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lunedì 6 dicembre 2021

Quel bambino - Chiara Lubich

 Quando ti preghiamo, Gesù, nel nostro cuore, quando ti adoriamo nell' Ostia Santa dell'altare, quando conversiamo con te presente in Cielo, e a te diciamo il nostro grazie per la vita e su te versiamo il pentimento dei nostri sbagli, e da te invochiamo le grazie di cui abbiamo bisogno, sempre ti pensiamo adulto, Signore.
Ora ecco che, luce sempre nuova, ogni anno ritorna Natale e, come una rinnovata rivelazione, ti mostri a noi bambino, neonato in una culla, e un'onda di commozione ci invade. E non sappiamo più formulare parola, né osiamo chiedere, né ci sentiamo di pesare su tante minuscole forze seppur onnipotenti.
Il mistero ci ammutolisce ed il silenzio adorante dell'anima si confonde con quello di Maria, la quale, alla dichiarazione dei pastori che udirono il celeste canto degli angeli, "serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore" (Lc 2,19).
Il Natale: quel Bambino sempre ci appare come uno dei misteri più sconcertanti della nostra fede, perché è principio della rivelazione dell'amore di Dio per noi che poi s'aprirà in tutta la sua divina, misericordiosa, onnipotente maestosità.

- Chiara Lubich -




 La sequela non vuol dire forse "andar dietro"? Non, quindi, precedere Gesù Cristo, ma camminare dietro a lui! Dio è sempre davanti e noi dobbiamo adattarci alla sua imprevedibilità. 

- Bruno Maggioni -
da: “Meditazioni sul Vangelo di Luca”, Ed. Messaggero





 L'unico modo corretto di metterci di fronte al Signore - nella preghiera e nella vita - è quello di sentirsi costantemente bisognosi del suo perdono e del suo amore. Le opere buone le dobbiamo fare, ma non è il caso di calcolarle e tanto meno di vantarsene. Come pure non è il caso di fare confronti con gli altri. 
Il confronto con i peccati degli altri, per quanto veri essi siano, non ci avvicina al Signore.  

- Bruno Maggioni -
da: “Bisognava fare festa”, Ed. Messaggero






Buona giornata a tutti. :-)

martedì 30 novembre 2021

"...l'uomo, più che di altro, spesso si annoia di Dio." - cardinale Giacomo Biffi

"Quando le gambe gli furono sgranchite, Pinocchio cominciò a camminare da sè e a correre per la stanza; finchè infilata la porta di casa, saltò nella strada e si dette a scappare. "
Appena è in grado di reggersi e di camminare, il burattino chiamato a essere figlio cerca di uscire di casa. 
Il primo gesto autonomo dell'uomo è quello di allontanarsi dal Padre. 
Gli pesa così tanto l'amore di chi gli ha dato la vita, che il giorno in cui riesce a sottrarvisi, gli può apparire il giorno della raggiunta maturità. Essere adulti significa ai suoi occhi poter far senza finalmente di Dio.
C'è chi ritiene la Chiesa il grande ostacolo alla religione dell'uomo; c'è chi pensa che siano le scelte politiche della Chiesa. 
O i ministri della Chiesa o il mancato adattamento degli uomini di Chiesa all'evoluzione della mentalità e del costume., o il linguaggio incomprensibile dell'annuncio. 
C'è chi reputa troppo arduo per l'uomo post-kantiano accettare Cristo come figlio eterno di Dio, Signore e salvatore degli uomini. 
E c'è del vero in questi giudizi, ma essi sono ispirati a un eccessivo ottimismo. 
Prima e più di ogni altra cosa, ciò che opprime l'uomo e rende difficile la religione è il Padre. Ciò che è fastidioso e duro da accogliere è il dovere di " diventare come bambini".
Perfino a profeti professionisti - come Giona- può capitare di assegnarsi come programma quello di " fuggire a Tarsis, lontano da Jahvè": l'uomo, più che di altro, spesso si annoia di Dio."

