mercoledì 19 febbraio 2025
La visita - don Bruno Ferrero
lunedì 17 febbraio 2025
IL vecchio e lo scorpione - don Lucio d'Abbraccio
In un tranquillo pomeriggio, un saggio
anziano camminava lungo un fiume quando, all’improvviso, vide qualcosa muoversi
nell’acqua. Si chinò e notò che era uno scorpione, trascinato dalla corrente,
che lottava per non affogare.
Mosso dalla compassione, l’anziano allungò la
mano per salvarlo, ma non appena lo toccò, lo scorpione, in preda alla
disperazione, lo punse con il suo pungiglione velenoso.
Il dolore fece sì che il saggio lo lasciasse
cadere di nuovo in acqua. Ma invece di andarsene, cercò di salvarlo ancora una
volta.
Un’altra puntura! Ancora più forte.
Un giovane, che stava osservando la scena
dalla riva, non poté più trattenersi e gridò:
– “Maestro! Non capisce? Ogni volta che lo
tocca, lui la punge! Lo lasci morire, se lo merita”!
Il giovane aggrottò la fronte. Non capiva.
Allora, con fatica, l’anziano prese una
grande foglia, la fece scivolare sotto lo scorpione e, senza ricevere un’altra
puntura, lo portò sulla terraferma, salvandolo dalla morte.
Poi guardò il giovane e gli disse con calma:
– “Non permettere che la natura dello
scorpione cambi la tua. Non lasciare che il veleno degli altri ti faccia
rinunciare a fare il bene”.
Morale: non scoraggiamoci quando
riceviamo male. Continuiamo a fare sempre il bene.
- don Lucio d' Abbraccio -
Ernest Hemingway
disse una volta:
Nei nostri momenti
più bui, non abbiamo bisogno di soluzioni né di consigli. Ciò che desideriamo
davvero è semplicemente una connessione umana: una presenza silenziosa, un
tocco gentile. Questi piccoli gesti sono le ancore che ci tengono saldi quando
la vita sembra troppo da sopportare.
Per favore, non
cercare di aggiustarmi. Non portare il mio dolore sulle tue spalle né
allontanare le mie ombre. Siediti accanto a me mentre affronto le mie tempeste
interiori. Sii la mano salda a cui posso aggrapparmi mentre ritrovo la mia
strada. Il mio dolore è mio da sopportare, le mie battaglie sono mie da
combattere.
Ma la tua presenza mi
ricorda che non sono solo in questo mondo vasto e a volte spaventoso. È un
silenzioso promemoria del fatto che sono degno d’amore, anche quando mi sento a
pezzi.
Quindi, in quelle ore
oscure in cui mi perdo, sarai qui? Non come un salvatore, ma come un compagno.
Tienimi la mano fino all’alba, aiutandomi a ricordare la mia forza. Il tuo
sostegno silenzioso è il dono più prezioso che tu possa offrire. È un amore che
mi aiuta a ricordare chi sono, anche quando lo dimentico.
Buona giornata a tutti :-)
domenica 16 febbraio 2025
Fratellino e sorellina - Fratelli Grimm
La mattina dopo, quando si svegliarono, il sole era già alto nel cielo e i suoi raggi penetravano ardenti all'interno dell'albero. Allora il fratellino disse: "Sorellina ho sete; se sapessi dov'è una fonte andrei a bere; credo di averne sentito il mormorio." Il fratellino si alzò, prese la sorellina per mano e volevano cercare la sorgente.
Ma la cattiva matrigna era una strega e aveva visto benissimo che i due bambini se ne erano andati; li aveva seguiti quatta quatta, di nascosto, come fanno le streghe, e aveva stregato tutte le sorgenti del bosco. Quand'essi trovarono un rivolo che saltellava scintillando sulle pietre, il fratellino volle bere; ma la sorellina udì la fonte mormorare: "Chi beve della mia acqua diventa una tigre! Chi beve della mia acqua diventa una tigre!" Allora la sorellina gridò: "Ah, fratellino, ti prego, non bere, altrimenti diventi una belva feroce e mi sbrani." Il fratellino non bevve, anche se aveva una gran sete, e disse: "Aspetterò fino alla prossima sorgente."
