martedì 28 febbraio 2023

L'autobus di Rosa Parks, 1° dicembre 1955

Rosa Parks (1913 - 2005) è stata un’attivista statunitense afroamericana, 
figura-simbolo del movimento per i diritti civili, famosa per aver rifiutato nel 1955 di cedere il posto su un autobus ad un bianco, dando così origine alla clamorosa protesta chiamata "boicottaggio degli autobus di Montgomery".

Il primo dicembre del 1955 James Blake, un autista di autobus di Montgomery, in Alabama, si avvicinò a Rosa Parks, una donna nera di 42 anni, sarta, e le ordinò di alzarsi per fare posto a un passeggero bianco.

Erano i tempi della segregazione razziale e i primi posti degli autobus erano riservati ai bianchi.
I neri dovevano sedersi nella zona posteriore e poi in quella centrale, se i posti non erano occupati da bianchi. Altrimenti si dovevano alzare, cedere il posto, spostarsi nella zona posteriore dell’autobus e, se questo era pieno, scendere.

Quel giorno Rosa Parks stava tornando a casa e, poiché l'unico posto a sedere libero era nella parte anteriore del mezzo, quella riservata ai bianchi, andò a sedersi lì. 

Poco dopo salirono sull’autobus alcuni passeggeri bianchi, al che il conducente James Blake ordinò a lei e ad altre quattro persone di colore di alzarsi e andare nella parte riservata ai neri. Rosa Parks, stanca di essere trattata come una cittadina di seconda classe, non si mosse, contrariamente agli altri.
L’autista fermò l’automezzo e chiamò la polizia, che arrestò Rosa Parks per condotta impropria e violazione delle norme cittadine. Il 5 dicembre venne condannata per disordini e multata di 10 dollari più 4 dollari di spese processuali.

In breve tempo Rosa Parks divenne un’icona dei diritti civili e il suo rifiuto diede origine al boicottaggio degli autobus di Montgomery da parte della comunità afroamericana, guidata dall’allora sconosciuto pastore protestante Martin Luther King.
Gli organizzatori chiedevano che i passeggeri neri venissero trattati come i bianchi, che potessero sedersi nelle file centrali degli autobus senza dover cedere il proprio posto ai bianchi e che venissero assunti anche autisti neri.

Il boicottaggio durò 381 giorni e assunse proporzioni sempre più vaste man mano che la notizia si diffuse.

La protesta terminò il 20 dicembre del 1956 dopo l’entrata in vigore di una legge federale che dichiarava incostituzionale la segregazione razziale sugli autobus pubblici dell’Alabama. Quel giorno, all’arrivo del primo autobus in città, salirono insieme Rosa Parks, Martin Luther King e il futuro presidente degli Stati Uniti Richard Nixon.                                                                                                                  



























Il poliziotto D. H. Lackey e Rosa Parks durante un arresto, 22 febbraio 1956

Rosa Parks continuò a contribuire alla causa per il riconoscimento dei diritti civili nonostante venisse costretta a cambiare città e stato, trasferendosi a Detroit, incapace di ottenere un altro lavoro e divenendo anche oggetto di minacce di morte.  Simbolo da tutti riconosciuto di questo torvo capitolo della storia statunitense, nel 1999 si vide attribuire la Medaglia d’oro dal Congresso. Si è spenta nel 2005.








«La lotta per i diritti civili, in questo paese, è stata più dura e più costosa del ponte aereo di Berlino». 

- Robert Kennedy, 1968 -

Detta in quegli anni, la frase suonava come la conferma solenne di un impegno. È toccato infatti a John Kennedy, presidente, e a Robert Kennedy, ministro della Giustizia, fra il 1960 e il 1963, trasformare in legge (il celebre Civil Rights Bill, che ha cambiato l’America) le lotte, le marce, le dimostrazioni, gli scontri fra polizia e dimostranti, gli arresti in massa, la prigione, gli omicidi razzisti. Ed anche la stagione di scontro frontale tra i governatori degli Stati americani del Sud e il governo federale di Washington.


