Immergiamoci ora nell'affascinante
atmosfera del medioevo, con le sue ombre cupe e le sue luci smaglianti, così
come ce lo tramandano l'arte e la storia in un susseguirsi di figure
ferocemente in armi, di santi forti e determinati e di persone semplici strette
a una fede ancora pervasa dall'incanto del miracolo.
In quei tempi viveva un potente
cavaliere di nome Guglielmo che aveva ereditato dalla sua famiglia un castello
con vasti territori e molte ricchezze, accumulate in anni di battaglie e
soprusi.
Il nostro cavaliere era ben lungi da
qualsiasi riflessione che non riguardasse lo stretto piacere che ogni giorno
poteva procurargli e la sua mente non prevedeva alcun concetto di trascendenza.
Forse proprio per questo quelli erano
chiamati tempi bui? Chissà! Certo la coscienza faticava a far capolino fra
quelle genti, ma anche allora era prevista una strada affinché ciò avvenisse.
Torniamo dunque a Guglielmo e alla sua
vita. Il potere di cui aveva disposto sin da giovane lo aveva abituato a
trattare chiunque gli fosse sottoposto nel peggiore dei modi, incurante di
quanto male potesse infliggere a un altro essere umano.
I servi del castello e i contadini che
lavoravano per lui ne avevano un vero terrore, anzi ne parlottavano fra loro
come del diavolo in persona! E non era poco, pensando in quale grande
considerazione fosse tenuto allora il Principe delle Tenebre, concretamente
presente a ogni angolo di strada.
Volendo sposarsi, Guglielmo scelse la
figlia di un facoltoso commerciante che, forse non a caso, era tanto dolce e
delicata quanto lui era villano e prepotente.
A volte i nomi sembrano rispecchiare
l'indole di chi li possiede. Questa giovane donna si chiamava Margherita e come
questo fiore così comune anche lei possedeva la rara qualità di saper
semplicemente donare allegria senza pretendere nulla per sé.
La vita con il marito doveva essere
tutt'altro che felice, ma di questo la nostra storia non parla. Forse per
l'abitudine di quei tempi di considerare l'essere femminile privo di ogni
esigenza personale, l'importanza di Margherita non fu quanto soffrì ma quanto
seppe comprendere la propria sofferenza.
Nel castello di Guglielmo la vita
trascorreva fra ricche feste, battute di caccia e sanguinosi tornei in cui ogni
cavaliere giocava la propria vita in cambio dell'orgoglio per la vittoria
conquistata. Intanto, senza che il proprietario se ne rendesse conto, le pur
cospicue ricchezze se ne andavano allegramente al vento, così come gli anni
dello sprovveduto Guglielmo.
Molte stagioni avevano fruttato solo
miseri raccolti e i contadini, ben lungi dal preoccuparsi per quell'odiato
padrone, avevano cercato in ogni modo di sopravvivere sottraendogli quanto più
avevano potuto. D'altro canto neppure lui si prendeva la briga di amministrare
il suo patrimonio, occupato solo a goderne i frutti sempre più esigui.
Margherita vedeva e taceva: non
avrebbe mai osato, e neppure potuto, sollevare con il marito un'obiezione sul
suo comportamento. Lasciava che le cose andassero come dovevano andare, ma
pregava in cuor suo che la saggezza divina prima o poi intervenisse,
risvegliando il marito da quella rovinosa incoscienza.
Guglielmo non le permetteva di
frequentare la chiesa, ma l'istruzione ricevuta nella casa del padre era stata
un buon seme che aveva sviluppato salde radici nella sua anima.
Tanto il marito era rozzo e primitivo
quanto lei sensibile e tesa verso il misterioso mondo di ciò che non ha forma.
Chiusa nelle sue stanze, cercava di immaginare Dio, Gesù e, soprattutto, Maria
così vicina in quanto donna. Con gli occhi del ricordo andava scrutando ogni
rappresentazione che la sua fanciullezza le riportava alla mente: un quadro, un
racconto, una statuetta... ma qualunque simbolo concreto di tanta impenetrabile
grandezza le sembrava inadeguato per ciò che lei provava dentro di sé.
Spesso, quando Guglielmo la
sorprendeva a fantasticare, rideva sguaiatamente di lei, considerandola poco
più che una sciocca e stupida femmina.
Ma il tempo delle risate stava per lui
finendo e quello che era cominciato come un lento declino prese presto forma di
un vero e proprio precipizio.