Quando arrivarono alla seconda fonte, la sorellina udì che anche questa diceva: "Chi beve della mia acqua diventa un lupo! Chi beve della mia acqua diventa un lupo!" Allora gridò: "Ah, fratellino, ti prego, non bere, altrimenti diventi un lupo e mi divori." Il fratellino non bevve e disse: "Aspetterò fino alla prossima sorgente, ma allora dovrò bere; puoi dire quello che vuoi, ho troppa sete."
E quando giunsero alla terza fonte, la sorellina udì mormorare:
"Chi beve della mia acqua diventa un capriolo! Chi beve della mia acqua
diventa un capriolo!" La sorellina disse: "Ah, fratellino, ti prego,
non bere, altrimenti diventi un capriolo e scappi via." Ma il fratellino
si era subito inginocchiato presso la sorgente, si era chinato e aveva bevuto
l'acqua; non appena le prime gocce gli toccarono le labbra, giacque a terra,
trasformato in un piccolo capriolo.
La sorellina pianse
sul povero fratellino stregato, e anche il piccolo capriolo piangeva,
standosene tutto triste accanto a lei. Infine la fanciulla disse:
"Chetati, caro caprioletto, io non ti abbandonerò mai." Sciolse la
sua giarrettiera d'oro e la mise intorno al collo del capriolo, poi divelse dei
giunchi e ne intrecciò una corda flessibile. Legò l'animaletto, lo condusse con
se, si addentrò sempre di più nel bosco. Cammina, cammina, giunsero finalmente
a una casetta; la fanciulla guardò dentro e siccome era vuota pensò: "Qui
possiamo fermarci ad abitare." Cercò allora foglie e muschio per fare un
morbido giaciglio al capriolo e ogni mattina usciva e raccoglieva radici,
bacche e noci, e al capriolo portava erba tenera; ed esso la mangiava dalla sua
mano, era felice e giocherellava davanti a lei. La sera quando la sorellina era
stanca e aveva detto le sue preghiere, posava il capo sul dorso del piccolo
capriolo: quello era il suo cuscino e su di esso si addormentava dolcemente. E
se il fratellino avesse avuto la sua figura umana, sarebbe stata una vita
meravigliosa.
Per un certo periodo di tempo vissero così, soli, in quel luogo selvaggio. Ma avvenne che il re di quella zona tenesse una gran caccia nel bosco. Echeggiò fra gli alberi il suono dei corni, il latrato dei cani e le grida allegre, e il piccolo capriolo ascoltava e gli sarebbe tanto piaciuto essere della partita. "Ah," disse alla sorellina, "lasciami andare alla caccia, non posso più resistere!" E la pregò così a lungo che ella infine acconsentì. "Però," gli disse, "ritorna questa sera. Davanti ai feroci cacciatori io chiuderò la porticina: per farti riconoscere, bussa e di': "Sorellina mia, lasciami entrare!" Ma se non dici così, non aprirò." Allora il capriolo saltò fuori, e stava tanto bene, ed era così allegro all'aria aperta! Il re e i suoi cacciatori videro il bell'animaletto e lo inseguirono; ma non riuscivano a raggiungerlo, e quando credevano di prenderlo, il capriolo saltava nella boscaglia e spariva. Quando fu buio corse alla casetta, bussò e disse: "Sorellina mia, lasciami entrare!" Allora la porticina gli fu aperta, egli saltò dentro e dormì tutta la notte sul suo morbido giaciglio. Il mattino dopo la caccia ricominciò, e quando il capriolo udì nuovamente il corno e il grido dei cacciatori, non ebbe più pace e disse: "Sorellina aprimi, devo uscire." La sorellina gli aprì la porta e disse: "Ma questa sera devi essere di nuovo qui con la tua parola d'ordine."