- Card. Giacomo Biffi -
da: "Contro maestro Ciliegia. Commento teologico alle avventure di Pinocchio", Jaka Book


"Pulcinella, Arlecchino e la signora Rosaura sono soltanto burattini, senza speranza. (…) 
Pinocchio, di legno come loro, marionetta come loro, senza vero dominio di sé come loro, ha un altro destino. (…) 
La differenza sta tutta nel fatto che Pinocchio ha un padre, prodigiosa eccezione tra i suoi simili.
Se ha un padre, ha un destino filiale. (…) 
Un burattino che ha un padre, è chiamato a essere uomo; un uomo che ha rifiutato il padre, presto o tardi si conforma ai burattini".

Ovviamente quando il Cardinale parla di padre si riferisce non tanto a Geppetto, quanto a Dio. Perché in questa imperdibile e singolare lettura della favola di Pinocchio, l'attuale cardinale di Bologna offre ai lettori una convincente metafora dell'avventura dell'uomo, del rapporto col suo destino, con la libertà, con la paternità di Dio. Pinocchio diventa figura del cristiano, "legnoso" e peccatore, ma "figlio".



 La comunità che celebra il proprio Signore è consapevole che al suo interno ci sono peccatori. D'altra parte, può esistere una comunità solo di perfetti e di Santi?  

- Bruno Maggioni -
da: “Meditazioni sul Vangelo di Luca”, Ed. Messaggero




Buona giornata a tutti. :-)



giovedì 4 giugno 2020

Onora tuo padre e tua madre - Bruno Maggioni (biblista)

La Bibbia conosce alcune figure di grandi vecchi, e se ne compiace: Abramo, Mosè, Samuele e altri. Per l'uomo biblico nulla è scontato. La potenza di Dio può sconvolgere anche le leggi dell'età: Sara ha un figlio in tarda età (Genesi 18,12), «perché nulla è impossibile a Dio». E così Elisabetta (Luca 1,36-37). Ma la stima della Bibbia, ovviamente, non si estende solo verso queste figure eccezionali. 
Anche nella società biblica l'anziano è, per lo più, un pensionato. 
Il profeta Zaccaria annota che accanto ai bambini che giocano «siedono anziani e anziane nelle strade di Gerusalemme, ciascuno con un bastone tra le mani, a motivo dell'età avanzata» (Zc 8,4). 
In un passo del Levitico «un uomo dai 20 ai 60 anni viene valutato 50 sicli (30 se donna), ma dopo i 60 solo 15 sicli (10 se donna)» (Lv 27,1-8). 
Un pensionato, dunque, ma non un emarginato.

È significativo che tra le classi deboli, in favore delle quali Dio prende le difese, vengono enumerati gli orfani, i poveri, le vedove e gli stranieri, ma non i vecchi. 
La vecchiaia non costituiva un particolare problema sociale.

Forse anche perché gli anziani non dovevano essere molti, e questo è un dato da non sottovalutare completamente. 
Per il salmista (Sal 90,10) settanta anni sono una bella età e solo in casi eccezionali l'uomo arriva a ottanta. Ma non dovevano essere molti ad arrivarci.
L'età media non era alta. In una lista di 14 re della casa di Davide - dal 926 al 597 a. C. - solo due raggiunsero i 66 anni, e solo altri tre superarono i 50.

Non è però soltanto per questo che la vecchiaia non costituiva un particolare problema sociale. 

La vera ragione è culturale. L'anziano - anche se sminuito nella sua capacità lavorativa - conservava grande spazio nella famiglia e nella società, perché l'efficienza produttiva non era in quella cultura l'unico valore, né il principale. 

Beni essenziali erano l'esperienza, la saggezza, la tradizione e la testimonianza della fede.

Ne si sottovaluti la componente religiosa, che affiora con grande forza - ad esempio - in un bellissimo passo del libro dell'Ecclesiastico, in cui si invitano i figli - non i fanciulli, ma i figli grandi, sposati - a «onorare» i vecchi genitori (Sir 3,1-16). 
Si tratta di un ampio commento al quarto comandamento: «Onora tuo padre e tua madre, perché i tuoi giorni siano lunghi sulla terra» (Esodo 20,12). 
Il verbo «onorare» scandisce tutto il passo dell'Ecclesiastico, scritto da un autore ricco di anni e di saggezza. Significa non solo rispettare, ma accogliere, fare spazio, offrire ragioni di vita e di movimento. E questo in qualsiasi caso:

«Anche se perde il sentimento compatiscilo, non disprezzarlo solo perché tu sei nel pieno vigore».

