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martedì 26 settembre 2023

Il principe felice - Oscar Wilde

Alta sopra la città, su una lunga, esile colonna sporgeva la statua del Principe Felice. Era tutto dorato di sottili foglie d'oro fino, i suoi occhi erano due lucenti zaffiri, e un grande rubino rosso luccicava sull'elsa della sua spada.

Tutti lo ammiravano. "E' bello come una banderuola" osservò un giorno uno degli assessori di città che ambiva farsi una reputazione d'uomo di gusto; "però è meno utile" si affrettò a soggiungere, per timore che la gente lo giudicasse privo di senso pratico, cosa che egli non era affatto.
"Perché non sai comportarti come il Principe Felice?" chiese una madre piena di buon senso al suo bambino che piangeva perché voleva la luna. "Il Principe Felice non si sogna mai di piangere per nulla".
"Sono contento che a questo mondo ci sia qualcuno veramente felice" borbottò un uomo disilluso ammirando la splendida statua.
"Assomiglia a un angelo" dissero i Trovatelli uscendo dalla cattedrale nei loro lucenti mantelli scarlatti e nei loro lindi grembiulini candidi.
"Come fate a dire questo?" osservò il professore di matematica, "se non ne avete mai veduti!"
"Oh, si, che ne abbiamo visti, nei nostri sogni!" risposero i bambini, e il professore di matematica aggrottò la fronte e fece la faccia scura, perché non trovava giusto che i bambini sognassero.

Una sera volò sulla città un Rondinotto. I suoi amici se n'erano andati in Egitto sei settimane innanzi, ma egli era rimasto indietro perché si era innamorato di una bellissima Canna. L'aveva conosciuta al principio di primavera mentre volava giù per il fiume in caccia di una grossa falena gialla, ed era stato talmente attratto dalla sua vita sottile che si era fermato a parlarle.
"Vuoi che m'innamori di te?" le aveva chiesto il Rondinotto, cui piaceva venir subito al sodo, e la Canna gli aveva fatto un profondo inchino. Così egli le volò più volte intorno, sfiorando l'acqua con le ali, e increspandola di cerchi argentei. Questa fu la sua corte, e durò tutta l'estate.
"Proprio un attaccamento ridicolo," garrivano le altre Rondini, "E' senza un soldo, ma in compenso ha un sacco di parenti," e a dire il vero il fiume era zeppo di Canne.
Poi, non appena venne l'autunno, le Rondini volarono via tutte. Quando se ne furono andate il Rondinotto si sentì solo, e incominciò a stancarsi della sua bella.
"Non sa conversare" si disse, "e temo sia una civetta poiché seguita a frascheggiare col vento." E infatti, ogni volta che il vento spirava, la Canna si piegava con inchini graziosissimi.
"Riconosco che sei casalinga," prosegui il Rondinotto, "ma a me piace viaggiare e di conseguenza anche a mia moglie dovrebbero piacere i viaggi".
"Vuoi venir via con me?" le chiese infine, ma la Canna scosse la testa, era troppo affezionata alla sua casa. "Tu mi hai preso in giro!" gridò il Rondinotto. "Me ne vado alle Piramidi. Addio!" e volò via.
Volò tutto il giorno, e a sera giunse alla città.
"Dove alloggerò?" si disse. "Spero mi abbiano preparato dei festeggiamenti."
Ma poi notò la statua sull'alta colonna. "Andrò ad abitare lì," esclamò. "La posizione è bellissima, e ci si deve respirare dell'ottima aria fresca."

