mercoledì 26 giugno 2024

da: "I Promessi Sposi" - Alessandro Manzoni

 Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un'ampia costiera dall'altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l'Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, l'uno detto di san Martino, l'altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega: talché non è chi, al primo vederlo, purché sia di fronte, come per esempio di su le mura di Milano che guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più oscuro e di forma più comune. 

Per un buon pezzo, la costa sale con un pendìo lento e continuo; poi si rompe in poggi e in valloncelli, in erte e in ispianate, secondo l'ossatura de' due monti, e il lavoro dell'acque. Il lembo estremo, tagliato dalle foci de' torrenti, è quasi tutto ghiaia e ciottoloni; il resto, campi e vigne, sparse di terre, di ville, di casali; in qualche parte boschi, che si prolungano su per la montagna. Lecco, la principale di quelle terre, e che dà nome al territorio, giace poco discosto dal ponte, alla riva del lago, anzi viene in parte a trovarsi nel lago stesso, quando questo ingrossa: un gran borgo al giorno d'oggi, e che s'incammina a diventar città. Ai tempi in cui accaddero i fatti che prendiamo a raccontare, quel borgo, già considerabile, era anche un castello, e aveva perciò l'onore d'alloggiare un comandante, e il vantaggio di possedere una stabile guarnigione di soldati spagnoli, che insegnavan la modestia alle fanciulle e alle donne del paese, accarezzavan di tempo in tempo le spalle a qualche marito, a qualche padre; e, sul finir dell'estate, non mancavan mai di spandersi nelle vigne, per diradar l'uve, e alleggerire a' contadini le fatiche della vendemmia.


Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell'anno 1628, don Abbondio, curato d'una delle terre accennate di sopra: il nome di questa, né il casato del personaggio, non si trovan nel manoscritto, né a questo luogo né altrove. 

Diceva tranquillamente il suo ufizio, e talvolta, tra un salmo e l'altro, chiudeva il breviario, tenendovi dentro, per segno, l'indice della mano destra, e, messa poi questa nell'altra dietro la schiena, proseguiva il suo cammino, guardando a terra, e buttando con un  piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel sentiero: poi alzava il viso, e, girati oziosamente gli occhi all'intorno, li fissava alla parte d'un monte, dove la luce del sole già scomparso, scappando per i fessi del monte opposto, si dipingeva qua e là sui massi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze di porpora. 

Aperto poi di nuovo il breviario, e recitato un altro squarcio, giunse a una voltata della stradetta, dov'era solito d'alzar sempre gli occhi dal libro, e di guardarsi dinanzi: e così fece anche quel giorno. Dopo la voltata, la strada correva diritta, forse un sessanta passi, e poi si divideva in due viottole, a foggia d'un ipsilon: quella a destra saliva verso il monte, e menava alla cura: l'altra scendeva nella valle fino a un torrente; e da questa parte il muro non arrivava che all'anche del passeggiero. 

I muri interni delle due viottole, in vece di riunirsi ad angolo, terminavano in un tabernacolo, sul quale eran dipinte certe figure lunghe, serpeggianti, che finivano in punta, e che, nell'intenzion dell'artista, e agli occhi degli abitanti del vicinato, volevan dir fiamme; e, alternate con le fiamme, cert'altre figure da non potersi descrivere, che volevan dire anime del purgatorio: anime e fiamme a color di mattone, sur un fondo bigiognolo, con qualche scalcinatura qua e là. 

Il curato, voltata la stradetta, e dirizzando, com'era solito, lo sguardo al tabernacolo, vide una cosa che non s'aspettava, e che non avrebbe voluto vedere. 

Due uomini stavano, l'uno dirimpetto all'altro, al confluente, per dir così, delle due viottole: un di costoro, a cavalcioni sul muricciolo basso, con una gamba spenzolata al di fuori, e l'altro piede posato sul terreno della strada; il compagno, in piedi, appoggiato al muro, con le braccia incrociate sul petto. L'abito, il portamento, e quello che, dal luogo ov'era giunto il curato, si poteva distinguer dell'aspetto, non lasciavan dubbio intorno alla lor condizione. Avevano entrambi intorno al capo una reticella verde, che cadeva sull'omero sinistro, terminata in una gran nappa, e dalla quale usciva sulla fronte un enorme ciuffo: due lunghi mustacchi arricciati in punta: una cintura lucida di cuoio, e a quella attaccate due pistole: un piccol corno ripieno di polvere, cascante sul petto, come una collana: un manico di coltellaccio che spuntava fuori d'un taschino degli ampi e gonfi calzoni: uno spadone, con una gran guardia traforata a lamine d'ottone, congegnate come in cifra, forbite e lucenti: a prima vista si davano a conoscere per individui della specie de' bravi.

Che i due descritti di sopra stessero ivi ad aspettar qualcheduno, era cosa troppo evidente; ma quel che più dispiacque a don Abbondio fu il dover accorgersi, per certi atti, che l'aspettato era lui. Perché, al suo apparire, coloro s'eran guardati in viso, alzando la testa, con un movimento dal quale si scorgeva che tutt'e due a un tratto avevan detto: è lui; quello che stava a cavalcioni s'era alzato, tirando la sua gamba sulla strada; l'altro s'era staccato dal muro; e tutt'e due gli s'avviavano incontro. Egli, tenendosi sempre il breviario aperto dinanzi, come se leggesse, spingeva lo sguardo in su, per ispiar le mosse di coloro; e, vedendoseli venir proprio incontro, fu assalito a un tratto da mille pensieri. Domandò subito in fretta a se stesso, se, tra i bravi e lui, ci fosse qualche uscita di strada, a destra o a sinistra; e gli sovvenne subito di no. Fece un rapido esame, se avesse peccato contro qualche potente, contro qualche vendicativo; ma, anche in quel turbamento, il testimonio consolante della coscienza lo rassicurava alquanto: i bravi però s'avvicinavano, guardandolo fisso. 