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domenica 26 febbraio 2023

Il miracolo della gamba di Miguel Juan - Enrico Salomi

 Nel 1617, a Calanda, nell’Aragona spagnola, nasce un certo Miguel Juan Pellicer, figlio di contadini e contadino lui stesso, analfabeta, dotato di una fede solida ed essenziale, devoto alla Vergine del Pilar di Saragozza.
Lasciata la famiglia per non pesare sul magro bilancio dei genitori, verso la fine di luglio del 1637, mentre lavora tra i campi, un carro di frumento gli transita su una gamba, proprio sotto il ginocchio, procurandogli la frattura della tibia nella parte centrale.
Tra dolori inenarrabili, vuole andare a Saragozza per mettersi sotto la protezione della Vergine del Pilar.
Cinquanta giorni di viaggio e trecento chilometri sotto la canicola estiva, raccattando passaggi qua e là.
Quando arriva in città, praticamente moribondo, si trascina sui gomiti fin nel santuario e qui si affida alla Vergine:

“pensaci Tu perché sto per morire”.

Con sega e scalpello – gli strumenti del tempo – gli viene amputata la gamba, unica soluzione per salvargli la vita.
Passa un anno prima di uscire dall’ospedale con una gamba di legno, due stampelle e una specie di patentino che gli dava la possibilità di esercitare la “professione” del mendicante.
Tutti i giorni, per due anni e mezzo, davanti alla porta del santuario del Pilar, l’intera Saragozza gli passa accanto, lo vede, si commuove, qualcuno lo aiuta; alla sera, quando il santuario chiude, Miguel Juan si cosparge il moncone della gamba con un po’ di olio consumato dalle lampade del santuario, nonostante che i medici, da cui è visitato periodicamente, lo ammoniscano inutilmente.

Quando lo riconoscono alcuni compaesani che sono a Saragozza per un pellegrinaggio, non potendo più tenere nascosta la sua situazione, Miguel Juan decide di tornare dai genitori a Calanda, circa 100 chilometri a sud di Saragozza. E qui, altro non può fare che riprendere a mendicare.
Il momento fatidico giunge alla sera del 29 marzo del 1640.
E` giovedì. Siamo tra le dieci e le undici di sera.
Miguel Juan cena con i genitori, due vicini di casa e un soldato di cavalleria dell’Esercito Reale, che è di passaggio e a cui era stata data ospitalità.
Miguel Juan, dopo la povera cena, si congeda dalla compagnia e decide di andare a coricarsi. Ripone la protesi di legno e le stampelle, va a dormire nella camera da letto di mamma e papà, perché aveva lasciato il suo giaciglio abituale al soldato. Qualche tempo dopo, la madre entra nella camera e, sentendo un profumo intenso “come di Paradiso”, si accorge che da quel mantello troppo corto che ricopre il figlio addormentato spuntano due piedi.

Giunge il padre, richiamato dalla donna. In principio pensano che si tratti del soldato che ha sbagliato stanza, ma, sollevando la coperta e guardando meglio, scoprono che quella persona è proprio il loro figlio.
Miguel Juan, il mutilato, dorme profondamente, ma ha riattaccata quella gamba che, due anni e cinque mesi prima, gli era stata amputata. E non si tratta di una gamba qualsiasi, ma proprio della sua, con tutte le caratteristiche e le cicatrici del suo arto e con un circolino rosso nel punto in cui era avvenuta l’amputazione. Svegliano il figlio. Stava sognando – dirà Miguel Juan – di essere a Saragozza nella cappella della Vergine del Pilar e che si ungeva la gamba segata con l’olio di una lampada, come era uso fare quando era in quel santuario.

