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domenica 5 novembre 2017

Il primo servizio: ascoltare l’altro - Dietrich Bonhoeffer

Il primo servizio che si deve agli altri nella comunione, consiste nel prestar loro ascolto. 
L’amore per Dio comincia con l’ascolto della sua parola, e analogamente l’amore per il fratello comincia con l’imparare ad ascoltarlo. 
L’amore di Dio agisce in noi, non limitandosi a darci la sua Parola, ma prestandoci anche ascolto. 
Allo stesso modo l’opera di Dio si riproduce nel nostro imparare a prestare ascolto al nostro fratello. 
I cristiani, soprattutto quelli impegnati nella predicazione, molto spesso pensano di dover “offrire” qualcosa agli altri con cui si incontrano, e ritengono che questo sia il loro unico compito. 
Dimenticano che l’ascoltare potrebbe essere un servizio più importante del parlare. 
Molti cercano un orecchio disposto ad ascoltarli, e non lo trovano fra i cristiani, che parlano sempre, anche quando sarebbe il caso di ascoltare. 
Ma chi non sa più ascoltare il fratello, prima o poi non sarà più nemmeno capace di ascoltare Dio, e anche al cospetto di Dio non farà che parlare.
Qui comincia la morte della vita spirituale, e alla fine non rimane che futile chiacchiericcio religioso, quella degnazione pretesca, che soffoca tutto il resto sotto un cumulo di parole devote. 
Chi non sa ascoltare a lungo e con pazienza, non sarà neppure capace di rivolgere veramente all’altro il proprio discorso, e alla fine non si accorgerà più nemmeno di lui. 
Chi pensa che il proprio tempo sia troppo prezioso perché sia speso nell’ascolto degli altri, non avrà mai tempo per Dio e per il fratello, ma lo riserverà solo a se stesso, per le proprie parole e i propri progetti ...
C’è anche un modo di ascoltare distrattamente, nella convinzione di sapere già ciò che l’altro vuole dire. 
È un modo di ascoltare impaziente, disattento, che disprezza il fratello e aspetta solo il momento di prendere la parola per liberarsi di lui. questo non è certo il modo di adempiere al nostro incarico, e anche qui il nostro modo di riferirci al fratelli rispecchia il modo di riferirci a Dio 

- Dietrich Bonhoeffer -
Vita comune, Queriniana, Brescia 2003, pp. 75-76)





Questo è un mondo senza misura e senza gloria, perché si è perso il dono e l'uso della contemplazione... civiltà del frastuono. 
Tempo senza preghiera. 
Senza silenzio e quindi senza ascolto... 
E il diluvio delle nostre parole soffoca l'appassionato suono della sua Parola.

- Padre David Maria Turoldo -



Quale meravigliosa "seduzione" emanava la persona di Gesù, che trascinava dietro di sé folle che dimenticavano persino di mangiare per essere accanto a lui ed ascoltare la sua parola! 
Quale desiderio irresistibile di avvicinarsi alla fonte della Vita per soddisfare le ansie più profonde del cuore umano! 
Che sensibilità ed umanità quelle di Gesù, al quale la predicazione del Regno di Dio non fa dimenticare il bisogno del sostentamento giornaliero di coloro che lo seguono!

- san Giovanni Paolo II, papa - 
Omelia, 7 maggio 1990, Città del Messico


Buona giornata di ascolto a tutti. :-)







