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lunedì 2 novembre 2015

Non inferno, ma regno dei morti – padre Alberto Maggi

La parola “inferno” fa andare in crisi coloro che studiano teologia o la Sacra Scrittura e che sono abituati a parlare di inferno, perché non la trovano nel dizionario biblico. Nella Bibbia non c’è né la parola e neanche l’immagine dell’inferno. 
Nella vecchia traduzione la parola “inferno” si trovava in tre testi. 
Nella nuova c’è solo una volta, per dimenticanza, ignoranza o trascuratezza del traduttore. 
Nella parabola del ricco e del povero Lazzaro, Gesù dice - il vangelo è di Luca (16,23) - “E nel soggiorno dei morti essendo di tormenti, alzò gli occhi e vide da lontano Abramo e Lazzaro nel suo seno”. “Soggiorno dei morti” era tradotto con “inferno”. 
A quell’epoca si credeva che tutti, quando morivano, andavano a finire in un’enorme voragine sotto terra, un’enorme caverna, tutti buoni e cattivi, dove vivevano come ombre. Era il regno dei morti che nella lingua ebraica si scrive “sheol”, probabilmente è una radice ebraica che significa “quello che ingoia, quello che inghiotte”. Quando hanno tradotto la Bibbia dall’ebraico al greco non potevano mettere “sheol”, termine che i greci non conoscevano. Allora hanno preso dal mondo mitologico greco il termine Ade che indicava appunto il “regno dei morti”. Ade era il dio che presiedeva al regno dei morti, era chiamato anche Plutone o Giove sotterraneo. 
Dunque la traduzione dall’ebraico al greco ha usato al posto di “regno dei morti” il termine “Ade”. Quando il vangelo fu tradotto in latino questo termine venne tradotto con “inferi”. Nel mondo romano c’erano gli dei che stavano in cielo, si chiamavano “superi” e quelli che stavano in basso si chiamavano “inferi”, le divinità del regno della morte. Quando nel Credo si diceva “Gesù morì, fu sepolto e discese agli inferi”, si voleva dire che era andato nel regno dei morti a comunicare la sua vita a quelli che erano morti prima di lui. 
Un altro testo dove si trova questo termine “inferno” è la seconda lettera di Pietro. La vecchia edizione riportava (2Pt 2,4) “Dio infatti non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li precipitò negli abissi tenebrosi dell’inferno serbandoli per il giudizio”. 
Oggi, nella nuova edizione si legge “Dio infatti non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li precipitò in abissi tenebrosi tenendoli prigionieri per il giudizio”: non c’è più la parola “inferno”. 
L’autore aveva tradotto con “inferno” il verbo greco “tartaròo” da cui tartaro, che significa essere gettati nel tartaro. Nel mondo mitologico greco il tartaro era l’opposto del cielo, era il luogo di condanna per i malvagi. 
Le immagini che Dante Alighieri ha nella “La Divina Commedia” (di stagni di fuoco, di gente che si mangia, di esseri che torturano) vengono prese proprio da questo mondo mitologico: il tartaro. Essere gettati nel tartaro significa essere gettati nel più sprofondo della terra. Un’interpretazione non esatta nella vecchia edizione aveva tradotto con “inferno”, ma non si trattava di inferno, proprio perché nel mondo ebraico non c’era il concetto dell’inferno. 
L’altro termine si trova nel libro dell’Apocalisse dove si leggeva nel cap. 6,8: “Colui che lo cavalcava si chiama morte e gli veniva dietro l’inferno”. Qui c’era il termine “Ade” che abbiamo visto. Adesso si legge: “Colui che lo cavalcava si chiamava morte e gli inferi lo seguivano”, cioè il regno dei morti.
È importante che si siano superate queste traduzioni errate. 
Molta gente, nei secoli, non è riuscita a percepire l’amore di Dio, terrorizzata e angosciata da queste immagini dell’inferno. E tanta gente ha rifiutato un Dio del genere. Secondo una certa teologia anche per un singolo peccato mortale si veniva condannato all’inferno per tutta l’eternità. Dio era capace per un solo peccato a condannare per tutta l’eternità. Molte persone hanno rifiutato questo Dio. 
Questa immagine dell’inferno nei vangeli non c’è. Da parte di Gesù c’è una proposta positiva che è una pienezza di vita. Il rifiuto, o la non accettazione di questa proposta, porta alla pienezza della morte. 