I contadini
avevano in gran parte abbandonato le sue terre, che si erano a mano a mano
sempre più inaridite, i servi sprecavano quanto doveva essere invece
risparmiato e il patrimonio, lasciato in balia di avidi e disonesti notabili,
sparì senza che nessuno sapesse dove.
II ricco
e potente Guglielmo si ritrovò così nella più miserevole delle condizioni e,
avendo passato la sua vita a disprezzare gli altri, ritrovò coagulato intorno a
sé tutto quanto quel vile sentimento.
Sì abbatté allora su di lui la più
cupa delle disperazioni, ma ciò non bastò ancora a farlo riflettere. Il solo
essere che gli rimase vicino fu proprio quella moglie tante volte derisa e
umiliata, che forse ai suoi occhi non era comunque molto di più che un cane
fedele.
Eppure Margherita non si lasciò mai
sopraffare dal desiderio di vendicarsi di quell'uomo, né dall'astio nei suoi
confronti, anzi lo seppe aiutare con ogni fibra del suo essere donandogli i rari
momenti di serenità di cui lui mai aveva goduto nella sua vita.
Questo però non bastò affatto a
cambiarne l'indole brutale, che egli sfogava in attimi di rabbia violenta
contro una sorte che, ai suoi occhi, era stata quanto mai ingiusta.
Una sera accadde che Guglielmo, non
trovando pace all'interno delle mura del castello, uscì in aperta campagna
quando improvvisamente la luna, che fino a poco prima brillava alta nel cielo,
si oscurò e anche i lupi, che avevano riempito l'aria dei loro famelici lamenti,
d'un tratto si zittirono.
A Guglielmo ciò parve strano e
istintivamente si mise a scrutare l'orizzonte. Gli parve allora di intravedere,
in fondo alla strada, l'ombra scura di un uomo a cavallo. Chi mai poteva
essere? Lo pervase un senso gelido di paura pensando a quanti si sarebbero
volentieri vendicati dei suoi soprusi, ora che la rovina si era abbattuta su di
lui.
Il misterioso personaggio si
avvicinava lentamente e, Guglielmo ne era più che sicuro, stava cercando
proprio lui. Impossibile ormai fuggire, e comunque come evitare a piedi di
essere raggiunto da un uomo a cavallo? Così rimase lì immobile, incapace
persino di pensare.
Cavallo e cavaliere sembravano fusi in
un'unica forma di metallo nero, che pareva aver risucchiato in sé ogni altro
colore. Quando raggiunsero l'uomo immobile sulla strada, si fermarono e il
cavaliere gli rivolse la parola.
«Io so chi sei» gli disse cupo: «ti
conosco da tanto tempo, ma non avere paura di me: che tu muoia oggi o fra cento
anni, per me non fa nessuna differenza. Conosco le tue angosce e so della
perdita di ogni tuo bene, quindi ti offro il mio aiuto».
Guglielmo si fece più attento.
«Dimmi!» gli rispose ancora titubante.
«Posso svelarti un segreto che ti farà
riacquistare tutto ciò che hai perso, ma non è di te che a me interessa; io
sono qui per tua moglie». Con queste parole il misterioso personaggio lasciò in
sospeso la sua proposta, aspettando che l'altro si riavesse dalla sorpresa.
Nella testa di Guglielmo i pensieri si
accavallavano freneticamente, non dandosi reciprocamente neppure il tempo di
esprimersi in qualcosa di compiuto. "Mi può aiutare?... Un segreto?... Non
gli interessa di me ma di Margherita?... Sarò ancora ricco?...".
«Sta bene attento» proseguì l'altro:
«prima di svelarti il modo in cui potrai nuovamente arricchirti, da te voglio
in cambio una promessa. Fra sette anni da oggi porterai qui tua moglie e la
consegnerai a me. Questo è il tempo stabilito, dopodichè dovrà appartenermi.
Sei d'accordo?».
Sebbene esigua, anche Guglielmo aveva
una sua coscienza che, nell'udire quelle parole, sobbalzò cercando di far
emergere la sua debole voce: "Ma perché vuole proprio lei che non ha mai
fatto del male a nessuno!" gli sussurrava. "E che vuol farne quando
l'avrà per sé? Ricorda quanto bene hai ricevuto da questa donna e come tu la
stai ripagando".
Come se leggesse nel profondo
dell'animo di Guglielmo, il cavaliere sovrastò la vocina che subito tacque,
tuonando indispettito: «Ebbene? Non ho tempo da perdere con te! Dimmi sì o no e
il tuo futuro sarà segnato dalla ricchezza o dalla miseria».
