggeriscono tante tecniche anche utili. 
Ma alla fine son soltanto mezzi, e uno rimane solo davanti a se stesso. 
È un poco come quando si sa tutto sul nuoto, ma non ci si è mai buttati in acqua; come quando si è studiato a memoria il libretto di istruzioni della macchina: si sa dove sono i pistoni e il carburatore, come funziona la pompa dell'olio, come stringono i freni... ma non si ha ancora avuto il coraggio di girare la chiave d'avviamento del motore. 
Altro è parlar di preghiera - o sapere anche - e altro è pregare.
Come si fa?
Non lo so.
So benissimo, di contro, come si fa a non pregare e a trovar mille scuse.
Per pregare, invece, ci si butta, ecco: non riesco ad esprimermi diversamente. 
È un salto nel buio. Un'impressione paurosa di vuoto, mentre poi si scorge via via una chiarezza crescente e ci si sente sostenuti dalle braccia potenti di un Padre che rassicura...
È una decisione vertiginosa. 
Uno giocherella con se stesso: tesse trame complicate - una triste festa - di pensieri; opera escavazioni abissali nel proprio fondo, e trova anche dolce questo comportarsi: questo cullarsi in una ninna nanna un po' languida; questo farsi il funerale sentendosi impotente sotto la coltre nera e cantandosi le lamentazioni... 
O grida di dolore perché non riesce più a vivere, perché tutto è assurdo... 
O si compiace beatamente dei risultati raggiunti: fa e rifà i conti, come l'avaro di Molière, e si dà i voti più alti e si attribuisce le glorie più sussiegose: si organizza la claque, senza pensare al poi, al terribile poi che si incontra in capo alla strada...
Questa non è ancora preghiera. 
Perché è solitudine. 
Il pianto, l'esaltazione, l'urlo disperato si chiudono nell'uomo o si perdono nel nulla.
Si inizia a pregare quando si scopre un «Tu» che sta al di là delle cose, delle vicende e dei fratelli. 
Un «Tu» a cui si parla, non un Egli di cui si parla; fosse pure l'Infinito, il Trascendente o non so cosa. 
Ecco, qui scatta la preghiera, che è dialogo. E ci si ritrova di fronte ad una Presenza densa e concreta, incombente e dolcissima: una Presenza che ascolta e che c'è, che è qui, ora, in modo indubitabile, anche se ho l'impressione che le mie parole mi ritornino indietro come una eco lontana di cui ho paura... 
Sto rivolgendomi a ... sto conversando con ... Non sono più solo.
Forse questo cerchio della mia solitudine l'ho rotto perché avevo bisogno d'un senso ai miei giorni e alla delusione cattiva delle cose... 
Che importa? Diffido delle santità incontenibili e degli entusiasmi travolgenti.
Forse, spesso, ci si rivolge a Dio perché si sono tentati altri approcci e si sono trovati inconcludenti. 
Si prega perché non si sa esistere ed agire senza pregare. 
Non è vigliaccheria... Purché si senta questo ultimo «Tu» che non ci rifiuta e dà consistenza a tutto. 
E il coraggio di riprendere la fatica di esistere. 
E perfino il vigore di riconoscere qualche gioia che pure non manca...
Si parla a Dio. O forse lo si ascolta, meglio. 
Va sempre così quando ci si accosta a Dio: si ha l'impressione di trovarlo, mentre lui stesso ci stava aspettando; lo si copre di frasi, mentre poi ci si avvede che non ha bisogno delle nostre recite, e lo si lascia dire, e lo si ascolta. Come quando si ama: non c'è bisogno di lunghe spiegazioni: basta uno sguardo ed è tutto rivelato; un lasciarsi leggere dentro - anche negli angoli nascosti - e un sentirsi compresi, accolti e riaffidati alla vita: ma con altra speranza...

- Mons. Alessandro Maggiolini - 
15 luglio 1931 - 11 novembre 2008



“Pregherò per te”.
Ho mai udito parola umana che giunga da più lontano? 
Giunge dalla confluenza di Dio e dell'uomo. 
Tu rispondi di me davanti a Colui che è tutto e che è anche me stesso. 
La preghiera per il prossimo è come un aspetto inverso del martirio: 
la preghiera fa dell'uomo che prega un testimonio, la cauzione di un altro uomo davanti a Dio. 
Sei più vicino a me di quanto lo sia io stesso, perché sei tra Dio e me. 
Sei come un baluardo innalzato contro la sua giustizia e un varco aperto sul suo amore. 
Nel cuore della dolce e mortale lotta tra l'uomo e la sua fonte, tu combatti al mio posto. Il tuo amore temerario si è infiltrato nella scissura stessa che mi separa dal centro, nel vuoto scavato dalla mia ribellione e dalla mia viltà. 
Tra quali pietre hai posto la tua anima! Sembri volgermi il dorso e invece il tuo volto è esposto, per me, ai colpi diretti, ai richiami dell'ignoto; non mi parli, ma parli di me al silenzio. 
Pregare per qualcuno è come aderire, al tempo stesso, a Dio e all'uomo, è come realizzare il perfetto equilibrio tra questi due amori.

