mercoledì 31 marzo 2021

Cardinale Joseph Ratzinger - da "In cammino verso Gesù Cristo"

"Qui si innesta una circostanza decisiva, ch’è quella per noi ora interessante: l’acclamazione della folla. 
Infatti la folla, che doveva essere immensa e invasa da un unico sentimento, riconobbe e proclamò Gesù di Nazareth, l’umile profeta, che saliva verso Gerusalemme su quella popolare cavalcatura, senza vittorie militari e politiche, per quello ch’Egli veramente era, quale «Figlio di David», cioè come mandato da Dio, come erede delle secolari speranze del Popolo ebraico, come Colui che veniva a liberare e a salvare la sua gente ed a instaurarne i nuovi destini. 
Autentica l’identificazione della Persona, illusoria tuttavia l’interpretazione del regno: non si trattava più del regno terrestre di David, ma del «regno dei cieli» (Ev. Matth.), del «regno di Dio», predicato da Cristo nel Vangelo. 
Sulla croce di Gesù però lo scritto di Pilato, in tre lingue, che enunciava il motivo della condanna del Signore a quel supplizio spietato, dirà ancora l’accusa che lo qualificava: «Re dei Giudei»: come tale fu crocifisso."

- papa Paolo VI - 
Omelia per la Domenica delle Palme, 7 aprile 1974


Felicità

Chi ti spianerà la via per raggiungere alle sorgenti zampillanti? 
Solo là e non altrove si sviluppano le forze vive del rischio. 
Quando ti interroghi dicendo: "Come potrò realizzarmi?", sai di aspirare ad un'esistenza di completezza e non ad una vita inquadrata e senza rischi. Non attardarti in situazioni senza via d'uscita perché vi bruceresti energie vitali. Niente compiacenze con te stesso. 
ùVa oltre, senza esitare. E scoprirai che il tuo cuore s'allarga: solo alla presenza di Dio l'uomo si realizza.

- Frere Roger Schutz -




...l'atto di violenza espresso dagli uomini contro di lui, Gesù lo trasforma dall'interno in atto di offerta a loro favore, in un gesto d'amore. 
Tutto questo è drammaticamente riconoscibile nell'agonia dei Getsemani. 
Ciò che aveva proclamato nel Discorso della montagna, ora Gesù lo compie: non contrappone violenza a violenza, come avrebbe potuto, ma pone fine alla violenza trasformandola in amore. 
L'atto della sua uccisione e il suo morire sono trasformati in amore, la violenza è sconfitta dall'amore. 
Questa è la trasformazione basilare, sulla quale tutto il resto si fonda. 
E' la vera trasformazione di cui il mondo ha bisogno, l'unica che può salvare il mondo. Avendo Cristo vinto e trasformato dall'interno la violenza in atto d'amore, la morte stessa è trasformata: l'amore è più forte della morte. Esso rimane in eterno.
In questa trasformazione ne è dunque racchiusa un'altra: la trasformazione della morte in risurrezione, del corpo morto nel corpo risorto. 

Come dice San Paolo: se il primo uomo era anima vivente, il nuovo Adamo, Cristo, diventa in quest'evento Spirito datore di vita (1Cor 15,45). 
Il Risorto "è" offerta, è Spirito vivificante, e come tale comunicabile, anzi comunicazione. Ciò non significa in alcun modo negazione della materia, ma proprio così essa raggiunge il suo fine; senza l'evento fisico della morte e il suo interiore superamento, tutto questo non sarebbe possibile. 
Nella trasformazione della risurrezione tutto il Cristo continua a sussistere, però trasformato in modo che il suo "essere corpo" e il suo "offrirsi in sacrificio" non s'escludono più, bensì s'includono...

- Papa Benedetto XVI - 
Cardinale Joseph Ratzinger - da "In cammino verso Gesù Cristo" -



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martedì 30 marzo 2021

Chi passa sotto la croce? - Card. Carlo Maria Martini

I passanti sono la gente che sapeva sì e no, che aveva sentito parlare di Gesù e magari aveva qualche volta ascoltato i suoi insegnamenti; pur se aveva pensato che parlava bene; se ne era andata poi per la sua strada e ora, ritrovandolo in croce, si meraviglia di come sia andata a finire.

Naturalmente comincia a venir fuori quel gusto della malignità che è sempre presente in noi: se Dio era veramente in lui, non avrebbe avuto questa morte; vuol dire che ci ha ingannati, e le ore passate ad ascoltarlo sono state una perdita di tempo. Il Vangelo infatti annota: “Scuotevano la testa”.