Un miracolo straordinario, quello di un arto amputato improvvisamente riattaccato, che solo Dio, l’autore e il padrone delle leggi della natura può compiere. Se il fatto è vero, allora la conclusione si impone: Dio esiste.
Ma ci vogliono le prove. Le prove ci sono, eccome. E sono tante, tutte concordi, ben fondate, ottimamente documentate, al punto che Messori si spinge a dire: “dovrebbe dubitare di tutta quanta la storia umana, compresi i fatti più certi perché più attestati, chi rifiutasse la verità di quanto successo a Calanda quella sera di marzo della settimana di Passione del 1640”.
Vediamole in sintesi.

II miracolo viene attestato solo sessanta ore dopo da tutte le autorità locali: il vicario parrocchiale don Jusepe Herrero, il justicia (il giudice e insieme il responsabile dell’ordine pubblico) Martin Corellano, il sindaco Miguel Escobedo, il suo vice Martin Galindo e, soprattutto, il notaio reale Lazaro Macario Gomez.
In pochissimi giorni viene istituito un processo pubblico in cui sfilano decine e decine di testimoni oculari, nel frattempo, viene visitato il luogo dove era stata sepolta dai medici la gamba amputata, ma viene trovato vuoto (come riportato da un Aviso Historico, un giornale del tempo).
Dopo quasi undici mesi di lavoro e con quattordici sedute pubbliche e plenarie, si pronuncia la sentenza del processo di Saragozza in data 27 aprile 1641: “Perciò affermiamo e dichiariamo che a Miguel Juan Pellicer, contadino di Calanda, fu restituita la gamba che gli era stata amputata due anni e cinque mesi prima; e che non fu un fatto di natura, ma opera mirabile e miracolosa, ottenuta per intercessione della Vergine del Pilar”.
I ventiquattro testimoni oculari, scelti dal tribunale di Saragozza tra innumerevoli possibili, possono essere suddivisi in cinque gruppi.

Cinque sono medici ed infermieri, e tra loro il chirurgo che amputò la gamba e i due sanitari di Calanda che procedettero alla visita immediatamente dopo l’evento. Cinque tra familiari e i vicini di casa. Quattro sono autorità locali di Calanda, sopra ricordate. Quattro sono ecclesiastici, sia di Saragozza che di Calanda. Sei ”vari”, tra cui l’oste, nella cui bettola vicino al Pilar Miguel Juan, storpio, passava la notte quando rimediava quattro soldi di elemosina e un altro oste, di Samper, dal quale aveva alloggiato sulla strada del ritorno a casa.
I testimoni sono scelti per dar conto, sotto giuramento, delle differenti tappe della storia di Miguel Juan Pellicer: la frattura, l’amputazione, la mendicità al Pilar, il ritorno al paese natale, l’evento miracoloso del 29 marzo e i fatti dei giorni successivi. E` così straordinario quanto è accaduto a Calanda, che il giovane contadino Miguel Juan venne ricevuto addirittura dal re Filippo IV, il più orgoglioso sovrano del mondo, il monarca dell’impero dove ”non tramontava mai il sole”.
Il sovrano, dopo aver sentito la sua testimonianza e 1’inequivocabile sequenza di eventi da parte delle più importanti autorità spagnole, si inginocchia davanti al contadino, gli bacia con devozione la cicatrice, rimasta là dove l’arto era stato amputato e poi riattaccato.


Che cosa dire di questa storia, così minuziosamente investigata da Vittorio Messori nel suo libro “Il Miracolo”?
Forse le parole migliori sono quelle che 1’autore adopera, da storico e da giornalista, per concludere la sua opera indagatrice: ”In quelle ”notti oscure” di cui parlano proprio i mistici spagnoli, in quei momenti (inevitabili, fisiologici nella strutture della fede) in cui il dubbio sembra rodere, malgrado ogni accumulo di ”ragioni per credere”; ebbene proprio allora soccorre il ricordo di un campanile che si leva, vigoroso, sul Desierto de Calanda, nella Bassa Aragona.
Una torre che ha l’aspetto di un punto esclamativo: segnala, infatti, almeno un luogo nel mondo dove ”la scommessa sul Vangelo” si scioglie in quella certezza che solo un fatto oggettivo, constatabile, sicuro può garantire.
Lì la cronaca, la storia, sembrano davvero spalancare, all’improvviso, una finestra verso 1’Eterno.” Sì, Dio esiste e a Calanda ha dimostrato che nulla Gli è impossibile. Lì ha deciso intervenire nella ”carnalità” dell’esistenza del giovane contadino Miguel Juan Pellicer, di annullare ciò che era avvenuto per mezzo dell’uomo, di sospendere tutte le leggi della natura, di riparare ciò che era irreparabile.