- Gustave Thibon -
 filosofo e scrittore francese 1903 - 2001 




Buona giornata a tutti. :-)


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sabato 17 novembre 2018

La Messa è finita, andate in pace - Mons. Alessandro Maggiolini

La prossima volta che andate a Messa, provate a far caso, amici: spesso, durante il rito ci si muove a fatica; non si ha la sincronia e lo scatto d'un corpo di ballo quando ci si alza, ci si siede, ci si inginocchia; e le risposte che si danno al prete lungo tutta la mezz'ora sembrano sospiri sommessi, incerti, vellutati, paurosi... 
Ma c'è una risposta che si fa coro risoluto; è l'ultima, quando si sente: «La Messa è finita, andate in pace»; allora è un'esplosione d'esultanza, uno squillo di trombe compatte come una banda: «Rendiamo grazie a Dio». 
E qui c'è lo scatto felino, da centometristi, verso la porta: la chiesa si svuota in un baleno, altro che Berruti o Mennea.
Sto forse esagerando, lo so. Ma so anche che la Messa ha preso il nome proprio dalla conclusione... Ci avete pensato? 
È il sacrificio di Cristo e tante altre cose - il cuore della vita della Chiesa -; eppure... Ite, missa est.

- Mons. Maggiolini Alessandro -




Chiederei d'essere creduto: non sto rimproverando nessuno. 

Sto semplicemente rilevando che la preghiera, spesso, non è una esultanza e una spontaneità: è una fatica e un dovere. 
Bisogna prenderla per quel che è. 
Bisogna adattarvisi con coraggio, anche se impegna maledettamente: perché costringe ad essere attenti; perché impone una sincerità difficilissima verso se stessi; perché mette a confronto con Dio che richiede una conversione mai conclusa; o, più banalmente: perché altre cose aspettano fuori, più piacevoli o comunque meno ardue...
Non è raro udire frasi come: «Io prego quando mi sento»; o: «Non è giusto forzare la persona quando si pone di fronte a Dio»; o: «La preghiera dev'essere gesto spontaneo, istintivo, gioioso: è un atto d'amore»... 
Come se l'amore fosse fatto soltanto di occhi languidi e di attrazione irresistibile, e non richiedesse anche di ricordare gli anniversari, di decidere a chi tocca alzarsi prima dal letto per preparare il caffè, di lavorare sodo, di far trovare la cena pronta, di lucidare le scarpe e altre cose intuibili...

- Mons. Maggiolini Alessandro -


Talvolta ci si imbatte persino in prediche che presentano la preghiera soltanto come un fervore incontenibile: l'acqua per la terra riarsa; l'aria per i polmoni; la luce per gli occhi... Son paragoni frusti che vorrebbero esprimere un bisogno, un'inclinazione a cui non si può resistere...
Mah. Forse qualche volta capita anche così: agli inizi, in certi momenti particolarmente felici. Ma solitamente, ho i miei dubbi.
Non vorrei presentare la preghiera come un castigo: un poco come quando ci si imponeva un rosario, poniamo, da recitare per una marachella... 
Certo fatica è, e dovere: proprio perché è amore. 
Sarò sbagliato, ma se mi affidassi alla pura istintività, alla spontaneità più travolgente, da parte mia - in altri campi - avrei già l'atto fuori un plotone di zie e avrei sulla coscienza più d'un alunnicidio o d'un fedelicidio... 
Comunque non pregherei quasi mai.
Sì, perché è troppo facile insistere sulla non forzatura, sulla propensione, sul desiderio innato e incontrollabile della preghiera per poi non pregare. 
Un poco come quando si dice: a Messa non ci vado, a confessarmi non ci vado, a pregare non mi ci metto, se non mi sento, se non sono preparato. E non si tiene conto che ci si può anche impegnare a sentire, a prepararsi...