Così si posò proprio tra i piedi del Principe Felice.
"Ho una camera da letto tutta d'oro" mormorò sottovoce tra sé e sé, guardandosi attorno e preparandosi per la notte, ma giusto mentre stava mettendo la testa sotto l'ala gli cadde addosso una grossa goccia d'acqua.
"Che cosa strana!" esclamò. "In cielo non c'è neanche la più piccola nuvola, le stelle sono chiare e luminose, eppure piove. Il clima del Nord Europa è semplicemente spaventoso. Alla Canna la pioggia piaceva, ma questo era dovuto unicamente al suo egoismo".
In quella cadde un'altra goccia.
"A che serve una statua se non riesce a riparare dalla pioggia?" brontolò; "bisogna che mi cerchi un buon comignolo," e fece per volarsene via. Ma proprio mentre stava per aprire le ali una terza goccia cadde, ed egli allora alzò gli occhi e vide... ah, che cosa vide? Gli occhi del Principe Felice erano gonfi di lagrime, e lagrime rigavano le sue guance dorate. Il suo viso era così bello sotto la luce della luna che il piccolo Rondinotto si senti invadere da una profonda pietà.
"Chi sei?" chiese.
"Sono il Principe Felice".
"Perché piangi, allora? Mi hai inzuppato tutto."
"Quando ero vivo e avevo un cuore umano," rispose la statua, "non sapevo che cosa fossero le lagrime, perché abitavo nel Palazzo di Sans-Souci, dove al dolore non è permesso di entrare. Durante il giorno giocavo coi miei compagni nel giardino, e la sera guidavo le danze nella Grande Sala. Intorno al giardino correva un muro altissimo, ma mai io mi curai di sapere che cosa si stendesse al di là di esso, ogni cosa intorno a me era così bella! I miei cortigiani mi chiamavano il Principe Felice, e se il piacere è felicità, io ero veramente felice. Così vissi, e così morii. E ora che sono morto mi hanno messo qui tanto in alto che adesso vedo tutta la bruttezza e tutta la miseria della mia città, e sebbene il mio cuore sia di piombo altro non mi resta che piangere".
"Come mai? Non è d'oro massiccio?" si chiese mentalmente il Rondinotto, perché era troppo educato per rivolgere ad alta voce domande di carattere personale.
"Lontano lontano," proseguì la statua con la sua dolce voce musicale, "lontano in una stradina c'è una povera casa. Una finestra di questa casa è aperta e attraverso vi vedo una donna seduta a un tavolo. Ha il viso magro e sciupato, e le sue mani sono rosse e ruvide e tutte bucherellate dall'ago, poiché fa la cucitrice. Sta ricamando passiflore su un abito di raso che la più bella tra le damigelle d'onore della Regina indosserà al prossimo ballo di Corte. In letto, in un angolo della stanza, il suo bambino giace ammalato. Ha la febbre e vorrebbe mangiare delle arance, ma sua madre non ha nulla da dargli, fuorché acqua di fiume, perciò il bambino piange. Rondinotto, piccolo Rondinotto, non gli porteresti il rubino che luccica sull'elsa della mia spada? I miei piedi sono attaccati a questo piedistallo e io non mi posso muovere".
"Sono aspettato in Egitto" rispose il Rondinotto. "I miei amici in questo momento volano sul Nilo, e discorrono con i grandi fiori di loto. Tra poco andranno a dormire nella tomba del gran Re, dove il Re stesso riposa nel suo sarcofago dipinto, avvolto in gialli lini e imbalsamato con aromi. Ha il collo adorno di una collana di giada verde pallida, e le sue mani assomigliano a foglie avvizzite".
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "non vuoi restare con me per una notte soltanto, ed essere il mio messaggero? Il bambino ha tanta sete, e la madre è così triste!"
"Non credo che mi piacciano i bambini" replicò il Rondinotto. "L'estate scorsa, quando stavo sul fiume, c'erano due ragazzi maleducati, i due figliuoli del mugnaio, che mi tiravano sempre sassi. Naturalmente non mi hanno mai preso, si capisce: noi rondini voliamo troppo bene per lasciarci colpire, e del resto io vengo da una famiglia famosa per la sua agilità; comunque però era una grave mancanza di rispetto".
Ma il Principe Felice aveva un viso così doloroso che il Rondinotto ne provò pena. "Qui fa molto freddo" disse, "ma per farti piacere resterò ancora una notte e sarò tuo messaggero".
"Grazie, piccolo Rondinotto" disse il Principe.

Così il Rondinotto colse il grande rubino che ornava la spada del Principe e volò sopra i tetti della città, tenendo stretto il gioiello nel becco appuntito. Passò accanto alla torre della cattedrale, su cui erano scolpiti i grandi angeli di marmo. Passò accanto al palazzo e udì un suono di danze.
Una fanciulla bellissima si affacciò al balcone col suo innamorato. "Guarda che stelle meravigliose" egli le disse, "e come è meraviglioso il potere dell'amore! "
"Spero che il mio vestito sarà pronto per quando ci sarà il ballo di Stato" rispose la fanciulla. "Ho ordinato che sia ricamato a passiflore, ma le cucitrici sono talmente pigre! "
Passò sopra il fiume, e vide le lanterne appese agli alberi delle navi. Passò sul Ghetto, e vide i vecchi Ebrei che contrattavano tra di loro, e pesavano il danaro su bilance di rame. E finalmente giunse alla povera casa e vi guardò dentro. Il bambino si agitava febbrilmente sul letto, mentre la madre si era addormentata: era tanto stanca! Saltellò nella stanza e posò il grosso rubino sul tavolo, accanto al ditale della donna. Poi volò piano attorno al letto, e accarezzò con le sue ali la fronte del piccolo, facendogli vento dolcemente.
"Come mi sento fresco!" disse il bambino. "Forse incomincio a star meglio" e si addormentò di un sonno tranquillo.
Allora il Rondinotto rivolò dal Principe Felice e gli raccontò quello che aveva fatto. "E' strano" osservò, "ma benché faccia un freddo cane adesso ho caldo."
"Perché hai compiuta una buona azione" gli disse il Principe.
Il piccolo Rondinotto incominciò a pensare, ma subito si addormentò: il pensare gli metteva sempre addosso un gran sonno.
Quando il giorno spuntò, volò giù al fiume e prese un bagno.
"Che fenomeno straordinario!" esclamò il Professore di Ornitologia che passava in quel momento sul ponte. "Una Rondine d'inverno!" E mandò al giornale locale una lunga lettera in proposito. Tutti la citarono: era costellata di un sacco di vocaboli che nessuno capiva.
"Questa sera parto per l'Egitto" disse il Rondinotto, e questa previsione lo mise di ottimo umore. Visitò tutti i monumenti pubblici, e rimase a lungo seduto in cima al campanile della chiesa. Dovunque andava i Passeri cinguettavano e bispigliavano tra di loro: "Che forestiero distinto!" Cosicché il Rondinotto si divertì un mondo.
Quando la luna sorse rivolò dal Principe Felice. "Hai qualche commissione da darmi per l'Egitto?" disse. Sono di partenza.
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "non vuoi restare con me ancora una notte?"
"In Egitto mi aspettano" rispose il Rondinotto. "Domani i miei amici voleranno fino alla Seconda Cateratta. Laggiù, tra i giunchi, se ne sta accovacciato l'ippopotamo, e su un grande trono di granito siede il Dio Memnone. Tutta la notte egli contempla le stelle, e quando risplende la stella del mattino proferisce un unico grido di gioia, e poi tace. A mezzogiorno i leoni fulvi scendono a bere all'orlo dell'acqua. Hanno occhi simili a verdi berilli, e il loro ruggito è più forte del ruggito della cateratta".
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "lontano lontano, dall'altra parte della città, vedo un giovane in una soffitta, appoggiato a una scrivania ingombra di carte, e in un boccale accanto a lui c'è un mazzolino di viole appassite. Ha i capelli bruni e crespi, le sue labbra sono rosse come una melagrana, e i suoi occhi sono grandi e sognanti. Sta sforzandosi di terminare una commedia per il Direttore del Teatro, ma ha troppo freddo per poter seguitare a scrivere. Non c'è fuoco nel suo camino, e la fame lo ha fatto svenire".
"Va bene, aspetterò presso di te un'altra notte" disse il Rondinotto, che aveva proprio un cuore d'oro. "Devo portargli un altro rubino?"
"Ahimé, non ho più rubini, ormai" disse il Principe, "tutto ciò che mi è rimasto sono i miei occhi, ma sono fatti di zaffiri rari, e furono portati dall'India più di mille anni fa. Strappane uno e portaglielo. Lo venderà al gioielliere, e si comprerà legna da ardere, e finirà la sua commedia".
"Caro Principe" disse il Rondinotto, "io non posso fare questo"
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, piangendo, "ubbidiscimi, ti prego".
Così il Rondinotto strappò l'occhio del Principe e volò fino alla soffitta dello studente. Era facile entrarvi, perché nel tetto c'era un buco. Il Rondinotto vi sfrecciò attraverso, e penetrò nella stanza. Il giovane aveva il capo affondato tra le mani, perciò non avvertì il frullio d'ali dell'uccello, e quando alzò gli occhi vide il bellissimo zaffiro adagiato in mezzo alle viole appassite.
"Incominciano ad apprezzarmi!" gridò; "certo me lo manda qualche grande ammiratore. Adesso potrò finalmente terminare la mia commedia!" Ed era tutto felice.
Il giorno dopo il Rondinotto volò giù al porto. Si posò sull'albero di una grossa nave e stette a osservare i marinai che a forza di funi calavano su dalla stiva pesanti casse. "Issa-oh! " si gridavan l'un l'altro a mano a mano che le casse salivano.
"Io vado in Egitto!" garrì il Rondinotto, ma nessuno gli badò, e quando spuntò la luna volò ancora una volta dal Principe Felice.
"Sono venuto a salutarti" gli disse.
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "non vuoi rimanere con me ancora per questa notte?"

