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domenica 18 dicembre 2016

Racconto di Natale - Paulo Coelho

Racconta una leggenda che, nel paese che oggi conosciamo come Austria, d’abitudine la famiglia Burkard (composta da un uomo, una donna e un bambino) ravvivava le feste natalizie recitando poesie, cantando ballate di vecchi trovatori, e facendo giochi di prestigio che divertivano tutti quanti. Logicamente, non avanzavano mai soldi per comprare regali, però l’uomo diceva sempre a suo figlio:
-Lo sai perché il sacco di Babbo Natale non rimane mai vuoto, con tutti i bambini che ci sono nel mondo? Perché, quantunque sia pieno di giocattoli, alle volte bisogna che consegni anche alcune cose più importanti che son chiamati “regali invisibili”. Ad una famiglia divisa porta armonia e pace nella notte più santa dell’anno cristiano. Dove manca amore, deposita un seme di fede nei cuori dei bambini. Dove il futuro sembra oscuro e incerto, porta la speranza. Nel nostro caso, quando Babbo Natale viene a recarci visita, il giorno seguente tutti ci sentiamo contenti per essere ancora in vita e per poter svolgere il nostro lavoro, che è quello di rendere felici le persone. 
E questa cosa non dimenticarla mai.
Il tempo passò, il bambino si trasformò in un ragazzo, ed un tal giorno la famiglia passò davanti all’imponente abbazia di Melk, che era appena stata costruita. Il giovane Buckard voleva restare lì.
I genitori compresero e rispettarono il suo desiderio. Bussarono alla porta del convento chiedendo che accettassero il loro figlio come novizio.
Arrivò la vigilia di Natale e, giustamente in questo giorno, ebbe luogo in Melk un miracolo molto speciale:
La Madonna, portando il Bambino Gesù tra le braccia, decise di scendere sulla Terra per visitare il monastero.
Senza poter mascherare il proprio orgoglio, tutti i religiosi composero una lunga fila ed ognuno di loro andava a prostrarsi davanti alla Vergine cercando di rendere omaggio alla mamma ed al bambino.
Al fondo della fila, il giovane Buckard attendeva ansioso. I suoi genitori erano persone semplici, e solo gli avevano insegnato a lanciare in alto palline per fare con esse alcuni giochi di prestigio.
Quando venne il suo turno, gli altri religiosi volevano mettere fine agli omaggi, dal momento che il prestigiatore non aveva nulla di importante da dire, ed avrebbe potuto danneggiare l’immagine del convento. Ciò nonostante, nel suo profondo, anche lui sentiva una forte necessità di offrire a Gesù ed alla Vergine qualcosa di sé stesso.
Provando vergogna, subendo lo sguardo recriminatorio dei suoi confratelli, estrasse alcune arance dalle sue tasche e cominciò a lanciarle verso l’alto per muoverle di continuo, creando un bel cerchio nell’aria.
Fu solo allora che  il Bambino Gesù incominciò ad applaudire di gioia nel grembo di Nostra Signora. E fu solo a questo ragazzo che la Vergine Maria gli stese le braccia e gli permise di tenere in braccio per un poco di tempo al Bambino, che non smetteva di sorridere.
La leggenda termina raccontando che, a causa di questo miracolo, ogni duecento anni, un nuovo Buckhard bussa alla porta di Melk, ed è ammesso ad entrare, e mentre sosta all’interno possiede il dono di rallegrare l’animo di tutti quelli che lo conoscono.

- Paulo Coelho - 
(Tratto da una storia medioevale)





C’è un’attesa che consuma, inaridisce, rende cupi e ricurvi. E c’è un’attesa che spalanca il cuore, più perdura più rende longanimi, saggi e innamorati. Tra le due c’è una differenza non da poco: la presenza nell’assenza. Mi spiego: quando scorgiamo che l’Amato è già presente nella nostra attesa di lui. O meglio, quando capiamo che è lui l’anelito più bello della nostra attesa, qualcosa cambia. Lui è qui, nella nostra stessa attesa di lui. L’attesa allora non ci esaurisce, ma ci ricarica; non ci spegne, ma ci fa ardere di continuo sapendo che «adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti» (Rm 13,11). Beato chi vive l’attesa così. Il suo Ad-Dio alla vita sarà, non sarà una morte, ma un entrare nella vita, sarà l’ingresso dell’Amata nella stanza nuziale. «Ora lascia, o Signore,…».

- Robert Cheaib - 



...La sollecitudine per la bellezza della casa di Dio e la sollecitudine per i poveri di Dio sono inseparabili tra loro. L'uomo non ha bisogno soltanto di ciò che è utile, ma anche di ciò che è bello; non solo di una propria casa, ma anche della vicinanza di Dio e dei segni che l'attestano. Là dove Dio viene onorato, anche il nostro cuore è rischiarato...
La bellezza, della quale è stato circondato il bimbo di Betlemme, è destinata a tutti gli uomini ed è necessaria a noi tanto quanto il pane. Chi sottrae qualcosa di bello al Bambino, per convertirla in qualcosa di utile, costui non arreca vantaggio, ma provoca danno; spegne quella luce, via la quale anche qualsiasi calcolo o stima diventano futili e freddi. Certo, se vogliamo unirci al pellegrinaggio dei secoli che vuole offrire le cose più belle di questo mondo al Re appena nato, non dobbiamo però anche dimenticare che egli vive ancora in stalle, nelle prigioni e nelle favelas, e che noi non lo onoriamo davvero, se ci rifiutiamo di andarlo a cercare in quei luoghi. Ma questa consapevolezza non deve obbligarci a finire tra le braccia di una "dittatura dell'utile", che disprezzi la gioia e dogmatizzi una serietà opprimente...