A Calanda, Dio, attraverso l’intercessione di Maria Vergine, ha voluto lasciare un segno concreto, tangibile, indubitabile.
Per usare le parole dell’arcivescovo di Saragozza ”com’è stato dimostrato con certezza nel processo, il detto Miguel Juan fu visto prima senza una gamba e poi con questa. Quindi non si vede come si possa dubitare di ciò”. Nessun dubbio, dunque: questa gamba riattaccata può essere un grimaldello per fare breccia nello scetticismo dell’uomo postmoderno.

Ma Calanda dice molto anche a certi cattolici, soprattutto a quella intelligenzia la cui fede si vuole adulta e che bolla i miracoli e altre forme di religiosità popolare come favolette superstiziose, adatte per vecchiette e per bigotti.

[Tratto dal mensile Il Timone, articolo di Enrico Salomi]


Buona giornata a tutti :-)




venerdì 24 febbraio 2023

Smetti di dipendere dagli altri - Anthony De Mello

Una volta che smetti di dipendere dagli altri, quando non hai più il bisogno di altre persone - quando ti metti in contatto con questo per la prima volta - è terrificante perché improvvisamente diventi solo. Non solitario, ma solo.

È una strana sensazione. Lo sei sempre stato, ma non l'avevi visto, e all'improvviso ti rendi conto di quanto sia bello essere soli, che bello non aver bisogno degli altri emotivamente e per la prima volta capisci che puoi amare le persone.
Non è più necessario corrompere le persone, non è necessario manipolarle, non è necessario impressionarle. Non hai bisogno di placarli. Finalmente puoi amare.
E per la prima volta nella tua vita, sei incapace di solitudine. Non puoi più essere solo. Sai cosa significa "solitudine"?
È un bisogno disperato delle persone, al punto che sei infelice senza le persone.
La solitudine non è curata dalla compagnia umana. La solitudine è curata dal contatto con la realtà, comprendendo che non hai bisogno delle persone. Finalmente puoi goderti le altre persone perché non ne hai più bisogno.
Non c'è più tensione. Sai cosa vuol dire stare con le persone e non avere tensioni? Perché non te ne frega niente se tu gli piaci o no, non importa cosa pensano di te.
Sai cosa significa? La libertà. Gioia. Possono pensare quello che vogliono, possono dire quello che vogliono. Va tutto bene. Non sei interessato.
Hai eliminato la droga dal tuo sistema.
E oh, sì, sei ancora nel mondo; non ne sei più del mondo. Non possono controllarti più.
E all'improvviso, non hai nessun posto dove rifugiarti. Le volpi hanno i loro buchi, gli uccelli hanno i loro nidi. Ma non ti stai rifugiando da nessuna parte perché non ne hai bisogno. Perché non ti aggrappi più.
Ecco quando inizia l'amore.

- Anthony De Mello -


«I periodi torbidi e avversi in genere portano maggiore beneficio di quelli apparentemente vivi e prosperi. 
Occorre aver pazienza, non esercitare la ragione. 
Bisogna spingere le radici più in profondità, non scuotere i rami.» 