Mise l'indice e il medio della mano sinistra nel collare, come per raccomodarlo; e, girando le due dita intorno al collo, volgeva intanto la faccia all'indietro, torcendo insieme la bocca, e guardando con la coda dell'occhio, fin dove poteva, se qualcheduno arrivasse; ma non vide nessuno. Diede un'occhiata, al di sopra del muricciolo, ne' campi: nessuno; un'altra più modesta sulla strada dinanzi; nessuno, fuorché i bravi. Che fare? tornare indietro, non era a tempo: darla a gambe, era lo stesso che dire, inseguitemi, o peggio. Non potendo schivare il pericolo, vi corse incontro, perché i momenti di quell'incertezza erano allora così penosi per lui, che non desiderava altro che d'abbreviarli. Affrettò il passo, recitò un versetto a voce più alta, compose la faccia a tutta quella quiete e ilarità che poté, fece ogni sforzo per preparare un sorriso; quando si trovò a fronte dei due galantuomini, disse mentalmente: ci siamo; e si fermò su due piedi. – Signor curato, – disse un di que' due, piantandogli gli occhi in faccia.


– Cosa comanda? – rispose subito don Abbondio, alzando i suoi dal libro, che gli restò spalancato nelle mani, come sur un leggìo.
– Lei ha intenzione, – proseguì l'altro, con l'atto minaccioso e iracondo di chi coglie un suo inferiore sull'intraprendere una ribalderia, – lei ha intenzione di maritar domani Renzo Tramaglino e Lucia Mondella!
– Cioè – rispose, con voce tremolante, don Abbondio: – cioè. Lor signori son uomini di mondo, e sanno benissimo come vanno queste faccende. Il povero curato non c'entra: fanno i loro pasticci tra loro, e poi e poi, vengon da noi, come s'anderebbe a un banco a riscotere; e noi... noi siamo i servitori del comune.
– Or bene, – gli disse il bravo, all'orecchio, ma in tono solenne di comando, – questo matrimonio non s'ha da fare, né domani, né mai.
– Ma, signori miei, – replicò don Abbondio, con la voce mansueta e gentile di chi vuol persuadere un impaziente, – ma, signori miei, si degnino di mettersi ne' miei panni. Se la cosa dipendesse da me, vedon bene che a me non me ne vien nulla in tasca...
– Orsù, – interruppe il bravo, – se la cosa avesse a decidersi a ciarle, lei ci metterebbe in sacco. Noi non ne sappiamo, né vogliam saperne di più. Uomo avvertito... lei c'intende.
– Ma lor signori son troppo giusti, troppo ragionevoli...
– Ma, – interruppe questa volta l'altro compagnone, che non aveva parlato fin allora, – ma il matrimonio non si farà, o...
– e qui una buona bestemmia,
– o chi lo farà non se ne pentirà, perché non ne avrà tempo, e...
– un'altra bestemmia.
– Zitto, zitto, – riprese il primo oratore: – il signor curato è un uomo che sa il viver del mondo; e noi siam galantuomini, che non vogliam fargli del male, purché abbia giudizio. Signor curato, l'illustrissimo signor don Rodrigo nostro padrone la riverisce caramente.
Questo nome fu, nella mente di don Abbondio, come, nel forte d'un temporale notturno, un lampo che illumina momentaneamente e in confuso gli oggetti, e accresce il terrore. Fece, come per istinto, un grand'inchino, e disse: – se mi sapessero suggerire...
– Oh! suggerire a lei che sa di latino! – interruppe ancora il bravo, con un riso tra lo sguaiato e il feroce.
– A lei tocca. E sopra tutto, non si lasci uscir parola su questo avviso che le abbiam dato per suo bene; altrimenti... ehm... sarebbe lo stesso che fare quel tal matrimonio. Via, che vuol che si dica in suo nome all'illustrissimo signor don Rodrigo?
– Il mio rispetto...
– Si spieghi meglio!
- Disposto... disposto sempre all'ubbidienza
- E, proferendo queste parole, non sapeva nemmen lui se faceva una promessa, o un complimento. I bravi le presero, o mostraron di prenderle nel significato più serio.
– Benissimo, e buona notte, messere, – disse l'un d'essi, in atto di partir col compagno. Don Abbondio, che, pochi momenti prima, avrebbe dato un occhio per iscansarli, allora avrebbe voluto prolungar la conversazione e le trattative.
– Signori – cominciò, chiudendo il libro con le due mani; ma quelli, senza più dargli udienza, presero la strada dond'era lui venuto, e s'allontanarono, cantando una canzonaccia che non voglio trascrivere. Il povero don Abbondio rimase un momento a bocca aperta, come incantato; poi prese quella delle due stradette che conduceva a casa sua, mettendo innanzi a stento una gamba dopo l'altra, che parevano aggranchiate. Come stesse di dentro, s'intenderà meglio, quando avrem detto qualche cosa del suo naturale, e de' tempi in cui gli era toccato di vivere.

(..) continua....