venerdì 3 novembre 2017

Agape e comunità - Martin Luter King

Agape non è amore debole, passivo. E’ amore in azione. 
Agape è amore che cerca di preservare e creare comunità. 
E’ cura perseverante per la comunità anche quando qualcuno cerca di frantumarla. 
Agape è la volontà di coprire qualunque distanza per restaurare la comunità. 
Non si ferma al primo miglio, ma percorre anche il secondo miglio per restaurare la comunità. 
E’ volontà di perdono, non sette volte, ma settanta volte sette per restaurare la comunità. 
La croce è l’espressione eterna della lunghezza del percorso che Dio farà per poter restaurare la comunità frantumata. 
La risurrezione è un simbolo del trionfo di Dio su quelle forze che cercano di bloccare la comunità. 
Lo Spirito santo è la realtà in movimento che continuamente crea comunità attraverso la storia. 
Chi opera contro la comunità opera contro l’insieme della creazione. Perciò, se io rispondo all’odio con un odio ricambiato, non faccio altro che intensificare la frattura nella comunità disgregata. 
Io posso solo colmare il divario nella comunità disgregata venendo incontro all’odio con l’amore. 
Se io rispondo all’odio con l’odio, mi spersonalizzo perché la creazione è fatta in modo che la mia personalità può essere pienamente realizzata solo nel contesto della comunità. Brooker Washington aveva ragione quando diceva: “Non lasciare che nessuno ti spinga tanto in basso da costringerti a odiarlo”. Quando ti spinge così in basso, ti porta al punto di resistere alla creazione, e quindi di spersonalizzarti. In ultima analisi, agape significa un riconoscimento del fatto che ogni vita è interrelata. 
Tutta l’umanità è coinvolta in un singolo processo, e tutti gli uomini sono fratelli. Fino al punto che se io faccio del male a mio fratello, qualsiasi cosa lui faccia a me, faccio del male a me stesso.

- Martin Luter King - 
in “An experiment in Love – A Testamento f Hope”




Ecco perché io ho ancora un sogno.
Ho il sogno che un giorno gli uomini si rizzeranno in piedi e si renderanno conto che sono stati creati per vivere insieme come fratelli. Questa mattina ho ancora il sogno che un giorno ogni negro nella nostra patria, ogni uomo di colore in tutto il mondo, sarà giudicato sulla base del suo carattere piuttosto che sul colore della sua pelle, e ogni uomo rispetterà la dignità ed il valore della personalità umana. Oggi ho ancora il sogno che la fraternità diventerà qualcosa di più che le poche parole alla fine di una preghiera, diventerà l'ordine del giorno di un uomo d'affari e la parola d'ordine dell'uomo di governo.
Ho ancora il sogno che un giorno la giustizia scorrerà come l'acqua e la rettitudine come una sorgente poderosa.
Ho ancora il sogno oggi che in tutti i municipi gli uomini saranno eletti per agire giustamente, per amare la misericordia e camminare umilmente accanto al loro Dio.
Ho ancora il sogno oggi che un giorno la guerra cesserà, che gli uomini muteranno le loro spade in aratri e che le nazioni non insorgeranno più contro le nazioni, e la guerra non sarà più neanche oggetto di studio.
Ho ancora il sogno che un giorno l'agnello e il leone saranno l'uno accanto all'altro e ogni uomo sederà sotto l'albero suo e non avrà più paura.
Ho ancora il sogno che un giorno ogni valle sarà innalzata e ogni montagna sarà spianata. E la gloria di Dio sarà rivelata e la carne tutta la contemplerà.
Ho ancora il sogno che con questa fede noi riusciremo a vincere la disperazione e a portare nuova luce per distruggere il pessimismo.

- Martin Luter King -
(Martin Luther King, 28 agosto 1963, Washington, discorso al Lincoln  Memorial durante la marcia per lavoro e libertà



Buona giornata a tutti. :-)





giovedì 26 ottobre 2017

Il Nibbio ed il serpente - Esopo -

Un giovane serpentello se ne andava tranquillo strisciando fra una pietra e l'altra, godendosi i caldi raggi del primo sole primaverile. 
L'aria era tiepida e carica di un buon profumo di fiori e ogni animale si sentiva rasserenato da quel clima dolce. 
Il piccolo serpente si muoveva piano nel prato quando all'improvviso una spaventosa ombra si proiettò sul suo cammino. 
L'animale preoccupato alzò il testino per guardare da dove provenisse la macchia scura e solo allora scopri che un terribile nibbio stava puntando dritto dritto su di lui!
Il poverino non ebbe nemmeno il tempo di scappare perché in un lampo il volatile gli piombò addosso afferrandolo con il becco. 
Il serpente fu, così, sollevato in cielo da quel rapace che, senza avere pietà per le sue grida volò via il più velocemente possibile.
"Lasciami andare!" Implorava lo sfortunato animaletto "Non ti ho fatto niente!" Ma il nibbio non l'ascoltò neppure.
A quel punto il serpentello si rivoltò su se stesso e con un'abile mossa diede un morso al suo nemico. 