L'uomo si scosse come uscendo da un
sogno. Ma era forse impazzito? Stava pensando all'eventualità di rifiutare una
simile offerta? Sette anni sono lunghi da passare e poi che gli importava, non
sarebbe stato lui eventualmente a pagare il debito!
Si affrettò quindi a rispondere: «Sono
d'accordo, se è questo che vuoi fra sette anni sarò qui con mia moglie, ma ora voglio
sapere che segreto hai da svelarmi».
Così Guglielmo apprese che, ben
nascosto nelle segrete del castello, si trovava un grande tesoro di cui nessuno
era a conoscenza.
«Rammenta il nostro appuntamento,
altrimenti avrai di che pentirti!» e senza aggiungere altro cavallo e cavaliere
scomparvero nel buio della notte.
Tornato di corsa al castello,
Guglielmo si precipitò lungo le ripide scale che portavano alle segrete. La
torcia gli tremava nelle mani dall'ansia di raggiungere il punto indicato e
spesso incespicava sugli umidi gradini sconnessi che sembravano portare
direttamente giù all'Inferno.
Finalmente si trovò di fronte alla
piccola porta nascosta da un'ampia colonna e tutto gli si presentò davanti agli
occhi come il nero cavaliere gli aveva descritto. La bassa stanza polverosa, la
cassa di legno e... meraviglia! Un insperato cumulo di monete d'oro luccicava davanti
a lui.
Da quel momento la vita di Guglielmo
ricominciò come se nulla fosse successo, anzi era ancora meglio di prima perché
pareva che più lui attingeva dal forziere più quello si riempiva.
Margherita non riusciva a spiegarsi
quell'improvviso cambiamento, ma sapeva in cuor suo che non poteva che essere
un frutto del male. Notava però a volte dei piccoli cambiamenti nei
comportamenti del marito, una fuggevole carezza o un inconsueto sorriso, così
poco consoni alla sua natura da sembrare fuggevoli lampi di luce nella notte.
Con il passare del tempo i suoi
sentimenti nei confronti di Guglielmo erano cambiati e il comportamento del
marito non era più per lei fonte di dolore ma solo di grande pietà. Come
avrebbe potuto trovare la serenità e la pace nella vita che conduceva? Povero
Guglielmo, così lontano da Dio e dai valori che veramente contano!
Margherita chiedeva spesso consiglio
alla Madre celeste, pregandola di aiutarla a fare tutto ciò che era possibile
per accendere anche solo una fiammella di fede in quel cuore duro e
apparentemente impenetrabile.
Va da sé che sette anni passarono in
un soffio e l'ora di ripagare il debito si avvicinava sempre più. Poco prima
dello scadere del tempo concordato per il fatidico appuntamento, Guglielmo fece
un sogno terribile in cui si vedeva ghermito da un enorme artiglio nero che lo
trascinava fino al punto in cui aveva fatto il misterioso incontro. Comprese
allora che il momento era giunto, ma mai avrebbe pensato di provare nel cuore
un tale peso pensando a ciò che sarebbe stato di Margherita.
Il giorno fissato fu il peggiore della
sua vita. Non riusciva a trovare le parole adatte per invitare la moglie a fare
una passeggiata con lui nei campi e fu proprio l'ignara donna a dargliene
l'occasione, facendogli notare come quella sera fosse particolarmente tiepida e
bella.
Uscirono quindi insieme e si
incamminarono lungo la polverosa strada che portava al paese, lui cupo e
taciturno, lei sorridente e contenta di godere quell'inaspettata occasione.
Poco fuori le mura del castello, lungo
la strada che stavano percorrendo, vi era una chiesetta dedicata alla Vergine
in cui tante volte anche Margherita si era recata di nascosto per confidare a
Maria le sue pene e i suoi dubbi. Chissà se quella sera le avrebbe permesso di sostarvi un
attimo?
Guglielmo acconsentì ma, non volendo a
sua volta entrare, si fermò poco distante sedendo sotto un'annosa quercia.
Margherita entrò e subito sentì il
caldo abbraccio di quelle mura, si inginocchiò e pregò così intensamente come
mai le era capitato finché uno strano torpore si impadronì di lei facendola
addormentare profondamente.
Fu allora che Maria scese dall'altare
prendendo le sembianze di Margherita; poi, come se nulla fosse capitato, uscì
in fretta al suo posto e riprese il cammino a fianco di Guglielmo. Lui la
guardò sorpreso: prima non gli era parso di percepire quell'intenso profumo di
rose né mai si era accorto di amarla così intensamente. Ma ormai era troppo
tardi.
Il cavaliere era già in attesa, poco
più avanti di loro, sul suo cavallo nero dai muscoli tesi e lucenti.
