Ritorniamo alla vita di san Francesco. Poiché il padre Bernardone gli
rimproverava troppa generosità verso i poveri, Francesco, dinanzi al Vescovo di
Assisi, con un gesto simbolico si spogliò dei suoi abiti, intendendo così
rinunciare all’eredità paterna: come nel momento della creazione, Francesco non
ha niente, ma solo la vita che gli ha donato Dio, alle cui mani egli si
consegna. Poi visse come un eremita, fino a quando, nel 1208, ebbe luogo un
altro avvenimento fondamentale nell’itinerario della sua conversione.
Ascoltando un brano del Vangelo di Matteo – il discorso di Gesù agli apostoli
inviati in missione –, Francesco si sentì chiamato a vivere nella povertà e a
dedicarsi alla predicazione. Altri compagni si associarono a lui, e nel 1209 si
recò a Roma, per sottoporre al Papa Innocenzo III il progetto di una nuova
forma di vita cristiana. Ricevette un’accoglienza paterna da quel grande
Pontefice, che, illuminato dal Signore, intuì l’origine divina del movimento
suscitato da Francesco. Il Poverello di Assisi aveva compreso che ogni carisma
donato dallo Spirito Santo va posto a servizio del Corpo di Cristo, che è la
Chiesa; pertanto agì sempre in piena comunione con l’autorità ecclesiastica.
Nella vita dei santi non c’è contrasto tra carisma profetico e carisma di
governo e, se qualche tensione viene a crearsi, essi sanno attendere con
pazienza i tempi dello Spirito Santo.
In realtà, alcuni storici nell’Ottocento e anche nel secolo scorso hanno
cercato di creare dietro il Francesco della tradizione, un cosiddetto Francesco
storico, così come si cerca di creare dietro il Gesù dei Vangeli, un cosiddetto
Gesù storico. Tale Francesco storico non sarebbe stato un uomo di Chiesa, ma un
uomo collegato immediatamente solo a Cristo, un uomo che voleva creare un
rinnovamento del popolo di Dio, senza forme canoniche e senza gerarchia. La
verità è che san Francesco ha avuto realmente una relazione immediatissima con
Gesù e con la parola di Dio, che voleva seguire sine glossa, così com’è, in
tutta la sua radicalità e verità. E’ anche vero che inizialmente non aveva
l’intenzione di creare un Ordine con le forme canoniche necessarie, ma,
semplicemente, con la parola di Dio e la presenza del Signore, egli voleva
rinnovare il popolo di Dio, convocarlo di nuovo all’ascolto della parola e
all’obbedienza verbale con Cristo. Inoltre, sapeva che Cristo non è mai “mio”,
ma è sempre “nostro”, che il Cristo non posso averlo “io” e ricostruire “io”
contro la Chiesa, la sua volontà e il suo insegnamento, ma solo nella comunione
della Chiesa costruita sulla successione degli Apostoli si rinnova anche
l’obbedienza alla parola di Dio.
E’ anche vero che non aveva intenzione di creare un nuovo ordine, ma solamente
rinnovare il popolo di Dio per il Signore che viene. Ma capì con sofferenza e
con dolore che tutto deve avere il suo ordine, che anche il diritto della
Chiesa è necessario per dar forma al rinnovamento e così realmente si inserì in
modo totale, col cuore, nella comunione della Chiesa, con il Papa e con i
Vescovi. Sapeva sempre che il centro della Chiesa è l'Eucaristia, dove il Corpo
di Cristo e il suo Sangue diventano presenti. Tramite il Sacerdozio,
l'Eucaristia è la Chiesa. Dove Sacerdozio e Cristo e comunione della Chiesa
vanno insieme, solo qui abita anche la parola di Dio. Il vero Francesco storico
è il Francesco della Chiesa e proprio in questo modo parla anche ai non
credenti, ai credenti di altre confessioni e religioni.