Nel Nuovo Testamento non si parla di “inferno”, ma si parla di morte seconda. 
C’è una prima morte alla quale andiamo tutti incontro: è la morte biologica. Quando arriva questa morte noi non faremo esperienza della seconda morte perché abbiamo una pienezza di vita tale che continueremo a vivere. 
Se quando arriva la morte trova un corpo svuotato di energie vitali perché una persona ha vissuto soltanto per sé, non ha mai risposto agli impulsi d’amore e ai limiti degli altri, allora è la fine dell’individuo. 
La morte fisica corrisponde con la morte dell’individuo. 
Per questo l’Apocalisse dice: “Beati quelli che non vengono colpiti dalla morte seconda”. 
Questi esempi danno l’idea che è importante la traduzione perché su di essa si basa la teologia. 
Da 1500 anni si ha una traduzione piena di errori, di modifiche, di accrescimenti. 
Essi hanno portato a tanti danni nella teologia e nella spiritualità della Chiesa cattolica. 
Ringraziamo il cielo che viviamo in un’epoca in cui abbiamo potuto scoprire questa realtà del vangelo e chissà in futuro quante ce ne saranno, siamo appena alla primavera.

- Padre Alberto Maggi - 
www.studibiblici.it



I veri cristiani hanno sempre saputo vincere la paura della morte. Ecco un aneddoto tratto dai Detti dei padri del deserto:

«Raccontano che un anziano morì a Scete e i fratelli si radunaro­no intorno al suo letto, lo vestirono, e cominciarono a piangere.
Egli aprì gli occhi e rise, e così fece una seconda e una terza volta. 
I fratelli lo pregarono:
- Dicci, padre, perché noi piangiamo e tu ridi?

Dice loro: - La prima volta ho riso, perché voi temete la morte; la seconda, perché non siete pronti; la terza, perché dalla fatica io va­do alla quiete. 
E subito l'anziano si addormentò».


Il cimitero è il luogo dove riposano i fedeli defunti, pertanto è degno di rispetto e di venerazione. 
Entrando nel cimitero fate il segno della Croce e recitate la seguente preghiera.

"Oh! Voi non siete morti, anche se le vostre ceneri riposano sotto la terra: voi vivete in Cielo accanto al vostro Creatore e la polvere che avete lasciato quaggiù è solo un ricordo per coloro che vi hanno amati su questa terra e che vi raggiungeranno nell'eternità".
Requiem




Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.

- Fabrizio De André - 






Buona giornata a tutti.  :-)