JOSEPH RATZINGER - da "Gottes Angesichts suchen" -



Come popolo di Dio in cammino verso la piena rivelazione del Signore Gesù, ci rivolgiamo al Padre con fiducia, dicendo insieme: 
Dona la salvezza, Signore.
Alla Chiesa che ha la missione di illuminare le genti: 
Agli uomini che camminano nelle tenebre: 
Agli anziani che attendono la tua venuta: 
A chi è nel dubbio e invoca la luce dello Spirito: 
A chi ti offre la propria vita con generosità e gratuità: 
Al povero che mette la sua speranza in te: 
Alle persone che amano senza chiedere la ricompensa: 
Ai malati che collaborano con te alla redenzione del mondo: 
Ai bambini nati in quest'anno: 
A chi pretende di averti conosciuto a sufficienza: 
A chi non riconosce Gesù come tuo figlio: 
A chi è ormai stanco di aspettare un segno da te: 
A chi pensa di poter vivere anche senza di te:

Padre santo, che nel tuo Figlio ci hai dato la salvezza e la via per giungere a te, aiutaci a rivelare al mondo con la nostra vita, tutto l'amore che hai per l'umanità. Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore. Amen.


Buona giornata a tutti. :-)






venerdì 16 dicembre 2016

La leggenda dell’abete di Natale

In un remoto villaggio di campagna, la Vigilia di Natale, un ragazzino si recò nel bosco alla ricerca di un ceppo di quercia da bruciare nel camino, come voleva la tradizione, nella notte Santa. 
Si attardò più del previsto e, sopraggiunta l’oscurità, non seppe ritrovare la strada per tornare a casa. 
Per giunta incominciò a cadere una fitta neve. Il ragazzo si sentì assalire dall’angoscia e pensò a come, nei mesi precedenti, aveva atteso quel Natale, che forse non avrebbe potuto festeggiare.
Nel bosco, ormai spoglio di foglie, vide un albero ancora verdeggiante e si riparò dalla neve sotto di esso: era un abete. Sopraggiunta una grande stanchezza, il piccolo si addormentò raggomitolandosi ai piedi del tronco; l’albero, intenerito, abbassò i suoi rami fino a far loro toccare il suolo in modo da formare come una capanna che proteggesse dalla neve e dal freddo il bambino. 
La mattina si svegliò, sentì in lontananza le voci degli abitanti del villaggio che si erano messi alla sua ricerca e, uscito dal suo ricovero, poté con grande gioia riabbracciare i suoi compaesani. Solo allora tutti si accorsero del meraviglioso spettacolo che si presentava davanti ai loro occhi: la neve caduta nella notte, posandosi sui rami frondosi, che la piana aveva piegato fino a terra, aveva formato dei festoni, delle decorazioni e dei cristalli che, alla luce del sole che stava sorgendo, sembravano luci sfavillanti, di uno splendore incomparabile.
In ricordo di quel fatto, l’abete venne adottato come simbolo del Natale e, da allora, in tutte le case, viene addobbato e illuminato, quasi per riprodurre lo spettacolo che gli abitanti del piccolo villaggio videro in quel lontano giorno.

Fonte non specificata



La Verità che regge il mondo intero
è sorta dalla terra perché 
fosse sorretta da mani di donna.

- Sant’Agostino -

Guido Reni - 'San Giuseppe con Gesù Bambino' - 1635
San Pietroburgo - Hermitage




Il primo tabernacolo

"E Maria diede alla luce il suo figliuolo e lo fasciò e lo pose a giacere in una greppia".
La stalla fu la prima chiesa e la greppia il primo tabernacolo, dopo il seno purissimo di Maria. Ogni cosa può diventare un ostensorio del suo amore. Anzi, le più umili, le più spregiate ne rispettano meglio il mistero, lasciandone trasparire e conservandone il divino incanto.

- don Primo Mazzolari - 




...Rinfrancate i vostri cuori”. Il cammino verso la Grotta di Betlemme è un itinerario di liberazione interiore, un’esperienza di libertà profonda, perché ci spinge ad uscire da noi stessi e ad andare verso Dio che si è fatto a noi vicino, che rinfranca i nostri cuori con la sua presenza e con il suo amore gratuito, che ci precede e ci accompagna nelle nostre scelte quotidiane, che ci parla nel segreto del cuore e nelle Sacre Scritture. 
Egli vuole infondere coraggio alla nostra vita, specialmente nei momenti in cui ci sentiamo stanchi e affaticati e abbiamo bisogno di ritrovare la serenità del cammino e sentirci con gioia pellegrini verso l’eternità...