- Alessandro Manzoni -

da: "I Promessi Sposi"


Buona giornata a tutti :-)




lunedì 24 giugno 2024

da: "Il piccolo principe" - Antoine de Saint-Exupéry

 Oh, piccolo principe, ho capito a poco a poco la tua piccola vita malinconica. Per molto tempo tu non avevi avuto per distrazione che la dolcezza dei tramonti. 
Ho appreso questo nuovo particolare il quarto giorno, al mattino, quando mi hai detto: "Mi piacciono tanto i tramonti. Andiamo a vedere un tramonto..." "Ma bisogna aspettare..." "Aspettare che?" "Che il sole tramonti..." 
Da prima hai avuto un'aria molto sorpresa, e poi hai riso dite stesso e mi hai detto: "Mi credo sempre a casa mia!..." Infatti. 
Quando agli Stati Uniti è mezzogiorno tutto il mondo sa che il sole tramonta sulla Francia. 
Basterebbe poter andare in Francia in un minuto per assistere al tramonto. Sfortunatamente la Francia è troppo lontana. 
Ma sul tuo piccolo pianeta ti bastava spostare la tua sedia di qualche passo. E guardavi il crepuscolo tutte le volte che volevi... "Un giorno ho visto il sole tramontare quarantatrè volte!" E più tardi hai soggiunto: "Sai... quando si è molto tristi si amano i tramonti..." "Il giorno delle quarantatrè volte eri tanto triste?" Ma il piccolo principe non rispose.

- Antoine de Saint-Exupéry -
(Il piccolo principe, capitolo VI)


Ho sempre amato il deserto.
Ci si siede su una duna di sabbia.
Non si vede nulla.
Non si sente nulla.
E tuttavia qualche cosa risplende in silenzio...

- Antoine de Saint-Exupéry -
(Il piccolo principe, capitolo XXIV)



E mi piace la notte ascoltare le stelle.
Sono come cinquecento milioni di sonagli.

- Antoine De Saint Exupèry -




Imparai ben presto a conoscere meglio questo fiore. 
C'erano sempre stati sul pianeta del piccolo principe dei fiori molto semplici, ornati di una sola raggiera di petali, che non tenevano posto e non disturbavano nessuno. 
Apparivano un mattino nell'erba e si spegnevano la sera. 
Ma questo era spuntato un giorno, da un seme venuto chissà da dove, e il piccolo principe aveva sorvegliato da vicino questo ramoscello che non assomigliava a nessun altro ramoscello. 
Poteva essere una nuova specie di baobab. 
Ma l'arbusto cessò presto di crescere e cominciò a preparare un fiore. 
Il piccolo principe che assisteva alla formazione di un bocciolo enorme, sentiva che ne sarebbe uscita un'apparizione miracolosa, ma il fiore non smetteva più di prepararsi ad essere bello, al riparo della sua camera verde. Sceglieva con cura i suoi colori, si vestiva lentamente, aggiustava i suoi petali ad uno ad uno. 
Non voleva uscire sgualcito come un papavero. 
Non voleva apparire che nel pieno splendore della sua bellezza. Eh, si, c'era una gran civetteria in tutto questo! La sua misteriosa toeletta era durata giorni e giorni. 
E poi, ecco che un mattino, proprio all'ora del levar del sole, si era mostrato. 
E lui, che aveva lavorato con tanta precisione, disse sbadigliando: "Ah! mi sveglio ora. Ti chiedo scusa... sono ancora tutto spettinato..." Il piccolo principe allora non potè frenare la sua ammirazione: "Come sei bello !"

- Antoine de Saint-Exupéry -
(Il piccolo principe, capitolo VIII)


"Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi, alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. 
Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore…"

- Antoine De Saint Exupèry -



Buona giornata a tutti.:-)



sabato 22 giugno 2024

Preghiera al SS Sacramento

 

O Verbo annichilito nell'Incarnazione, 
più annichilito ancora nell'Eucaristia,
vi adoriamo sotto i veli che nascondono la vostra divinità
e la vostra umanità nell'adorabile Sacramento.
In questo stato dunque vi ha ridotto il vostro amore!
Sacrificio perpetuo, vittima continuamente immolata per noi,
Ostia di lode, di ringraziamento, di propiziazione!
Gesù nostro mediatore, fedele compagno, dolce amico,
medico caritatevole, tenero consolatore, 

pane vivo disceso dal cielo,
cibo delle anime. 

Voi siete il tutto per i vostri figli!
A tant'amore però molti non corrispondono 

che con la bestemmia
e con le profanazioni; molti con l'indifferenza e la tiepidezza,
ben pochi con gratitudine ed amore.
Perdono, o Gesù, per quelli che vi oltraggiano! 
Perdono per la moltitudine degli indifferenti e degli ingrati!
Perdono altresì per l'incostanza, l'imperfezione,
la fiacchezza di quelli che vi amano!
Gradite il loro amore quantunque languido, 
ed accendetelo di più ogni dì;
illuminate le anime che non vi conoscono 

ed ammollite la durezza dei cuori
che vi resistono. 

Fatevi amare sulla terra, o Dio nascosto;
lasciatevi vedere e possedere nel Cielo! Amen.




Il Signore è la forza del suo popolo 
e rifugio di salvezza per il suo Cristo. 
Salva il tuo popolo, Signore, 
benedici la tua eredità, 
e sii la sua guida per sempre.