www.leggoerifletto.it


domenica 26 luglio 2015

da: "Ritorno al reale" - Gustave Thibon

"L'uomo non è libero nella misura in cui non dipende da nulla o da nessuno: è libero nell'esatta misura in cui dipende da ciò che ama, ed è prigioniero nell'esatta misura in cui dipende da ciò che non può amare."
"Definire la libertà come indipendenza nasconde un pericoloso equivoco. 
Non esiste per l'uomo indipendenza assoluta (un essere finito che non dipenda da nulla, sarebbe un essere separato da tutto, eliminato cioè dall'esistenza). Ma esiste una dipendenza morta che lo opprime e una dipendenza viva che lo fa sbocciare. 
La prima di queste dipendenze è schiavitù, la seconda è libertà. 
Un forzato dipende dalle sue catene, un agricoltore dipende dalla terra e dalle stagioni: queste due espressioni designano realtà ben diverse. 
Torniamo ai paragoni biologici che sono sempre i più illuminanti. In che consiste il "respirare liberamente"? Forse nel fatto di polmoni assolutamente "indipendenti"? Nient'affatto: i polmoni respirano tanto più liberamente quanto più solidamente, più intimamente sono legati agli altri organi del corpo. Se questo legame si allenta, la respirazione diventa sempre meno libera e, al limite, si arresta. 
La libertà è funzione della solidarietà vitale. 
Ma nel mondo delle anime questa solidarietà vitale porta un altro nome: si chiama amore. 
A seconda del nostro atteggiamento affettivo nei loro confronti, i medesimi legami possono essere accettati come vincoli vitali, o respinti come catene, gli stessi muri possono avere la durezza oppressiva della prigione o l'intima dolcezza del rifugio. 
Il fanciullo studioso corre liberamente alla scuola, il vero soldato si adatta amorosamente alla disciplina, gli sposi che si amano fioriscono nei "legami" del matrimonio. 
Ma la scuola, la caserma e la famiglia sono orribili prigioni per lo scolaro, il soldato o gli sposi senza vocazione. 
L'uomo non è libero nella misura in cui non dipende da nulla o da nessuno: è libero nell'esatta misura in cui dipende da ciò che ama, ed è prigioniero nell'esatta misura in cui dipende da ciò che non può amare. 
Così il problema della libertà non si pone in termini di indipendenza, ma in termini di amore. La potenza del nostro attaccamento determina la nostra capacità di libertà. 
Per terribile che sia il suo destino, colui che può amare tutto è sempre perfettamente libero, ed è in questo senso che si è parlato della libertà dei santi. 
All'estremo opposto, coloro che non amano nulla, hanno un bello spezzare catene e fare rivoluzioni: rimangono sempre prigionieri. 
Tutt'al più arrivano a cambiare schiavitù, come un malato incurabile che si rigira nel suo letto. "


- Gustave Thibon - 
da: "Ritorno al reale"



Il dono  – Padre  Alberto Maggi

L’ insegnamento che nasce dai vangeli, un insegnamento che tutti quanti possiamo vedere nella sua efficacia e nella sua realtà, può essere formulato con questa espressione: nella vita, si possiede soltanto quello che si dona. Quello che si trattiene per noi, non soltanto non si possiede, ma ci possiede. Quindi non siamo persone libere.
L’ unica nostra ricchezza è quello che diamo agli altri. Dare non è perdere, ma guadagnare. Più noi diamo e più permettiamo a Dio di prendersi cura della nostra esistenza.




Capolavoro della maldicenza

Le maldicenze che ci nuocciono maggiormente sono quelle in cui il denigratore dosa sapientemente il bene e il male e sembra constatare il male con dispiacere. La diffusione del male riveste così una tale apparenza d’oggettività dolorosa da conferire una maggior forza di persuasione, ciò che rappresenta il colmo dell’arte della maldicenza.

- Gustave Thibon - 

da: "Il pane di ogni giorno"







Buona giornata a tutti. :-)