Quando il re e i suoi cacciatori
rividero il capriolo con il collare d'oro, lo inseguirono tutti, ma egli era
troppo rapido e svelto. La caccia durò tutto il giorno, ma finalmente a sera i
cacciatori lo accerchiarono e uno lo ferì leggermente a una zampa, cosicché‚
egli si mise a zoppicare e corse via più adagio. Allora un cacciatore gli andò
dietro pian piano fino alla casetta e l'udì esclamare: "Sorellina mia,
lasciami entrare!" e vide che la porta gli veniva aperta e subito
richiusa. Il cacciatore tenne tutto bene a mente, andò dal re e gli raccontò
ciò che aveva visto e udito. Allora il re disse: "Domani andremo a caccia
ancora una volta."
Ma la sorellina si spaventò terribilmente quando il piccolo capriolo rientrò ferito. Lavò la ferita, ci mise sopra delle erbe e disse: "Va' al tuo giaciglio, caprioletto mio, così guarisci." Ma la ferita era così piccola che al mattino il capriolo non sentiva più nulla e quando udì nuovamente il tripudio della caccia disse: "Non posso resistere, devo andarci; non sarà così facile acchiapparmi." La sorellina pianse e disse: "Adesso ti uccideranno; non ti lascio uscire." - "E io ti morirò qui di tristezza, se mi trattieni" rispose il capriolo. "Quando sento il corno da caccia mi sembra di non stare più nella pelle!" Allora la sorellina dovette cedere, gli aprì la porta con il cuore grosso e il capriolo corse nel bosco vispo e felice.
Quando il re lo scorse, disse ai suoi
cacciatori: "Inseguitelo per tutto il giorno fino a sera, ma che nessuno
gli faccia del male!" Come il sole fu tramontato, il re disse al
cacciatore: "Vieni e mostrami la casetta nel bosco." E quando fu davanti
alla porticina bussò e gridò: "Sorellina cara, lasciami entrare!"
Allora la porta si aprì e il re entrò e trovò una fanciulla così bella come non
ne aveva mai viste. Ma la fanciulla si spaventò quando vide entrare un re con
una corona d'oro al posto del suo piccolo capriolo. Il re la guardò
amorevolmente, le diede la mano e disse: "Vuoi venire con me al mio
castello e diventare la mia cara sposa?" - "Ah sì," rispose la
fanciulla, "ma deve venire anche il capriolo, non lo abbandono."
Disse il re: "Rimarrà con te finché‚ vivi e non gli mancherà nulla."
In quel momento entrò a salti il capriolo; la sorellina lo legò di nuovo alla
fune di giunco che prese in mano lei stessa, e insieme a lui lasciò la casetta
nel bosco.
Il re condusse la bella fanciulla nel suo castello, dove le nozze furono celebrate con gran pompa; ora ella era Sua Maestà la regina, e vissero insieme felici per lungo tempo; il capriolo era ben nutrito e ben curato e ruzzava nel giardino del castello. Ma la cattiva matrigna, per via della quale i bambini se ne erano andati per il mondo, credeva che la sorellina fosse stata sbranata dalle bestie feroci nel bosco e che il fratellino, trasformato in un capriolo, fosse stato ucciso dai cacciatori. Quando sentì che erano felici e che stavano così bene, l'invidia e la gelosia le si destarono in cuore e non le davano pace, e non pensava che al modo di procurar loro un'altra sciagura.
La sua figlia vera, che
era brutta come la notte e aveva un solo occhio, protestava e diceva:
"Diventare una regina! Questa fortuna spettava a me!" - "Sta'
tranquilla," disse la vecchia e aggiunse allegramente: "Al momento
buono, saprò cosa fare." E quando venne il momento e la regina diede alla
luce un bel maschietto, mentre il re era a caccia, la vecchia strega prese le
sembianze della cameriera, entrò nella stanza dove giaceva la regina e disse
alla puerpera: "Venite, il bagno è pronto, vi farà bene e vi rinforzerà;
presto, prima che diventi freddo." C'era anche sua figlia; insieme
trasportarono la regina, debole com'era, nella stanza da bagno, la misero nella
vasca e se ne andarono in fretta chiudendo la porta. Ma nella stanza da bagno
avevano acceso un fuoco d'inferno, cosicché‚ la bella giovane regina soffocò
ben presto.