- card. Bruno Maggioni -
da: "Vedrai con gioia i figli dei figli, I nonni nella bibbia" ed. Ancora
pagg. 15-16-17




… se ciascuno di noi nasce necessariamente come figlio, e non può venire al mondo se non in quanto ci sono stati un padre e una madre, quest’ultimi hanno dovuto avere dei nonni. 
È interessante, e altrettanto decisivo, rilevare come la trasmissione genealogica si svolge in una logica ternaria: nonni, padri, figli. 
Se nella discendenza formalmente togliete il primo termine (“i nonni”), gli altri due rimangono senza un punto di riferimento fondativo. 
Questa logica ternaria funziona da millenni.

Uno dei suoi emblemi più celebri è quello di Enea che tiene sulle spalle il padre Anchise e stringe per mano il figlio Ascanio. 
La logica è ferrea: Enea, a costo della propria vita, non può fuggire da Troia senza portare con sé Anchise, suo padre e nonno di suo figlio.  

Rigorosamente: senza il mito delle origini (“da dove vengo”) che istituisce la nominazione (“il mio nome è…”), senza il racconto della nostra storia famigliare (“sono stato cresciuto e ho vissuto con…”), il concetto stesso di filiazione vien meno. Infatti rimane esclusa la sua dimensione simbolica, essenzialmente la sua storia genealogica che si svolge lungo la trasmissione di una serie di valori, di istanze spirituali, etiche, culturali. 
Questa trasmissione che procede dal mito delle origini, dai “nonni”, presuppone un lavoro, quello che Freud, riprendendo un verso di Goethe, amava citare spesso: «Ciò che hai ereditato dai padri, riconquistalo se vuoi possederlo davvero».

- Giancarlo Ricci - 
da: Tempi, 5 maggio 2020


Pompeo Girolamo Batoni – Enea e Anchise in fuga da Troia in fiamme – 1748

«La memoria della specie insegna: qualcosa nella vita è più prezioso della vita, essa è il senza-prezzo in gioco nella riproduzione dell’umanità. E che annuncia nuovi inizi».

- Pierre Legendre  -


Buona giornata a tutti. :-)

www.leggoerifletto.it







lunedì 10 aprile 2017

Settimana Santa - Padre Matteo Munari

E’ una settimana piena di contraddizioni, o meglio di contrasti, una settimana di gioia e di dolore, una settimana di menzogna e di verità.
Una settimana che comincia con la gioia della Domenica delle Palme, momento in cui ci si illude che Gesù sia stato accolto. Una gioia già segnata dalla tristezza, dipinta sul volto di Gesù che sa che dovrà essere condannato, soffrire, essere flagellato, morire, fino alla gioia nuova e grande della Resurrezione.
Forse è la settimana in cui è stata fatta l’ingiustizia più grande nella nostra storia, la settimana in cui Dio è stato considerato un bestemmiatore. 
E’ la settimana nella quale un innocente viene dichiarato colpevole, è la settimana nella quale un giusto viene condannato a morte come malfattore. Però è anche una settimana di verità, perché è una settimana nella quale noi possiamo incontrare e conoscere il vero volto di Dio, cioè di un Dio che ci ama cosi tanto al punto di essere pronto a soffrire e morire in croce per noi. 
Ed è anche un Dio che fa trionfare la verità nel momento in cui risorge e ci dice che quell'uomo condannato come malfattore e come ingiusto in realtà era il figlio di Dio stesso che ci ama infinitamente ed è pronto a morire per noi e a risorgere per noi.

- Padre Matteo Munari , ofm - 
Studium Biblicum Franciscanum






Quando t'imbatti in una cosa bella, la racconti.
E quando t'imbatti in una cosa vera, la dici.

E se hai capito che la storia di Gesù ha illuminato il cammino del mondo e dell'uomo dandogli senso, allora lo racconti. 

Non puoi farne a meno.
E se l'incontro con Gesù ha cambiato la tua esistenza dandole forza, direzione, senso, allora inviti gli amici a condividerla.




- Bruno Maggioni - 



Ricordate che la Passione di Cristo termina sempre nella gioia della Risurrezione, così, quando sentite nel vostro cuore la sofferenza di Cristo, ricordate che deve venire la Resurrezione, deve sorgere la gioia della Pasqua. Non lasciatevi mai invadere in tal maniera dal dolore da dimenticare la gioia di Cristo risorto.