Finalmente il volatile colpito dal veleno della sua preda fu costretto ad aprire il becco liberando il serpente che cadde a terra senza farsi male.
Il nibbio invece, con la vista annebbiata e senza più forze a causa del morso velenoso, precipitò sul terreno a peso morto riportando parecchie ferite.
Quando il volatile era ancora stordito, il serpentello gli si avvicinò e gli disse:
"Ben ti sta! Io non volevo farti del male ma tu mi ci hai costretto e adesso ne paghi le conseguenze!"
Trascorsero due giorni interi prima che il nibbio potesse riprendere a volare ma, a partire da quella volta egli si tenne sempre ad una certa distanza da tutti i serpenti!

MORALE: Chi si dimostra prepotente e malvagio prima o poi paga di persona per le sue cattiverie.





“La vera misura di un uomo si vede da come tratta qualcuno da cui non può ricevere assolutamente nulla in cambio.”

- Samuel Johnson - 


Farò un regalo, un complimento, un fiore, una preghiera a chiunque incontri, ovunque vada. 
Oggi regalerò qualcosa a tutte le persone con le quali entrerò in contatto e avvierò così il processo che fa fluire la gioia, la ricchezza e l'abbondanza nella mia vita e in quella altrui.
Oggi accoglierò con gratitudine tutti i doni che la vita mi offre. 
Accoglierò i doni della natura: il sole, il cinguettio degli uccelli o le piogge primaverili, o la prima neve dell'inverno. 
Inoltre sarò disponibile a ricevere anche i doni degli altri, che siano oggetti, complimenti, preghiere.


Buona giornata a tutti. :-)


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lunedì 23 ottobre 2017

Val la pena essere "Formica"?

Tutti i giorni, molto presto, arrivava in ufficio la Formica produttiva e felice. 

Là trascorreva i suoi giorni, lavorando e canticchiando una vecchia canzone d'amore.

Era produttiva e felice ma, ahimè, non era supervisionata.

Il Calabrone, gestore generale, considerò la cosa impossibile e creò il posto di supervisore, per il quale assunsero uno Scarafaggio con molta esperienza.

La prima preoccupazione dello Scarafaggio fu standardizzare l'ora di entrata e di uscita e preparò pure dei bellissimi report.

Ben presto fu necessaria una segretaria per aiutare a preparare i report, e quindi assunsero una Ragnetta, che organizzò gli archivi e si occupò del telefono.

E intanto la formica produttiva e felice lavorava e lavorava.

Il Calabrone, gestore generale, era incantato dai report dello Scarafaggio supervisore, e così finì col chiedere anche quadri comparativi e grafici, indicatori di gestione ed analisi delle tendenze.

Fu quindi necessario assumere una Mosca aiutante del supervisore e fu necessario un nuovo computer con stampante a colori.

Ben presto la Formica produttiva e felice smise di canticchiare le sue melodie e cominciò a lamentarsi di tutto il movimento di carte che c'era da fare.

Il Calabrone, gestore generale, pertanto, concluse che era il momento di adottare delle misure: crearono la posizione di gestore dell'area dove lavorava la Formica produttiva e felice.

L'incarico fu dato ad una Cicala, che mise la moquette nel suo ufficio e fece comprare una poltrona speciale. Il nuovo gestore di area - chiaro ebbe bisogno di un nuovo computer e quando si ha più di un computer è necessaria una Intranet.

Il nuovo gestore ben presto ebbe bisogno di un assistente (Remora, già suo aiutante nell'impresa precedente), che l'aiutasse a preparare il piano strategico e il budget per l'area dove lavorava la Formica produttiva e felice.

La Formica non canticchiava più ed ogni giorno si faceva più irascibile. "Dovremo commissionare uno studio sull'ambiente lavorativo, un giorno di questi", disse la Cicala.