sabato 2 maggio 2015

L'albero dai frutti d'oro

Un imbroglione matricolato, che non distingueva il mio dal tuo, e si impossessava, allegramente, dell'uno e dell'altro, fu, infine, catturato, e condannato a morte!
In cambio della vita, offrì ai Giudici un segreto sbalorditivo: il metodo per piantare alberi, che producevano frutti d'oro!
La notizia giunse all'orecchio del Sovrano, il quale pensò, che valesse la pena, di fare un tentativo.
L'uomo spiegò, tranquillamente, che era pronto a dimostrare la sua straordinaria capacità, e chiese soltanto un pizzico di polvere d'oro, e una pala! Il Sovrano accettò e disse:
«Ma, se non è vero, finirai nelle mani del boia!»
Il mattino seguente, il Re, e tutta la sua corte, si ritrovarono nel giardino reale. L'uomo si inchinò profondamente, davanti a tutti i dignitari, vestiti in gran pompa, e disse:
« Potentissimo Sire: vedrai, che è molto semplice! Io scaverò una piccola buca, nella terra , vi metterò un pizzico d'oro e, per tre giorni, verserò un secchio d'acqua , il terzo giorno, l'albero spunterà, e porterà tre frutti d'oro, che, a loro volta, potranno essere seminati e diventare altri alberi, carichi di frutti d'oro massiccio!».
Si spanzietì il Re che urlò :
« Allora! Smettila di "cianciare", e semina l'oro, se, fra tre giorni, non vedo i frutti d'oro, finirai sul patibolo! »
Piagnucolò il furbacchione dicendo :
«O sommo Signore! Non posso, farlo io! Il segreto funziona solo, a una condizione: la mano, che semina l'oro, deve essere totalmente innocente, e non aver mai commesso nulla di ingiusto, in caso contrario, il prodigio non avviene! Per questo, come puoi ben capire, non posso utilizzare il segreto, per me. Ma, tu sei nobile, e clemente, Signore: e, quindi, puoi! »
Il Re afferrò la vanga, ma gli venne in mente quello che aveva commesso, durante l'ultima guerra e disse :
«Le mie mani grondano di inutili crudeltà, verso i nemici! Renderei vana, la magia, è meglio, che ci provi qualcun altro!».
Il Sovrano fece un cenno, al Ministro del Tesoro. Ma, invece di avvicinarsi, il Ministro si ritrasse dicendo :
«O magnifico Sovrano, ti ho sempre servito fedelmente, ma, una volta, mi è occorso un incidente increscioso, nella camera del Tesoro: un pezzo d'oro è rimasto attaccato, alla suola delle mie scarpe, e così...».
Brontolò il Re dicendo :
«Va bene!  Il mio incorruttibile Giudice supremo, impugnerà la pala!».
Il Giudice rifiutò, con un inchino:
«Volentieri, lo farei, ma, in questo momento, inizia un importante processo, che non posso, assolutamente, perdere... Scusatemi!».
Il Re si voltò, e vide che, piano piano, Ministri, gentiluomini, consiglieri, e cortigiani, se l'erano squagliata, alla "chetichella", e si mise a ridere:
« Me l'hai fatta, furbone matricolato! Così, so, che nessuno è innocente... Neppure io! Ho capito, la lezione: prendi i tuoi soldi, vattene, e non farti mai più vedere!».

Gesù disse : Chi, di voi, è senza peccato, scagli la prima pietra… Ma quelli, udito ciò, se ne andarono, uno per uno, cominciando dai più anziani, fino agli ultimi! "Per questo, oggi, nel mondo, non esistono alberi, che danno frutti d'oro...".





«Il nipote di Rabbi Baruch, il ragazzo Jehiel, giocava un giorno a nascondino con un altro ragazzo. 
Egli si nascose ben bene, ma il compagno non si vedeva. 
Uscì allora dal nascondiglio, si accorse che quello non l’aveva mai cercato e pianse. 
Corse nella stanza del nonno e si lamentò del cattivo compagno di gioco. Rabbi Baruch, con gli occhi pieni di lacrime, gli disse: “Così dice anche Dio: io mi nascondo, ma nessuno mi vuole cercare”.




Ricomincio da me


“In questo momento di crisi invece di aspettare che la Chiesa cambi, che il mondo cambi, che tutto cambi, bisogna iniziare da noi, ripartire da cose minime, dalla libertà interiore, dal perdono, perché solo il perdono riapre il futuro ed è la forza della nostra debolezza.”

- don Luigi Verdi - 



La felicità 


Molti purtroppo credono che la felicità consista nell’avere, nel ricevere e sono sempre amareggiati. Sono sempre amareggiati perché considerano ogni persona come un attentato alla propria sicurezza, al proprio benessere. 
Non hanno capito che più si dà e più si è felici. 
Se la mia felicità dipende da quello che voi fate per me, io sarò sempre infelice perché voi non potete entrare nella mia testa e sapere che io oggi mi attendo una telefonata, una visita, un regalo, allora io sarò sempre amareggiato. 
No, la mia felicità non consiste in quello che gli altri possono fare per me, ma in quello che io posso fare per gli altri.