- Madre Teresa di Calcutta - 





Madre d’amore, Chiesa pellegrina
nella valle del pianto,
canta di gioia: il Re
ti ammanta della sua gloria.
Splendono le sue vesti come neve
e la sua luce fino a te discende;
tu dalla cima del monte
rifulgi ormai nei secoli.
Odi: la voce dei profeti antichi
parla di croce e di morte,
dal cielo la voce del Padre
esalta l’Unigenito.
Tale, Sposa fedele, è la tua sorte:
lacrime e sangue ti rigano il volto,
ma divina bellezza
arcanamente ti adorna.
Su Cristo si posa lo Spirito,
un solo mistero vi avvolge:
lucida nube vi cela
all’incredulo sguardo.
Lode a Gesù Signore
trasfigurato sul monte,
al Padre lode e allo Spirito Santo
canti gioiosa la Chiesa in eterno.


(Inno per la liturgia ambrosiana)





sabato 17 dicembre 2016

Er Presepio – Trilussa

Ve ringrazio de core, brava gente,
pé ‘sti presepi che me preparate,
ma che li fate a fa ? Si poi v’odiate,
si de st’amore non capite gnente…
Pé st’amore sò nato e ce sò morto,
da secoli lo spargo dalla croce,
ma la parola mia pare ‘na voce
sperduta ner deserto,senza ascolto.
La gente fa er presepe e nun me sente;
cerca sempre de fallo più sfarzoso,
però cià er core freddo e indifferente
e nun capisce che senza l’amore 
è cianfrusaja che nun cià valore.

- Trilussa -



Nel tempo liturgico dell'Avvento ci prepariamo a rivivere il mistero della nascita del Redentore: evento così antico e pur sempre misteriosamente nuovo. E' antico perchè affonda le sue radici nell'eterno disegno di Dio. Sempre nuovo, perchè, sprigiona, di generazione in generazione, la sua inesauribile energia redentrice nell'attesa del ritorno di Cristo.

San Giovanni Paolo II, papa






 In fondo la scelta dell'angelo di annunciare ai pastori l'evento della nascita rivela quella tendenza che si ritrova ampiamente in tutto il Vangelo di Luca, dove i primi destinatari della buona notizia sono gli emarginati, gli ultimi, quelli che si trovano alla periferia religiosa e sociale. 



- Bruno Maggioni - 
da: “Meditazioni sul Vangelo di Luca”, Ed. Messaggero




Essi connettono la gloria di Dio «nel più alto dei cieli» con la pace degli uomini «sulla terra». La Chiesa ha ripreso queste parole e ne ha composto un intero inno. 
Nei particolari, però, la traduzione delle parole dell’angelo è controversa. 

Il testo latino a noi familiare veniva reso fino a poco tempo fa così: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà».
Questa traduzione viene respinta dagli esegeti moderni - non senza buone ragioni come unilateralmente moralizzante. 
La «gloria di Dio» non è una cosa che gli uomini possono produrre («Sia gloria a Dio»). La «gloria» di Dio c’è, Dio è glorioso, e questo è davvero un motivo di gioia: esiste la verità, esiste il bene, esiste la bellezza. 
Queste realtà ci sono - in Dio - in modo indistruttibile.
Più rilevante è la differenza nella traduzione della seconda parte delle parole dell’angelo. 
Ciò che fino a poco tempo fa veniva reso con «uomini di buona volontà» è espresso ora, nella traduzione della Conferenza Episcopale Tedesca, con «Menschen seiner Gnade» (uomini della sua grazia).
Nella traduzione della Conferenza Episcopale Italiana si parla di «uomini, che egli ama».
Allora, però, ci si interroga: quali sono gli uomini che Dio ama? Ce ne sono anche alcuni che Egli non ama? 
Non ama forse tutti come creature sue? Che cosa dice dunque l’aggiunta: «che Dio ama»? Ci si può rivolgere una simile domanda anche di fronte alla traduzione tedesca. 
Chi sono gli «uomini della sua grazia»? 
Esistono persone che non sono nella sua grazia? E se sì, per quale ragione?
La traduzione letterale del testo originale greco suona: pace agli «uomini del [suo] compiacimento».
Anche qui rimane naturalmente la domanda: quali uomini sono nel compiacimento di Dio? E perché? 
Ebbene, per la comprensione di questo problema troviamo un aiuto nel Nuovo Testamento. Nella narrazione del battesimo di Gesù, Luca ci racconta che, mentre Gesù stava in preghiera, il cielo si aprì e venne una voce dal cielo che diceva: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Lc 3,22). L’uomo del compiacimento è Gesù. Lo è, perché vive totalmente rivolto al Padre, vive guardando verso di Lui e in comunione di volontà con Lui.