- papa Benedetto XVI - 
dalla "Omelia del 16 dicembre 2010




Buona giornata a tutti. :-)



mercoledì 14 dicembre 2016

L'occhio del falegname - don Bruno Ferrero

C'era una volta, tanto tempo fa, in un piccolo villaggio, la bottega di un falegname. Un giorno, durante l'assenza del padrone, tutti i suoi arnesi da lavoro tennero un gran consiglio.
La seduta fu lunga e animata, talvolta anche veemente. Si trattava di escludere dalla onorata comunità degli utensili un certo numero di membri.
Uno prese la parola: "Dobbiamo espellere nostra sorella Sega, perché morde e fa scricchiolare i denti. Ha il carattere più mordace della terra".
Un altro intervenne: "Non possiamo tenere fra noi sorella Pialla: ha un carattere tagliente e pignolo, da spelacchiare tutto quello che tocca".
"Fratel Martello - protestò un altro - ha un caratteraccio pesante e violento. Lo definirei un picchiatore. E' urtante il suo modo di ribattere continuamente e dà sui nervi a tutti. Escludiamolo!".
"E i Chiodi? SI può vivere con gente così pungente? Che se ne vadano. E anche Lima e Raspa. A vivere con loro è un attrito continuo. E cacciamo anche Cartavetro, la cui unica ragion d'essere sembra quella di graffiare il prossimo!".
Così discutevano, sempre più animosamente, gli attrezzi del falegname. Parlavano tutti insieme. Il martello voleva espellere la lima e la pialla, questi volevano a loro volta l'espulsione di chiodi e martello, e così via. Alla fine della seduta tutti avevano espulso tutti.
La riunione fu bruscamente interrotta dall'arrivo del falegname. Tutti gli utensili tacquero quando lo videro avvicinarsi al bancone di lavoro. L'uomo prese un asse e lo segò con la Sega mordace. Lo piallò con la Pialla che spela tutto quello che tocca. Sorella Ascia che ferisce crudelmente, sorella Raspa che dalla lingua scabra, sorella Cartavetro che raschia e graffia, entrarono in azione subito dopo.

Il falegname prese poi i fratelli Chiodi dal carattere pungente e il Martello che picchia e batte.
Si servì di tutti i suoi attrezzi di brutto carattere per fabbricare una culla.
Una bellissima culla per accogliere un bambino che stava per nascere. 
Per accogliere la Vita.

Dio ci guarda con l'occhio del falegname.

- don Bruno Ferrero -
da: “Cerchi nell'acqua”, Ed. Elledicì


La mangiatoia .....il bue e l’asino..... diventerebbe in certo qual modo l’arca dell’alleanza, in cui Dio, misteriosamente custodito, è in mezzo agli uomini, e davanti alla quale per «il bue e l’asino», per l’umanità composta di Giudei e gentili, è giunta l’ora della conoscenza di Dio.
Nella singolare connessione tra Isaia 1,3; Abacuc 3,2; Esodo 25,18-20 e la mangiatoia appaiono quindi i due animali come rappresentazione dell’umanità, di per sé priva di comprensione, che, davanti al Bambino, davanti all’umile comparsa di Dio nella stalla, arriva alla conoscenza e, nella povertà di tale nascita, riceve l’epifania che ora a tutti insegna a vedere.
L’iconografia cristiana già ben presto ha colto questo motivo. Nessuna raffigurazione del presepe rinuncerà al bue e all’asino.

- Papa Benedetto XVI - 
Da: “ L’infanzia di Gesù”,2012



Dal vostro Santo Natale, o Dio-Bambino, abbiamo appreso tre grandi lezioni. Abbiamo imparato che non c'è pace in Terra senza di Voi. Che l'autentico uomo di buona volontà non è colui che ama l'uomo per l'uomo, ma colui che lo ama per amor Vostro. E che la vostra Pace include la cessazione di tutte le lotte tranne la vostra incessante e gloriosa guerra contro il Demonio e i suoi alleati, il mondo e la carne.

- Plinio Correa de Oliveira - 


Buona giornata a tutti. :-)








martedì 13 dicembre 2016

I due asinelli - don Bruno Ferrero

Alla grotta di Betlemme arrivarono arrancando, anche due asinelli.
Erano stanchi e macilenti. 
Le loro groppe erano spelacchiate piagate dai pesanti sacchi che il mugnaio loro padrone, caricava quotidianamente e dai colpi di bastone che non risparmiava. 
Avevano sentito i pastori parlare del Re dei Re venuto dal Cielo ed erano accorsi anche loro. Seguirono quella stella e davanti alla grotta, rimasero a contemplare il Bambino. 
Lo adorarono, pregarono come tutti e misero ai Suoi piedi,  come dono l’unica cosa che avevano: la loro vita. E i loro dolori, le loro pene... 
All’uscita li attendeva lo spietato mugnaio e i due asinelli ripartirono a testa bassa, con il pesante basto sulla groppa. “Non serve a niente”, disse uno, “ho pregato il Messia che mi togliesse il peso e non lo ha fatto”. 
“Io invece”, ribatté l’altro, che trotterellava con un certo vigore, “gli ho chiesto di darmi la forza di portarlo!”.