"Gesù sapeva benissimo che sarebbe stato conservato nei Tabernacoli anche solitari, senza contorno nella notte, all'infuori di una fiammella che le leggi della Chiesa esigono. 
Sapeva benissimo che anche nel giorno, secondo il variare della densità di fede nei tempi, cristiani sarebbero andati e non andati a rendere adorazione alla sua ineffabile Presenza, lo sapeva. 
Forse qualcheduno di noi avrebbe potuto obbiettargli: "Signore, fa' in modo di essere presente quando c'è gente che Ti adora, altrimenti è inutile". 
Inutile? No. 
Le Chiese possono essere vuote, ma Cristo nel tabernacolo non è inutile, perché l'Eucarestia, sia attraverso il Sacrificio – del quale oggi non parlo – sia attraverso il Sacramento permanente, è una fonte di forza, di grazia, di benedizione, di salvezza incessante. 
Ricordiamoci che è di lì che si germinano i vergini e le vergini, è di lì che sorgono i fondatori, è di lì che resistono i combattenti, è di lì forse che attraverso una vita apparentemente lontana da Dio si prepara la finale di salvezza nella sua misericordia, ma la si prepara attraverso questa Presenza, che appare a noi silenziosa e inerte, e non è né silenziosa né inerte. 
Non dobbiamo compiangere la solitudine che spesso è intorno ai Tabernacoli e che è sempre da condannarsi. 
Dobbiamo rimpiangere, dico rimpiangere e a piena ragione, coloro che si dimenticano che Gesù Cristo sta lì ad attenderli, come Egli, narrando la parabola del figliol prodigo, pone per tanto tempo immobile sulla soglia di casa il padre che non si stanca di aspettare il figlio, il quale alla fine ritorna ed è accolto come figlio, non come servo"

- Card. Giuseppe Siri - 



“Nostro Signore non scende dal cielo tutti i giorni per stare in una pisside d’oro. 
Si tratta di trovare un altro cielo che è infinitamente più amato da Lui, il cielo delle nostre anime, creato a sua immagine, i templi vivi dell’adorabile Trinità”.

- Santa Teresa di Lisieux - 



Buona giornata a tutti.:-)


venerdì 21 giugno 2024

Morte di San Luigi Gonzaga, Patrono della Purezza.

«- Allora, cosa faremo, Fra' Luigi?
chiese il Padre Provinciale, entrando nella camera del malato.
- Ce ne stiamo andando, Padre.
- Dove?
- In Cielo... Se non me lo impediscono i miei peccati, spero, con la misericordia di Dio, di andar là.
Questa era la disposizione d'animo del giovane novizio della Compagnia di Gesù, che aveva forzosamente interrotto i suoi studi di teologia a causa di una grave malattia che da tre mesi lo costringeva a letto. Otto giorni prima, aveva predetto che questi sarebbero stati per lui gli ultimi.
Già al mattino aveva chiesto il Viatico, che gli fu portato solo nel pomeriggio, perché lo ritenevano ancora in salute. Trascorse il giorno con atti di fede, suppliche e adorazione. I padri gesuiti non si davano per vinti di perdere il santo fratello, e tentavano di persuaderlo che la sua ora non era ancora arrivata. Egli, inflessibile, rispondeva:
- Morirò questa notte. Morirò questa notte.
Padri e novizi di tutte le case, avendo saputo della predizione della sua morte, accorsero per accomiatarsi da lui, raccomandarsi alle sue preghiere e chiedere i suoi ultimi consigli. La malattia gli aveva minato la salute del corpo, ma l'anima cresceva in santità ad ogni momento che passava. Così, ascoltava tutti con affetto, promettendo di ricordarsi di loro una volta salito al Cielo.
Giunta la sera il Padre Rettore, vedendo che Luigi parlava ancora con facilità, concluse che non sarebbe morto quella notte e diede ordine ai fratelli di andare a dormire. Rimasero nella stanza soltanto due sacerdoti per aiutare l'infermo, oltre al suo confessore, San Roberto Bellarmino.
Luigi non nascondeva la sua profonda gioia: andare in Cielo, unirsi definitivamente con Dio era quello che più aveva desiderato durante la sua breve vita!
Passato un po' di tempo, disse al confessore:
- Padre, può fare l'orazione funebre.
Il sacerdote la fece subito, con molta partecipazione e devozione. Raccolto, calmo e fiducioso, Luigi attendeva il momento supremo, il quale non tardò ad arrivare: verso le otto di sera, con gli occhi fissi sul crocifisso che teneva stretto tra le mani, entrò serenamente nei terribili dolori dell'agonia. Nessun gemito gli uscì dalle labbra, il suo sguardo non si allontanò neppure per un istante da Colui che tanto aveva sofferto per noi sulla Croce. Pronunciando il Santissimo Nome di Gesù, consegnò la sua anima a Dio nella pace più completa.»


Preghiamo.
O Dio, distributore dei doni celesti, che nell'angelico giovane Luigi unisti mirabile innocenza di vita a pari penitenza; per i suoi meriti e per le sue preghiere concedici che, non avendolo seguito nell'innocenza, lo imitiamo almeno nella penitenza.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.
 