Ma un giorno il gestore generale, al rivedere le cifre, si rese conto che l'unità, nella quale lavorava la Formica produttiva e felice, non rendeva più tanto.

E così contattò il Gufo, prestigioso consulente, perché facesse una diagnosi della situazione.

Il Gufo rimase tre mesi negli uffici ed emise un cervellotico report di vari volumi e di vari milioni di euro, che concludeva: "C'è troppa gente in questo ufficio." E così il gestore generale seguì il consiglio del consulente e licenziò la Formica incazzata, che prima era produttiva e felice.

MORALE:

Non ti venga mai in mente di essere una Formica produttiva e felice. 

E' preferibile essere inutile e incompetente. Gli incompetenti non hanno bisogno di supervisori, tutti lo sanno.

Morale di Stefania: Ho letto questa storiella e non sapevo se pubblicarla o no. Troppo negativa. Penso che nelle vita valga sempre la pena di essere produttivi e felici, ma soprattutto positivi.  
Vale la pena di dimostrare .... di essere di esempio, che .... si può essere felici nonostante tutto e tutti. 

Che la vita vale comunque la pena di essere vissuta.



Chi ha lavorato fin dalla prima ora, riceva oggi il giusto salario; chi è venuto dopo la terza, renda grazie e sia in festa; chi è giunto dopo la sesta, non esiti: non subirà alcun danno; chi ha tardato fino alla nona, venga senza esitare; chi è giunto soltanto all’undicesima, non tema per il suo ritardo. Il Signore è generoso, accoglie l’ultimo come il primo, accorda il riposo a chi è giunto all’undicesima ora come a chi ha lavorato dalla prima. Fa misericordia all’ultimo e serve il primo.

- san Giovanni Crisostomo -


"Gaudete in Domino semper” – scrive san Paolo: “Gioite sempre nel Signore” (Fil 4,4). 
La vera gioia non è frutto del divertirsi, inteso nel senso etimologico della parola di-vertere, cioè esulare dagli impegni della vita e dalle sue responsabilità. La vera gioia è legata a qualcosa di più profondo. 
Certo, nei ritmi quotidiani, spesso frenetici, è importante trovare spazi di tempo per il riposo, per la distensione, ma la gioia vera è legata al rapporto con Dio. 
Chi ha incontrato Cristo nella propria vita, sperimenta nel cuore una serenità e una gioia che nessuno e nessuna situazione, possono togliere. 
Sant’Agostino lo aveva compreso molto bene; nella sua ricerca della verità, della pace, della gioia, dopo aver cercato invano in molteplici cose conclude con la celebre espressione che il cuore dell’uomo è inquieto, non trova serenità e pace finché non riposa in Dio (cfr Le Confessioni, I,1,1). 
La vera gioia non è un semplice stato d’animo passeggero, né qualcosa che si raggiunge con i propri sforzi, ma è un dono, nasce dall’incontro con la persona viva di Gesù, dal fargli spazio in noi, dall’accogliere lo Spirito Santo che guida la nostra vita.

- papa Benedetto XVI -
Angelus, Piazza San Pietro, 11 dicembre 2011


Buona giornata a tutti. :-)






sabato 21 ottobre 2017

Ombre e luci di ogni comunità - - Padre André Louf

In un certo gruppo posso trovarmi più o meno a mio agio, più o meno nel mio elemento naturale, sentirmi più o meno accettato. 
Ogni gruppo ha le sue ombre e le sue luci. 
Ci sono anche giorni o periodi durante i quali mi sento quasi sopraffatto dagli aspetti oscuri.
Le forze e i desideri che vivono in ciascuno si riflettono anche nel gruppo e in qualche modo sono legati a esso. 
Possono svilupparsi positivamente quando sono saggiamente dominati nella vita comune e nel dialogo. Ma possono anche evolvere negativamente e sconvolgere la vita del gruppo, demolirla e renderla alla lunga impossibile. “L’inferno sono gli altri”.
E’ importante avere il coraggio di guardare in faccia le debolezze del gruppo e poterlo fare, perché sono proprio esse gli elementi principali per la crescita del gruppo. 
Si ha invece l’impressione che tutto ciò che può spaventare o creare scandalo viene accuratamente nascosto e velato. 
La comunità in quanto tale viene posta molto in alto, fortemente idealizzata e questo ideale è presente inconsciamente nelle attese di chi ne fa parte. Chiunque non arriva a corrispondere a queste attese viene tenuto in disparte e talora perde anche l’amore e la fiducia degli altri. 
La comunità rischia di diventare una sorta di setta, che raccoglie un’èlite di gente omologata che si allontana sempre più dalla realtà di una comunità cristiana che vive l’evangelo.