- papa Benedetto XVI -





I regali più costosi e preziosi non si chiamano "phone " "gioielli" o "automobile".
Si chiamano " Tempo", "Amore"e "Vita".



Da qualche anno si ripete il solito stupido disegno di cancellare le nostre tradizioni natalizie, in particolare quello più caratteristico: il presepe. 
Non mancano presidi o insegnanti che con una grande dose provocatoria, impediscono ai propri studenti anche a quelli non cattolici, di poter giovarsi del messaggio universale di pace del Santo Natale. 
Per la verità a cancellare totalmente il Natale ci aveva pensato Erode, con il suo metodo radicale, ora ci provano in tanti modi i fautori del “multiculturalismo”, della “libertà”, della “democrazia”, alla fine la scusa è quella di non “offendere” lo “zero-virgola” di alunni islamici presenti nelle scuole. 

Buona giornata a tutti. :-)






domenica 22 novembre 2015

"...l'uomo, più che di altro, spesso si annoia di Dio." - cardinale Giacomo Biffi -

"Quando le gambe gli furono sgranchite, Pinocchio cominciò a camminare da sè e a correre per la stanza; finchè infilata la porta di casa, saltò nella strada e si dette a scappare. "
Appena è in grado di reggersi e di camminare, il burattino chiamato a essere figlio cerca di uscire di casa. 
Il primo gesto autonomo dell'uomo è quello di allontanarsi dal Padre. 
Gli pesa così tanto l'amore di chi gli ha dato la vita, che il giorno in cui riesce a sottrarvisi, gli può apparire il giorno della raggiunta maturità. Essere adulti significa ai suoi occhi poter far senza finalmente di Dio.
C'è chi ritiene la Chiesa il grande ostacolo alla religione dell'uomo; c'è chi pensa che siano le scelte politiche della Chiesa. 
O i ministri della Chiesa o il mancato adattamento degli uomini di Chiesa all'evoluzione della mentalità e del costume., o il linguaggio incomprensibile dell'annuncio. 
C'è chi reputa troppo arduo per l'uomo post-kantiano accettare Cristo come figlio eterno di Dio, Signore e salvatore degli uomini. 
E c'è del vero in questi giudizi, ma essi sono ispirati a un eccessivo ottimismo. 
Prima e più di ogni altra cosa, ciò che opprime l'uomo e rende difficile la religione è il Padre. Ciò che è fastidioso e duro da accogliere è il dovere di " diventare come bambini".
Perfino a profeti professionisti - come Giona- può capitare di assegnarsi come programma quello di " fuggire a Tarsis, lontano da Jahvè": l'uomo, più che di altro, spesso si annoia di Dio."


- Card. Giacomo Biffi -
da: "Contro maestro Ciliegia. Commento teologico alle avventure di Pinocchio", Jaka Book



"Pulcinella, Arlecchino e la signora Rosaura sono soltanto burattini, senza speranza. (…) 
Pinocchio, di legno come loro, marionetta come loro, senza vero dominio di sé come loro, ha un altro destino. (…) 
La differenza sta tutta nel fatto che Pinocchio ha un padre, prodigiosa eccezione tra i suoi simili.
Se ha un padre, ha un destino filiale. (…) 
Un burattino che ha un padre, è chiamato a essere uomo; un uomo che ha rifiutato il padre, presto o tardi si conforma ai burattini".

Ovviamente quando il Cardinale parla di padre si riferisce non tanto a Geppetto, quanto a Dio. Perché in questa imperdibile e singolare lettura della favola di Pinocchio, l'attuale cardinale di Bologna offre ai lettori una convincente metafora dell'avventura dell'uomo, del rapporto col suo destino, con la libertà, con la paternità di Dio. Pinocchio diventa figura del cristiano, "legnoso" e peccatore, ma "figlio".