Cose ovvie, direte. Certo. Ma siamo così scaltri nell'evitare i doveri, che ci diamo perfino l'aria di persone serie e abissalmente pensose in questi trucchi da bambini. 
Sembra che tendiamo alla mistica più sconvolgente, e invece abbiamo soltanto voglia di veder la partita o di metterci a leggere il giornale. Il Signore aspetti pure...
Posso sembrare un moralista arcigno, e invece sto dicendo a voce alta cose che pensiamo tutti. E sto parlando di gioia, nonostante le apparenze: quella vera, fedele e conquistata...

- Mons. Maggiolini Alessandro -



Giovani si diventa
Auguro una giovinezza perenne e crescente.
Il calendario procede anonimo e freddo, come un destino.
Eppure, l'anagrafe non possiede il mistero dell' età:
diciottenni possono già essere stanchi e sfiduciati e
ottantunenni possono essere inventivi e sciolti,
creativi nell'animo,
come chi ha ancora qualcosa da dire e
progetti da elaborare.
Vecchi si nasce, giovani si diventa.
E il soggetto di questa giovinezza è celato nel cuore che si 
sospende alla semplicità di Dio.

- Mons. Alessandro Maggiolini -



Buona giornata a tutti. :-)

www.leggoerifletto.it


lunedì 3 settembre 2018

Consigli per l'anno scolastico - Mons. Alessandro Maggiolini

Non crediate che una pagina letta, magari velocemente e distrattamente vi stia nella memoria per l'eternità. Tabelline. Alfabeto latino e greco. Ortografia. 
Arricchimento di vocaboli, per non parlare con la sciatteria della televisione. Procedimenti algebrici. Perché no? 
Qualche brano di poesia a memoria: quelle espressioni che prendono e che accendono la fantasia e che potete recitare nei momenti di silenzio forzato. Non stancatevi di ripetere le formule e le frasi più chiare e seducenti. Soprattutto se si tratta di lingue straniere, bisognerà esercitarsi con monotonia e con testardaggine così che parole e frasi si fissino nella mente e, parlando o scrivendo, non abbiate ad arrestarvi ogni istante per scartabellare mentalmente un vocabolario che non avete a portata di mano. 
Costanza. Persistenza. 
La memoria è la facoltà che dimentica. Soprattutto quando, come oggi, non viene esercitata.

- Mons. Alessandro Maggiolini -
(Il Giornale, 2 ottobre 2007)
 




Educare è equipaggiare il motore di una barca...

Serve prendere le misure, pesare, equilibrare...

e mettere tutto in funzione.
Ma per questo si deve avere nell'animo un po' del marinaio... un po' del pirata... un po' del poeta... e un chilo e mezzo di pazienza concentrata.
Ma è consolante sognare, mentre si lavora, che quella barca, quel bambino, prenderà il largo, se ne andrà lontano.
Sognare che quel bastimento porterà il nostro carico di parole verso porti distanti, verso isole lontane.
Sognare che quando si sarà messa a dormire la nostra barca, nuove barche porteranno inalberata la nostra bandiera.

- Gabriela Mistral -
pseudonimo di Lucila de Marìa del Perpetuo Socoro Godoy Alcayga 
1889, 1957, Premio Nobel per la letteratura nel 1945  




Preghiera dell’Insegnante

Fa che io sia più madre di una madre
nel mio amore e nella difesa del bambino
che non è sangue del mio sangue.

Aiutami affinchè ognuno

dei “miei” bambini
diventi la poesia migliore.

E nel giorno in cui non canteranno più

le mie labbra,
lascia dentro di lui o di lei
la più melodiosa delle melodie.


- Gabriela Mistral -

La oracion de la maestra

Dame el ser más madre que las madres,
para poder amar y defender como ellas
lo que no es carne de mis carnes.
Dame que alcance a hacer de una
de mis niñas
mi verso perfecto
y a dejarte en ella clavada
mi más penetrante melodía,
para cuando mis labios no canten más.

- Gabriela Mistral -


Buon anno scolastico!!!




sabato 25 agosto 2018

Umorismo, ultimo dono della preghiera - Alessandro Maggiolini

La preghiera non intristisce?
Non toglie il gusto della vita?
Non rende incapaci di sorridere?
Non lega ad una maschera di ascetica truce?
Non impone il disinteresse per ciò che passa?
Non consegna ad una fatalità senza scampo, a cui occorre soltanto piegarsi, come giunchi al passare della corrente?...
Niente, e così sia: e ci teniamo la nostra mestizia.
Insomma, i credenti che pregano, sanno ancora cantare, raccontare una barzelletta, godere delle cose di ogni giorno?
Nel mondo d'oggi fan da orchestra o da platea?...
Verrebbe voglia di prendere in contropiede le domande.
Davvero viviamo in un mondo che scoppia dalla felicità? 