"E' inverno ormai" rispose il Rondinotto, "e fra poco arriverà la fredda neve. In Egitto il sole è caldo sulle verdi palme, e i coccodrilli riposano nel fango e si guardano attorno con occhi pigri. I miei compagni stanno costruendo un nido nel Tempio di Baalbec, e le colombe rosee e bianche li guardano, e tubano tra loro. Caro Principe, debbo lasciarti, ma non ti dimenticherò mai, e la prossima primavera ti porterò due gemme bellissime, al posto di quelle che tu hai regalate. Il rubino sarà più rosso di una rosa rossa, e lo zaffiro sarà azzurro come il vasto mare".
"Nella piazza qua sotto" disse il Principe Felice, "ci sta una piccola fiammiferaia. I fiammiferi le sono caduti nella cunetta del marciapiedi, e si sono tutti bagnati. Suo padre la picchierà se non porterà a casa un po' di danaro, e perciò la piccola piange. Non ha né calze né scarpe, e la sua testolina è nuda. Strappa l'altro mio occhio e portaglielo, così suo padre non la batterà".
"Resterò con te ancora per questa notte" disse il Rondinotto, "ma non posso strapparti l'altro occhio. Rimarresti completamente cieco".
"Rondinotto, Rondinotto, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "fa' come ti dico".
Così il Rondinotto strappò l'altro occhio del Principe e sfrecciò giù nella piazza. Passò roteando accanto alla piccola fiammiferaia e le fece scivolare il gioiello nel palmo della mano.
"Che bel pezzettino di vetro!" esclamò la bambina, e corse a casa ridendo.
Poi il Rondinotto ritornò dal Principe. "Adesso sei cieco" disse, "perciò io resterò con te per sempre".
"No, piccolo Rondinotto" mormorò il povero Principe, "tu devi andare in Egitto".
"Resterò con te per sempre" ripetè il Rondinotto, e dormì ai piedi del Principe. Poi tutto il giorno seguente se ne stette appollaiato sulla spalla del Principe, e gli raccontò quello che aveva veduto in paesi lontani. Gli parlò dei rossi ibis, che sostano in lunghe file sulle rive del Nilo e col becco acchiappano pesciolini dorati; gli parlò della Sfinge, che è vecchia quanto il mondo, e vive nel deserto, e conosce ogni cosa; gli parlò dei mercanti che viaggiano piano al fianco dei loro cammelli e recano tra le mani rosari d'ambra; gli parlò del Re della Montagna della Luna, che è nero come l'ebano, e adora un enorme cristallo; gli parlò del grande serpente verde che dorme in un palmizio ed è nutrito da venti sacerdoti con focacce di miele; gli parlò infine dei pigmei che veleggiano su un grande lago sopra larghe foglie piatte e sono sempre in guerra con le farfalle.
"Caro Rondinotto" disse il Principe, "tu mi parli di cose meravigliose, ma più meraviglioso di qualsiasi cosa è il dolore degli uomini e delle donne. Non vi è Mistero più grande della Miseria. Vola sulla mia città, piccolo Rondinotto, e raccontami quello che vedi".