- Padre André Louf - 
edizioni Qiqajon, Magnano 2001




Ciascuno di noi è il luogo in cui Gesù risiede, e noi possiamo essere assolutamente sicuri di trovarlo sempre a casa, dentro di noi.

- Padre André Louf - 


„Ogni credente riceve la Parola di cui ha bisogno e nella misura in cui può accoglierla e assimilarla.“

- Padre André Louf - 


„Qualsiasi opera l'uomo intraprenda, se persevera in essa, possederà la quiete. La preghiera invece richiede lotta fino all'ultimo respiro.“

- Padre André Louf - 



Buona giornata a tutti. :-)





martedì 26 settembre 2017

Amore e comunione - Mariano Magrassi ofb

Dedichiamo brevemente attenzione ai gesti quotidiani che esprimono l'agàpe (amore) e costruiscono la koinonia (comunione). 
Al primo posto metterei una capacità infinita di comprensione e perdono. 
Non sta insieme una comunità dove i componenti non sono pronti a perdonarsi.
Bisogna anzitutto capire gli altri e accettarli come sono. Prendere i fratelli come Dio ce li manda e poi entrare in ciascuno, a partire da un gesto, da una parola, con una forte carica di simpatia, in modo da uscirne con la sua immagine, vera e non deformata. 
Spesso i pregiudizi fanno da schermo, si interpongono tra noi e i fratelli. Un filosofo ha definito la carità «l'attenzione prestata all'esistenza altrui».
Un altro elemento, importante per la comunione, è la prontezza a donarsi sulla linea del servizio. 
Un servizio che anzitutto deve afferrare tutto il mio essere, cioè devo fare di me quello che viene bene per gli altri. Aggiusto me stesso per essere gradito agli altri. È una carità che si fa con l'essere, prima che con l'azione.
Amare senza misura, né di intensità né di estensione. 
Quindi fraterna apertura a tutti. I fratelli non si scelgono, si accolgono senza discriminazione; basta escluderne uno per uccidere la carità. E dopo che l'ho accettato, il fratello, superando l'egoismo che è chiusura in me stesso, devo aprirmi a lui con una immensa speranza. 
Quando l'io si chiude in se stesso, intristisce. Quando invece diventa capace di rapporto, di comunione, allora si apre e fiorisce, come certi fiori che si schiudono quando sorge il sole.
Altro gesto di comunione è la correzione fraterna. Che sia un gesto cristiano non c'è alcun dubbio, perché si trova nel discorso ecclesiale di Matteo (18, 15-17). 
Ma è un'arte molto, molto difficile! Occorre intervenire nel momento giusto e col tono giusto. 
Deve nascere da un bisogno di amicizia che porge fraternamente all'altro una mano per risollevarsi. A sua volta, la correzione spinge chi la compie a togliere la trave dal proprio occhio.
Ma occorre pure sopportare se stessi, cioè accattare con serenità i propri limiti. 
Questo non lo riferisco ai peccati che dobbiamo cercare di eliminare, tutti; ma ai limiti che ci sono in ogni persona umana. 
Bisogna diventare scomplessati al riguardo; occorre saperci accettare come siamo, con lo sforzo quotidiano per renderci migliori. 
Allora si diventa uomini felici di vivere. È una cosa molto importante questa, perché l'uomo felice di vivere è capace di buoni rapporti con gli altri.
Accettare le diversità e saperle comporre nella comunione è un'altra cosa indispensabile. 
La diversità è voluta da Dio. La diversità è una ricchezza, purché non diventi contrasto. L'immagine più bella mi pare che l'abbia trovata Ignazio di Antiochia quando ha detto che siamo come una cetra, che ha parecchie corde, e ogni corda suona la sua nota, ma ogni corda è armonizzata con l'altra. 
Se avessimo nella Chiesa un po' più di capacità di comporre queste differenze nella comunione! Si tratta di diversità a livello personale, non delle diversità sulle verità di fede; è chiaro che lì ci deve essere la perfetta comunione.
Da ultimo occorre da parte di tutti una fraterna cooperazione al bene di tutto il corpo ecclesiale. La salute e la vitalità di un organismo risultano dall'apporto di tutti gli organi che lo compongono. 
La Chiesa è un corpo che ha bisogno di tutti: ognuno l'arricchisce col suo dono.
Il Signore ci renda capaci di moltiplicare ogni giorno i gesti di bontà intorno a noi. Questa comprensione verso gli altri non è per il cristiano pura filantropia, ma un modo di andare incontro al Cristo, perché il fratello è "sacramento di Gesù". Gesù mette sul suo conto quello che abbiamo fatto al più piccolo dei nostri - e suoi - fratelli.