C’è una parvenza di ragione in questa gente; quando il giusto e perseguitato è all’estremo delle forze, i benpensanti dicono: “Se è finito così male, qualcosa ci dev’essere sotto”. […] Un tale ragionamento, che appare di buon senso, sottende una certa idea di Dio: Dio è il grande, il potente, il vittorioso; chi si affida a lui, pur se sarà provato da momenti oscuri, alla fine trionferà.

Se non trionfa, vuol dire che Dio non è con lui. A partire da quella idea di Dio nasce l’insulto che diviene addirittura bestemmia. […] Ancora una volta di fronte a Gesù, anche nella morte, ogni uomo rivela se stesso, manifesta la sua meschinità, la mediocrità dei propri pensieri, ed essa si esprime con tale spontaneità che le persone credono di dire le cose più sensate.



Verso quale Dio alziamo gli occhi?

Domandiamoci dunque “Qual è il Dio in cui crediamo?” […] spontaneamente e paganamente, senza volerlo, ritorniamo sempre a un’immagine di Dio “al nostro servizio”, al servizio della nostra potenza, della nostra riuscita, non a un Dio a cui possiamo e dobbiamo affidarci totalmente, così come Gesù si è affidato. 

Dio è per noi un mare in cui vogliamo buttarci, però con qualche strumento di salvataggio, perché così, se il mare non ci sostiene, riusciremo a salvarci. 

Gesù ci pone di fronte al nostro paganesimo e ci interroga: “Sei disposto ad aprire il cuore al Dio del Vangelo e a tutto ciò che tale accettazione comporta?”.

- Card. Carlo Maria Martini  -


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lunedì 29 marzo 2021

da: "La gioia" - Georges Bernanos

Egli ha amato come un uomo, umanamente, l'umile retaggio umano, il povero focolare, la tavola, il pane e il vino, le strade grigie, dorate dagli scrosci di pioggia, i villaggi coi loro fili di fumo, le piccole case tra le siepi spinose, la pace della sera che cala e i bimbi che giocano sulle soglie. 
Ha amato tutto ciò umanamente, al modo umano, ma come nessun uomo mai aveva amato, né mai amerà. 
Così puramente, stringendo tutto a sé, con quel cuore che aveva foggiato per questo con le proprie mani. 
E la vigilia, mentre gli ultimi discepoli discutevano tra loro la tappa da percorrersi l'indomani e dove dormire e che cosa mangiare, come fanno i soldati prima di una marcia notturna, un po' vergognosi però di lasciare il Rabbi salire lassù quasi solo, gridando forte apposta con le loro voci paesane e battendosi sulle spalle, all'uso dei bovari e dei sensali di cavalli, lui, benedicendo intanto le primizie della sua prossima agonia, come aveva benedetto quel giorno stesso la vigna e il frumento, consacrando per i suoi (dolorosa gente, la sua opera) il Corpo sacro, l'offrì a tutti gli uomini, lo sollevò verso di loro con le sue mani sante e venerabili, al di sopra della vasta terra addormentata, di cui tanto aveva amato le stagioni.
L’offrì una volta, una volta per tutte, ancora nello splendore e nella forza della giovinezza, prima di darlo in balìa alla paura, di lasciarlo faccia a faccia con la ripugnante paura, fino alla remissione del mattino. 
Senza dubbio l'offrì a tutti gli uomini, ma non pensava che a uno solo. 
Il solo al quale quel corpo appartenesse davvero, al modo umano, come quello di uno schiavo al suo padrone, poiché si era impadronito di lui con l'astuzia ed aveva disposto di lui come di un bene legittimo, in virtù di un contratto di vendita, stipulato nelle dovute forme, correttamente.
Il solo perciò che potesse sfidare la misericordia, entrare con un salto nella disperazione, fare della disperazione la sua dimora, coprirsi di essa, come il primo assassino si era coperto della notte. 
Il solo uomo tra gli uomini che possedesse realmente qualcosa, che fosse provvisto, giacché ormai non aveva più niente da ricevere da nessuno, eternamente.