- Hermann Hesse -



C'è stato un momento
in cui mi sono persa.
Ho perso tutto quello che avevo
attaccato alla schiena
i vecchi paradigmi
forme
maschere
vergogna
senso di colpa
costumi
e le regole.
Ho perso ore e orologio
calendario e aspettative
le speranze e le certezze.
Ho perso tutto ciò che era
tutte le inutili attese
tutto quello che avevo cercato
tutto quello per cui avevo camminato
e tutto ciò che è avevo lasciato
sul ciglio della strada.
E così, nel perdere tutto
ho anche perso la paura
la paura di infrangere le regole
e le autocritiche feroci
la paura della morte
e la paura della vita
la paura di perdersi
e la paura di perdere
E completamente nuda
priva della vecchia pelle
ho trovato un cuore
che vibra dentro ogni poro
del mio essere
un profondo tamburo
fatto di argilla
stelle e radici
il suo eco dentro di me
è la voce della Vecchia Donna
Fu allora che ricordai
battito dopo battito
che ero viva
eternamente viva
che ero libera
coraggiosamente libera

Ada Luz Márquez, Hermana Águila
- C’è stato un momento -

Buona giornata a tutti :-)


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giovedì 23 febbraio 2023

Noi vogliamo la pace - Mons. Mario Delpini

Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
Padre nostro,
noi ti preghiamo per confidarti lo strazio della nostra impotenza:
vorremmo la pace e assistiamo a tragedie di guerre interminabili!
Vieni in aiuto alla nostra debolezza,
manda il tuo Spirito di pace in noi, 
nei potenti della terra, 
in tutti.

Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
Padre nostro, 
noi ti preghiamo per invocare l’ostinazione nella fiducia: 
donaci il tuo Spirito di fortezza, 
perché non vogliamo rassegnarci, 
non possiamo permettere che il fratello uccida il fratello,
che le armi distruggano la terra.

Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
Padre nostro, 
noi ti preghiamo per dichiararci disponibili 
per ogni percorso e azione e penitenza 
e parola e sacrificio per la pace.

Dona a tutti il tuo Spirito,
perché converta i cuori, susciti i santi
e convinca uomini e donne a farsi avanti
per essere costruttori di pace, 
figli tuoi.

- Mons. Mario Delpini -

foto IStock


Buona giornata a tutti :-)


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mercoledì 22 febbraio 2023

Ma quando da morte – Padre David Maria Turoldo

 Ma quando da morte passerò alla vita, 
sento già che dovrò darti ragione, Signore,
e come un punto sarà nella memoria
questo mare di giorni.
Allora avrò capito come belli
erano i salmi della sera;
e quanta rugiada spargevi
con delicate mani, la notte, nei prati,
non visto. Mi ricorderò del lichene
che un giorno avevi fatto nascere
sul muro diroccato del Convento,
e sarà come un albero immenso
a coprire le macerie. Allora
riudirò la dolcezza degli squilli mattutini
per cui tanta malinconia sentii
ad ogni incontro con la luce;
allora saprò la pazienza
con cui m'attendevi, a quanto
mi preparavi, con amore, alle nozze.

- Padre David Maria Turoldo -

Fonte: I Salmi




Soltanto nell’amore e nella morte non si può fingere. 
Chi nell’amore cerca di fingere, può illudersi di amare, ma non ama. 
Chi sta morendo non finge più, perché “ciò che diranno gli altri” ormai non lo interessa; egli cessa di pensare “per gli altri” e riflette unicamente “per sé”. L’amore e la morte hanno dunque, davvero, qualcosa in comune, come ritennero molti poeti. Hanno in comune quello stato d’animo di “ebbrezza” per cui l’individuo rinuncia totalmente a voler “apparire ciò che non è”, e quindi comprende l’inutilità di persistere nella finzione e nella vanità di ogni giudizio che non sia fondato sulla pura realtà.

- Ludovico Geymonat -
da “I sentimenti”



Non so dove vanno le persone quando cessano di esistere, ma so dove restano.

- Margaret Mazzantini -


Preghiera per la sera

Grande è il nostro Dio e grande è la sua potenza 
e la sua sapienza infinita.
 