Così il Rondinotto volò sopra la grande città, e vide i ricchi gozzovigliare nelle loro splendide dimore, mentre i poveri sedevano fuori, ai cancelli. Volò in bui vicoli, e vide i visi bianchi dei bambini affamati che fissavano con occhi assenti le strade oscure.
Sotto l'arcata di un ponte due ragazzini si stringevano l'uno all'altro cercando di riscaldarsi a vicenda.
"Che fame, abbiamo!" dicevano.
"Non potete dormire laggiù" gridò la guardia, e i due bambini si allontanarono sotto la pioggia.
Allora il Rondinotto tornò indietro e raccontò al Principe quello che aveva veduto.
"Sono tutto ricoperto d'oro fino" disse il Principe, "tu devi togliermelo di dosso, foglia per foglia, e darlo ai miei poveri: i vivi credono che l'oro possa renderli felici".
Il Rondinotto piluccò via foglia dopo foglia del fine oro, finché il Principe Felice divenne tutto opaco e grigio. Foglia per foglia del fine oro egli portò ai poveri, e le facce dei bambini si fecero più rosate, ed essi risero e giocarono giochi infantili nelle strade.
"Abbiamo pane, adesso! " gridavano.
Poi venne la neve, e dopo la neve venne il gelo. Le strade sembravano pavimentate d'argento, tanto erano lucide e scintillanti; lunghi ghiaccioli, simili a lame di cristallo, pendevano dalle gronde delle case; tutti giravano impellicciati e i ragazzini indossavano cappucci scarlatti e pattinavano sul ghiaccio.
Il povero piccolo Rondinotto aveva sempre più freddo, ma non voleva lasciare il Principe; gli voleva troppo bene. Raccoglieva briciole fuor dell'uscio del fornaio quando questi aveva la schiena voltata, e cercava di scaldarsi battendo le ali.
Ma alla fine capì che era prossimo a morire. Ebbe giusto la forza di volare un'ultima volta sulla spalla del Principe.
"Addio, caro Principe" mormorò, "mi permetti che ti baci la mano? "
"Sono contento che tu vada in Egitto, finalmente, piccolo Rondinotto" disse il Principe, "sei rimasto qui anche troppo tempo, ma tu devi baciarmi sulle labbra, perché io ti amo".
"Non è in Egitto che io vado" disse il Rondinotto, "vado alla Casa della Morte. La Morte non è forse la sorella del Sonno?" E baciò il Principe Felice sulle labbra, e cadde morto ai suoi piedi.
In quel momento si udì nell'interno della statua uno strano crac, come se qualcosa si fosse rotto. Il fatto è che il cuore di piombo si era spaccato netto in due.

Certo faceva un freddo cane. Il mattino seguente per tempo il Sindaco andò a passeggiare nella piazza sottostante in compagnia degli Assessori. Nel passare dinnanzi alla colonna alzò gli occhi verso la statua:
"Dio mio! Com'è conciato il Principe Felice! " esclamò.
"Davvero! Com'è conciato! " esclamarono gli Assessori che ripetevano sempre quel che diceva il Sindaco, e andarono tutti su per vedere meglio.
"Gli è caduto il rubino dall'elsa della spada, gli occhi non ci sono più, e la doratura è scomparsa" disse il Sindaco, "insomma, sembra poco meno che un accattone!"
"Poco meno che un accattone" ripeterono in coro gli Assessori civici.
"E qui, ai piedi della statua, c'è persino un uccello morto! " proseguì il Sindaco. "Dobbiamo assolutamente emanare un'ordinanza che agli uccelli non sia permesso di morire qui!"
E lo Scrivano Pubblico prese appunti per la stesura del decreto.
Così tirarono giù la statua del Principe Felice.
"Dal momento che non è più bello non è nemmeno più utile" osservò il Professore di Belle Arti dell'Università.
Quindi fusero la statua in una fornace e il Sindaco indisse un'adunanza della Corporazione per decidere quel che si doveva fare del metallo.
"Dobbiamo costruire un'altra statua" disse, "e sarà la mia statua".
"La mia" ripeté ciascuno degli Assessori, e litigarono. L'ultima volta che ebbi loro notizie stavano ancora litigando.
"Che cosa curiosa! " disse il sorvegliante degli operai della fonderia. "Questo rotto cuore di piombo non vuole fondersi nella fornace. Bisogna che lo gettiamo via".
E lo gettarono infatti su un mucchio di spazzatura dove avevano buttato anche il Rondinotto morto.

"Portami le due cose più preziose che trovi nella città" disse Dio a uno dei Suoi Angeli; e l'Angelo gli portò il cuore di piombo e l'uccello morto.
"Hai scelto bene" gli disse Dio, "poiché nel mio giardino del Paradiso questo uccellino canterà in eterno, e nella mia città d'oro il Principe Felice mi loderà".

 

(Immagine illustrativa: By Charles Robinson - Via artpassions.net)


Buona giornata a tutti :-)






mercoledì 24 ottobre 2018

A tutti quelli che nella vita si sono persi un’occasione importante - Roberto Pellico

A quelli che si siedono nell’ultima fila per non essere osservati.
A chi quando gli fai un sorriso in ascensore abbassa lo sguardo e arrossisce.
A chi rimane digiuno ai buffet.
A quelli che non dicono niente quando qualcuno taglia la coda e passa avanti.
A quelli che si scusano anche quando non dovrebbero.
A chi è educato anche a costo di sembrare scemo.
A chi ha un’intelligenza arguta e sa riconoscere quando è il momento di non arrivare primo.
A tutti quelli che nella vita si sono persi un’occasione importante, perché un prepotente gliel’ha portata via.
A chi ha la risposta giusta e non alza la mano.
A quelli che ancora credono alla lealtà, a costo di essere sconfitti.
E niente.
Io vi vedo.
E siete proprio belli.