- Georges Bernanos -
da: "La gioia", pp. 249-250


C’È  BISOGNO  DI  CATECHISMO

Peccato  che  questa  immensa  forza  sia  poco  sfruttata!  I  fanciulli studiano poco il catechismo; gli adulti, perché si illudono di averlo studiato, non lo studiano più e così c’è in giro una ignoranza religiosa incredibile: gente che conosce la scienza e ha letto cataste di libri non sa nulla del cristianesimo in mezzo a cui vive, non ha mai letto il Vangelo per intero. Senza dire di tant’altra gente, che frequenta la chiesa e si crede pia ed invece manca completamente di idee religiose; crede di aver la fede e ha solo del tenerume; cerca nella pietà non il volere di Dio, ma impressioni, sentimenti e vaghe ebbrezze; ignora la vera devozione e pratica un mucchio di devozioni legate a certe formule, a certi numeri metà cabala, metà superstizioni; svuota la testa e il cuore e carica unicamente il sistema nervoso.  Dei  bambini  piccolissimi  si  dice:  «Sono  tanto  piccoli!  È  troppo presto per insegnar loro la religione!». E invece un educatore, a una mamma che chiedeva quando dovesse  cominciare  l’istruzione  del  suo  bambino  di  due  anni,  rispose: «Subito; siete in ritardo per lo meno di tre anni!». Voleva dire che i bimbi sono capaci di impressioni religiose fin dai primi istanti della loro vita.E un altro educatore scrisse che nemmeno in quattro anni di università un uomo impara tanto quanto nei primi quattro anni della vita. Tanto sono decisive e indelebili le prime impressioni!. C’è chi dice con Rousseau: voglio rispettare la libertà di mio figlio, non voglio imporre alcun insegnamento religioso. A vent’anni sceglierà.Ma pensano questi genitori che in realtà ai loro figliuoli hanno imposto tutto? La vita, intanto, perché non hanno chiesto il permesso dei figli per metterli al mondo: e poi il cibo, i vestiti, la casa, la scuola...D’altra parte chi si metterà, a vent’anni, a studiare religione? A vent’anni! 

L’età di tutti gli esami per quelli che studiano, l’età del lavoro, del mestiere, dell’officina, dell’ufficio per gli altri. L’età delle passioni, dei divertimenti, dei dubbi. Chi avrà voglia o tempo di prendersi i grossi volumi, studiarvi sopra tutte le religioni di questo mondo per vedere quale sia la vera e quindi la migliore? E poi, non aspettano, i genitori, che le malattie siano entrate nel corpo dei figli per cacciarle a forza di medicine; fanno invece di tutto, perché non entrino nel corpo.

Altrettanto si deve fare con l’anima: metterci il catechismo, il  timor  di  Dio,  affinché  i  vizi  non  entrino:  non  aspettare  che  i  vizi  siano  entrati  per  aver  la  consolazione  di  cacciarli  con  la  religione. Il nostro ragazzo deve lavorare, deve studiare! Ma prima ancora deve diventare buono, dev’essere premunito contro tutte le seduzioni e le tentazioni di domani. Non è con la tavola di Pitagora o con un banco da falegname o con un diploma che si sbarra la via alle passioni. Questo ragazzo è atteso al varco: domani la donna, il giornale, il cinema, l’osteria se lo disputeranno. 

Mandar avanti dei giovani o delle figliuole senza catechismo sulla strada del mondo è lo stesso che mandare dei soldati alla guerra senza giberne, senza cartucce, e farne così degli sconfitti e degli infelici. 

I grandi si scusano: l’abbiamo già studiato, il catechismo! Ma da ragazzi; ed era catechismo per i ragazzi, fatto di poche nozioni, con immagini, parole e sentimenti adatti ai piccoli, roba che  accarezzava  l’immaginazione,  il  cuore.  Ma  adesso  che  siete  adulti  occorre  qualcosa  di  più  sostanzioso  che  rischiari  la  testa  e  guidi  la  vita.  Adesso  occorrono  ragioni  solide,  chiare,  rispo-ste  convincenti,  per  respingere  vittoriosamente  gli  attacchi  che  d’ogni parte volano contro la fede. Mai come oggi s’è sentito bisogno di catechismo.