Lodatelo cieli, sole, luna e pianeti,
 
con la lingua che vi è data per lodare il vostro creatore,

È anche tu, anima mia, canta l'onore del Signore ! 
Da lui, in lui e per lui sono tutte le cose: 
A lui lode, onore e gloria di eternità in eternità ! 

Ti rendo grazie, Creatore e signore, 
di avermi dato la gioia di contemplare la tua creazione, 
di ammirare l'opera delle tue mani. 

Cercherò di annunziare agli uomini 
lo splendore delle tue opere 
nella misura in cui il mio spirito finito 
può cogliere l'infinito.


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lunedì 20 febbraio 2023

Mare nostro - Erri De Luca

 Mare nostro che non sei nei cieli
e abbracci i confini dell'isola e del mondo,
sia benedetto il tuo sale,
sia benedetto il tuo fondale.
Accogli le gremite imbarcazioni 
senza una strada sopra le tue onde,
i pescatori usciti nella notte,
le loro reti tra le tue creature,
che tornano al mattino con la pesca
dei naufraghi salvati.
Mare nostro che non sei nei cieli,
all'alba sei colore di frumento,
al tramonto dell'uva di vendemmia,
ti abbiamo seminato di annegati
più di qualunque età delle tempeste.
Tu sei più giusto della terraferma,
pure quando sollevi onde a muraglia
poi le abbassi a tappeto.
Custodisci le vite, le vite cadute
come foglie sul viale,
fai da autunno per loro,
da carezza, da abbraccio e bacio in fronte
di madre e padre prima di partire.

- Erri De Luca -



Va’ ad Ahmedabad

Va’ lungo le strade di Baroda,
va’ ad Ahmedabad,
va’ a respirare la polvere
finché non soffochi e stai male
di una febbre che nessun dottore ha mai sentito.
Non me lo chiedere
perché non ti dirò niente
sulla fame e sul dolore.
(…)
E il dolore è
quando cammino per Ahmedabad
perché questo è il luogo
che ho sempre amato
questo è il luogo
che ho sempre odiato
perché questo è il luogo
dove non mi sento mai a casa
questo è il luogo
dove mi sento sempre a casa.
Il dolore è
quando torno ad Ahmedabad
dopo dieci anni
e capisco per la prima volta
che non sceglierei mai
di viverci. Il dolore è
vivere in America
e non essere capaci
di scrivere neanche una cosa
sull’America. (…)
- Sujata Bhatt –

poetessa indiana, 1988
Traduzione di Andrea Sirotti



Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,
non dimenticare il cibo delle colombe.
Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,
non dimenticare coloro che chiedono la pace.
Mentre paghi la bolletta dell'acqua, pensa agli altri,
coloro che mungono le nuvole.
Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri,
non dimenticare i popoli delle tende.
Mentre dormi contando i pianeti, pensa agli altri,
coloro che non trovano un posto dove dormire.
Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri,
coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.
Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso,
e dì: magari fossi una candela in mezzo al buio.

 -Mahmoud Darwish -

Kazahri al-Lawzi aw Ab'ad 
(come il fiore di mandorlo o più lontano)



Straniero e fratello

Signore
dammi l'amore per il mio tempo,
per la mia terra,
per la mia gente.
Senza l'amore, la cittadinanza è solo diritti e doveri,
la città solo un posto dove vivere,
le istituzioni solo un'autorità,
la politica solo potere e compromesso,
la nazionalità solo una distinzione tra
chi è dentro e chi è fuori,
il vicino una potenziale minaccia,
il più debole solo zavorra,
il lavoro solo soldi.
Aiutami a comprendere che davanti a Te
nessuno è senza permesso di soggiorno.
Tu, che riveli l'uomo all'uomo,
trasforma lo straniero in fratello,
i confini in porte,
le frontiere in abbraccio.