- Roberto Pellico - 




In una comunità ci sono anche delle "antipatie".

Ci sono sempre delle persone con le quali m'intendo, che mi bloccano, che mi contraddicono e soffocano lo slancio della mia vita e della mia li­bertà.
La loro presenza sembra minacciarmi, e provoca in me del­la aggressività, o una forma di regressione servile.
In loro presen­za sono incapace di esprimermi e di vivere.
Altri fanno nascere in me dei sentimenti d'invidia e di gelosia: sono tutto quello che io vorrei essere, e la loro presenza mi ricorda che io non lo sono.
La loro radiosità e intelligenza mi rimanda alla mia indigenza.
Altri mi chiedono troppo. Non posso rispondere alla loro incessante ri­chiesta affettiva. Sono obbligato a respingerli.

Queste persone so­no mie "nemiche"; mi mettono in pericolo; e anche se non oso ammetterlo, le odio. Certo, quest'odio è solo psicologico, non è ancora morale, cioè voluto. Ma lo stesso avrei preferito che queste persone non esistessero!

E naturale che in una comunità ci siano queste vicinanze di sensibilità come questi blocchi fra sensibilità diverse. Queste co­se vengono dall'immaturità della vita affettiva e da una quantità di elementi della nostra prima infanzia sui quali non abbiamo nessun controllo. Non si tratta di negarli.

Se ci lasciamo guidare dalle nostre emozioni, si costituiranno certo dei clan all'interno della comunità. Allora non ci sarà più una comunità, ma dei gruppi di persone più o meno chiusi su se stessi e bloccati nei confronti degli altri. Quando si entra in certe comunità, si sentono subito queste tensioni e queste guerre sot­terranee. 
Le persone non si guardano in faccia. Quando s'incro­ciano nei corridoi, sono come navi nella notte.

Una comunità non è tale che quando la maggioranza dei suoi membri ha deciso coscientemente di spezzare queste barriere e di uscire dal bozzo­lo delle "amicizie" per tendere la mano al "nemico".
Ma è un lungo cammino.
Una comunità non si fa in un giorno.
In realtà, non è mai fatta!
Sta sempre progredendo verso un amore più grande, oppure regredendo.

- Jean Vanier -


Buona giornata a tutti. :)