E se qualcuno ti dice: “La vita è dura”, chiedigli: “In confronto a che cosa?”.

- don Bruno Ferrero - 


Dio ha scelto di nascere in una famiglia umana, che ha formato Lui stesso. L’ha formata in uno sperduto villaggio della periferia dell’Impero Romano. Non a Roma, che era la capitale dell’Impero, non in una grande città, ma in una periferia quasi invisibile, anzi, piuttosto malfamata. [...] 
Ebbene, proprio da lì, da quella periferia del grande Impero, è iniziata la storia più santa e più buona, quella di Gesù tra gli uomini!  

- Papa Francesco -
(Udienza Generale in Piazza San Pietro)


Il Presepe può infatti aiutarci a capire il segreto del vero Natale, perché parla dell’umiltà e della bontà misericordiosa di Cristo, il quale "da ricco che era, si è fatto povero" (2 Cor 8,9) per noi. 
La sua povertà arricchisce chi la abbraccia e il Natale reca gioia e pace a coloro che, come i pastori a Betlemme, accolgono le parole dell’angelo: "Questo per voi il segno: un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia" (Lc 2,12). 
Questo rimane il segno, anche per noi, uomini e donne del Duemila. Non c’è altro Natale. 

- papa Benedetto XVI - 



Riposate, Signore, nel vostro poverissimo quanto augustissimo presepio, sotto lo sguardo della Vergine, vostra Madre, che riversa su Voi i tesori ineffabili del suo rispetto e della sua tenerezza. 
Mai una creatura adorò con così profonda e rispettosa umiltà il suo Dio. 
In nessun tempo un cuore materno amò più affettuosamente suo figlio. Reciprocamente, mai Dio amò tanto una mera creatura. 
E in nessun momento un figlio amò tanto pienamente, tanto interamente, tanto sovrabbondantemente sua madre. 
Tutta la realtà di questo sublime dialogo di anime può essere racchiusa in queste parole, che indicano qui un intero oceano di felicità e che, in un'occasione ben diversa, avreste detto un dì dall'alto della Croce: "Madre, ecco tuo figlio. Figlio, ecco tua madre. 
E, considerando la perfezione di questo reciproco amore, tra Voi e vostra Madre, sentiamo il cantico angelico che si innalza dalle profondità di ogni anima cristiana: "Gloria a Dio nel più alto dei Cieli, e pace in Terra agli uomini di buona volontà" .

- Plinio Correa de Oliveira -






Buona giornata a tutti. :-)