Buona giornata a tutti. :-)



sabato 18 febbraio 2023

Eucaristia e sacramento della Riconciliazione – Papa Benedetto XVI

 Loro nesso intrinseco

Giustamente, i Padri sinodali hanno affermato che l'amore all'Eucaristia porta ad apprezzare sempre più anche il sacramento della Riconciliazione.
A causa del legame tra questi sacramenti, un'autentica catechesi riguardo al senso dell'Eucaristia non può essere disgiunta dalla proposta di un cammino penitenziale (cfr 1 Cor 11,27-29).

Certo, constatiamo come nel nostro tempo i fedeli si trovino immersi in una cultura che tende a cancellare il senso del peccato, favorendo un atteggiamento superficiale, che porta a dimenticare la necessità di essere in grazia di Dio per accostarsi degnamente alla comunione sacramentale .

In realtà, perdere la coscienza del peccato comporta sempre anche una certa superficialità nell'intendere l'amore stesso di Dio. Giova molto ai fedeli richiamare quegli elementi che, all'interno del rito della santa Messa, esplicitano la coscienza del proprio peccato e, contemporaneamente, della misericordia di Dio.

Inoltre, la relazione tra Eucaristia e Riconciliazione ci ricorda che il peccato non è mai una realtà esclusivamente individuale; esso comporta sempre anche una ferita all'interno della comunione ecclesiale, nella quale siamo inseriti grazie al Battesimo. Per questo la Riconciliazione, come dicevano i Padri della Chiesa, è laboriosus quidam baptismus, sottolineando in tal modo che l'esito del cammino di conversione è anche il ristabilimento della piena comunione ecclesiale, che si esprime nel riaccostarsi all'Eucaristia.

Alcune attenzioni pastorali

Il Sinodo ha ricordato che è compito pastorale del Vescovo promuovere nella propria Diocesi un deciso recupero della pedagogia della conversione che nasce dalla Eucaristia e favorire tra i fedeli la confessione frequente. Tutti i sacerdoti si dedichino con generosità, impegno e competenza all' amministrazione del sacramento della Riconciliazione.

 A questo proposito si deve fare attenzione a che i confessionali nelle nostre chiese siano ben visibili ed espressivi del significato di questo Sacramento. Chiedo ai Pastori di vigilare attentamente sulla celebrazione del sacramento della Riconciliazione, limitando la prassi dell'assoluzione generale esclusivamente ai casi previsti, essendo solo quella personale la forma ordinaria. Di fronte alla necessità di riscoprire il perdono sacramentale, in tutte le Diocesi vi sia sempre il Penitenziere.

Infine, alla nuova presa di coscienza della relazione tra Eucaristia e Riconciliazione può essere di valido aiuto una equilibrata ed approfondita prassi dell'indulgenza, lucrata per sé o per i defunti. Con essa si ottiene « la remissione davanti a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa ».

L'uso delle indulgenze ci aiuta a comprendere che con le nostre sole forze non saremmo capaci di riparare al male compiuto e che i peccati di ciascuno recano danno a tutta la comunità; inoltre, la pratica dell'indulgenza, implicando oltre alla dottrina degli infiniti meriti di Cristo anche quella della comunione dei santi, ci dice « quanto intimamente siamo uniti in Cristo gli uni con gli altri e quanto la vita soprannaturale di ciascuno possa giovare agli altri ».Poiché la sua stessa forma prevede, tra le condizioni, l'accostarsi alla confessione e alla comunione sacramentale, la sua pratica può sostenere efficacemente i fedeli nel cammino di conversione e nella scoperta della centralità dell'Eucaristia nella vita cristiana.

BENEDICTUS PP. XVI

Dato a Roma, presso San Pietro, il 22 febbraio 2007, festa della Cattedra di San Pietro Apostolo, secondo del mio Pontificato.


Papa Benedetto XVI a Santiago di Campostela, 6-7 novembre 2010.

"Nel Sacramento dell'altare, il Signore viene incontro all'uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio (cfr Gn 1,27), facendosi suo compagno di viaggio. In questo Sacramento, infatti, il Signore si fa cibo per l'uomo affamato di verità e di libertà".

 (Papa Bendetto  XVI)