don Albino Luciani,  1949


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domenica 28 marzo 2021

Un asino nella notte - suor Ch. Augusta Lainati, clarissa

L'asino camminava nella notte. Camminava e pensava a quella madre che portava sul dorso, tutta ravvolta nel mantello oscurato dall'ombra.
Un passo dietro l'altro, attento a che il suo andare fosse quieto e sempre uguale, per non destare il bimbo che dormiva. Un passo dietro l'altro, misurati dal battito del cuore: finché i battiti divennero più frequenti dei passi e il cuore, in petto, parve scoppiare.
Allora smise di fissare il cielo e la notte che si stendeva davanti a perdita d'occhio e, piegato il capo, cominciò a guardare a terra, sul sentiero appena segnato, ora per evitare un sasso troppo acuto, ora per posare lo zoccolo sui ciuffi d'erba bianchi di brina.
Cominciava a sentire il peso del carico; le gambe si stendevano nel passo ogni volta più faticosamente, finché l'andatura divenne secca, legnosa, e ad ogni piegare di ginocchi gli sembrava di udire come un ramo secco spezzarsi. Si ricordò della catasta di legna ammucchiata nella sua stalla tiepida, dell'alone di luce fumosa intorno alla lucerna pendente sopra la greppia, e l'immagine divenne tanto seducente che gli parve di sentire su per le narici l'odore penetrante di una manciata di fieno fresco.
Si volse, allora, con occhi imploranti verso l'uomo che gli camminava a fianco. Era giovane, ma la strada lo aveva curvato sopra il bastone, e il vento freddo della notte invernale gli incollava il mantello contro un fianco. 
Il ciuco non riuscì a vedergli bene il volto, ma vide che l'oscurità, interrotta solo dalla luce delle stelle, incavava le occhiaie dell'uomo e riduceva ad una oscura macchia ansante il collo vigoroso, e il petto, che ad ogni passo si alzava e si abbassava.
"Sta peggio di me" pensò l'asino: e riprese a camminare. Camminò per un'ora con la testa bassa, con l'odore di fieno che sempre gli solleticava le narici con l'aumentare della stanchezza: finché il desiderio di cibo scomparve e rimase solo un'acuta brama di paglia tiepida su cui stendersi, della paglia che aveva lasciato a Betlemme quando l'avevano destato nella notte appena cominciata. Fu proprio il tepore associato al ricordo di Betlemme, di Betlemme con la sua piccola tiepida stalla, che lo aiutò a proseguire ancora sul terreno accidentato. Via, via e via.
Dopo qualche ora, ricominciò a sentire che non ne poteva più.
Nessun ricordo veniva ad addolcire la sua andatura e ad ogni passo migliaia di fitte gli trapassavano il corpo.
Decise di fermarsi, di sdraiarsi sul terreno ad aspettare il sonno, la morte. 
Si guardò attorno, voltò il capo per trovare un riparo dal vento; e fu come se una mano gelida gli si fosse posata sul cuore: la donna sulla sua groppa era tutta un tremito per il freddo e il suo alito gelava nell'aria appena uscito dalle labbra dischiuse.
"Sta peggio di me" pensò ancora il somaro.
Continuò a camminare e un'altra ora passò, un'ora di stanchezza infinita, di contrasti col vento, di paura per quella dama, per quel Bambino, per quella figura scolpita dall'ombra che gli camminava al fianco e sulla cui andatura cercava faticosamente di regolare il passo.
Non ne poteva veramente più. Il terreno sassoso aveva a poco a poco ceduto ad un molle strato di sabbia; prima poche manciate insinuatesi tra le zolle indurite dal freddo e i sassi denudati dal vento, poi un tappeto soffice su cui era stato agevole camminare, e infine uno strato alto, dove gli zoccoli sprofondavano e si appesantivano e non venivano più fuori.
Ansimava; il sudore scendeva copioso giù per la fronte, nonostante il freddo, e si raccoglieva in due rivoletti lungo naso. Non sapeva che cosa fare, se lasciarsi cadere sfinito lì, sotto la volta del cielo, o se continuare impazzito di dolore e di freddo, senza avere più nozione, né di tempo, né di strada, finché la morte lo cogliesse e gli irrigidisse il passo nell'ultimo sforzo.
Fra le due prospettive, la prima gli sembrava infinitamente più desiderabile: doveva essere pur dolce lasciarsi cadere sulla sabbia ad aspettare la morte come liberazione dal male, riempire l'attesa con il ricordo di pigre giornate di sole, di terra smossa e odorosa, di mosche fastidiose che era divertente scacchiare con subito fremere delle membra. Anche il ricordo della pesante macina gli avrebbe fatto piacere, purché potesse distendersi ad aspettare la morte.
Aveva deciso. Ma, prima di lasciarsi cadere raccolse le forze per un ultimo raglio, l'addio alla vita. Al deserto, alla volta celeste: pensò che tra poco le stelle sarebbero impallidite nei suoi occhi spenti. Usò quanta forza gli rimaneva, e il raglio si alzò acuto, più sonoro nel silenzio del deserto.
E fu allora, mentre le ginocchia già si piegavano, mentre già assaporava la dolcezza di quella sabbia, pur fredda, che udì il pianto cheto del Bambino, del Bambino che non aveva pianto per il disagio dell'andare, non per il vento che si insinuava fin sotto le fasce, ma piangeva per il raglio dell'asino che non voleva più soffrire.
Fu così, per quel pianto infantile, che il ciuco scelse di continuare.
E andò, appesantito dalla sabbia, sferzato dal vento, sotto la volta concava e scura del cielo, finché le stelle impallidirono: e credette di sognare quando, nella luce ancora incerta, si profilò la sagoma di un villaggio straniero.
Gli diedero un giaciglio di paglia fresca, colmarono la greppia di fieno odoroso e l'acqua che versarono nell'abbeveratoio della stalla rispecchiava, insieme alle travi rozze del soffitto, una lampada lucente.
Ma non riuscì né a bere né a mangiare, per lungo tempo; rimase disteso sulla paglia senza neppure goderne il contatto, né vide l'immagine increspata della lampada nell'acqua dell'abbeveratoio. Ma quando, risvegliatosi dal torpore di morte avvertì il profumo penetrante del fascio di fieno nella mangiatoia e cercò di alzarsi, facendo forza sulle zampe anteriori, vide - e lo vide lui solo - l'Angelo che aveva invitato alla fuga Giuseppe. 
Aspettava il suo risveglio, e lo aspettava lieto, come a ringraziarlo per quanto aveva fatto.
Il ciuco si alzò del tutto, gli si avvicinò tanto da essere nella sua stessa luce, coronato dalla sua stessa aureola: allora soltanto, quando vide che l'Angelo non si ritraeva, che non rifiutava di fasciarlo del suo stesso fulgore, raccolse tutto il coraggio, tutta la forza che ancora gli restava nelle membra e, chinata la testa, chinatala fino a terra, ebbe l'ardire di chiedere una ricompensa.
Chiese, piano: "Fa' che sia io a riportarli indietro."