Ciò fatto, la vecchia
prese sua figlia, le mise una cuffia in testa e la pose nel letto al posto
della regina. Le diede anche la sua figura e il suo aspetto, ma non potè restituirle l'occhio perduto. Ma perché‚ il re non si accorgesse di nulla, si
dovette coricare dalla parte dove le mancava l'occhio. La sera, quando il re
ritornò e udì che gli era nato un bambino, fu pieno di gioia e volle recarsi al
letto della sua cara moglie per vedere come stava. Subito la vecchia esclamò:
"Per carità, lasciate chiuse le cortine: la regina non sopporta ancora la
luce e deve riposare!" Il re si ritirò e non sapeva che nel letto c'era
una falsa regina.
Ma quando fu
mezzanotte e tutto taceva, la bambinaia, che sedeva nella camera del bambino
accanto alla culla ed era l'unica a vegliare ancora, vide aprirsi la porta ed
entrare la vera regina. Ella tolse il bambino dalla culla, lo prese fra le
braccia e lo allattò; poi sprimacciò il suo piccolo cuscino, lo rimise a letto
e lo coprì con la piccola coltre. Ma non dimenticò neanche il capriolo, andò
nell'angolo dove si trovava e lo accarezzò sul dorso. Poi uscì silenziosamente
dalla porta e la bambinaia, la mattina dopo, domandò alle guardie se durante la
notte avessero visto qualcuno entrare nel castello; ma esse risposero:
"No, non abbiamo visto nessuno."
La regina venne per
molte notti, senza dire mai una parola; la bambinaia la vedeva sempre, ma non
osava dire nulla a nessuno.
Quando fu trascorso
un certo periodo di tempo, una notte la regina incominciò a dire:
"Che cosa fanno
nel loro lettino il capriolo e il mio bambino?
Ancor due volte fin
qui verrò, ma una terza non tornerò."
La bambinaia non le
rispose, ma quando fu scomparsa andò dal re e gli raccontò tutto. Disse il re:
"Mio Dio, che cosa è mai questa! Voglio vegliare accanto a mio figlio la
prossima notte." La sera andò nella camera del bambino; a mezzanotte apparve
ancora la regina e disse:
"Che cosa fanno
nel loro lettino il capriolo e il mio bambino?
Ancora una volta fin
qui verrò, ma una seconda non tornerò."
E si prese cura del
piccino come sempre, prima di sparire. Il re non osò rivolgerle la parola, ma
la notte seguente vegliò di nuovo. Ella disse:
"Che cosa fanno
nel loro lettino il capriolo e il mio bambino?
Per l'ultima volta
son giunta quaggiù un'altra volta non torno più."
Allora il re non potè
‚ più trattenersi, corse a lei e disse: "Tu non puoi essere che la mia
cara sposa." Ella rispose: "Sì, sono la tua cara sposa." E in
quel momento, per grazia divina, tornò a vivere, fresca, rosea e sana. Poi raccontò
al re il crimine commesso dalla strega cattiva e da sua figlia. Il re le fece
giudicare entrambe, ed esse furono condannate: la figlia fu condotta nel bosco,
dove le bestie feroci la sbranarono non appena la videro; la strega fu invece
gettata nel fuoco e dovette bruciare miseramente. E quando fu ridotta in
cenere, il piccolo capriolo si trasformò e riacquistò il suo aspetto umano; e
sorellina e fratellino vissero felici insieme fino alla morte.
- Fratelli Grimm -
venerdì 14 febbraio 2025
Amati, chiamati ad amare - + Card. Carlo Maria Martini
Questo amore con cui Dio ci avvolge è la chiave della nostra vita, il segreto di ogni nostro agire.