venerdì 9 dicembre 2016

Un papà per natale - Nathalie Guarnieri

«Mi raccomando, non stropicciateli subito!», Gabriella, la catechista, cominciò a distribuire i fogli e le buste ad ogni bambino. Fogli e buste avevano dei simpatici fregi dorati sull'angolo destro e un grazioso Bambin Gesù nella mangiatoia in quello sinistro. Fabio prese il suo foglio con un attimo di esitazione. Non aveva voglia di scrivere la lettera a Gesù Bambino, questa volta.
«Scrivete bene... e soprattutto, per una volta, siate sinceri! Quando avete finito piegate il foglio, infilatela nella busta e sigillate. Avete capito?», diceva Gabriella, che sparava le parole come una mitragliatrice. «Poi mettete le buste in questo cestino che porteremo insieme nel presepio grande della scuola. Avete capito?»
I bambini cominciarono a cinguettare.
«Io chiedo i pattini con le rotelle in linea», diceva Rosalba. «lo l'abbonamento all'antenna parabolica», annunciava Michael, che aveva il padre ingegnere.
«Io invece voglio la tuta della Juventus», proclamava Marco, lo sportivo del gruppo.
«E tu Fabio?», chiese Gabriella, arruffandogli affettuosamente i capelli.
«Adesso ci penso», rispose sottovoce il bambino.
Stringeva le labbra come se stesse per scoppiare a piangere. Si chinò sul foglio e con la sua grossa calligrafia infantile scrisse una frase. Una soltanto, breve, ma che gli veniva proprio dal cuore. Firmò: «Il tuo amico Fabio» e cominciò l'operazione di piegatura del foglio, con la solita diligenza, e la lingua che gli spuntava appena tra le labbra, a indicare tutto l'impegno che ci metteva.
Gabriella gli stava alle spalle e aveva potuto leggere la richiesta di Fabio. Tossì, perché le venivano le lacrime agli occhi. Lei intuiva la sofferenza che Fabio cercava di dissimulare, quel velo di malinconia che lo prendeva all'ora di andare a casa. Il papà di Fabio non c'era più. Se n'era andato. E il bambino ne soffriva tanto, come di una ferita che non si rimargina. La sua lettera a Gesù Bambino diceva così: «Caro Gesù Bambino, per Natale mandami un papà buono. Grazie. Il tuo amico Fabio».
«Credo sia la lettera più difficile che riceverai, caro Gesù», pensò Gabriella.
Le letterine furono raccolte, tra le proteste dei bambini che erano arrivati solo ad elencare una dozzina di richieste. Prima di collocarle nel presepio, con un gesto rapido, Gabriella mise la lettera di Fabio davanti a tutte le altre. «Comincia da questa, per favore», mormorò rivolta al Bambino di gesso, che se ne stava con le braccine spalancate sulla paglia finta della mangiatoia di plastica.
Venne il giorno di Natale. Fabio si svegliò presto, con l'eccitazione delle grandi giornate. Girandosi nel letto sentiva il fruscio della carta dei regali vicino ai piedi. Se ne stette un bel po' ad occhi chiusi, per godersi l'attesa della sorpresa. Era pur sempre Natale!
Aprì i pacchetti avvolti in carta colorata e dorata, lentamente. Riconobbe i regali dei nonni, quelli della mamma, la tuta da sci che di certo era un regalo dello zio Luigi. «Poi, ci sono anch'io!».
La voce, pacata e profonda, lo fece trasalire. C'era un uomo accanto al suo letto. Aveva i capelli scuri e ricciuti, una folta barba nera sul volto abbronzato, e un sorriso dolce come lo sguardo. Indossava una morbida felpa azzurra e pantaloni di fustagno. Fabio era soprattutto meravigliato dal fatto di non provare paura. Non era proprio un fifone, ma pauroso sì. E trovarsi uno sconosciuto improvvisamente accanto al letto, in condizioni normali, gli avrebbe provocato per lo meno una serie di urla terrificanti. Invece quell'uomo gli dava soltanto una serena sicurezza. Come se lo conoscesse da sempre.
In quel momento entrò la mamma: «Tanti auguri, tesoro!». Lo abbracciò. «Ti piacciono i regali?». Fabio ricambiò l'abbraccio. «Sì, grazie», mormorò.
«È presto ancora. Ti preparerò una buona colazione. Ma ora stai qui al caldo a pigrottare un po'». La mamma gli accarezzò i capelli e uscì.
«Ma... ma... non l'ha visto!», disse Fabio rivolto all'uomo misterioso.
«No. Io sono il tuo regalo, non il suo», sorrise l'uomo.
Cominciò così una giornata memorabile della vita di Fabio. Si alzò e si lavò a tempo di record. Nell'attesa, l'uomo aveva preso i quaderni di Fabio e li esaminava con interesse.
«Bravo!», disse alla fine. «Hai fatto dei bei progressi, ultimamente» .
Fabio annuì con fierezza. «Ho ancora qualche problema con le doppie...», aggiunse virtuosamente. «Ma ce la farai, ne sono certo», aggiunse l'uomo e gli mise una mano sulla spalla. Una sensazione bellissima per Fabio.
«Tu hai dei figli?», chiese, esitando ancora. «Ho un figlio, sì», rispose l'uomo. «Ma oggi, sei tu mio figlio». La mamma spuntò improvvisamente sulla porta. «Cosa fai? Parli da solo?».
«No... Dicevo una poesia ad alta voce». «Per favore, vai in cantina a prendere un barattolo di marmellata... Se vuoi la crostata a mezzogiorno!», continuò la mamma. Scendere in cantina per Fabio era una tortura. Tutte quelle ombre polverose lo riempivano di angoscia. Di solito faceva mille storie o fingeva di dimenticarsi.
Come se avesse capito tutto, l'uomo si alzò e disse: «Andiamo!», e lo prese per mano. Era una manona energica, tiepida, protettiva, che infondeva una tranquilla sicurezza.
Il cigolio della porta della cantina, che quando scendeva da solo gli ricordava lo stridio dei denti di un mostro nascosto nell'ombra, adesso gli sembrò comico. «Ci vorrebbe un po' d'olio sui cardini», disse.
La pacata presenza dell'uomo accanto a lui, trasformò la cantina, da antro polveroso disseminato di oscure insidie e misteriose presenze, in una stanza qualunque, zeppa di mobili vecchi, giochi rotti, qualche bottiglia e barattoli di pomodori pelati.
Prese un barattolo di marmellata e si girò per uscire. Ma l'uomo lo fermò.
«Perché non fai un giro con quella?», disse indicando una bicicletta nuova appoggiata al muro. Fabio arrossì. «Non ci so andare... Nessuno ha tempo per insegnarmi».
«Magnifico, infilati una giacca a vento e andiamo. Il viale è deserto».
Incredulo, il bambino portò la bicicletta sulla strada. L'uomo lo aiutò a salire in sella e gli disse di incominciare a pedalare. Fabio incominciò traballando, ma l'uomo reggeva saldamente la bicicletta e gli camminava accanto. Provarono e riprovarono. A tratti, l'uomo lasciava la presa e il bambino pedalava da solo, finché riuscì a trovare il punto di equilibrio e partì in una lunga felice pedalata. Aveva imparato.
«Grazie!», ansimò all'uomo che lo accolse fingendo di applaudire.
«Rientriamo, ora. Sei sudato e fa freddo». «Solo più un giro», supplicò il bambino. «D'accordo. Ma uno solo!».
Rientrò in casa gridando: «Ho imparato, mamma, ho imparato ad andare in bicicletta!».
«Da solo?», chiese la mamma.
«Beh... veramente...». L'uomo si portò l'indice sulle labbra e fece segno al bambino di tacere.
«Stai tranquillo un attimo che devo preparare il pranzo», continuò la mamma. «Fra un po' arrivano i nonni».
L'uomo aiutò il bambino a riporre la bicicletta e l'accompagnò nella sua cameretta. «Come farai per il pranzo?»
«Ti aspetterò qui. Ne approfitterò per rimettere in sesto il tuo armadio».
Infatti, quando tornò nella sua cameretta, Fabio vide che le ante dell'armadio chiudevano perfettamente e che i piani erano ben diritti. Sembrava un armadio nuovo.
«Ci sai fare», disse.
«È il mio mestiere», bisbigliò l'uomo, poi aggiunse: «Potresti insegnarmi questo gioco, intanto».
Giocarono una serie memorabile di partite a Scarabeo. Poi fecero una lunga passeggiata insieme (Fabio disse alla mamma che andava all'oratorio). A cena gli occhi del bambino brillavano di stanchezza e di felicità. La mamma lo fissava con qualche perplessità: non riusciva a capire perché il bambino continuasse a rivolgere lo sguardo verso il lato vuoto della tavola. Una volta lo sorprese addirittura a sorridere.
Fabio andò a letto prima del solito. Si infilò sotto le coperte e l'uomo gli sistemò la trapunta a scacchi bianchi e neri e si sedette sul letto accanto a lui.
«Diciamo le preghiere insieme, prima che arrivi la mamma?»
«Certo», disse l'uomo e sorrise.
Dopo le preghiere, l'uomo strinse la mano del bambino.
«Devi andartene, vero?», sussurrò Fabio.
«Eh sì!».
«Una giornata passa in fretta», ammise malinconicamente il bambino.
«Sei un bravo ragazzo e tutti ti vogliono bene. Devi voler bene alla mamma e anche al tuo papà. Dovunque sia, rimane il tuo papà».
«Io quando sarò grande e avrò dei bambini li amerò sempre e starò sempre con loro», promise Fabio. «Sì. È così che devi fare. E io, in qualche modo, ti sarò accanto e ti aiuterò».
«Non mi hai neanche detto come ti chiami». «Giuseppe».
L'uomo lo accarezzò. Le sue grosse mani da operaio sprigionavano un'infinita tenerezza.
«Sei stato il più bel regalo di Natale», bisbigliò Fabio prima di addormentarsi.