suor Ch. Augusta Lainati, clarissa


Giotto, Cappella degli Scrovegni, Padova, Italy

«Accogli…! Se offri un letto, non basta...! Al povero che passa devi dirgli anche buonanotte, e se gli offri una minestra calda, digli anche buon appetito, magari non dargli la minestra in un piatto di plastica, ma introducilo in casa tua, e mettigli anche la tovaglia, e se hai un po' di tempo ed esci nel giardino, e cogli un fiore, e metti pure un vasetto di fiori è ancora meglio, perché non si vive solo di pane! 
Il Signore e la Vergine Santa vi diano un cuore umano! 
Un cuore capace di battere, con i problemi del mondo, con i problemi del fratello più povero, diano, a tutti quanti noi, una grande capacità di capire i problemi dell'altro.

Vostro + don Tonino Bello

Firenze, Uffizi, Pala Strozzi (Adorazione dei Magi)-Fuga in Egitto


«Se io non fossi cattolico e volessi trovare quale sia oggi, nel mondo, la vera Chiesa, andrei in cerca dell'unica Chiesa che non va d'accordo con il mondo. Andrei in cerca della Chiesa che è odiata dal mondo. Infatti, se oggi nel mondo Cristo è in qualche Chiesa, Egli dev'essere tuttora odiato come quando viveva sulla terra. Se dunque oggi vuoi trovare Cristo, trova la Chiesa che non va d'accordo con il mondo... cerca quella Chiesa che i mondani vogliono distruggere in nome di Dio come crocifissero Cristo. Cerca quella Chiesa che il mondo rifiuta, come gli uomini rifiutarono di accogliere Cristo».

- Ven. Mons. Fulton J. Sheen -



Predella (recto) - La fuga in Egitto, cm. 42,5 x 44, Museo dell'Opera del duomo, Siena


Le lampade che noi accendiamo nelle notti buie di questa stagione invernale diventano così a un tempo una consolazione e un richiamo: la consolante certezza che la « luce del mondo » si è già accesa nell’oscurità della notte di Betlemme; e che essa ha trasformato la notte sventurata del peccato dell’uomo nella Notte Santa del perdono, in cui Dio ha accolto e sanato quello stesso peccato.

- Papa Benedetto XVI – 



Buona giornata a tutti. :-)


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sabato 27 marzo 2021

Ti chiediamo Signore Gesù - Cardinale Carlo Maria Martini

                                                       Ti chiediamo, Signore Gesù,

di guidarci in questo cammino
verso Gerusalemme e verso la Pasqua.
Ciascuno di noi intuisce che tu,
andando in questo modo a Gerusalemme,
porti in te un grande mistero,
che svela il senso della nostra vita,
delle nostre fatiche e della nostra morte,
ma insieme il senso della nostra gioia
e il significato del nostro cammino umano.
Donaci di verificare sui tuoi passi
i nostri passi di ogni giorno.
Concedici di capire, 
in questa settimana che stiamo iniziando,
come tu ci hai accolto con amore,
fino a morire per noi,
e come l'ulivo vuole ricordarci
che la redenzione e la pace da te donate
hanno un caro prezzo,
quello della tua morte.
Solo allora potremo vivere nel tuo mistero
di morte e di risurrezione,
mistero che ci consente di andare
per le strade del mondo
non più come viandanti
senza luce e senza speranza,
ma come uomini e donne
liberati della libertà dei figli di Dio.