Francesco e i suoi frati, sempre più numerosi, si stabilirono alla Porziuncola,
o chiesa di Santa Maria degli Angeli, luogo sacro per eccellenza della
spiritualità francescana. Anche Chiara, una giovane donna di Assisi, di nobile
famiglia, si mise alla scuola di Francesco. Ebbe così origine il Secondo Ordine
francescano, quello delle Clarisse, un’altra esperienza destinata a produrre
frutti insigni di santità nella Chiesa.
Anche il successore di Innocenzo III, il Papa Onorio III, con la sua bolla Cum
dilecti del 1218 sostenne il singolare sviluppo dei primi Frati Minori, che
andavano aprendo le loro missioni in diversi paesi dell’Europa, e persino in
Marocco. Nel 1219 Francesco ottenne il permesso di recarsi a parlare, in
Egitto, con il sultano musulmano Melek-el-Kâmel, per predicare anche lì il
Vangelo di Gesù. Desidero sottolineare questo episodio della vita di san
Francesco, che ha una grande attualità. In un’epoca in cui era in atto uno
scontro tra il Cristianesimo e l’Islam, Francesco, armato volutamente solo
della sua fede e della sua mitezza personale, percorse con efficacia la via del
dialogo. Le cronache ci parlano di un’accoglienza benevola e cordiale ricevuta
dal sultano musulmano. È un modello al quale anche oggi dovrebbero ispirarsi i
rapporti tra cristiani e musulmani: promuovere un dialogo nella verità, nel
rispetto reciproco e nella mutua comprensione (cfr Nostra Aetate, 3). Sembra poi
che nel 1220 Francesco abbia visitato la Terra Santa, gettando così un seme,
che avrebbe portato molto frutto: i suoi figli spirituali, infatti, fecero dei
Luoghi in cui visse Gesù un ambito privilegiato della loro missione. Con
gratitudine penso oggi ai grandi meriti della Custodia francescana di Terra
Santa.
Rientrato in Italia, Francesco consegnò il governo dell’Ordine al suo vicario,
fra Pietro Cattani, mentre il Papa affidò alla protezione del Cardinal Ugolino,
il futuro Sommo Pontefice Gregorio IX, l’Ordine, che raccoglieva sempre più
aderenti. Da parte sua il Fondatore, tutto dedito alla predicazione che
svolgeva con grande successo, redasse una Regola, poi approvata dal Papa.
Nel 1224, nell’eremo della Verna, Francesco vede il Crocifisso nella forma di
un serafino e dall’incontro con il serafino crocifisso, ricevette le stimmate;
egli diventa così uno col Cristo crocifisso: un dono, quindi, che esprime la
sua intima identificazione col Signore.
La morte di Francesco – il suo transitus - avvenne la sera del 3 ottobre 1226,
alla Porziuncola. Dopo aver benedetto i suoi figli spirituali, egli morì,
disteso sulla nuda terra. Due anni più tardi il Papa Gregorio IX lo iscrisse
nell’albo dei santi. Poco tempo dopo, una grande basilica in suo onore veniva
innalzata ad Assisi, meta ancor oggi di moltissimi pellegrini, che possono
venerare la tomba del santo e godere la visione degli affreschi di Giotto,
pittore che ha illustrato in modo magnifico la vita di Francesco.
È stato detto che Francesco rappresenta un alter Christus, era veramente
un’icona viva di Cristo. Egli fu chiamato anche “il fratello di Gesù”. In
effetti, questo era il suo ideale: essere come Gesù; contemplare il Cristo del
Vangelo, amarlo intensamente, imitarne le virtù. In particolare, egli ha voluto
dare un valore fondamentale alla povertà interiore ed esteriore, insegnandola
anche ai suoi figli spirituali. La prima beatitudine del Discorso della
Montagna - Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli (Mt
5,3) - ha trovato una luminosa realizzazione nella vita e nelle parole di san
Francesco. Davvero, cari amici, i santi sono i migliori interpreti della
Bibbia; essi, incarnando nella loro vita la Parola di Dio, la rendono più che
mai attraente, così che parla realmente con noi. La testimonianza di Francesco,
che ha amato la povertà per seguire Cristo con dedizione e libertà totali,
continua ad essere anche per noi un invito a coltivare la povertà interiore per
crescere nella fiducia in Dio, unendo anche uno stile di vita sobrio e un
distacco dai beni materiali.
