Mi avete messo dalla parte di cattivi. Da secoli spio
la mia statuina nei vostri presepi. La vedo sulla porta dell'osteria, la faccia
truce, lo sguardo severo, il dito alzato in segno di rifiuto; oppure dietro le
porte dell'albergo, china sui profitti della giornata, incurante della coppia
di galilei che bussa per domandare un giaciglio.
Forse non avete l'idea di cosa
significhi gestire una locanda in un borgo come Betlemme. Pochi guadagni,
lavoro di bassa lega, rogne a grappoli.
Clientela non selezionata, e ladri e
farabutti pronti a portarti via i magri ricavi appena giri le spalle. È vero:
in quel periodo gli affari andavano bene. Merito della follia di Cesare
Augusto, e del suo ordine assurdo di bandire un censimento. Ma più degli
introiti, ad essere sinceri, crescevano le preoccupazioni. La mia locanda era
invasa da persone di ogni tipo: viaggiatori sconosciuti, gente comune che
veniva a farsi registrare, facce da galera pronte a tagliare la gola per due
denari, vagabondi di passaggio, avventori con pochi soldi e tante richieste. E
quella notte io, l'albergatore di Betlemme, semplicemente non ce la facevo più.
Tutti a pretendere un posto, a gridare ordini, a tirarmi per i capelli, a
lamentarsi per la minestra insipida o il vino annacquato; tutti pronti a darmi
addosso perché il servizio era lento, il letto sporco, il cibo cattivo. Gli
uomini bestemmiavano, i bambini gridavano, le donne si accapigliavano.
Altro
che notte di stelle e di amore, come cantate nelle vostre canzoni. Era una
bolgia, un inferno. C'erano persone sdraiate sul tavolo della cucina, bestie ed
esseri umani buttati l'uno sull'altro, animali e ragazzi coricati insieme.
Non
mi restava nemmeno il mio letto, ceduto per quattro spiccioli all'ultimo
avventore, e dormivo in piedi, come un somaro.
E allora ho detto no. Non per cattiveria, non perché
Maria e Giuseppe (si chiamano così, vero?) erano dei poveracci che non potevano
pagare. Semplicemente perché non ce la facevo più.
Cosa ne sapete voi, che mi
avete messo tra i cattivi? Magari - oltre a tutto questo - avevo anch'io una
vecchia madre malata, o una moglie bisbetica con cui bisticciare, o un figlio
scappato di casa, o un dolore sordo nel cuore, una ferita nelle viscere, un
rimorso, un fallimento, un rimpianto.
Da secoli vedo che fate come me, del
resto. Come me chiudete le porte a Dio, incatenati dai vostri dispiaceri,
schiantati dalla stanchezza della vita, torchiati da pesi che non riuscite a
portare, da paure che vi tolgono la speranza e il respiro. E Dio arriva, e
bussa alla soglia.
Ma non ce la fate più, e la vostra casa rimane chiusa.
Eppure - i vostri vangeli non lo raccontano - eppure
non è finita così.
Quella notte, quella stessa notte, mi sono destato di
soprassalto. Un rumore, un tuono, un canto: non chiedetemi cos'è stato. Ho
aperto gli occhi di colpo, e ho rivisto come in un sogno Maria e Giuseppe che
camminavano verso la stalla che avevo loro indicato. Ho raccolto un paio di
coperte, un po' di formaggio, del pane avanzato. Mi sono messo il fagotto sulle
spalle e sono uscito dall'albergo di nascosto, come un ladro. La capanna era poco
distante, avvolta da una luce strana; qualcuno si allontanava nel buio, verso
le colline dei pascoli. Sono entrato quasi di soppiatto e mi sono fermato in un
angolo, nascosto dietro una trave di legno. Ho lasciato le quattro cose che mi
ero portato appresso, e sono caduto in ginocchio. Non so quanto tempo sono
rimasto, incantato, a fissare il Bambino. Quel tanto che basta per capire che
io gli avevo detto di no, ma lui mi diceva di sì. Che per lui non c'era posto
nel mio albergo, ma per me c'era posto nella sua vita, nel suo cuore, tutte le
volte che avrei voluto.
E vorrei dirvi che poco m'importa se nei vostri presepi
e nelle vostre recite sarò sempre l'oste cattivo: perché lui non mi vede così,
perché - ne sono sicuro - mi aspetta di nuovo, come quella notte, ogni notte,
ogni giorno, in ogni istante. Siete, siamo ancora in tempo.
Non importa se gli
abbiamo detto no.
Non importa se l'affanno, la stanchezza, la tristezza della
vita ci ha fatto, un giorno, chiudere le porte a Dio.
C'è tempo. La sua casa rimane
aperta, non ci manderà indietro.
E forse cadremo, finalmente, in ginocchio
davanti a lui, nel pentimento e nel perdono, in un sorriso di tenerezza o nella
consolazione del pianto.
Buon Natale!
- don Davide Caldirola -
Dal Magistero di
Giovanni Paolo II
“E’ nato nel tempo. Dio è entrato nella storia.
L’incomparabile oggi eterno di Dio
si è fatto presenza
nelle quotidiane vicende dell’uomo...
Non è una reggia
quella in cui nasce il Redentore,
destinato ad instaurare
il Regno eterno ed universale...
Il Verbo vagisce in una mangiatoia.
Si chiama Gesù, che significa Dio salva...
O Bambino di Betlemme,
Ti adoriamo con Maria,
tua Madre sempre Vergine.
Ti riconosciamo come nostro unico Dio,
fragile Bambino che stai inerme nel presepe.
A Te la gloria e la lode nei secoli,
divin Salvatore del mondo!”.
Dal Magistero di
Benedetto XVI:
“La regalità di Cristo
rimase del tutto nascosta fino ai suoi trent’anni,
trascorsi in un’esistenza ordinaria a Nazareth”.
Sono nel tuo
Natale
Signore eccomi davanti a te! Sono nel tuo Natale...
Davanti alla tua capanna di luce lontana che illumina i
miei passi insicuri.
Davanti ai tuoi pastori che mi ricordano la bellezza
semplice della vita.
Davanti ai raggi della tua stella che filtrano negli
occhi della mia anima e rincuorano il cammino.
Davanti ai tuoi angeli che, fratelli e sorelle, mi
parlano di te.
Davanti a Maria, tua madre, che, come me, vive il sogno
silenzioso del Dio vicino.
Davanti a Giuseppe, tuo padre nella fedeltà, che, come
me, cerca risposte nel vangelo che non abbandona.
Davanti alle tue creature che, come me, vivono la
fragilità dell'umanità.
Davanti alla tua storia che, fuori dal tempo, vive la
storia del mio tempo.
Davanti alla tua luna splendente che, come me, vive la
nostalgia della tua tenerezza.
Si Signore, sono davanti a te! Infreddolito, incredulo,
ma meravigliato che mi cerchi ancora...
Buona giornata a tutti :-)