giovedì 11 dicembre 2014

Racconto di Natale - Dino Buzzati -

Tetro e ogivale è l'antico palazzo dei vescovi, stillante salnitro dai muri, rimanerci è un supplizio nelle notti d'inverno. E l'adiacente cattedrale è immensa, a girarla tutta non basta una vita, e c'è un tale intrico di cappelle e sacrestie che, dopo secoli di abbandono, ne sono rimaste alcune pressoché inesplorate. Che farà la sera di Natale - ci si domanda - lo scarno arcivescovo tutto solo, mentre la città è in festa? Come potrà vincere la malinconia? 
Tutti hanno una consolazione: il bimbo ha il treno e pinocchio, la sorellina ha la bambola, la mamma ha i figli intorno a sé, il malato una nuova speranza, il vecchio scapolo il compagno di dissipazioni, il carcerato la voce di un altro dalla cella vicina. Come farà l'arcivescovo? Sorrideva lo zelante don Valentino, segretario di sua eccellenza, udendo la gente parlare così. L'arcivescovo ha Dio, la sera di Natale. Inginocchiato solo soletto nel mezzo della cattedrale gelida e deserta a prima vista potrebbe quasi far pena, e invece se si sapesse! Solo soletto non è, non ha neanche freddo, né si sente abbandonato. Nella sera di Natale Dio dilaga nel tempio, per l'arcivescovo, le navate ne rigurgitano letteralmente, al punto che le porte stentano a chiudersi; e, pur mancando le stufe, fa così caldo che le vecchie bisce bianche si risvegliano nei sepolcri degli storici abati e salgono dagli sfiatatoi dei sotterranei sporgendo gentilmente la testa dalle balaustre dei confessionali.
Così, quella sera il Duomo; traboccante di Dio. E benché sapesse che non gli competeva, don Valentino si tratteneva perfino troppo volentieri a disporre l'inginocchiatoio del presule. Altro che alberi, tacchini e vino spumante. Questa, una serata di Natale. Senonché in mezzo a questi pensieri, udì battere a una porta. "Chi bussa alle porte del Duomo" si chiese don Valentino "la sera di Natale? Non hanno ancora pregato abbastanza? Che smania li ha presi?" Pur dicendosi così andò ad aprire e con una folata di vento entrò un poverello in cenci.
"Che quantità di Dio!" esclamò sorridendo costui guardandosi intorno, "Che bellezza! Lo si sente perfino di fuori. Monsignore, non me ne potrebbe lasciare un pochino? Pensi, è la sera di Natale".
"E' di sua eccellenza l'arcivescovo" rispose il prete. "Serve a lui, fra un paio d'ore. Sua eccellenza fa già la vita di un santo, non pretenderai mica che adesso rinunci anche a Dio! E poi io non sono mai stato monsignore."
"Neanche un pochino, reverendo? Ce n'è tanto! Sua eccellenza non se ne accorgerebbe nemmeno!"
"Ti ho detto di no... Puoi andare... Il Duomo è chiuso al pubblico" e congedò il poverello con un biglietto da cinque lire.
Ma come il disgraziato uscì dalla chiesa, nello stesso istante Dio disparve. Sgomento, don Valentino si guardava intorno, scrutando le volte tenebrose: Dio non c'era neppure lassù. Lo spettacoloso apparato di colonne, statue, baldacchini, altari, catafalchi, candelabri, panneggi, di solito così misterioso e potente, era diventato all'improvviso inospitale e sinistro. E tra un paio d'ore l'arcivescovo sarebbe disceso.
Con orgasmo don Valentino socchiuse una delle porte esterne, guardò nella piazza. Niente. Anche fuori, benché fosse Natale, non c'era traccia di Dio. Dalle mille finestre accese giungevano echi di risate, bicchieri infranti, musiche e perfino bestemmie. Non campane, non canti.
Don Valentino uscì nella notte, se n'andò per le strade profane, tra fragore di scatenati banchetti. Lui però sapeva l'indirizzo giusto. Quando entrò nella casa, la famiglia amica stava sedendosi a tavola. Tutti si guardavano benevolmente l'un l'altro e intorno ad essi c'era un poco di Dio.
"Buon Natale, reverendo" disse il capofamiglia. "Vuol favorire?"
"Ho fretta, amici" rispose lui. "Per una mia sbadataggine Iddio ha abbandonato il Duomo e sua eccellenza tra poco va a pregare. Non mi potete dare il vostro? Tanto, voi siete in compagnia, non ne avete un assoluto bisogno."
"Caro il mio don Valentino" fece il capofamiglia. "Lei dimentica, direi, che oggi è Natale. Proprio oggi i miei figli dovrebbero far a meno di Dio? Mi meraviglio, don Valentino."
E nell'attimo stesso che l'uomo diceva così Iddio sgusciò fuori dalla stanza, i sorrisi giocondi si spensero e il cappone arrosto sembrò sabbia tra i denti.
Via di nuovo allora, nella notte, lungo le strade deserte. Cammina cammina, don Valentino infine lo rivide. Era giunto alle porte della città e dinanzi a lui si stendeva nel buio, biancheggiando un poco per la neve, la grande campagna. Sopra i prati e i filari di gelsi, ondeggiava Dio, come aspettando. 
Don Valentino cadde in ginocchio.
"Ma che cosa fa', reverendo?" gli domandò un contadino. "Vuoi prendersi un malanno con questo freddo?"
"Guarda laggiù figliolo. Non vedi?"
Il contadino guardò senza stupore. "È nostro" disse. "Ogni Natale viene a benedire i nostri campi."
" Senti " disse il prete. "Non me ne potresti dare un poco? In città siamo rimasti senza, perfino le chiese sono vuote. Lasciamene un pochino che l'arcivescovo possa almeno fare un Natale decente."
"Ma neanche per idea, caro il mio reverendo! Chi sa che schifosi peccati avete fatto nella vostra città. Colpa vostra. Arrangiatevi."
"Si è peccato, sicuro. E chi non pecca? Ma puoi salvare molte anime figliolo, solo che tu mi dica di sì."
"Ne ho abbastanza di salvare la mia!" ridacchiò il contadino, e nell'attimo stesso che lo diceva, Iddio si sollevò dai suoi campi e scomparve nel buio.
Andò ancora più lontano, cercando. Dio pareva farsi sempre più raro e chi ne possedeva un poco non voleva cederlo (ma nell'atto stesso che lui rispondeva di no, Dio scompariva, allontanandosi progressivamente).
Ecco quindi don Valentino ai limiti di una vastissima landa, e in fondo, proprio all'orizzonte, risplendeva dolcemente Dio come una nube oblunga. 
Il pretino si gettò in ginocchio nella neve. "Aspettami, o Signore " supplicava "per colpa mia l'arcivescovo è rimasto solo, e stasera è Natale!"
Aveva i piedi gelati, si incamminò nella nebbia, affondava fino al ginocchio, ogni tanto stramazzava lungo disteso. Quanto avrebbe resistito?
Finché udì un coro disteso e patetico, voci d'angelo, un raggio di luce filtrava nella nebbia. Aprì una porticina di legno: era una grandissima chiesa e nel mezzo, tra pochi lumini, un prete stava pregando. E la chiesa era piena di paradiso.
"Fratello" gemette don Valentino, al limite delle forze, irto di ghiaccioli "abbi pietà di me. Il mio arcivescovo per colpa mia è rimasto solo e ha bisogno di Dio. Dammene un poco, ti prego."
Lentamente si voltò colui che stava pregando. E don Valentino, riconoscendolo,  si fece, se era possibile, ancora più pallido.


"Buon Natale a te, don Valentino" esclamò l'arcivescovo facendosi incontro, tutto recinto di Dio. "Benedetto ragazzo, ma dove ti eri cacciato? Si può sapere che cosa sei andato a cercar fuori in questa notte da lupi?"


- Dino Buzzati -





Ti attendo, Signore, nella quiete e nel silenzio, Con una grande nostalgia nel cuore, con un desiderio insopprimibile.

- Dal Diario di Suor Faustina -





In questo cammino verso il Natale ci aiutano alcuni atteggiamenti: “la perseveranza nella preghiera, pregare di più; l’operosità nella carità fraterna, avvicinarci un po’ di più a quelli che hanno bisogno; e la gioia nella lode del Signore”. Dunque: “la preghiera, la carità e la lode”, con il cuore aperto “perché il Signore ci incontri”.


Papa Francesco, 2 dicembre 2013



Tempo di Avvento ... dov’è finito Egli nel silenzio del Mondo?