 21 giugno, San Luigi Gonzaga

Nell’autunno del 1585 a Castiglione delle Stiviere e dintorni, fino a Mantova, girava una strana voce: Luigi, il nobile rampollo primogenito del signore della città Ferrante Gonzaga, così bravo e così promettente per il futuro della dinastia, stava per rinunciare al diritto di successione, in favore di Rodolfo, il secondogenito. Era vera la voce? Purtroppo sì, ma molti sudditi speravano di no. E invece, un brutto giorno nel castello di San Giorgio, a Mantova, ebbe proprio luogo la solenne cerimonia della rinuncia alla primogenitura. Grande fu il dolore della popolazione semplice, che già lo stimava.
Dicevano infatti: “Non eravamo degni d’averlo per padrone... egli è un santo e Dio ce lo ha tolto”.
Grande dolore (mista a delusione e... rabbia) da parte del padre: aveva posto tutta la propria fiducia e il futuro della propria casata in quel ragazzo... che ora voleva andarsene, per inseguire i suoi strani ideali, abbandonando tutto, potere e lusso, onori e ricchezze, ambizione e gloria. Non riusciva ancora a capire, e tanto meno ad accettare. Comprensibile invece la gioia di Rodolfo, il soggetto privilegiato dalla decisione: d’improvviso e senza colpo ferire si vedeva spalancata la porta che tanto sognava: diventare marchese e signore di Castiglione delle Stiviere, con annessi diritti e connessi privilegi. E questo grazie a quello “strano” fratello, Luigi, che una volta gli rispose essere lui stesso quello più felice. Per inciso: la storia ci dirà che dopo non molti anni l’uno finirà sugli altari (fu dichiarato Beato nel 1605 dal Papa Paolo V), l’altro invece consumerà i suoi giorni scomunicato e infine assassinato.
Per la verità, si era levata anche qualche voce critica verso quella decisione. Ma Luigi aveva risposto:
“Cerco la salvezza, cercatela anche voi! Non si può servire a due padroni... È troppo difficile salvarsi per un signore di Stato!”.
E molti capirono il messaggio.
Luigi, quando prese questa decisione, aveva 17 anni. E così, il 4 novembre 1585, si incamminò verso Roma, dove sarebbe entrato nella giovane Compagnia di Gesù (i Gesuiti). Con sé portava una lettera del padre al Superiore Generale dell’Ordine:
“Lo mando a Vostra Signoria Rev.ma che gli sarà Padre più utile di me... Ella diviene padrone del più caro pegno che io abbia al mondo e della principale speranza che io avessi nella conservazione di questa mia casa”.
Questo ci dà la misura della grandissima stima e aspettative da parte di tutti, di cui godeva Luigi Gonzaga, e, date le sue doti, del brillante avvenire che tutti sognavano per lui.
Grande stima, ammirazione e aspettative lo accompagneranno in quei pochi anni che visse da gesuita.
Dopo la sua morte il padre Generale testimoniò:
“Io non pensai mai che dovesse morire di quella infermità, perché ritenevo per certo che Dio Nostro Signore l’avesse chiamato alla Compagnia di Gesù per dargli a suo tempo il governo di lei, per suo gran bene”.
Un’aspettativa non certo da poco: lo vedeva già, a suo tempo, superiore generale ovvero successore del grande Ignazio di Loyola, il fondatore stesso dei Gesuiti.

Nelle corti, per “aprire gli occhi”
Luigi nacque il 7 marzo 1568, figlio di Ferrante Gonzaga, marchese di Castiglione delle Stiviere (presso Mantova), un uomo orgoglioso e duro, dedito al gioco ma anche attaccato alla famiglia ed alla fede, e da Marta di Sàntena, una contessa piemontese, donna molto buona e religiosa che lascerà una profonda influenza sul figlio. Luigi era di intelligenza brillante e aperta, dal carattere forte e focoso, talvolta ostinato e duro. Una volta fu udito affermare: “Sono un pezzo di ferro contorto che deve essere raddrizzato”. Aveva il destino già segnato: diventare marchese imperiale come il padre. E così fin da bambino fu gradualmente fatto entrare in quel mondo nobile e dorato, spesso corrotto e corruttore, dove non di rado regnava il culto dell’effimero e dell’apparenza, il tutto condito di banalità e vanità. Luigi, ancora fanciullo, conobbe la vita di corte di Firenze (1578, con i Medici) dove ebbe la possibilità di giocare con le principessine Eleonora (futura duchessa di Mantova) e con Maria de’ Medici (futura regina di Francia), a Mantova e poi anche a Madrid, alla corte di Filippo II (1582).
Fu all’età di dieci anni che Luigi, nella chiesa dell’Annunziata proprio a Firenze, si offrì a Dio, e spontaneamente “si consacrò a Maria, come Lei si era consacrata a Dio”. Capiva quello che faceva? Certamente, giudicando dalla vita che condusse dopo: intuiva bene il significato del gesto e fu sempre coerente con esso. Intanto cresceva sempre più non solo il gusto della preghiera e della meditazione ma anche una certa insofferenza per quel mondo circostante ricco e gaudente, frivolo e futile nonché, spesso, spiritualmente vuoto.
Luigi si era proposto come ideale di seguire Cristo incondizionatamente e per amore suo anche la povertà. Da Firenze passò a Mantova, e qui si ammalò. I medici gli ordinarono una dieta durissima, a pane e acqua. Luigi approfittò della situazione per imparare volontariamente a... fare penitenza, per amore a Cristo Crocifisso. Qui poi ebbe la consolazione di fare la prima comunione dalle mani del Card. Carlo Borromeo (San), in visita pastorale.
Intanto il mondo di corte gli stava sempre più stretto, ne intuiva i limiti umani e spirituali, e anche i pericoli per sé, e così a poco a poco stava maturando il proposito di rinunciare alla primogenitura. Ne parlò prima alla madre, poi dovette sopportare le burla dei parenti e la inevitabile quanto comprensibile violenta opposizione del padre. Questi era fiero di Luigi: ne voleva fare un grande erede e la fortuna del marchesato. Le premesse di intelligenza, cultura e capacità diplomatiche c’erano (cose che mancavano al fratello). Ferrante Gonzaga era furioso solo alla prospettiva della rinuncia.
Tornati da Madrid (1584) ordinò ai due figli di fare un giro di cortesia per le varie corti italiane. L’obiettivo ufficiale era “distrarre” un po’ Luigi, con un’altra vita di corte magari più brillante, e, secondo motivo nemmeno troppo segreto, la speranza che incrociasse gli sguardi e suscitasse l’interesse di qualche bella principessa di sangue blu. Il ragazzo fu quindi spedito a Mantova, a Parma, a Ferrara, a Pavia e a Torino, fresca capitale (dal 1563) dei Savoia.
Ma Luigi al ritorno, anche davanti a tutto il parentado, fu irremovibile nel suo proposito: rinuncia al marchesato per farsi religioso gesuita. A quel punto pensarono, tristemente sospirando, che la vocazione di quel ragazzo così intelligente e riflessivo, così calmo ma deciso, veniva proprio da Dio, e non era un capriccio adolescenziale. E si rassegnarono.