In Francesco l’amore per Cristo si espresse in modo speciale nell’adorazione
del Santissimo Sacramento dell’Eucaristia. Nelle Fonti francescane si leggono
espressioni commoventi, come questa: “Tutta l’umanità tema, l’universo intero
tremi e il cielo esulti, quando sull’altare, nella mano del sacerdote, vi è
Cristo, il Figlio del Dio vivente. O favore stupendo! O sublimità umile, che il
Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi per la
nostra salvezza, sotto una modica forma di pane” (Francesco di Assisi, Scritti,
Editrici Francescane, Padova 2002, 401).
In quest’anno sacerdotale, mi piace pure ricordare una raccomandazione rivolta
da Francesco ai sacerdoti: “Quando vorranno celebrare la Messa, puri in modo
puro, facciano con riverenza il vero sacrificio del santissimo Corpo e Sangue
del Signore nostro Gesù Cristo” (Francesco di Assisi, Scritti, 399). Francesco
mostrava sempre una grande deferenza verso i sacerdoti, e raccomandava di rispettarli
sempre, anche nel caso in cui fossero personalmente poco degni. Portava come
motivazione di questo profondo rispetto il fatto che essi hanno ricevuto il
dono di consacrare l’Eucaristia. Cari fratelli nel sacerdozio, non
dimentichiamo mai questo insegnamento: la santità dell’Eucaristia ci chiede di
essere puri, di vivere in modo coerente con il Mistero che celebriamo.
Dall’amore per Cristo nasce l’amore verso le persone e anche verso tutte le
creature di Dio. Ecco un altro tratto caratteristico della spiritualità di
Francesco: il senso della fraternità universale e l’amore per il creato, che
gli ispirò il celebre Cantico delle creature. È un messaggio molto attuale.
Come ho ricordato nella mia recente Enciclica Caritas in veritate, è
sostenibile solo uno sviluppo che rispetti la creazione e che non danneggi
l’ambiente (cfr nn. 48-52), e nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace
di quest’anno ho sottolineato che anche la costruzione di una pace solida è
legata al rispetto del creato. Francesco ci ricorda che nella creazione si
dispiega la sapienza e la benevolenza del Creatore. La natura è da lui intesa
proprio come un linguaggio nel quale Dio parla con noi, nel quale la realtà
diventa trasparente e possiamo noi parlare di Dio e con Dio.
Cari amici, Francesco è stato un grande santo e un uomo gioioso. La sua
semplicità, la sua umiltà, la sua fede, il suo amore per Cristo, la sua bontà
verso ogni uomo e ogni donna l’hanno reso lieto in ogni situazione. Infatti,
tra la santità e la gioia sussiste un intimo e indissolubile rapporto. Uno
scrittore francese ha detto che al mondo vi è una sola tristezza: quella di non
essere santi, cioè di non essere vicini a Dio. Guardando alla testimonianza di
san Francesco, comprendiamo che è questo il segreto della vera felicità:
diventare santi, vicini a Dio!
Ci ottenga la Vergine, teneramente amata da Francesco, questo dono.
Ci
affidiamo a Lei con le parole stesse del Poverello di Assisi: “Santa Maria
Vergine, non vi è alcuna simile a te nata nel mondo tra le donne, figlia e
ancella dell’altissimo Re e Padre celeste, Madre del santissimo Signor nostro
Gesù Cristo, sposa dello Spirito Santo: prega per noi... presso il tuo
santissimo diletto Figlio, Signore e Maestro” (Francesco di Assisi, Scritti,
163).