da: "Storie di Natale", Nathalie Guarnieri





"Beati i sognatori, gli idealisti, i teneri.
Beati gli ingenui, i grandi che non hanno perso la voglia di sentirsi bambini nell'animo.
Beati coloro che non rinunciano all'amore per paura.
Beati i cuori impavidi..."

- Albert Einstein - 



...“Rinfrancate i vostri cuori”. Il cammino verso la Grotta di Betlemme è un itinerario di liberazione interiore, un’esperienza di libertà profonda, perché ci spinge ad uscire da noi stessi e ad andare verso Dio che si è fatto a noi vicino, che rinfranca i nostri cuori con la sua presenza e con il suo amore gratuito, che ci precede e ci accompagna nelle nostre scelte quotidiane, che ci parla nel segreto del cuore e nelle Sacre Scritture. Egli vuole infondere coraggio alla nostra vita, specialmente nei momenti in cui ci sentiamo stanchi e affaticati e abbiamo bisogno di ritrovare la serenità del cammino e sentirci con gioia pellegrini verso l’eternità...

papa Benedetto XVI - dalla "Omelia del 16 dicembre 2010" –



Buona giornata a tutti. :-)







lunedì 5 dicembre 2016

Vieni, Signore - Jean Galot -

Avvento, tempo dell'attesa e della speranza:
è la tua venuta, o Cristo, che vogliamo rivivere,
preparandoci più profondamente
nella fede e nell'amore.
Avvento, tempo della Chiesa affamata del Salvatore:
essa vuole ripeterti, volgendosi a te
con più insistenza, con un lungo sguardo,
che tu sei tutto per lei.
Avvento, tempo dei desideri più nobili dell'uomo
che più coscientemente convergono verso di te,
e che devono cercare in te, nel tuo mistero,
il loro compimento.
Avvento, tempo di silenzio e di raccoglimento,
in cui ci sforziamo d'ascoltare la Parola
che vuol venire a noi,
e di sentire i passi che si avvicinano.

Avvento, tempo dell'accoglienza
in cui tutto cerca di aprirsi,
in cui tutto vuol dilatarsi nei nostri cuori troppo stretti,
al fine di ricevere la grandezza infinita
del Dio che viene a noi.