Il motto: “Come gli altri”, cioè senza privilegi
Luigi entrò nella Compagnia di Gesù nell’anno 1587, a Roma, dopo il noviziato. Durante questo periodo i padri Gesuiti si accorsero subito di avere tra le mani un vero gioiello spirituale. Non solo non aveva bisogno di tutti i discorsi di stampo ascetico, ma il loro problema era di moderare ed equilibrare l’ardore penitenziale che era già patrimonio spirituale del soggetto che dovevano formare. E si crearono anche situazioni al limite dell’umorismo. Luigi era così abituato alla penitenza e all’autocontrollo ascetico che i suoi formatori non trovarono di meglio che proibirgli di... fare penitenza. Con il risultato che per lui la vera penitenza era non fare penitenza.
E siccome soffriva di emicrania il padre spirituale gli consigliò di non pensare troppo intensamente a Dio, con il risultato che doveva sforzarsi maggiormente per obbedire... di non pensare a Dio, per amore di Dio. Confidava ad un suo formatore anziano:
“Veramente io non so che fare. Il padre rettore mi proibisce di fare orazione, acciò che con l’attenzione io non faccia violenza alla testa: ed io maggior forza e violenza mi fo, mentre cerco di distraèr la mente da Dio che io tenerla sempre raccolta in Dio, perché questo già per l’uso mi è quasi diventato connaturale, e vi trovo quiete e riposo e non pena”.
Dio gli era così presente che giunse a pregare: “Allontanati da me, Signore”. Non so quanti santi hanno osato pregare così, escludendo San Pietro, ma questi aveva detto le stesse parole per altri ben noti motivi.
Luigi era già impegnato negli studi di teologia quando sulla città di Roma si abbatté un’immane tragedia: prima la siccità, poi la carestia, infine un’epidemia di tifo. Nell’opera di assistenza che i Gesuiti prestarono, fu presente anche lui: sempre a fianco dei malati, specialmente i più ripugnanti e i moribondi. Girava anche per i palazzi dei nobili a chiedere l’elemosina per quei poveracci. Lo faceva seguendo, lui di sangue nobile, il motto: “Come gli altri”, dimenticando cioè tutti i privilegi. Questo coraggio e questa forza, anche fisica, sentiva che gli veniva da Dio stesso e dal Cristo che lui serviva nei sofferenti. Fino a quando raccolse un moribondo, malato di peste, e se lo caricò sulle spalle per portarlo all’ospedale. Probabilmente fu contagiato proprio in quella circostanza.
La sua fine comunque arrivò velocemente ma non inaspettatamente. All’incontro con Dio era preparatissimo e anche la morte non gli faceva paura tanto che a tutti diceva “Me ne vado felice” e alla stessa madre, nell’ultima lettera, raccomandava di non piangere il proprio figlio come morto ma come vivente e per sempre felice davanti a Dio. Il giorno della sua nascita al cielo fu il 21 giugno 1591, assistito da San Roberto Bellarmino, uno dei grandi Gesuiti della prima ora. Luigi Gonzaga fu un martire non della fede (anche se ne aveva tanta) ma della carità, fino a donare la propria vita per il prossimo
Come si vede da questi piccoli tratti, qui la stoffa del giovane santo, secondo tutti i canoni della santità cristiana, è facilmente riconoscibile e proponibile. Invece non fu così.
Nel clima anticlericale dell’800 (e anche del primo ’900) la sua santità non solo non fu riconosciuta ma fu ostacolata. In un certo senso ha fatto testo la frase del Gioberti (1801-1852) che aveva scritto essere la santità del Gonzaga “inutile e dannosa a imitarsi”. Invece, escludendo alcuni elementi (forse un po’ esagerati) propri del suo carattere e del tempo in cui visse, i tratti salienti della sua santità hanno un grande valore e sono proponibile anche ai giovani di oggi, così bisognosi di veri e sostanziosi modelli da imitare, e non di effimeri, superficiali e piccoli “eroi” creati ad hoc dall’onnipotente circo mediatico e commerciale.