Mentre Guglielmo rifletteva
velocemente sulla possibilità di combatterlo, per tentare almeno di difendere
la moglie, si avvicinarono di qualche passo ancora ma, improvvisamente, il
cavallo si impennò alzando le lunghe zampe come per difendersi da qualcosa.
Pur sotto le sembianze dell'altra,
Maria era stata riconosciuta.
In quello stesso istante la nera
figura lanciò un urlo terrificante mentre si inabissava nel terreno tra rosse
lingue di fuoco.
Guglielmo cadde a terra sommerso da un
nauseante odore di zolfo che gli toglieva il respiro. La sua mente non aveva
neppure avuto il tempo di rendersi conto di quanto era realmente accaduto e,
come sempre quando la mente si ferma, la verità comparve abbacinante come un
fulmine.
Solo allora la consapevolezza di aver
incontrato il Diavolo si fece strada dentro di lui con un effetto dirompente.
Ma allora chi era la donna che lo aveva accompagnato e con la sua sola presenza
aveva scacciato il potente Padrone del Male?
Si voltò verso quella che aveva
creduto essere Margherita e vide uno sfolgorio di luci... o forse un
intrecciarsi di suoni melodiosi... o forse un rincorrersi di emozioni mai
provate...
Guglielmo non trovò mai parole umane
per spiegare ciò che gli accadde, eppure era accaduto. Sentì istintivamente
dentro di sé l'orrore per ciò che la sua vita era stata sino ad allora, non
riuscendo a rendersi conto di come non si fosse mai accorto di quale meraviglia
potesse albergare nel cuore umano... ormai il velo era caduto per sempre!
«Va' ora da colei che ti ha salvato
con il suo amore» gli sussurrò Maria svanendo nell'aria della sera.
L'uomo s'incamminò pensoso verso la
chiesa e là trovò la moglie, che ne usciva stropicciandosi gli occhi ancora
pieni di sonno.
«Scusa» gli disse intimorita «devo
essermi addormentata. Sei in collera? Hai un viso così strano! Ti senti bene?».
«Sto benissimo, Margherita» rispose
lui. «Vieni, andiamo a casa: torneremo domani a salutare la tua amica che abita
qui». E così dicendo le cinse le spalle con il braccio annusando quel dolce
profumo di rose che aleggiava fra i suoi capelli.
- Leggenda medievale -
da:
"Leggende Cristiane. Storie straordinarie di santi, martiri, eremiti
e pellegrini", a cura di Roberta Bellinzaghi, © 2004 -
Edizioni Piemme S.p.A.
Chiostro Abbazia di Vezzolano (Prov. di Asti, Italy)
Nell'affresco tre morti si alzano dalle tombe (sulla destra), mostrando a
Carlo Magno e ad altri due cavalieri i loro terribili scheletri sommariamente
coperti di pelle ingiallita.
Il terrore dei tre cavalieri si trasmette anche
agli animali.
I cavalli s'impennano e recalcitrano, i cani abbaiano, mentre i
falconi fuggono dal pugno dei cacciatori.
Il terzo di questi, quello di spalle, guarda in alto proprio per cercare il falcone sfuggito; quello che sta in mezzo si nasconde inorridito il volto tra le palme delle mani e l'altro fa l'atto di turarsi il naso con il pollice e con l'indice.
San Macario, al centro della scena, con la lunga barba che lo contraddistingue, regge in mano una scritta che ammonisce i ricchi signori sulla caducità della grandezza terrena e li invita a fare penitenza.
Il terzo di questi, quello di spalle, guarda in alto proprio per cercare il falcone sfuggito; quello che sta in mezzo si nasconde inorridito il volto tra le palme delle mani e l'altro fa l'atto di turarsi il naso con il pollice e con l'indice.
San Macario, al centro della scena, con la lunga barba che lo contraddistingue, regge in mano una scritta che ammonisce i ricchi signori sulla caducità della grandezza terrena e li invita a fare penitenza.
Da un sepolcro scoperchiato si alzano i tre
scheletri, un personaggio inorridito (la tradizione vuole sia Carlo Magno) sta
davanti ad altri due cavalieri impauriti, mentre un monaco lo invita a chiedere
aiuto alla Madonna.
Si tratta di una raffigurazione tradizionale del contrasto dei tre vivi e dei tre morti, ovvero del medioevale trionfo della morte.
Si tratta di una raffigurazione tradizionale del contrasto dei tre vivi e dei tre morti, ovvero del medioevale trionfo della morte.
Buona giornata a tutti. :-)
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