- Mariano Magrassi  ofb - 
da: "Afferrati da Cristo", ed. La Scala



L'unico modo di avere un amico è esserlo.

Ralph Waldo Emerson, Amicizia


 Benedizione celtica

Che tu abbia tempo
per la pazienza,
tempo per comprendere,
tempo per ricordare
le cose buone fatte e da fare.
Tempo per credere
nei tuoi compagni di viaggio,
tempo per capire
quanto valga un amico.


Buona giornata a tutti. :-)







domenica 10 settembre 2017

La partita notturna - Padre Michel Quoist

Questa sera, allo stadio, la notte si agitava, popolata di diecimila ombre,
e quando i proiettori ebbero dipinto in verde il velluto dell'immenso campo,
la notte intonò un coro, nutrito di diecimila voci.
Infatti il maestro di cerimonie aveva fatto segno di iniziare la funzione.
L'imponente liturgia si svolgeva dolcemente.
Il pallone bianco volava da ministro a ministro 
come se tutto fosse stato minuziosamente preparato in precedenza.
Passava dall'uno all'altro, correva raso terra o volava sopra le teste.
Ognuno era al suo posto, ricevendolo alla sua volta, con colpo misurato lo passava all'altro, 
e l'altro era là per accoglierlo e trasmetterlo.
E siccome ognuno faceva il suo lavoro dove occorreva, siccome forniva lo sforzo richiesto, siccome sapeva di aver bisogno di tutti gli altri, lentamente, ma sicuramente, il pallone avanzava; e quand'ebbe raccolto il lavoro d'ognuno, quand'ebbe riunito il cuore degli undici giocatori, la squadra gl'impresse un soffio e segnò il goal della vittoria.
Dopo la partita, a stento l'immensa folla si disperdeva nelle strade troppo strette, ed io pensavo, o Signore, che la storia umana, per noi lunga partita,
per Te era questa grande Liturgia, meravigliosa cerimonia iniziata all'aurora dei tempi, che terminerà quando l'ultimo ministro avrà compiuto l'ultimo gesto.
In questo mondo, o Signore, abbiamo ognuno il nostro posto; allenatore previdente, da sempre Tu ce lo destinavi.
Tu hai bisogno di noi qui, i nostri fratelli han bisogno di noi e noi abbiamo bisogno di tutti.
Non ha importanza il posto che io occupo, o Signore, 
ma la perfezione e l'intensità della mia presenza.
Che importa che io sia avanti o indietro, se sono al massimo quello che debbo essere? 


Ecco, o Signore, la mia giornata davanti a me... 