+ cardinale Carlo Maria Martini - 


L'unica speranza

Secondo Luca, nel Nome di Gesù, e in virtù di esso, si aprono tutte le Scritture, Israele viene glo­rificato e tutte le genti sono illuminate (Le 2,32). In effetti Gesù è il Messia secondo le tre parti delle Scritture, Mose, i Profeti e gli Scritti e questo pro­prio grazie a tre segni: egli è colui che «doveva sof­frire ed essere messo a morte» (cf Le 24,26). Egli è colui che «il terzo giorno doveva risorgere dai morti» (cf Le 24,46). Inoltre «deve essere annun­ciato a tutti i popoli come Salvatore» (cf Le 2,11; 24,47). 
I primi due segni sono già compiuti, solo il terzo rimane ancora aperto. Chi ascolta i tre segni, se si lascia convincere, è anch'egli reso responsabi­le nel portare avanti l'annuncio della buona noti­zia. 
Fino a quando il terzo segno non è realizzato la nostra fede cristologica è imperfetta. Lo spazio della Chiesa che deve compiere la sua missione fino ai confini della terra» scaturisce direttamente dalla confessione: Gesù è il Messia. Gesù è l'unica speranza.

- Benoìt Standaert -




 “Perdonare fa parte di quella particolare «economia» dell'amore che non calcola, ma dona, e proprio così moltiplica i suoi effetti.” 

- Gianfranco Ravasi -
da: “Grammatica del perdono”





Che cosa vuoi di più, o anima, e che cos'altro cerchi fuori di te, dal momento che dentro di te hai le tue ricchezze, le tue delizie, la tua soddisfazione, la tua sazietà e il tuo regno, che è il tuo Amato, che la tua anima desidera e cerca? 


+ Cardinale Carlo Maria Martini -




Buona giornata a tutti. :-)




venerdì 26 marzo 2021

Meditazioni sulla Passione di Gesù Cristo - Sant'Alfonso Maria de Liguori

Non v'è mezzo che possa maggiormente accenderci del divino amore, quanto il considerar la Passione di Gesù Cristo. 
Dice S. Bonaventura che le piaghe di Gesù Cristo, per esser piaghe d'amore, son dardi che feriscono i cuori più duri, e fiamme che accendono le anime più gelate: O vulnera corda saxa vulnerantia et mentes congelatas inflammantia! 
Un'anima che crede e pensa alla Passione del Signore, è  impossibile che l'offenda e che non l'ami, anzi non impazzisca d'amore, vedendo un Dio quasi impazzito per amor nostro: Vidimus Sapientiam amoris nimietate infatuatam (S. Laur. Iustin.).Quindi dice l'Apostolo che i Gentili, in sentir predicare la Passione di Gesù crocifisso, la credevano una pazzia: Praedicamus Christum crucifixum, Iudaeis quidem scandalum, Gentibus autem stultitiam (I Cor. I, 23). 
E com'è possibile, essi diceano, che un Dio onnipotente e felicissimo qual è, abbia voluto morire per le sue creature? Ah Dio innamorato degli uomini, e com'è possibile, diciamo noi che ci crediamo, che una tanta bontà ed un tanto amore resti dagli uomini così mal corrisposto? Suol dirsi che amor con amor si paga: ma il vostro amore con quale amore potrà mai pagarsi? bisognerebbe che un altro Dio morisse per voi per compensare l'amore che ci avete portato in morire per noi. O croce, o piaghe, o morte di Gesù, voi troppo mi stringete ad amarlo. O Dio eterno, o amabile infinito, io v'amo e voglio vivere solo per voi, solo per darvi gusto. Ditemi quel che da me volete, ché io tutto lo voglio fare.

(Sant'Alfonso Maria de Liguori, Meditazioni sulla Passione di Gesù Cristo per ciascun giorno della settimana)




Caravaggio, Ecce homo

I capelli ravviati spesso, diventeranno lisci e non presenteranno difficoltà a pettinarsi quando si vuole. L'anima la quale esamina spesso i suoi pensieri, le sue parole e le sue opere, che sono i suoi capelli, facendo ogni cosa per amore di Dio, avrà i suoi capelli molto lisci. 
Lo Sposo le guarderà il collo, ne rimarrà rapito e piagato in uno dei suoi occhi, cioè nella purezza di intenzione con cui ella opera in ogni azione. 
Se vogliamo che i capelli diventino lisci, si deve cominciare a pettinarli dalla sommità della testa; se vuoi che le azioni siano pure e limpide, queste devono prendere inizio dal punto piú alto dell'amore di Dio. 