- Padre Alberto Maggi - 





Buona giornata a tutti. :-)








venerdì 17 aprile 2015

La forza del peccato - Padre Alberto Maggi -

E’ stata la religione a inventare il senso del peccato attribuendolo anche ad aspetti comuni dell’esistenza umana.
L’uomo senza la Legge religiosa non saprebbe mai che certi comportamenti sono peccato. Basta leggere le regole relative al puro e all’impuro contenute nei capitoli 11-16 del Libro del Levitico per rendersene conto. 
Per quale misterioso motivo il Creatore proibisce di mangiare la lepre (Lv 11,6), tra l’altro definita nel Libro del Levitico un animale che rumina, e permette di mangiare “ogni specie di cavallette” (Lv 11,22)? E perché si possono mangiare i grilli ma non il maiale (Lv 11,7.22)?
Certe regole alimentari-religiose oggi possono far sorridere, ma basta riandare a un cattolicesimo non molto lontano per constatare che era considerato un peccato mortale mangiare carne il venerdì, ed era peccato tutto quel che atteneva non solo alla sfera sessuale ma anche semplicemente a quella genitale, perché il comandamento divino “Non commettere adulterio” veniva presentato nel catechismo con “Non commettere atti impuri”.
Non si cerca di minimizzare il senso del peccato, ma di riportarlo nel suo giusto significato perché, altrimenti, quando tutto è peccato, nulla è più peccato.
Nei vangeli il peccato non è la trasgressione di una Legge religiosa ma il male che concretamente si fa agli altri e di conseguenza a se stessi, come bene è stato formulato dal Concilio Vaticano II dove si afferma che il peccato è “una diminuzione per l’uomo stesso, impedendogli di conseguire la propria pienezza” (GS 1,13).
Il peccato non offende Dio ma l’uomo impedendogli di crescere: “Forse offendono me, dice il Signore? Non offendono forse se stessi per la propria vergogna?” (Ger 7,19).
La religione attraverso la Legge crea il peccato rivendicando poi solo a se stessa la potestà di perdonarlo, e basa tutto il suo prestigio e il suo potere sul concetto di peccato.
Quel che rende forte la religione è il senso del peccato, e, come scrive Paolo ai Corinti, “la forza del peccato è la Legge” (1 Cor 15,56).
Per mantenere il suo potere l’istituzione religiosa rende la Legge impossibile da osservare in modo che il credente si trovi sempre in condizione di peccato, come denuncia il profeta Osea in un brano dove il Signore rimprovera i sacerdoti affermando che “essi si nutrono dei peccati del mio popolo; e sono avidi della sua iniquità” (Os 4,8).
Il Signore accusa i sacerdoti di condurre volontariamente il popolo nel peccato per poi poterci guadagnare. I custodi della volontà di Dio si trasformano in seduttori del popolo di Dio.
Per comprendere questa denuncia occorre sapere che nel culto giudaico i peccati venivano perdonati attraverso offerte di sacrifici di animali e generi alimentari che servivano al nutrimento e al sostentamento del clero.
Più la gente peccava e più il clero ingrassava, e per mantenere costante il flusso delle offerte occorreva rendere la Legge impossibile da osservare, falsificando così la volontà stessa di Dio, come denuncia Geremia nella sua reprimenda contro gli scribi: “Voi come potete dire: Noi siamo saggi e la Legge del Signore è con noi! A menzogna l’ha ridotta la penna menzognera degli scribi” (Ger 8,8).
L’impossibilità di osservare la Legge, manipolata secondo gli interessi degli scribi e l’avidità del clero, è bene espressa da Pietro nello scontro di Gerusalemme con i credenti di tendenza farisaica: “Perché continuate a tentare Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri, né noi siamo stati in grado di portare? Noi crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati e nello stesso modo anche loro” (At 15,10).

Padre Alberto Maggi
http://www.studibiblici.it/


In questa giostra d'amore, le cadute non devono avvilirci, ancorché fossero gravi, purché ci rivolgiamo a Dio nel Sacramento della Penitenza con dolore sincero e proposito retto. 

