Ascoltare le domande vere
1. Vorrei farmi tuo compagno di strada: ascoltare le
domande vere del tuo cuore, confessarti le mie. Questo è importante: non è
possibile trovare e dare risposte, se non si sono riconosciute le domande. Una
"regola di vita" vorrebbe anzitutto essere un tentativo di dare
risposte a domande vere (o forse, più modestamente, l’indicazione di un
tracciato, lungo il quale cercare e incontrare risposte vere).
La domanda radicale: la morte
2. Provo, dunque, a mettere in gioco fino in fondo me
stesso, ad aprire il mio cuore: se vi guardo dentro, trovo tante gioie e dolori
e tante domande aperte, che forse sono anche le tue. Come stanno insieme i
dolori e le gioie della vita? Quando si pensa a tante sofferenze della gente (e
me ne giungono gli echi ogni giorno e ogni ora), qualunque godimento, anche il
più legittimo e semplice, sembra scolorire, appare come stonato. Perché invece
ha senso? come si conciliano le gioie autentiche di questo mondo con le
prospettive di morte? perché la morte nel mondo? perché, se è vero che Dio ci
ha salvato, non ci ha liberato dalla necessità di morire? e, dietro la morte,
tutti i dolori e le angosce dell’esistenza umana: perché questo immenso cumulo
di violenze, ingiustizie e solitudini? Sembra che il non senso l’abbia vinta su
tutti i fronti: fare i conti con la miseria che copre la terra significa
riconoscere la grande difficoltà che tutti incontriamo nel renderci padroni
della complessità, nel trovare ragioni che giustifichino la fatica di vivere.
Il silenzio di Dio
3. Perché il Signore sembra tacere? Perché Lui, che è
l’Onnipotente, non si manifesta con lo splendore della Sua verità e lo
sfolgorìo della sua onnipotenza? perché quella Sua apparente indifferenza
davanti alla quotidiana commedia e tragedia della nostra vita? E' proprio vero
che Gli stiamo a cuore? Che siamo importanti per Lui? Tutti e ciascuno? Non
stupirti che sia anch’io a farmi queste domande: me le porto dentro e ogni
giorno inquietano la mia fede e mi rendono pensoso e in ricerca.
Anche nel
cuore del Vescovo abitano gli interrogativi che ci fanno umani, così fragili
davanti alla vita, alla malattia, alla morte.
Dall’interrogare all’essere interrogati
4. A pensarci bene, tutte le domande che ho ricordato
sono rivolte a Dio: è per noi quasi spontaneo chiederGli conto e ragione di
questo mondo.
Se Dio c’è, è Lui che lo ha voluto, così come esso è.
E tuttavia,
non è forse la critica smaliziata del pensiero moderno che si è abituata a
chiamarLo in giudizio davanti alla clamorosa smentita che il dolore del mondo
darebbe della Sua provvidenza e del Suo amore?
In questo siamo un po’ tutti
figli dell’epoca moderna, della sua ragione cosiddetta "adulta ed
emancipata".
E se provassimo a capovolgere la domanda, a passare
dall’interrogare all’essere interrogati?
E se consentissimo a Dio di porci Lui
le Sue domande?
L’invadenza dell’Io
5. Mi chiedo allora quali potrebbero essere le domande di
Dio: se penso al Suo giudizio, se mi immagino davanti a Lui, al Suo sguardo
penetrante e creatore, non posso non riconoscere come il mio cuore sia mosso
tante volte da motivazioni spurie, o, per dirla tutta, da un’invadenza dell’Io,
che vuole stare al centro e misurare su di sé tutte le cose, e perfino l’agire
di Dio!
Anche per un’epoca come la nostra, che non percepisce la consistenza e
la drammaticità del peccato, non dovrebbe essere difficile riconoscere le
conseguenze di questa invadenza nella vita degli uomini: penso alla fatica che
tutti facciamo ad uscire dalle pastoie delle nostre motivazioni egoistiche;
penso alla facilità con cui ci lasciamo prendere da logiche particolaristiche,
incapaci come siamo di guardare al di là del nostro piccolo calcolo.
Le domande
che Dio ci fa sono spirito e vita, perché ci invitano a riconoscere le ragioni
del nostro disagio di vivere e della nostra mancanza di felicità e di pace
anzitutto in noi stessi, nella fatica e nella paura di amare che ci portiamo
dentro, nel sospetto di non essere amati, nella diffidenza di fronte a ogni
atteggiamento di amore gratuito.