- San Giovanni della Croce -
Da Spunti di amore









Buona giornata a tutti. :-)














giovedì 25 marzo 2021

L'Annuncio a Maria - Giancarlo Ravasi

L'Annuncio a Maria
Quale dev'essere la nostra risposta al dono supremo? Nel racconto dell'annunciazione la risposta è formulata attraverso una autodefinizione di Maria: "Io sono la serva del Signore".
L’ aspetto di umiltà in quella parola "serva" è stato spesso sottolineato e non sempre felicemente, dirottato spesso verso consapevoli o inconsce conclusioni antifemminili: l'umiltà, il nascondimento, la discrezione devono essere le doti della donna che vuole imitare Maria.
In realtà il titolo è solenne, è quello che esprime dignità della sposa ed è anche il titolo classico dei personaggi che devono espletare una funzione decisiva nella storia della salvezza: servo del Signore è Abramo, è Mose, Giosuè, è Davide, sono i profeti e "Servo del Signore" per eccellenza sarà il Messia: Maria ha la coscienza che in lei, donna semplice e comune, Dio ha realizzato l'intervento grandioso e definitivo della salvezza "attesa da tutte le generazioni".
Maria afferma, quindi, la piena coscienza della sua vocazione e del suo destino: E da questo momento in avanti la sua missione è quella di accogliere il dono sublime di quel figlio: "avvenga di me quello che hai detto". 
Con questa adesione nella fede e nell'amore Maria diventa l'emblema del vero discepolo di Dio.

- card. Gianfranco Ravasi -



“L’unica cosa che lo Spirito Santo richiede da noi è solo di dargli il nostro tempo, anche se all’inizio esso dovesse sembrare tempo perso. Io non dimenticherò mai la lezione che un giorno mi fu data a questo riguardo. Dicevo a Dio: “Signore, dammi il fervore e io ti darò tutto il tempo che vuoi per la preghiera”.
Nel mio cuore trovai la risposta: “Dammi il tuo tempo e io ti darò tutto il fervore che vuoi nella preghiera.”

- padre Raniero Cantalamessa -


 E' difficile vivere dei tuoi annunci, Dio.

"Il Signore è con te".
Messaggio da ricordare nelle veglie e all'aurora.
Desiderio che Lui cresca e io diminuisca.
Disponibilità totale a lasciarlo crescere, dentro di te.
E dentro ogni uomo che lo riconosca
Emanuele: Dio con noi, ieri, oggi e sempre.
"Come è possibile?"
Eterno dubbio, per chi ha difetti e paure.
Per chi preferisce scegliere le sue rinunce.
E cercar regole esatte e sentieri ben noti.
Per paura di dar "tutto
quanto è indispensabile per vivere."

"E l'angelo partì da lei."
E’ sempre faticoso accettare le partenze.
E credere che è bene che Tu vada.
Perchè verrà uno Spirito consolatore.
E l’Altissimo tutto coprirà: con la sua ombra e potenza.

"Hai guardato l'umiltà della tua serva."
Con uno sguardo che scava fino al punto di giuntura.
Ora siamo noi "schiavi e figli della tua schiava".
Chiamati a fissare lo sguardo del cuore in Te.
In attesa che ci sia possibile vedere.
Il tuo volto che splende, su ogni uomo che cerca la pace.
E nell’attesa, credere.
Che la tua legge è perfetta e rinfranca il cuore.
E che è dentro di noi, non troppo in alto o aldilà del mare.
Fissare lo sguardo. Fino a non veder più.
Nulla intorno. Cose mutevoli e persone che giudicano.
Libertà totale, libertà interiore.
Semplificazione totale, che tutto riduce ad una sola cosa.
In Te siamo, in Te esistiamo.
Che Tu sia tutto in tutti.

- Stefania Perna -


annunciazione del Beato Angelico

Buona giornata a tutti. :-)





mercoledì 24 marzo 2021

I piedi di Giovanni – don Tonino Bello

Carissimi,

è proprio un arrampicarsi sugli specchi voler trovare nei singoli beneficiari della lavanda dei piedi operata da Gesù, la sera del giovedì santo, altrettanti simboli delle diverse condizioni umane sulle quali egli, per impegnarci in un servizio preferenziale di amore, ha inteso richiamare la nostra attenzione?
Ed è proprio fuori posto vedere in Giovanni l’emblema di quel mondo ad alto rischio che si chiama gioventù, e che oggi, nonostante il grande parlare che se ne fa e nonostante il timore non sempre reverenziale che esso incute, tarda ancora a divenire il referente privilegiato della nostra diaconia ecclesiale?
Ed è proprio una forzatura concludere che il Maestro, piegato sui piedi di Giovanni, il più giovane della compagnia, è l’icona splendida di ciò che dovrebbe essere la Chiesa, invitata dal quel gesto a considerare i giovani come “ultimi”, non tanto perché ai gradini più bassi della scala cronologica della vita, quanto perché ai livelli più insignificanti nelle graduatorie di coloro che contano?
Penso proprio di no.
  

Anzi, se qualcuno, fuorviato dal chiasso che fanno, dovesse giudicare demagogica l’ affermazione che i giovani oggi non hanno voce, mostra di aver frainteso il senso delle tenerezze espresse da Gesù verso quel mondo che ha sempre fatto fatica a farsi ascoltare.