Noi siamo chiamati ad agire per amore, a spendere volentieri la nostra vita per i nostri fratelli e sorelle, e lasciare esplodere la nostra creatività e ad esercitare la nostra intelligenza nel servizio degli altri.
- Card. Carlo Maria Martini -
Dalla Croce Gesù propone in positivo un altro tipo di umanità: è l'umanità di chi vive la beatitudine dei miti e degli operatoti di pace, di chi accetta di portare la croce quotidiana dietro al suo Signore.
mercoledì 12 febbraio 2025
L’anarchia del potere - Pier Paolo Pasolini
gli uomini imparano bambini,
le piccole cose in cui la grandezza
della vita in pace si scopre, come
andare duri e pronti nella ressa
delle strade, rivolgersi a un altro uomo
senza tremare, non vergognarsi
di guardare il denaro contato
con pigre dita dal fattorino
che suda contro le facciate in corsa
in un colore eterno d'estate;
a difendermi, a offendere, ad avere
il mondo davanti agli occhi e non
soltanto in cuore, a capire
che pochi conoscono le passioni
in cui io sono vissuto:
che non mi sono fraterni, eppure sono
fratelli proprio nell'avere
passioni di uomini
che allegri, inconsci, interi
vivono di esperienze
ignote a me. Stupenda e misera
città che mi hai fatto fare
esperienza di quella vita
ignota: fino a farmi scoprire
ciò che, in ognun, era il mondo.
- Pier Paolo Pasolini -
(Il Pianto della Scavatrice, 1956)
- Pier Paolo Pasolini -
“Io posso essere uno che non crede, ma uno che non crede ha nostalgia per qualcosa in cui credere”.
lunedì 10 febbraio 2025
Lo chiamavano il treno della vergogna
Una buona parte dei ferrovieri di allora, lo aveva definito il treno dei fascisti, a testimonianza della disinformazione e del contesto estremamente politicizzato in cui tale vicenda si consumò.
A quel treno, un carro merci da bestiame, nessuno poteva avvicinarsi, nemmeno il personale della Croce Rossa, nessuno per dare acqua, cibo o latte alle centinaia di bambini che ci viaggiavano.
Da Ancona a Bologna, il treno dei fascisti, il treno di profughi italiani che fuggivano dall'Istria, minacciati, perseguiti, spogliati di ogni bene e possesso.
Il treno dei fascisti, il treno della vergogna, di quelli che fuggivano dalle foibe e dai partigiani del maresciallo Tito.
Non un treno, ma un viaggio della vergogna, la pagina più vergognosa, schifosa e misera di quella guerra finita, di quei marchi che gli stessi italiani apponevano sulla pelle dei loro stessi connazionali.
Ci facciamo belli a condannare i fascisti, i nazisti e noi nel 1947 siamo stati capaci di un gesto così vergognoso e vile.
Nel 2007 alla stazione di Bologna, accanto alla ex sala mensa dei ferrovieri, lungo il binario 1 fu apposta una lapide ipocrita:
“Nel corso del 1947 da questa stazione passarono i convogli che portavano in Italia esuli istriani, fiumani e dalmati: italiani costretti ad abbandonare i loro luoghi dalla violenza del regime nazional-comunista jugoslavo e a pagare, vittime innocenti, il peso e la conseguenza della guerra d’aggressione intrapresa dal fascismo.
Per quanto scritto su quella targa, tanti profughi ed esuli di allora, si ribellarono per l'ipocrisia di quanto e come era stato ricordato e per aver nascosto l'insulto e la cattiveria degli italiani, dei comunisti che con le bandiere con falce e martello ripudiavano i loro stessi connazionali.
Alla fine prevalse il pensiero: purchè se ne parli.
“Il treno rallentò piano piano fino a fermarsi. Ad accoglierci trovammo tanta gente, con le bandiere rosse. Le stesse di Tito. Non capivo. Allora mi girai verso la mamma e le chiesi: «Mamma, ma il treno si è sbagliato? Siamo tornati a Fiume?». No. Erano gli operai e i ferrovieri comunisti che improvvisavano uno sciopero per impedire al convoglio di fermarsi nella loro città. «Fascisti, viaaa!» gridavano. «Siete tutti criminali fascisti!»