La perdita dell’ingenuità
6. E’ così che capisco la verità su me stesso: è come un
prendere coscienza del proprio egoismo e della propria fragilità, che fa cadere
l’ingenua magia di pensare che bastino le buone intenzioni per cambiare il
mondo e la vita.
C’è veramente una differenza stridente fra l’altezza dei buoni
propositi e la presenza del male e dell’egoismo in ciascuno di noi: forse è
questo ciò che Dostoevskji chiamava "l’abisso dei doppi pensieri".
Fai qualcosa di bene e t’accorgi che dentro il tarlo del tuo Io non ti
abbandona.
T’accorgi che è sempre grande la potenza del peccato.
Gli alti e i
bassi si susseguono con un’impressionante frequenza: e non solo sul piano
psicologico, ma su quello più profondo delle scelte del cuore, degli
orientamenti della vita.
La via più difficile
7. Certo, occorre imparare a convivere con noi stessi, ad
accettare questa permanente instabilità psicologica e spirituale. Ma ciò esige
di capirne il perché, domandandoci come anche attraverso questo cammino
contorto Dio ci ami e voglia farci suoi figli. Accettare che dalla morte venga
la vita ci ripugna: eppure deve essere proprio così, se il Signore ci lascia in
questa lotta, che sembra pervadere l’universo intero.
Forse, però, è proprio
questa ripugnanza ad accettare e scegliere la via dell’amore fino alla morte
che mostra al tempo stesso la condizione tragica del peccato e il bisogno che
noi tutti abbiamo di imparare ad amare con un aiuto che ci venga dall’alto: in
questo senso, la fatica a credere che un Dio sia morto in croce è la riprova
della necessità di questa morte.
Il cristianesimo non è la risposta banale alla
domanda del dolore e della morte, una risposta che giustifichi tutto o tutto
copra sotto l’incomprensibile giudizio divino.
Il cristianesimo è la
"lectio difficilior", la via più difficile, che prende sul serio la
condizione universale di morte e di peccato, e proprio così annuncia la
compassione di un Dio che si fa carico di questa morte e di questo peccato per
sollevare e salvare ciascuno di noi.
Il Dio "sofferente" e la legge della croce
8. Il passo ulteriore è dunque arrivare a intuire che Dio
sta dalla nostra parte e partecipa al dolore per tutto questo male che devasta
la terra. Egli non se ne sta come uno spettatore disinteressato o un giudice
freddo e lontano, ma "soffre" per noi e con noi, per le nostre
solitudini incapaci di amare, perché Lui ci ama. La "sofferenza"
divina non è incompatibile con le perfezioni divine: è la sofferenza dell’amore
che si fa carico, la "com-passione" attiva e libera, frutto di
gratuità senza limiti. Sempre più, nel cammino della vita, sotto i colpi di
luce del Vangelo, il Dio di Gesù Cristo mi è apparso come il Dio capace di
tenerezza e di pietà fino al punto da "soffrire" per i peccati del
mondo.
Un Dio tenero come un Padre e una Madre, che non rinnega mai i suoi
figli.
Un Dio umile, che manifesta la Sua onnipotenza e la Sua libertà proprio
nella sua apparente debolezza di fronte al male.
Un Dio che per amore accetta
di subire il peso del nostro peccato e del dolore che esso introduce nel mondo.
Proprio così, però, nella morte di Gesù sulla croce, Dio ci insegna a trarre il
bene dal male, la vita dalla morte. Appare allora contraddittorio il nostro
continuo voler essere gratificati da tutti e da tutto, a cominciare da Dio,
mentre lo contempliamo crocifisso.
Come vorrei che tutti a questo punto
capissero che il mistero di un Dio morto e risorto è la chiave dell’esistenza
umana e il succo del Vangelo e della nostra fede! Eppure contro questa roccia
del "mistero pasquale" vanno a cozzare tutte le onde delle nostre resistenze,
mentre diciamo con Pietro: "Dio te ne scampi, Signore: questo non ti
accadrà mai!" (Mt 16,22).
Eppure proprio qui si ricongiungono i nodi del
rapporto che lega morte e vita, dolore e gioia, fallimento e successo,
frustrazione e desiderio, umiliazione ed esaltazione, disperazione e speranza.