Non ho riparato troppo sul fallo, criticando gli sforzi degli altri, le mani in tasca?
Ho tenuto bene il mio posto, e mi hai Tu incontrato sul campo quando lo guardavi?
Ho ricevuto bene il "passaggio" del vicino e quello dell'altro dall'altra estremità del campo?
Ho "servito" bene i miei compagni di squadra, 
senza giocare troppo personalmente per mettermi in mostra?
Ho "costruito" il gioco in modo da ottenere la vittoria con il contributo di tutti?
Ho lottato fino in fondo nonostante gli scacchi, i colpi e le ferite?
Non sono stato turbato dalle dimostrazioni dei compagni e degli spettatori,
scoraggiato dalla loro incomprensione e dai loro rimproveri, insuperbito dai loro applausi?
Ho pensato di pregare la mia partita, non dimenticando che agli occhi di Dio 
questo gioco degli uomini è la funzione più religiosa?
Ora vado a riposarmi negli spogliatoi, Signore; e domani, se Tu darai il calcio d'avvio, giocherò un altro tempo, e così ogni giorno...
Fa' che questa partita celebrata con tutti i miei fratelli 
sia l'imponente liturgia che Tu aspetti da noi, affinché quando il tuo ultimo fischio interromperà le nostre esistenze noi siamo selezionati per la Coppa del Cielo.

- Padre Michel Quoist -



Signore, mi senti?
Soffro tremendamente.  Asseragliato in me stesso, prigioniero di me stesso. Non sento che la mia voce, non vedo che me stesso, e dietro di me non v'è che sofferenza.
Signore, mi senti?
Liberami dal mio corpo, che è tutto brama, e tutto quello che tocca con i suoi innumerevoli grandi occhi, con le sue mille mani tese, è solo per coglierlo e cercare di calmare la sua insaziabile fame.
Signore, mi senti?
Liberami dal mio cuore, tutto gonfio di amore, ma, mentre credo di amare pazzamente, intravvedo rabbioso che ancora amo me stesso nell'altro.
Signore, mi senti?
Liberami dal mio spirito, pieno di se stesso, delle sue idee, dei suoi giudizi; non sa dialogare, perchè non lo colpisce altra parola fuorchè la sua.
Solo, mi annoio, mi detesto, mi disgusto, e mi rigiro nella mia sudicia pelle come il malato nel suo letto bruciante da cui vorrebbe scappare.
Tutto mi sembra brutto, mostruoso, senza luce, ... perchè non posso veder nulla se non attraverso me.
Mi sento disposto ad odiare gli uomini ed il mondo intero, ... per dispetto, perchè non li posso amare. Vorrei uscire, vorrei camminare, correre verso un altro paese.
So che esiste la GIOIA, l'ho vista raggiare sui volti.
So che brilla la LUCE, l'ho vista illuminare gli sguardi.
Ma Signore, non posso uscire, insieme amo e odio la mia prigione, perchè la mia prigione sono io.
Ed io mi amo, mi amo, o Signore, e mi faccio ribrezzo.
Signore, non trovo neppure più la porta di casa mia.
Mi trascino tastoni, accecato, urto nelle mie stesse pareti, nei miei propri limiti, mi ferisco.
Ho male, Ho troppo male, e nessuno lo sa, perchè nessuno è entrato in casa mia.
Sono solo, solo.
Signore, Signore, mi senti?
Signore, indicami la mia porta, prendi la mia mano.
Apri. Indicami la Via, la via della GIOIA, della LUCE.
... Ma ...
Ma, o Signore, mi senti Tu?

Figliuolo, Io ti ho sentito. Mi fai compassione.
Da tanto tempo spio le tue imposte chiuse.
Aprìle, la Mia luce ti rischiarerà.
Da tanto tempo Io sono davanti al tuo uscio sprangato, aprilo, mi troverai sulla soglia.

Io ti attendo, gli altri ti attendono, ma bisogna aprire, ma bisogna uscire da te.
Perchè rimanere prigioniero di te stesso? Sei libero. Non ho chiuso Io la tua porta, non posso riaprirla Io, ... perchè sei tu dall'interno a tenerla solidamente sprangata.

- Padre Michel Quoist -



Buona giornata a tutti. :-)