 La comunità che celebra il proprio Signore è consapevole che al suo interno ci sono peccatori. D'altra parte, può esistere una comunità solo di perfetti e di Santi?  

- Bruno Maggioni -
da: “Meditazioni sul Vangelo di Luca”, Ed. Messaggero






Buona giornata a tutti. :-)





giovedì 27 agosto 2015

Un ladro in paradiso - don Bruno Ferrero -

Un ladro arrivò alla porta del Cielo e co­minciò a bussare: «Aprite!». L'apostolo Pietro, che custodisce le chiavi del Paradiso, udì il fracasso e si affacciò alla porta.
«Chi è là?».
«Io».
«E chi sei tu?».
«Un ladro. Fammi entrare in Cielo».
«Neanche per sogno. Qui non c'è posto per un ladro».
«E chi sei tu per impedirmi di entrare?».
«Sono l'apostolo Pietro!».
«Ti conosco! Tu sei quello che per paura ha rinnegato Gesù prima che il gallo cantasse tre volte. Io so tutto, amico!».
Rosso di vergogna, San Pietro si ritirò e cor­se a cercare San Paolo: «Paolo, va' tu a par­lare con quel tale alla porta».
San Paolo mise la testa fuori della porta:
«Chi è là?».
«Sono io, il ladro. Fammi entrare in Paradiso».
«Qui non c'è posto per i ladri!».
«E chi sei tu che non vuoi farmi entrare?».
«Io sono l'apostolo Paolo!».
«Ah, Paolo! Tu sei quello che andava da Ge­rusalemme a Damasco per ammazzare i cri­stiani. E adesso sei in Paradiso!».
San Paolo arrossì, si ritirò confuso e raccon­tò tutto a San Pietro.
«Dobbiamo mandare alla porta l'Evangelista Giovanni» disse Pietro. «Lui non ha mai rinnegato Gesù. Può parlare con il ladro». Giovanni si affacciò alla porta.
«Chi è là?».
«Sono io, il ladro. Lasciami entrare in Cielo».
«Puoi bussare fin che vuoi, ladro. Per i pec­catori come te qui non c'è posto!».
«E chi sei tu, che non mi lasci entrare?».
«Io sono l'Evangelista Giovanni».
«Ah, tu sei un Evangelista. Perché mai in­gannate gli uomini? Voi avete scritto nel Vangelo: "Bussate e vi sarà aperto. Chiedete ed otterrete". Sono due ore che busso e chiedo, ma nessuno mi fa entrare. Se tu non mi trovi subito un posto in Paradiso, torno immediatamente sulla Terra e racconto a tutti che hai scritto bugie nel Vangelo!».
Giovanni si spaventò e fece entrare il ladro in Paradiso.


Quando il predicatore tornò sul tema della buona novella, un uomo lo interruppe: «Che razza di buona novella è», domandò, «se è così facile andare all'inferno e tanto diffici­le entrare in paradiso?».
Il Paradiso è solo questione di misericordia.

- don Bruno Ferrero - 
da: "Il segreto dei pesci rossi"


Il cammello e il dromedario

Una volta un cammello incontrò un dromedario e cominciò a prenderlo in giro: "E' la prima volta che vedo un cammello sbagliato! Invece di avere due gobbe ne ha una sola!".
Il dromedario capì e rispose al cammello sghignazzando ancor più: "Che meraviglia mi tocca vedere: un dromedario con due gobbe!".
L'uomo del deserto loro padrone, presente a queste battute cattive, li interruppe e sentenziò: "Siete sbagliati tutti e due: non nella gobba, ma nel cuore!".

Non giudicate e non sarete giudicati. Non condannate e non sarete condannati. Perdonate e vi sarà perdonato. (Lc 6,37)

- Pino Pellegrino - 
da: "I valori: pilastri dell'educazione"




E' la gratuità che rende stabile l'amore. Anche se l'altro ti abbandona, il tuo amore verso di lui non viene meno. Soffri, ma non viene meno. E' come l'amore per il Crocifisso: rifiutato, dona la vita per chi lo rifiuta.

Mons. Bruno Maggioni
Da: “La cruna e il Cammello”


Buona giornata a tutti. :-)