...Ancora una volta dobbiamo dire: quanto siamo lontani da un mondo in cui non c'è più bisogno di essere ammaestrati su Dio, perché egli è presente in noi! C'è chi ha affermato che il nostro secolo sarà caratterizzato da un fenomeno del tutto nuovo, e cioè dalla comparsa dell'uomo incapace di conoscere Dio. Lo sviluppo sociale e culturale sarebbe arrivato a un punto tale da dar vita a un tipo di uomo, in cui non esiste più alcun punto di aggancio per una conoscenza di Dio. Che ciò sia vero o meno, una cosa dobbiamo ammettere: la lontananza da Dio, l'oscurità e la problematicità che oggi aleggiano attorno a lui sono più profonde che mai; anzi anche noi, che cerchiamo di essere credenti, abbiamo spesso la sensazione che la realtà di Dio ci sia stata sottratta di mano. Non cominciamo anche noi a domandare spesso: dov'è finito Egli nel silenzio di questo mondo? non abbiamo anche noi spesso la sensazione che, al termine di tutte le nostre riflessioni, abbiamo in mano solo parole, mentre la realtà di Dio è più lontana di quanto lo sia mai stata prima?...


Joseph Ratzinger - da "Tempo di Avvento" 







Buona giornata a tutti. :-)






martedì 20 maggio 2014

Non innamorarti - Martha Rivera Garrido -

John Arthur Lomax (1857 - 1923), "Nella Libreria"

Non innamorarti di una donna che legge,
di una donna che sente troppo,
di una donna che scrive…
Non innamorarti di una donna colta, maga, delirante, pazza.
Non innamorarti di una donna che pensa,
che sa di sapere e che inoltre è capace di volare,
di una donna che ha fede in se stessa.
Non innamorarti di una donna che ride 

o piange mentre fa l’amore, 
che sa trasformare il suo spirito in carne e, ancor di più, di una donna che ama la poesia (sono loro le più pericolose), o di una donna capace di restare mezz’ora davanti a un quadro o che non sa vivere senza la musica.
Non innamorarti di una donna intensa, ludica, 

lucida, ribelle, irriverente.
Che non ti capiti mai di innamorarti di una donna così.
Perché quando ti innamori di una donna del genere, che rimanga con te oppure no, che ti ami o no, da una donna così, non si torna indietro.
Mai.

- Martha Rivera Garrido -

"Victor Gabriel Gilbert (1847 - 1935), "Giovane donna mentre legge"


E m'abbandono all'adorabile corso: leggere, vivere dove conducono le parole. La loro apparizione è scritta; le loro sonorità concertate. 
Il loro agitarsi si compone, seguendo un'anteriore meditazione, ed esse si precipiteranno in magnifici gruppi o pure, nella risonanza. 
Gli stessi miei stupori sono fissati; essi sono celati in anticipo e fanno parte del numero.

- Paul Valéry - 




"Ritratto di Mlle Carlier, o La dama col turbante" - Lucien Lévy-Dhurmer (1865 - 1953)


Esci con una ragazza che legge.


Esci con una ragazza che spende i suoi soldi in libri invece che in vestiti, con una che ha problemi di spazio nell’armadio perché ha troppi volumi.

Esci con una ragazza che ha una lista di libri che vuole leggere, che ha la carta della biblioteca da quando aveva dodici anni.

Trova una ragazza che legge.

Saprai che lo fa perché avrà sempre un libro da finire nella borsa. È lei, quella che guarda adorante gli scaffali delle librerie; è quella che esulta in silenzio quando trova il libro che voleva.

La vedi quella tipa strana che annusa le pagine di una vecchio volume in un negozio di libri usati? Quella è la lettrice.

Loro non sanno resistere all’odore delle pagine, specialmente se sono ingiallite e consumate.

È lei, la ragazza che legge mentre aspetta in quel bar in fondo alla strada. 
Se dai una sbirciata alla sua tazza, vedrai che la crema senza latticini sta galleggiando in superficie, perché lei si è già immersa nella lettura. Persa in un mondo creato dall’autore. Seduta. Potrebbe lanciarti un’occhiataccia, dato che molte ragazze che leggono non amano essere interrotte. 
Chiedile se il libro le sta piacendo.
Offrile un altro caffè.
Falle sapere cosa pensi davvero di Murakami. Vedi se ha finito il primo capitolo del Signore degli Anelli. Sai che, se dice che ha capito l’Ulisse di James Joyce, lo sta dicendo solo per suonare intelligente. Chiedile se ama Alice o se vorrebbe essere come lei.

È facile frequentare una ragazza che legge. 
Regalale libri per il suo compleanno, per Natale e per gli anniversari. Regalale il dono delle parole, con una poesia, con una canzone. Regalale Neruda, Pound, Sexton, Cummings. Falle sapere che capisci che le parole sono fatte d’amore; che capisci che lei conosce la differenza tra i libri e la realtà ma, in ogni modo, cercherà di rendere la propria vita almeno un po’ simile al suo libro preferito. Non sarà colpa tua se lo farà.
Deve almeno provarci in qualche modo.
Mentile. Se capisce la sintassi, comprenderà che tu hai bisogno di mentirle. Dietro le parole si trovano altre cose: motivi, valori, sfumature, dialoghi. Non sarà la fine del mondo.

Deludila. Perché una ragazza che legge sa che il fallimento porta al climax. Perché le ragazze che leggono capiscono che tutte le cose devono giungere al termine, ma che puoi sempre scrivere un seguito. Che puoi ricominciare ancora e ancora ed essere sempre l’eroe. Che nella vita è destino che si incontri un cattivo o due. 
Perché essere spaventati da tutto ciò che non si è? Le ragazze che leggono capiscono che le persone, come i personaggi, crescono. A parte nella saga di Twilight.

Se trovi una ragazza che legge, tienitela stretta. Quando la trovi alle due del mattino stringendo un libro al petto e piangente, falle una tazza di tè e abbracciala. Potresti perderla per un paio d’ore, ma tornerà sempre indietro da te. Parlerà come se i personaggi del libro fossero reali, perché per un po’ lo sono sempre.
Le chiederai di sposarla su una mongolfiera. O durante un concerto rock. 
O molto occasionalmente la prossima volta che si ammalerà. Tramite Skype.