La nostra patria era affamata, diffidente. Diversi erano convinti che chi fuggiva dall’Istria «rossa», dal paradiso del comunismo, fosse un criminale.
Almeno 11 mila invece furono infoibati, ma questa è un'altra storia.
http://digilander.libero.it/lefoibe/testimonianze.htm
Nelle foibe sono stati gettati molti dei cadaveri delle persone eliminate dai partigiani jugoslavi. Le vittime civili e militari sono state fucilate e gettate in foiba. In alcuni casi, come è stato possibile documentare, furono precipitate nell'abisso non colpite o solo ferite.
Tra i caduti figurano membri del Partito nazionale fascista, ufficiali e funzionari pubblici, parte dell’alta dirigenza italiana contraria sia al comunismo, sia al fascismo (tra cui compaiono numerosi capi di organizzazioni partigiane anti-fasciste) sloveni e croati anti-comunisti, collaboratori e nazionalisti radicali e semplici cittadini.
O Dio, Signore della vita e della morte, della luce e delle tenebre,
dalle profondità di questa terra e di questo nostro dolore noi gridiamo a Te.
Ascolta, o Signore, la nostra voce.
De profundis clamo ad Te, Domine.
Domine, audi vocem meam.
Oggi tutti i Morti attendono una preghiera, un gesto di pietà, un ricordo di affetto. E anche noi siamo venuti qui per innalzare le nostre povere preghiere e deporre i nostri fiori, ma anche per apprendere l’insegnamento
E ci rivolgiamo a Te, perché tu hai raccolto l’ultimo loro grido,
Questo calvario, col vertice sprofondato nelle viscere della terra, costituisce una grande cattedra, che indica nella giustizia e nell’amore le vie della pace.
In trent’anni due guerre, come due bufere di fuoco, sono passate attraverso queste colline carsiche; hanno seminato la morte tra queste rocce e questi cespugli; hanno riempito cimiteri e ospedali; hanno anche scatenato qualche volta l’incontrollata violenza, seminatrice di delitti e di odio.
Ebbene, Signore, Principe della Pace, concedi a noi la Tua Pace, una pace che sia riposo tranquillo per i Morti e sia serenità di lavoro e di fede per i vivi.
Fa che gli uomini, spaventati dalle conseguenze terribili del loro odio e attratti dalla soavità del Tuo Vangelo, ritornino, come il figlio prodigo, nella Tua casa per sentirsi e amarsi tutti come figli dello stesso Padre.
Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il Tuo Nome,
Dona conforto alle spose, alle madri, alle sorelle, ai figli di coloro che si trovano in tutte le foibe di questa nostra triste terra, e a tutti noi che siamo vivi e sentiamo pesare ogni giorno sul cuore la pena per questi nostri Morti, profonda come le voragini che li accolgono.
Tu sei il Vivente, o Signore, e in Te essi vivono. Che se ancora la loro purificazione non è perfetta, noi Ti offriamo, o Dio Santo e Giusto, la nostra preghiera, la nostra angoscia, i nostri sacrifici, perché giungano presto a gioire dello splendore dei Tuo Volto.
E a noi dona rassegnazione e fortezza, saggezza e bontà.
Tu ci hai detto: Beati i misericordiosi perché otterranno misericordia, beati i pacificatori perché saranno chiamati figli di Dio, beati coloro che piangono perché saranno consolati, ma anche beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati in Te, o Signore,
O signore, a questi nostri Morti senza nome ma da Te conosciuti e amati, dona la Tua pace. Risplenda a loro la Luce perpetua e brilli la Tua Luce anche sulla nostra terra e nei nostri cuori, E per il loro sacrificio fa che le speranze dei buoni fioriscano.
Domine, coram te est omne desiderium meum et gemitus meus te non latet. Così sia”.