Autore: Mario Scudu


Dalla LETTERA ALLA MADRE

Io invoco su di te, mia Signora, il dono dello Spirito Santo e consolazioni senza fine. Quando mi hanno portato la tua lettera, mi trovavo ancora in questa regione di morti. Ma facciamoci animo e puntiamo le nostre aspirazioni verso il cielo dove loderemo Dio eterno nella terra dei viventi...
La carità consiste, come dice San Paolo, nel “rallegrarsi con quelli che sono nella gioia e nel piangere con quelli che sono nel pianto”. Perciò, madre illustrissima, devi gioire grandemente perché per merito tuo, Dio mi indica la vera felicità e mi libera dal timore di perderlo.
Ti confiderò, o illustrissima signora, che meditando le bontà divine, mare senza fondo e senza confini, la mia mente si smarrisce. Non riesco a capacitarmi come il Signore guardi alla mia piccola e breve fatica e mi premi con il riposo eterno e dal cielo mi inviti a quella felicità che io fino ad ora ho cercato con negligenza e offra a me, che assai poche lacrime ho sparso per esso, quel tesoro che è il coronamento di grandi fatiche e pianto.
O illustrissima Signora, guardati dall’offendere l’infinita bontà divina, piangendo come morto chi vive al cospetto di Dio e che con la sua intercessione può venire incontro alle tue necessità molto più che in questa vita.
La separazione non sarà lunga. Ci rivedremo in cielo e insieme uniti all’autore della nostra salvezza, godremo gioie immortali, lodandolo con tutta la capacità dell’anima e cantando senza fine le sue grazie. Egli ci toglie quello che prima ci aveva dato solo per riporlo in un luogo più sicuro ed inviolabile e per ornarci di quei beni che noi stessi sceglieremo.
Ho detto queste cose solo per obbedire al mio ardente desiderio che tu, o illustrissima signora e tutta la famiglia, consideriate la mia partenza come un evento gioioso. E tu continua ad assistermi con la tua materna benedizione, mentre sono in mare verso il porto di tutte le mie speranze. Ho preferito scriverti perché niente mi è rimasto con cui manifestarti in modo più chiaro l’amore ed il rispetto che, come figlio, devo alla mia madre.

PREGHIERA di Papa Giovanni Paolo II, santo

San Luigi, povero in spirito a te con fiducia ci rivolgiamo benedicendo il Padre celeste perché in te ci ha offerto una prova eloquente del suo amore misericordioso. Umile e confidente adoratore dei disegni del Cuore divino, ti sei spogliato sin da adolescente di ogni onore mondano e di ogni terrena fortuna. Hai rivestito il cilizio della perfetta castità, hai percorso la strada dell’obbedienza, ti sei fatto povero per servire Iddio, tutto a lui offrendo per amore.
Tu, puro di cuore, rendici liberi da ogni mondana schiavitù. Non permettere che i giovani cadano vittime dell’odio e della violenza; non lasciare che essi cedano alle lusinghe di facili e fallaci miraggi edonistici. Aiutali a liberarsi da ogni sentimento torbido, difendili dall’egoismo che acceca, salvali dal potere del Maligno.
Rendili testimoni della purezza del cuore.
Tu eroico apostolo della carità ottienici il dono della divina misericordia che smuova i cuori induriti dall’egoismo e tenga desto in ciascuno l’anelito verso la santità.
Fa’ che anche l’odierna generazione abbia il coraggio di andare contro corrente, quando si tratta di spendere la vita, per costruire il Regno di Cristo.
Sappia anch’essa condividere la tua stessa passione per l’uomo, riconoscendo in lui, chiunque egli sia, la divina presenza di Cristo.
Con te invochiamo Maria, la Madre del Redentore.
A lei affidiamo l’anima e il corpo, ogni miseria ed angustia, la vita e la morte, perché tutto in noi, come avvenne in te, si compia a gloria di Dio, che vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.


Buona giornata a tutti :-)





giovedì 20 giugno 2024

I dieci ladri della tua energia - Dalai Lama

1- Lascia andare le persone che solo condividono lamentele, problemi, storie disastrose, paura e giudizio sugli altri. Se qualcuno cerca un cestino per buttare la sua immondizia, fa sì che non sia la tua mente.

2- Paga i tuoi debiti in tempo. Nel contempo fai pagare a chi ti deve o scegli di lasciarlo andare, se ormai non lo può fare.

3- Mantieni le tue promesse. Se non l'hai fatto, domandati perché fai fatica. Hai sempre il diritto di cambiare opinione, scusarti, compensare, rinegoziare e offrire un'alternativa ad una promessa non mantenuta; ma non farlo diventare un'abitudine. Il modo più semplice di evitare di non fare una cosa che prometti di fare e dire NO subito.

4- Elimina nel possibile e delega i compiti che preferisci non fare e dedica il tuo tempo a fare quelli che ti piacciono.

5- Permettiti di riposare quando ti serve e dati il permesso di agire se hai un'occasione buona.

6- Butta, raccogli e organizza, niente ti prende più energia di uno spazio disordinato e pieno di cose del passato che ormai non ti servono più.

7- Dà priorità alla tua salute, senza il macchinario del tuo corpo lavorando al massimo, non puoi fare molto. Fai delle pause.

8- Affronta le situazioni tossiche che stai tollerando, da riscattare un amico o un famigliare, fino a tollerare azioni negative di un compagno o un gruppo; prendi l'azione necessaria.

9- Accetta. Non per rassegnazione, ma niente ti fa perdere più energia di litigare con una situazione che non puoi cambiare.

10-Perdona, lascia andare una situazione che è causa di dolore, puoi sempre scegliere di lasciare il dolore del ricordo.

- Dalai Lama -


 Perché ci sono certi esseri il cui acume, la cui lucidità e chiarezza mentale aumentano ogni giorno, mentre in altri, al contrario, diminuiscono?

Perché i primi sono legati all'Intelligenza universale, credono in essa, la amano, e a poco a poco essa si rivela a loro poiché è attirata da quell'amore. Gli altri, invece, che non riconoscono la sua esistenza, si precludono il cammino dell'evoluzione; sono concentrati solo sulla propria intelligenza, ma siccome questa vive delle proprie riserve, dopo un certo tempo si esaurisce.