Sorriderai così tanto che ti chiederai meravigliato come mai il tuo cuore non sia ancora scoppiato, macchiando di sangue il tuo petto. Scriverai la storia delle vostre vite, avrai figli con nomi assurdi e con gusti ancora più assurdi. Lei presenterà ai tuoi bambini Il Gatto e il Cappello Matto e Aslan, forse nello stesso giorno. Attraverserete gli inverni della vostra vecchiaia insieme e lei reciterà Keats in un sospiro, mentre tu ti scrollerai la neve dagli stivali.

Esci con una ragazza che legge perché lo meriti. Meriti una ragazza che può darti la vita più colorata possibile. Se tu a lei puoi dare solo monotonia, ore vuote e mezze proposte, allora è meglio che rimani solo. Ma se desideri il mondo e i mondi che esistono al di là, esci con una ragazza che legge.

O ancora meglio, con una ragazza che scrive.



- Rosemarie Urquico -
(Date a girl who reads)
Translated to Italian by Chiara Lodi


Buona giornata a tutti :-)











mercoledì 13 novembre 2013

La lettera mai spedita - Bombeck Erma -

L'altro giorno ho trovato una lettera per mia sorella che mi ero dimenticata di imbucare.
Bastava aggiornarla un po', per spedirla. Dopo «Il piccolo ormai...» ho cancellato «ha imparato a stare sul vasino» e ho scritto «finisce gli esami delle scuole superiori il mese prossimo».
E nel PS, dove avevo scritto «oggi ho trovato il primo capello bianco» ho cancellato «bianco» e ci ho scritto «nero».
Il resto della lettera andava ancora bene. «Mi sono messa a dieta perché ormai scoppio anche dalla pelle. I ragazzi sono impossibili e io mi sento sempre più fuori dalla realtà. La settimana prossima dipingerò il bagno e scriverò al resto della famiglia.» Il mio guaio è che non mi piace scrivere lettere, a meno che abbia qualcosa di veramente eccitante da raccontare. 
La gente capace di scrivere lettere emozionanti o elettrizzanti mi fa soggezione.
Ho un gruppo di amici che mi scrivono solo una volta all'anno... dalla crociera. Sanno che impazzirò di invidia e mandano cartoline con paesaggi stupendi, che cominciano con «Tesoro: ti pensiamo tanto, saltando da un'isola all'altra», e finiscono con «Devo scappare. C'è un tipo che assomiglia come una goccia d'acqua a Robert Redford che mi insegue per tutta la nave».
Altri amici delle cui lettere farei volentieri a meno sono quelli che hanno i figli superdotati. Le loro missive traboccano di notizie su Roberto che ha appena vinto una borsa di studio per Harvard. (E così intelligente che per laurearsi gli basterà starsene con il sedere su una sedia e respirare per quattro anni l'aria dell'università.) 
C'è anche Emy, nove anni, che vince tutte le gare di atletica leggera, si fa i vestiti da sé, ha appena venduto un articolo a Selezione e ha intenzione di passare le vacanze estive a leggere la Bibbia. E non dimentichiamo il piccolo Tom, che si alza durante la notte e si cambia i pannolini da sé. (E tu-sai-chi porta ancora le mutandine di plastica sotto la tenuta da football?)
Quelle che veramente non posso sopportare, però, sono le persone che scrivono su carta da lettera e busta coordinate. È facile scrivere quando si ha tutto il necessario a disposizione! Per me invece è già difficile trovare un pezzo di carta senza macchie o scarabocchi, una matita e un francobollo.
Oggi nella cassetta delle lettere ho trovato una lettera di mia sorella. 
Nella frase «Sono contenta che la guerra sia finita», ha cancellato la parola «guerra» e l'ha sostituita con «Natale». Dice che la loro nuova Dauphine va benissimo, poi ha cancellato Dauphine e ha scritto Toyota.
Io e mia sorella abbiamo lo stesso carattere recessivo, il Crampo dello Scrittore.

- Erma Bombeck - 
Fonte: "Se la vita è un piatto di ciliege perchè a me solo i noccioli?"



Non esiste un genitore perfetto, quindi basta essere un genitore vero.


Il rapporto tra madre e figlio è paradossale e, per un senso, tragico. Richiede il più intenso amore da parte della madre, e tuttavia questo stesso amore deve aiutare il figlio a staccarsi dalla madre e a diventare indipendente.

- Erich Fromm - 


Non sei da accordare, devi solo trovare chi ascolta la tua melodia.



Io ringrazio me stesso per aver trovato sempre la forza di rialzarmi e andare avanti, sempre.

- Oscar Wilde -





Se tutti lo facessero anche solo una volta al giorno...
regalare un sorriso, 
immagini che incredibile contagio di buon umore si espanderebbe sulla terra????

Buona giornata a tutti :-)





Preghiera della sera

 Signore, al termine di un altro giorno ti consegno la mia storia:
le mie afflizioni e le mie gioie,
i miei dubbi e le mie certezze,
lo sconforto e la speranza,
gli affetti e le delusioni.
Ti ringrazio,
per l'aiuto e il bene ricevuto:
la pazienza nelle cose irrisolte,
la serenità nelle emergenze,
la calma negli imprevisti.
Non abbandonare chi è solo,
allevia le sofferenze di chi è stremato dal dolore,
solleva chi è depresso e sfiduciato,
sorreggi chi vacilla nella fede.
Signore, al termine di un altro giorno ascolta e benedici.

Buona giornata a tutti. :-)