- Jean Galot - 




...Nel Natale risuona nel mondo intero l’annuncio semplice e sconvolgente: “Dio ci ama”. “Noi amiamo – dice san Giovanni - perché egli ci ha amati per primo” (1 Gv 4,19). Questo mistero è ormai affidato alle nostre mani perché, sperimentando l’amore divino, viviamo protesi verso le realtà del cielo. E questo, diciamo, è anche l’esercizio di questi giorni: vivere realmente protesi verso Dio, cercando anzitutto il Regno e la sua giustizia, certi che il resto, tutto il resto ci sarà dato in sovrappiù (cfr Mt 6,33). A crescere in questa consapevolezza ci aiuta il clima spirituale del tempo natalizio.
La gioia del Natale non ci fa però dimenticare il mistero del male (mysterium iniquitatis), il potere delle tenebre che tenta di oscurare lo splendore della luce divina: e, purtroppo, sperimentiamo ogni giorno questo potere delle tenebre. Nel prologo del suo Vangelo, più volte proclamato in questi giorni, l’evangelista Giovanni scrive: “La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta” (1,5). E’ il dramma del rifiuto di Cristo, che, come in passato, si manifesta e si esprime, purtroppo, anche oggi in tanti modi diversi. Forse persino più subdole e pericolose sono le forme del rifiuto di Dio nell’era contemporanea: dal netto rigetto all’indifferenza, dall’ateismo scientista alla presentazione di un Gesù cosiddetto modernizzato o postmodernizzato. Un Gesù uomo, ridotto in modo diverso ad un semplice uomo del suo tempo, privato della sua divinità; oppure un Gesù talmente idealizzato da sembrare talora il personaggio di una fiaba.
Ma Gesù, il vero Gesù della storia, è vero Dio e vero Uomo e non si stanca di proporre il suo Vangelo a tutti, sapendo di essere “segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori”, come ebbe a profetizzare il vecchio Simeone (cfr Lc 2, 32–33). In realtà, solo il Bambino che giace nel presepe possiede il vero segreto della vita. Per questo chiede di accoglierlo, di fargli spazio in noi, nei nostri cuori, nelle nostre case, nelle nostre città e nelle nostre società. Risuonano nella mente e nel cuore le parole del prologo di Giovanni: “A quanti lo hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio” (1,12). Cerchiamo di essere tra quelli che lo accolgono. Dinanzi a Lui non si può restare indifferenti...

- papa Benedetto XVI - 
dalla "Udienza Generale del 03 gennaio 2007"




Non dobbiamo amare Gesù in modo possessivo, chiedendogli per noi le sue grazie, i suoi favori, o chiedendogli dei privilegi. Se vogliamo essere veramente con lui, lo dobbiamo accompagnare quando si interessa di altre persone, accogliendo così il suo spirito missionario.


- Albert Vanhoye S.I. -
da: "Il pane quotidiano della parola"




Buona giornata a tutti. :-)




mercoledì 2 novembre 2016

2 novembre pietas verso i defunti -

La pietas verso i defunti risale alle origini dell’umanità. 
Già in epoca cristiana, nelle catacombe, i cristiani disegnavano sulla parete della tomba, in cui era deposto il loro congiunto, la figura di Lazzaro, riportato in vita dal Signore. 
Nel IX secolo, si diede inizio al rito liturgico della Commemorazione dei fedeli defunti, derivazione dell’abitudine monastica di dedicare un intero giorno dell’anno alla preghiera per tutti gli estinti. 
La Chiesa, come Madre di tutti i fedeli suoi figli, desidera sempre sentirli stretti in un unico abbraccio, così prega per i vivi e per i morti, anch’essi vivi nel Signore. 
Deduciamo che l’amore materno della Chiesa è più forte della morte. 
Il 2 Novembre ci dà l’occasione di riflettere sulla realtà delle cose e soprattutto, di porre l'attenzione sulla caducità della vita. 
Con indifferenza ci passano davanti le cose, le persone e il tempo, senza lasciare traccia alcuna nel nostro mondo interiore: tutto scompare, perché lo viviamo con superficialità. 
La vita è un continuo passaggio, una continua trasformazione che ha come elemento primo il tempo. 
Il tempo vive con noi le nostre gioie e i nostri dolori, assiste nel suo trascorrere, aiutandoci a comprendere che ogni cosa passa. E il cammino della vita, giorno dopo giorno, si consuma e il nostro tempo si esaurisce. 
In questo giorno, è importante ritornare a riflettere sulle cose essenziali dell’esistenza e sui valori autentici, per essere pronti all’incontro con Dio Amore. 
Nella luce di Dio, la morte è un passaggio dalla terra al cielo, un dolce incontro col Padre e gli Angeli verso la vita eterna.



Non piangere sulla mia tomba.
Non sono qui.
Non dormo.
Io sono mille venti che soffiano.
Sono lo scintillio del diamante sulla neve.
Sono il sole che brilla sul grano maturo.
Sono la pioggia lieve d’autunno.
Quando ti svegli nella calma mattutina,
sono il rapido fruscio degli uccelli che volano in cerchio.
Non piangere sulla mia tomba.
Non sono qui.
Non dormo.
Sono la tenera stella che brilla nella notte.
Non piangere sulla mia tomba. 
Io non sono lì,
ma dove tu mi puoi ricordare.