O ridiamo a comando: quando il comico giunge alla battuta e alla televisione, fuori campo, compare il cartello luminoso: «applausi», e tutti battono le mani come collegiali? 
E il comico è felice, dentro; o fa il mestiere di suscitare l'ilarità? 
E son canti di allegria quelli che si ascoltano al juke-box - e magari non si capisce una parola -, o sono un modo di coprire col rumore una tristezza che non si riesce ad accettare? 
E gli stessi giovani, che dovrebbero essere il domani, la speranza, la freschezza dell'esistenza, son davvero felici, spensierati e serenamente impegnati come talvolta si assicura? O affogano spesso nella noia? O si inaspriscono spesso nella rabbia, nell'odio?
Non vale imbastire polemiche. Ma occorre pure accordarsi su che cosa voglia dire gioia, serenità, pace, allegria.
È il chiasso della bisboccia? È l'evasione dai problemi?
È il darsi pacche sulle spalle? È lo stordirsi fino all'esaurimento?...
Torniamo alla preghiera.
C'è un «test» infallibile per valutare se si tratta di preghiera autentica o di contraffazione. 

Ed è questo: vedere se ci si alza dal colloquio con Dio rasserenati ed impegnati al tempo stesso, o se ci si alza affranti o irritati.
Nel secondo caso, quel che si è fatto non è preghiera: è narcisismo; un guardarsi allo specchio per detestarsi - ne abbiamo tutti i motivi - o per compiacerci - fa tenerezza questa candida e un po' stupida esaltazione di noi stessi -; o è un caricarci di aggressività: il prender coscienza delle esigenze dell'uomo e il buttarci con risentimento, con disperazione nel nostro compito di aiutare i fratelli, camusianamente, senza neppure la consolazione d'avere un Dio da bestemmiare, contro cui avventarci.
No, la preghiera vera è genesi d'umorismo.
D'umorismo, che è cosa diversa dall'ironia e dal sarcasmo. 
L'ironia è atteggiamento freddo, arido, distaccato. 
Il sarcasmo è perfino disprezzo e volontà di distruzione: parte da uno scetticismo cattivo che mette in ridicolo per umiliare, per annientare...
L'umorismo... L'umorismo, dicevo, è frutto della preghiera. Bisogna chiederlo al Signore perché è arte difficile, e non sempre la natura lo consente pienamente.
È un osservare le persone e le cose con simpatia, sapendo cogliere gli aspetti positivi anche là dove tutto sembrerebbe da condannare - il mezzo bicchiere pieno, non il mezzo bicchiere vuoto -; è un riuscire a godere delle vicende più usuali, quelle che càpitano nei giorni qualsiasi e che ci lasciamo scivolare accanto senza neppure badarci... 

E tutto ciò non con l'aria indifferente del disinteressato, dallo scettico blu, ma con la partecipazione cordiale di chi vuole costruire la storia, mutare il mondo, o non so cosa; ma pure non si lascia impaurire dall'ultimo fatto di cronaca: guarda lontano e si impegna come può. 
Come Dio, questo supremo barzellettista e comico che «gioca - dice la Scrittura - nel mondo», ma pure vi è presente fino a morirne...
La preghiera: consola e spinge ad assumere le proprie responsabilità. 

Non c'è ideologia che riesca a consolare una donna brutta. 
Non c'è politica Che riesca ad esigere, col pane, i gerani alla finestra... Eppure si tratta di cose importanti...
Lasciatemi ripetere una frase vieta, amici:
un cristiano triste è un triste cristiano.
Per invitare a pregare.

- Alessandro Maggiolini - 
vescovo di Como 1931 - 2008
da: "Scommettere su Dio", Piemme 1995


Preghiera per il sorriso


O Maria,
rendi il mio amore sorridente.
Fa in modo che il mio sorriso possa esprimere la più pura bontà.
Insegnami a dimenticare con un sorriso 
le mie preoccupazioni e le mie pene
per prestare attenzioni soltanto alla gioia degli altri.
Il mio volto sorridente renda i miei contatti 
con il prossimo più caldi e cordiali
e più ricchi di fraternità.
Conservami il sorriso nelle ore dolorose perchè, 
anche in quei momenti,
io possa continuare a donarmi al prossimo.
Aiutami a custodire in fondo al cuore quella gioia di amare
che si manifesta attraverso il sorriso.
Insegnami, o Maria, a servire il signore con gioia,
sorridendo in qualunque momento della mia vita.
Amen.


Buona giornata a tutti. :-)