Il cristiano non è un collezionista fanatico di certificati di servizio senza macchia. Gesù Nostro Signore, che tanto si commuove dinanzi all'innocenza e alla fedeltà di Giovanni, si intenerisce allo stesso modo, dopo la caduta di Pietro, per il suo pentimento. 
Gesù, che comprende la nostra fragilità, ci attrae a sé guidandoci come per un piano inclinato ove si sale a poco a poco, giorno per giorno, perché desidera che il nostro sforzo sia perseverante. 
Ci cerca come cercò i discepoli di Emmaus, andando loro incontro; come cercò Tommaso per mostrargli e fargli toccare con le sue stesse mani le piaghe aperte sul suo corpo. 
Proprio perché conosce la nostra fragilità Gesù attende sempre che torniamo a Lui.

- San Josemaria Escrivá -




... La cultura cristiana è una cultura definita e pervasa dall'amore per il prossimo e dalla misericordia, e proprio per questo anche dal senso della giustizia sociale ... 
L'autentica cultura europea non è una cultura soltanto della "mente" o della "ragione", ma una cultura del "cuore": una cultura che si lascia compenetrare e riscaldare dallo Spirito Santo, e perciò una cultura di misericordia...

- Joseph  Ratzinger  - 

da: " Christlicher Glaube und Europa"





Dal Sacramento della Riconciliazione, dobbiamo ricavare due vantaggi:
1) ci confessiamo per venire risanati;
2) ci confessiamo per essere educati perché, alla pari d'un bambino, la nostra anima ha bisogno di continua educazione.
Gesù mio, per esperienza so che l'anima non va lontana con le proprie forze, s'affatica molto e non conclude. 

Abbiamo bisogno della confessione, perché commettiamo continuamente degli errori, avendo noi una mente che non sa discernere ciò che giova. 
Una cosa però ho anche capito, cioè che devo pregare molto per il confessore affinché lo illumini lo spirito di Dio. 
Quando mi confesso senza prima aver pregato per lui, egli mi capisce poco.

- Dal Diario di Suor Faustina -



Concedimi di lodarti, o Vergine santissima!

“Concedimi di lodarti, o Vergine santissima,
con il mio impegno e sacrificio personale.
Concedimi di vivere, lavorare, soffrire,
consumarmi e morire per Te, solamente per Te.
Concedimi di condurre a Te il mondo intero.
Concedimi di contribuire
ad una sempre maggiore esaltazione di Te,
alla più grande esaltazione possibile di Te.
Concedimi di renderti una tale gloria
che nessuno mai Ti ha tributato finora.
Concedi ad altri di superarmi nello zelo
per la tua esaltazione,
e a me di superare loro,
così che in una nobile emulazione la tua gloria
si accresca sempre più profondamente,
sempre più rapidamente, sempre più intensamente,
come desidera Colui che Ti ha innalzata
in modo così ineffabile al di sopra di tutti gli esseri”.


- San Massimiliano M. Kolbe - 







Buona giornata a tutti. :-)






lunedì 16 marzo 2015

Il vestito nuovo del re - Hans Christian Andersen

C’era una volta un re molto vanitoso, il quale non pensava ad altro che ad indossare gli abiti dei migliori sarti del suo reame. 
Un giorno gli si presentarono due imbroglioni che gli dissero: «Noi siamo capaci di confezionarti un vestito così bello che mai nessuno ne ha portato l’eguale. Però, se la persona che vi posa lo sguardo è stolta, o non è degna del posto che occupa, non riuscirà a vederlo. Solo chi è intelligente e saggio lo potrà vedere». 
Il re aderì entusiasta e ordinò subito il vestito nuovo, alloggiò i sarti nella sua reggia, diede loro tutto il necessario, e rimase in attesa. 
Dopo alcuni giorni mandò il suo primo ministro a controllare se il vestito fosse pronto. 
I sedicenti sarti risposero di sì e mostrarono all’inviato del re un angolo con alcune stampelle, ma del vestito nessuna traccia. Sapendo il ministro che l’indumento sarebbe rimasto invisibile agli inetti e agli stolti, fece finta di vederlo e ne lodò a lungo l’originalità, i drappeggi, i colori. Poi andò a riferire tutto al re, descrivendo e magnificando oltre ogni dire il nuovo abito. 
Il sovrano, al colmo dell’eccitazione, ordinò che gli fosse portato. Arrivarono i sarti con sagome e stampelle, sulle quali ovviamente non c’era nulla. 
Ma anche il re, per non fare brutta figura, osservò che il vestito era meraviglioso, anzi, lo avrebbe indossato subito e sarebbe uscito per la città in parata. Si fece togliere ciò che indossava e si lasciò “rivestire” dai finti sarti; poi, con tanto di dignitari, cortigiani, fanfara, scorta e musicanti, uscì per la città. 
Intanto la notizia si era diffusa in un battibaleno e le vie, i balconi, le piazze erano gremite da non dirsi. E tutti, dignitari e popolo, non facevano che osannare il vestito nuovo del re. 
Ma all’improvviso un bambino tra la folla si mise a gridare: «Guardate, guardate, il re va in giro per la strada nudo!». Allora tutti si guardarono in faccia, cominciarono a bisbigliare e poi a ridere a crepapelle. E il sovrano, rosso di vergogna, si ritirò di corsa nella reggia. 
C’era voluta la trasparenza di un bambino per smascherare un’intera parata di ipocrisia. 