- Canto degli Indiani Navajo - 


"Rinnoviamo quest’oggi la speranza della vita eterna fondata realmente nella morte e risurrezione di Cristo.
"Sono risorto e ora sono sempre con te", ci dice il Signore, e la mia mano ti sorregge.
Ovunque tu possa cadere, cadrai nelle mie mani e sarò presente persino alla porta della morte.
Dove nessuno può più accompagnarti e dove tu non puoi portare niente,
là io ti aspetto per trasformare per te le tenebre in luce.
La speranza cristiana non è però mai soltanto individuale, è sempre anche speranza per gli altri.
Le nostre esistenze sono profondamente legate le une alle altre ed il bene e il male che ciascuno compie tocca sempre anche gli altri.
Così la preghiera di un’anima pellegrina nel mondo può aiutare un’altra anima che si sta purificando dopo la morte. Ecco perché oggi la Chiesa ci invita a pregare per i nostri cari defunti e a sostare presso le loro tombe nei cimiteri." 

- papa Benedetto XVI - 
Angelus 2 novembre 2008

Discesa agli Inferi e apparizione del Risorto, 
Cappella alla Sacred Heart University, Fairfield, Connecticut - USA, 2008


Non abbiate mai paura dell'ombra. È lì a significare che vicino, da qualche parte, c'è la luce che illumina.


- Ruth E. Renkel - 





martedì 25 ottobre 2016

Comunicazione tra gli uomini e circolazione delle idee - don Carlo Gnocchi

In passato il tempo per la formazione dei movimenti intellettuali o passionali e la misura della loro diffusione erano condizionati dalla lentezza e rarità dei mezzi di comunicazione tra gli uomini e della circolazione delle idee: cioè dalla parola parlata e dal libro; ma oggi tali mezzi hanno assunto una molteplicità, una rapidità, una varietà, una capillarità e una violenza di penetrazione e di suggestione tale - il cinematografo, la radio, la stampa quotidiana, la televisione - che, anche gli individui solitari e meglio “vaccinati” contro le epidemie del pensiero e delle passioni difficilmente riescono a restarne immuni. 
Solo così si spiegano gli uragani delle passioni collettive che sconvolgono il mondo moderno, estremamente sensibile, isterico e suggestionabile… 
Perché, quanto più frequente è oggi l’offerta delle idee altrui e delle soluzioni “già fatte” dei problemi, altrettanto minore è la possibilità materiale e morale di passarle al vaglio di una critica ponderata e di formarsene delle proprie; quanto più numerose sono le sollecitazioni e le impressioni alle quali si è sottoposti dall’esterno, tanto minore è il potere di riflessione e di resistenza interna dell’individuo. 
Non c’è più il tempo materiale e il raccoglimento necessario per pensare. 
La concitazione della vita moderna ha gettato l’uomo nella strada e in balia delle sue mille suggestioni.       

- Don Carlo Gnocchi - 
da: Restaurazione della persona umana, 1946




L’alterna vicenda subita dalle parole in questi ultimi anni è quanto di più indicativo si possa pensare ai fini della nostra ricerca ed è la causa prima dello sconsolato scetticismo di cui soffre la gioventù moderna troppo crudelmente illusa e vittima innocente delle nostre “esperienze” politiche.

- Don Carlo Gnocchi - 
da: Restaurazione della persona umana, 1946




Il mondo moderno vive a grandi agglomerati: masse urbanistiche, masse operaie, masse scolastiche, masse impiegatizie, masse militari… 
Ora: la convivenza di molti uomini smussa gli angoli delle caratteristiche personali, facilita il contagio delle idee e dei gusti e provoca la lenta formazione di un codice di vita e di pensiero, che è il minimo comune denominatore della collettività... 
Si aggiunga a tutto questo la rapida e capillare diffusione e circolazione delle idee, resa possibile dai mezzi moderni di propaganda: il giornale, la radio, la stampa e il cinematografo. 
Si richiede oggi un potere critico, una vigilanza assidua e una saldezza di convinzioni non comuni, per riuscire a difendere e conservare il patrimonio delle proprie convinzioni e l’indipendenza del giudizio personale, sotto il bombardamento incessante delle idee altrui e nell’assedio accanito che ci pongono d’intorno i mezzi moderni di propaganda, ai quali è ormai impossibile sottrarsi se si vuol vivere nel proprio tempo.

- Don Carlo Gnocchi - 
da: Restaurazione della persona umana, 1946




Gli uomini parlano lingue diverse e reciprocamente inintelleggibili - come i pretenziosi costruttori della torre di Babele - perché il punto di riferimento e la norma divina, valevole per ogni uomo, per ogni tempo e per ogni condizione, sono venuti a crollare.

- Don Carlo Gnocchi - 
da: Restaurazione della persona umana, 1946


"La vita non si inventa né si improvvisa
con un atto di volontà,
sincero ed eroico finché si vuole;
la vita si costruisce,
come una casa,
pietra su pietra,
atto per atto,
giorno per giorno.
Niente d’improvviso nella natura".

- don Carlo Gnocchi - 





Buona giornata a tutti. :-)