Tutti coloro che rifiutano e negano l'Intelligenza cosmica limitano le proprie facoltà mentali. Ora, ciascuno può scegliere: o il cammino di tutti gli scienziati e i filosofi materialisti, oppure il cammino degli Iniziati e dei grandi Maestri, i quali ogni giorno ricevono delle rivelazioni, perché attingono incessantemente all'oceano infinito dell'Intelligenza cosmica.

 - Omraam Mikhaël Aïvanhov - 


Buona giornata a tutti :-)

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martedì 18 giugno 2024

Che burlone Dio che affida l’annuncio del Regno a persone balbuzienti, come Mosè! - Paolo Curtaz

Il prezioso tesoro del Regno di Dio è affidato alle nostre fragili mani, come vasi di creta.

E questo suscita ancora stupore, come lo stupore dell’incredulità dei concittadini che non riconoscono nel figlio di Giuseppe l’atteso e lo stupore del Maestro davanti alla durezza dei loro e dei nostri cuori.

Che burlone Dio che affida l’annuncio del Regno a persone balbuzienti, come Mosè!

Come Amos, ognuno di noi è strappato alla sua quotidianità per diventare profeta, per contrapporsi al profeta di corte, Amasia, pagato per applaudire alle opere del re Geroboamo.
Come i discepoli, Gesù invia tutti a noi a preparargli la strada, ad annunciare il vangelo.
Siamo mandati a preparare la venuta del Signore, non a sostituirlo, a testimoniare la sua presenza attraverso la nostra esperienza.
La Chiesa è sempre e solo preparazione all’ incontro con Dio, è a totale servizio del Regno, lo accoglie e, per quanto riesce, lo realizza.
Non siamo inviati a vendere un prodotto, ma ad annunciare e a suscitare una salvezza: la nostra.
Vedendo che viviamo da salvati, uomini e donne in cerca di risposte e di speranza si interrogano e richiedono ragione della speranza che è in noi.

Marco pone delle condizioni all’annuncio, una sintesi per ricordare ai discepoli con quale stile sono chiamati ad annunciare il Regno. 
I discepoli sono mandati ad annunciare il Regno a due a due. 
Non esistono navigatori solitari tra i credenti, tutta la credibilità dell’annuncio si gioca sulla sfida del poter costruire comunità. 

Al geniale guru solitario Gesù preferisce il faticoso percorso della condivisione fra anime: è l’amore che abbiamo fra di noi che annuncia, non la dialettica spettacolare.

Parlare della comunità in termini astratti è bello e poetico; vivere nella propria comunità, concreta con quel membro del gruppo, con quel viceparroco, con quel cantore, è un altro affare. 

Le piccinerie che emergono dagli ambienti vaticani ancora ci ricordano che è la comunione a rendere testimonianza della verità delle nostra parole. No, non mi scandalizzo delle manovre vaticane, finché non riesco a superare quelle della mia parrocchia.

Gesù ci tiene alla scommessa della convivenza, fatta per amore al Vangelo, pone quel a due a due come condizione prioritaria all’annuncio. 

Al di sopra delle simpatie e dei caratteri, Gesù ci invita ad andare all’ essenziale, a non fermarci alle sensazioni di pelle, a credere che la testimonianza della comunione, nonostante noi, può davvero spalancare i cuori.
La Chiesa non è il club dei bravi ragazzi, non ci siamo scelti, Gesù ci ha scelto per avere potere sugli spiriti immondi. 
La Parola che professiamo e viviamo caccia la monnezza dai cuori, la parte tenebrosa che ci abita.
Fare comunione pone un limite alle ombre che abitano in ciascuno di noi: senza eliminarle, la luce che porta il vangelo ci illumina e, così facendo, ci rende luminosi gli uni per gli altri.
(Paolo Curtaz)


“Il dolore è una componente della finitezza delle creature. Un dato che nella nostra società orgogliosa e tecnologica, che qualcuno ha definito “post-mortale”, non si vuole accettare. Si occulta in tutti i modi la morte, o magari si insegue la possibilità di vivere fino a 120 o 130 anni, continuando ad allontanare l’appuntamento. Dobbiamo invece avere il coraggio di guardare in faccia malattia e morte come componenti dell’esistenza”. 

- Gianfranco Ravasi -

 cardinale della Chiesa Cattolica, biblista, teologo, ebraista ed archeologo





Se non puoi essere un pino sul monte,
sii una saggina nella valle,
ma sii la migliore, piccola saggina sulla sponda del ruscello.
Se non puoi essere un albero, sii un cespuglio.
Se non puoi essere un’autostrada, sii un sentiero.
Se non puoi essere il sole, sii una stella.
Sii sempre il meglio di ciò che sei.
Cerca di scoprire il disegno che sei chiamato ad essere;
poi mettiti con passione a realizzarlo nella vita.

(Martin Luter King)


Martin Luther King Jr. (Atlanta, 15 gennaio 1929 –Memphis, 4 aprile 1968)
E' stato un politico, attivista e pastore protestante statunitense, leader dei diritti civili.
È stato il più giovane Premio Nobel per la pace della storia, riconoscimento conferitogli nel 1964 all'età di soli trentacinque anni.
Riconosciuto apostolo instancabile della resistenza non violenta, eroe e paladino dei reietti e degli emarginati, "redentore dalla faccia nera", King venne colpito da un colpo di fucile di precisione alla testa mentre era sul balcone del motel di Memphis. Trasportato al St. Joseph's Hospital, i medici constatarono un irreparabile danno cerebrale, la sua morte venne annunciata alle 19:05 del 4 aprile 1968. Sull’assassinio non è mai stata fatta chiarezza.

Buona giornata a tutti :-)