Da una novella di Hans Christian Andersen



Il lupo non viene da noi con la sua faccia rossa e le sue corna. Lui viene da noi travestito da tutto quello che abbiamo sempre desiderato.




Per San Gregorio Magno l’invidia non solo sconfessa il comandamento della carità ma è un vizio capitale molto prolifico: da essa scaturiscono mormorazione, detrazione, distruzione dell’altro, risentimento, gioia per la sua rovina, odio sino all’omicidio».




Gesù e la libertà 

….. Opposto alla figura di Gesù il Vangelo presenta l'uomo che non volendo raggiungere la sua pienezza umana mediante la pratica di un amore fedele, tenta di farlo mediante la pratica religiosa* elevata da mezzo a fine e che diventa un alibi, un surrogato ed un ostacolo alla sua pienezza divino/umana.
[* Con Religione intendiamo quell'insieme di atteggiamenti, desideri, aspirazioni dell'uomo rivolti verso la divinità per ottenerne la benevolenza]
Gesù non si stanca di mettere in guardia da atteggiamenti "religiosi" (Mt 23). Questi danno all'uomo l'illusione di aver già raggiunto la sua pienezza ma ne paralizzano di fatto il processo crescitivo.
Al contrario dei maestri spirituali della sua epoca, Gesù lascia piena libertà ai suoi nella vita spirituale.
Mai impone ai suoi delle preghiere o dei comportamenti particolari che distinguano il gruppo.
Il "distintivo" della comunità di Gesù non consisterà né in abiti né in oggetti particolari da indossare e né da proibizioni o regole igienico-alimentari.
L'unico distintivo dal quale si riconosce che un individuo appartiene al gruppo di Gesù è un amore che assomigli sempre più a quello di Dio: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,35).
Gesù ponendo - come unico distintivo della sua comunità - la pratica visibile di questo amore, esclude ogni altro criterio. L'identità della sua comunità non verterà in osservanze, leggi o culti.
Ciò che distingue è in realtà quel che avvicina agli altri. Infatti mentre ogni distintivo (sia esso abito, segno di riconoscimento, culto, ecc.) "distingue" cioè separa, l'amore, che è un linguaggio universale, unisce.(..)


-  Padre Alberto Maggi -




Buona giornata a tutti. :-)














