La nostra parola iniziale si chiama bellezza.
La bellezza è l’ultima parola che l’intelletto pensante può osare di
pronunciare, perché essa non fa altro che incoronare, quale aureola di
splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile
rapporto.
Essa è la bellezza disinteressata senza la quale il vecchio mondo era
incapace di intendersi, ma la quale ha preso congedo in punta di piedi dal
moderno mondo degli interessi, per abbandonarlo alla sua cupidità e alla sua
tristezza. Essa è la bellezza che non è piú amata e custodita nemmeno dalla
religione, ma che, come maschera strappata al suo volto, mette allo scoperto
dei tratti che minacciano di riuscire incomprensibili agli uomini.
Essa è la
bellezza alla quale non osiamo piú credere e di cui abbiamo fatto un’apparenza
per potercene liberare a cuor leggero.
Essa è la bellezza infine che esige
(come è oggi dimostrato) per lo meno altrettanto coraggio e forza di decisione
della verità e della bontà, e la quale non si lascia ostracizzare e separare da
queste sue due sorelle senza trascinarle con sé in una vendetta misteriosa.
Chi, al suo nome, increspa al sorriso le labbra, giudicandola come il ninnolo
esotico di un passato borghese, di costui si può essere sicuri che –
segretamente o apertamente – non è piú capace di pregare e, presto, nemmeno di
amare. Il secolo XIX si è ancora aggrappato, in un’ebbrezza appassionata, alle
vesti della bellezza fuggente, alle cocche svolazzanti del vecchio mondo che si
dissolveva (“Elena abbraccia Faust, il corporeo svanisce, la veste e il velo
gli rimangono tra le braccia... le vesti di Elena si dissolvono in nubi,
circondando Faust, lo sollevano in alto e si dileguano con lui”, Faust II, atto
III); il mondo illuminato da Dio diventa apparenza e sogno, romanticismo,
presto ormai soltanto musica, ma, dove la nube si dissolve, rimane l’immagine
insostenibile dell’angoscia, la nuda materia; poiché però non c’è piú nulla e
tuttavia si ha pur bisogno di abbracciar qualcosa, allora si spinge l’uomo del
nostro tempo a questo Imene impossibile, che alla fine gli fa venire in uggia
qualsiasi forma di amore.
Ma ciò di cui l’uomo non è piú capace, ciò per cui è
diventato impotente, non può piú, proprio perché si sottrae alla sua
sottomissione, essere da lui sostenuto. Non resta che negarlo o circondarlo di
un silenzio di morte.
In un mondo senza bellezza – anche se gli
uomini non riescono a fare a meno di questa parola e l’hanno continuamente
sulle labbra, equivocandone il senso –, in un mondo che non ne è forse privo,
ma che non è piú in grado di vederla, di fare i conti con essa, anche il bene
ha perduto la sua forza di attrazione, l’evidenza del suo
dover-essere-adempiuto; e l’uomo resta perplesso di fronte ad esso e si chiede
perché non deve piuttosto preferire il male. Anche questo costituisce infatti
una possibilità, persino molto piú eccitante. Perché non scandagliare gli
abissi satanici? In un mondo che non si crede piú capace di affermare il bello,
gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza di
conclusione logica: i sillogismi cioè ruotano secondo il ritmo prefissato, come
delle macchine rotative o dei calcolatori elettronici che devono sputare un
determinato numero di dati al minuto, ma il processo che porta alla conclusione
è un meccanismo che non inchioda piú nessuno e la stessa conclusione non
conclude piú.
E se è cosí dei trascendentali, solo perché
uno di essi è stato trascurato, che ne sarà dell’essere stesso? Se Tommaso
poteva contrassegnare l’essere come “una certa luce” per l’ente, questa luce
non si spegnerà là dove si è disimparato il linguaggio della luce stessa e non
si lascia piú che il mistero dell’essere esprima se stesso? Ciò che avanza è
solo una porzione di esistenza che per quanto, come spirito, pretenda
attribuirsi anche una certa libertà, rimane tuttavia completamente oscura e
incomprensibile a se stessa.
La testimonianza dell’essere diventa incredibile
per colui il quale non riesce piú a cogliere il bello.
- Hans Uns von Balthasar -
da: "Gloria", Jaca
Book, Milano, 1985, vol. I, pagg. 10-12
Dio ci sorride sempre
Quando, per giorni e settimane, la mamma
parla e sorride al suo figlio neonato, arriva il giorno in cui il bambino
risponde alla madre con il primo sorriso. Questo giorno dovrebbe essere
festeggiato come un salto di qualità della relazione tra il figlio e la madre. Questo
è ciò che Dio fa con l'uomo, con noi. È sempre lui che prende l'iniziativa e ci
sorride nel suo amore. Dio non si stanca se noi rimaniamo a lungo indifferenti,
ma forse un giorno, toccati dalla sua grazia, rispondiamo anche noi con il
primo sorriso. Così la gioia di Dio si compie.
- Hans
Urs von Balthasar -
Lasciarsi
catturare da Dio
Dio è pericoloso, è un fuoco divoratore.
Ascolta l'avvertimento che ti dà lui stesso: "Nessuno che ha messo mano
all'aratro e poi si volta indietro, è adatto per il Regno di Dio"... Sta
attento, egli nasconde il suo gioco, inizia con un piccolo amore, una piccola
fiamma prima che tu abbia potuto capire come dovresti, ti tiene interamente in
pugno e sei catturato. E tuttavia, vale la pena lasciarsi "catturare"
da Dio, per lanciarsi in questa meravigliosa avventura, privi delle certezze
umane, ma sorretti e guidati dallo Spirito Santo.
rapporto
con Dio.
- Hans
Urs von Balthasar -
Buona giornata a tutti. :-)