Quando la "legge della Croce" ci tocca, ci sconvolge e ne siamo
profondamente turbati: ma solo qui si attua la piena liberazione dal male, fino
ad accettarne le conseguenze su di sé per perdonarlo e superarlo, come ha fatto
Gesù sulla croce.
Arrendersi a Dio
9. Per sciogliere l’apparente assurdità della vita non
c’è allora che una via possibile: rimettermi continuamente di fronte ad essa,
senza sfuggirvi, e arrendermi contemporaneamente senza riserve nelle mani del
Dio umile e sofferente, del "Dio crocifisso". Solo abbandonandomi
perdutamente a Lui, solo capitolando nelle sue mani potrò riprendere nelle mie
il bandolo della matassa intricata della vita. Dio è il Mistero santo, Gesù
Cristo in croce è la Custodia silenziosa, in cui riposa il senso della vita e
della storia, il senso del mondo.
Dal riconoscimento alla riconoscenza
10. Come arrivo a questa conclusione così certa e
definitiva? come la luce del Vangelo raggiunge e afferra quotidianamente la mia
vita? come avviene che ancora e sempre di nuovo questa luce getti sprazzi sulle
mie domande, e mi aiuti a vivere e ad illuminare per me e per gli altri la
fatica di vivere?
Posso rispondere solo così: io mi sento amato, sommamente, da
Qualcuno più grande di noi tutti. Mi sento chiamato e attratto, come uno che
non può fare a meno di Dio, del Dio di Gesù Cristo.
Anche se difficile e
contrastata, sento e so che questa scelta è l’unica valida. Non è volontarismo:
è riconoscimento.
Riconosco che al termine di tutte le mie domande senza
risposta c’è il suo Mistero santo, e c’è precisamente come il Signore Gesù ce
lo ha rivelato sulla Croce: mistero di amore infinito che si consegna, Trinità
dell’Amante, dell’Amato e dell’Amore, che ci accoglie nel Suo grembo, e ci
custodisce negli abissi di amore della Sua vita.
E il riconoscimento si
trasforma in riconoscenza: sono grato al mio Dio perché mi so amato da Lui,
"nascosto con Cristo in Dio" (Col 3,3), anche quando non riesco a
sentirlo con i miei poveri sensi umani.
Nella Chiesa
11. Mi potresti obiettare: "Ma questa è la tua
esperienza, non la mia.
Tu sei un privilegiato. Per me non è così.
Se puoi,
insegnami come si fa a vivere la propria vita in Dio".
Vorrei allora
risponderti che proprio per questo ho scritto questa Regola di vita, per
dirti in forma semplice e breve dove è possibile incontrare il Dio che è il
nostro Tutto, il Dio della compassione e della misericordia, il Dio che si fa
compagno del nostro dolore e ci aiuta a portarne il peso, dandogli senso.
Questo Dio puoi trovarLo nella Chiesa: nel suo annuncio, che è il Vangelo di
Gesù e dei fatti storici e indubitabili della sua vita; nei suoi Sacramenti,
che sono la presenza sensibile di Lui, che si è offerto per noi alla morte e ci
ha donato la vita; nella compagnia di quanti, credendo, sono stati resi
fratelli e sorelle nello Spirito di Gesù e - pur con tutti i loro limiti - si
sforzano ogni giorno di imparare a credere, sperare ed amare.
Il dono di Dio è
ricevuto e trasmesso nella Chiesa, Suo popolo: ed è in essa che ci si accorge
che la vita vera viene dal di fuori, da Dio, in un contesto ragionevole, serio,
segnato dalla fragilità, ma significativo e liberante.
Nella Chiesa mi
riconosco amato e reso capace di amare, nonostante me stesso, le mie
contraddizioni e paure.
Credo veramente che anche per te possa essere così.
Perciò voglio parlarti di ciò che questa Chiesa - la nostra, cattolica e
ambrosiana al tempo stesso - ci trasmette (traditio); di come noi riceviamo in
essa il dono dall’alto (receptio); di come a nostra volta possiamo trasmettere
ad altri con gratuità quanto gratuitamente abbiamo ricevuto (redditio).
Prova
ad ascoltarmi: rivolgo anche a te la parola di Gesù ai primi due discepoli:
"vieni e vedi"...
- Cardinale Carlo Maria Martini -
da: "Parlo al tuo cuore"Ed. Centro Ambrosiano
Buona giornata a tutti. :-)