sabato 7 marzo 2015

Certe volte le donne vivono “addormentate” - Oberhammer Simona

Certe volte le donne vivono “addormentate”.
Mangiano dormendo.
Lavorano dormendo.
Amano dormendo.
Fanno shopping dormendo.
Si sposano dormendo.
Fanno progetti di vita dormendo.
Sono di tutte le età queste donne. Di tutte le nazionalità. Di tutte le classi sociali. Di tutti i livelli culturali.
Le puoi incontrare per strada, di fronte a casa, all’uscita dal cinema, in treno, al supermercato.
Fanno tutto ciò che devono fare, dormendo.
Poi, certe volte, inaspettatamente succede qualcosa: si svegliano!
Non è un momento facile.
Si guardano intorno e si chiedono: «Ma dove sono?».
Mentre se lo chiedono vedono tutto ciò che prima era di fronte ai loro occhi in modo nuovo.
«Non ha la stessa luce » pensano dubbiose. «Non sembra la stessa cosa».
È il momento del travaglio. In cui ci si sente strane, scombussolate.
«Ma come ho vissuto fino ad ora? » si domandano.
Forse hanno trent’anni, forse settanta. Non importa.
Il risveglio è uguale per tutte: traumatico.
Però il risveglio è anche affascinante.
Ci si arrabbia con se stesse all’inizio.
Perché quando si viveva con gli occhi chiusi si amava l’uomo sbagliato.
Ci si faceva sfruttare dagli altri.
Si sceglievano cose che non piacevano, solo per far contenti tutti.
Ci si considerava poco capaci.
Oppure ci si sentiva troppo capaci e ci si arroccava da qualche parte.
«Che rabbia » esclamano le donne all’inizio. Quanto tempo ho buttato. Quante occasioni ho perduto…
Ma all’anima non importa del passato. Non importa del tempo.
All’anima importa del risveglio.
Lei ha solo un timore: che tu ti riaddormenti.
Accade: è un momento critico il risveglio.
Può succedere di fuggire: chiudendo gli occhi di nuovo.

Se ti sei svegliata non farlo…la vita ti aspetta… e tu meriti di viverla…

- Simona Oberhammer -
da : La Via Femminile 





Lungo i bivi della tua strada, incontri le altre vite, conoscerle o non conoscerle, viverle a fondo o lasciarle perdere, dipende soltanto dalla scelta che fai in un attimo; anche se non lo sai, tra proseguire dritto o deviare, spesso si gioca la tua esistenza e quella di chi ti sta vicino.

- Susanna Tamaro - 

Illustrazione: ( Rechka on deviantART) 

Non è da tutti riuscire a capire ed amare le donne difficili, spigolose, quasi inaccessibili. Solo apparentemente sono solari ed estroverse, anche sicure di sé, ma in realtà sempre diffidenti e insicure, sempre sulla difensiva. 
E si tengono tutto dentro. 
Non guardatele troppo negli occhi, perché non vogliono far vedere a nessuno la loro rabbia, delusione, paura, fragilità. 
La solitudine le accompagna, anche quando hanno decine di corteggiatori. Perché amano ma non dipendono mai dall’amore, da quell'amore che per loro è solo un sogno. 
E sono dure, prima di tutto con se stesse. 
Solo chi sa guardare “oltre” il sorriso riesce a vedere il muro impenetrabile che hanno eretto. Che difende la loro interiorità ricca ma ferita, spaventata. 
La loro sensibilità troppe volte ferita. Il difficile vissuto che solo loro conoscono. Perché sono donne spigolose, difficili, quasi inaccessibili. 
Quelle con l’anima in fiamme e il sorriso splendente.

(©Agostino Degas)


Da donna a donna 

"L'arrivo di Maria da Elisabetta, è presentato dall'evangelista con solennità e con una sorpresa iniziale: Maria "entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta" (Lc 1,40).
L'affronto che Maria fa a Zaccaria è grave.
Lei avrebbe dovuto dirigere il suo saluto prima al padrone di casa, il sacerdote Zaccaria e poi alla moglie. Maria ignora Zaccaria Lei è portatrice dello Spirito e questo non può essere comunicato al sacerdote che è rimasto incredulo e sordo alla voce del Signore.(Lc 1,20).
Come l'angelo Gabriele, messaggero di vita, entrò da Maria e la salutò (Lc1,28),ugualmente Maria piena di vita entra e saluta Elisabetta. Questo saluto si dirige da donna a donna.
Quel che accomuna le due donne, l'anziana e la giovane, è che in entrambe palpita una nuova vita.
Per questo il saluto non coinvolge il sacerdote, chiuso alla novità e refrattario alla speranza, ma solo alle due donne, la vergine e la sterile, quelle che contro ogni speranza e aspettativa si sono aperte alla vita."

Padre Alberto Maggi
Da: “Non ancora Madonna. Maria secondo i Vangeli”




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