La figlia di Giairo, il servo del centurione, l’ unigenito della vedova di Nain, il giovane ricco il figliol prodigo… sono indice di uno sbilanciamento del Signore nei confronti di coloro che, pur essendo oggetto di invidia struggente, hanno da sempre accusato un deficit pesantissimo in fatto di accoglienza.
Ma torniamo ai piedi di Giovanni.
Come motivo iconografico, ma anche come suggestione omiletica, non hanno avuto molto fortuna.

E dire che la mattina di Pasqua, nella corsa verso il sepolcro, si sono dimostrati di gran lunga più veloci di quelli di Pietro, aggiudicandosi, a un palmo della tomba vuota, la prima edizione del trofeo “fede, speranza e carità”.

  

Ma al di là dello scatto irresistibile del giovane sull'affanno impacciato del vecchio, quei piedi non sono entrati nell'immaginario della gente.

La spiegazione è semplice: la testa del discepolo ricurva sul petto del Maestro ha distratto l'attenzione dal capo del Maestro chino sui piedi del discepolo.

È una riprova ulteriore di come, anche nella Chiesa, le lusinghe emotive della teatralità prevaricano spesso sulla crudezza del servizio terra terra.

Che cosa voglio dire? Che noi ci affanniamo, sì, a organizzare convegni per i giovani, facciamo la vivisezione dei loro problemi su interminabili tavole rotonde, li frastorniamo con l'abbaglio del meeting, li mettiamo anche al centro dei programmi pastorali, ma poi resta il sospetto che, sia pure a fin di bene, più che servili, ci si voglia servire di loro.

Perché diciamocelo con franchezza, i giovani rappresentano sempre un buon investimento. Perché sono la misura della nostra capacità di aggregazione e il fiore all'occhiello del nostro ascendente sociale. 

Perché se sul piano economico il loro favore rende in termini di denaro, sul piano religioso il loro consenso paga in termini di immagine. 

Perché, se comunque, è sempre redditizia la politica di accompagnarsi con chi, pur senza soldi in tasca, dispone di infinite risorse spendibili sui mercati generali della vita.

Servire i giovani, invece, è tutt'altra cosa.

Significa considerarli poveri con cui giocare in perdita, non potenziali ricchi da blandire furbescamente in anticipo.

Significa ascoltarli. Deporre i panneggi del nostro insopportabile paternalismo. 
Cingersi l'asciugatoio della discrezione per andare all'essenziale. 
Far tintinnare nel catino le lacrime della condivisione, e non quelle del disappunto per le nostre sicurezze predicatorie messe in crisi. 
Asciugare i loro piedi, non come fossero la pròtesi dei nostri, ma accettando con fiducia che percorrano altri sentieri, imprevedibili, e comunque non tracciati da noi.

Significa far credito sul futuro, senza garanzie e senza avalli. 
Scommettere sull'inedito di un Dio che non invecchia. 
Rinunciare alla pretesa di contenerne la fantasia. 
Camminare in novità di vita verso quei cieli nuovi e quelle terre nuove a cui si sono sempre diretti i piedi di Giovanni, l'apostolo dagli occhi di aquila, che è morto ultracentenario senza essersi stancato di credere nell'amore.

Servire i giovani significa entrare con essi nell'orto degli ulivi, senza addormentarsi sulla loro solitudine, ma ascoltandone il respiro faticoso e sorvegliandone il sudore di sangue.

Significa seguire, sia pur da lontano, la loro via crucis e intuire, come il Cireneo ha fatto con Gesù, che anche quella dei giovani, abbracciata insieme, è una croce che salva.

Significa, soprattutto, essere certi che dopo i giorni dell'amarezza c'è un'alba di risurrezione pure per loro.

E c'è anche una pentecoste. 
La quale farà un rogo di tutte le scorie di peccato che invecchiano il mondo. E attraverso la schiena della terra adolescente con un brivido di speranza. 

Saremo capaci di essere una chiesa così serva dei giovani, da investire tutto sulla fragilità dei sogni?

- don Tonino Bello -



La gioia dilaghi dal vostro cuore e contagi tutti coloro che vi accostano, 
sorpresi di tanta freschezza. 

- Don Tonino Bello -




«Dopo aver offerto i loro doni, “per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”. 
Da allora sarà sempre così, per chi lo ha trovato e poi vuole rimanere con lui: bisogna saper cambiare strada, per non perderlo, anzi, per non perdersi».
- don Tonino Bello -




In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità,
è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate;
è lui la bellezza che tanto vi attrae:
è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso;
è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita;
è lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare.
E' Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande.

- san Giovanni Paolo II, papa -
  

Vi faccio questo augurio.
Che anche voi scrutando i segni, possiate dire così:
Resta poco della notte, perchè il sole sta già inondando l'orizzonte.


- Don Tonino Bello -

Buona giornata a tutti. :-)

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