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martedì 30 agosto 2022

Il cardinale Ildefonso Schuster e il cardinale Carlo Maria Martini

Nel giorno della Memoria Liturgica del Beato Cardinale Ildefonso Schuster, mi è grato ricordare anche i Cardinali Martini e Tettamanzi. Tutti e tre morirono nel mese di agosto. Milano e la Chiesa sono stati fortunati ad avere il grande coraggio eroico del Cardinale Schuster, la forza intrepida della Parola di Dio testimoniata dal Cardinale Martini e la grande carità attuata dal Cardinale Tettamanzi. Si degnino ora questi Cardinali di guardare Milano e la Lombardia dal cielo e pregare per questa terra!

Un pensiero del Cardinale Schuster è adatto davvero a tutti e tre ed è una grande verità:

« Voi desiderate un ricordo da me. Altro ricordo non ho da darvi che un invito alla santità. La gente pare che non si lasci più convincere dalla nostra predicazione, ma di fronte alla santità, ancora crede, ancora si inginocchia e prega. La gente pare che viva ignara delle realtà soprannaturali, indifferente ai problemi della salvezza. Ma se un Santo autentico, o vivo o morto, passa, tutti accorrono al suo passaggio. Non dimenticate che il diavolo non ha paura dei nostri campi sportivi e dei nostri cinematografi. Ha paura, invece, della nostra santità».


"Io parto dal principio che Dio non pretenda troppo da me: sa cosa posso sopportare. Forse in punto di morte qualcuno mi terrà la mano. Mi auguro di riuscire a pregare. Mi fa sentire di essere al sicuro vicino a Dio. La morte non può privare di questa sensazione di sicurezza"

Carlo Maria Martini, Conversazioni notturne a Gerusalemme

 



Ti chiediamo, o Signore, di darci il dono della preghiera,

te lo chiediamo perché ne abbiamo bisogno.

Sappiamo di non essere capaci di pregare e appunto per questo ti chiediamo come dono di poter essere noi stessi.

Donaci, o Signore, di trovare volentieri la nostra preghiera, anche se piccola, povera, semplice, disadorna, priva di concetti grandiosi.

Fa' che sia vera, o Signore, che essa esprima ciò che noi siamo: poveri, peccatori davanti a te, e anche ciò che noi siamo per la tua grazia.

Fa' che sappiamo lodarti, o Signore: gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, come era nel principio, ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen.

Card. Carlo Maria Martini


Buona giornata a tutti :-)





sabato 5 febbraio 2022

La valigia

Un uomo morì. Appena varcata la soglia dell'aldilà vide Dio, con una valigia, che gli veniva incontro.
E Dio disse:
- Figlio, è ora di andare.
L'uomo stupito domandò:
- Di già? Così presto? Avevo tanti progetti...
- Mi dispiace ma è giunta l'ora della tua partenza.
E si incamminarono. Curioso l'uomo chiese a Dio:
- Cosa porti nella valigia?
E Dio gli rispose:
- Ciò che ti appartiene.
- Quello che mi appartiene? Porti le mie cose, i miei vestiti, i miei soldi?
Dio rispose:
- Quelle cose non ti sono mai appartenute, erano del mondo.
- Porti i miei ricordi?
- Quelli non ti sono mai appartenuti, erano del tempo.
- Porti i miei talenti?
- Quelli non ti sono mai appartenuti, erano delle circostanze.
- Porti i miei amici, i miei familiari?
- Mi dispiace, loro mai ti sono appartenuti, erano compagni di viaggio.
- Porti mia moglie e i miei figli?
- Loro non ti sono mai appartenuti. Ti sono stati solo affidati.
- Porti il mio corpo?
- Non ti è mai appartenuto. Era della polvere.
- Allora porti la mia anima?
- No, l'anima è mia.
Allora l'uomo, di scatto, afferrò la valigia per guardarvi dentro e, con le lacrime agli occhi disse:
- Ma è vuota! Allora non ho mai avuto niente?
- Beh, le cose materiali, per cui hai tanto lottato, non puoi portarle con te. 

Il vero bene della vita è il tempo. Ecco perché non dovevi sprecarlo ma impegnarlo per prepararti alla vita eterna, accumulando l'unico tesoro che ha valore nel mio Regno: i tuoi gesti di amore. Il resto non conta nulla.

Questo è quanto ci raccomanda il Signore, con tutto il suo cuore:
“Non accumulate per voi tesori sulla terra; accumulate invece per voi tesori in cielo” (Mt 6,19-20)



Credo la vita eterna 

Riconosco, Signore, che la durata della mia condizione mortale è gravata dalla maligna separazione che nell'incredulità si produce tra il nostro tempo e il tuo. E so che questa separazione si riflette nell'angoscia in cui trascorre il tempo che ciascuno di noi cerca di avere soltanto per se stesso. La malinconia del tempo inesorabilmente passato è figlia dell'incredulità e madre della disperazione.

La morte si presenta allora e solo allora come una dimostrazione dell'inutilità del tempo dell'amore. I colpi in cui il dolore percuote l'uscio di casa diventano i sogni di un destino implacabile che assegna alla morte l'ultima parola. 

La nostalgia del tempo perduto si trasforma in una malattia che rende cronica la perdita di ogni senso di tempo.

Ma se io, Signore, tendo l'orecchio e imparo a discernere i segni dei tempi, distintamente odo i segnali della tua rassicurante presenza alla mia porta. E quando ti apro e ti accolgo come ospite gradito nella mia casa, il tempo che passiamo insieme mi rinfranca.

Alla tua mensa divido con te il pane della tenerezza e della forza, il vino della letizia e del sacrificio, la parola della sapienza e della promessa, la preghiera del ringraziamento e dell'abbandono nelle mani del Padre. E ritorno alla fatica del vivere con indistruttibile pace. Il tempo che è passato con te sia che mangiamo sia che beviamo è sottratto alla morte.

Adesso, anche se è lei a bussare, io so che sarai tu ad entrare; il tempo della morte è finito. Abbiamo tutto il tempo che vogliamo per esplorare danzando le iridescenti tracce della Sapienza dei mondi. E infiniti sguardi d'intesa per assaporarne la Bellezza. Amen.

- card. Carlo Maria Martini - 


Buona giornata a tutti :-)





domenica 12 dicembre 2021

“Il Natale di un tempo oscuro”: una meditazione di Carlo Maria Martini

Forse, per comprendere meglio il mistero del Natale, dovremmo fare astrazione, almeno per un certo periodo, da quelle immagini con cui la fantasia ha ammobiliato la nostra mente e che ricorrono quasi necessariamente quando pronunciamo questo nome. Si tratta per lo più di immagini prese dal racconto del Vangelo secondo Luca. Esso ci lascia un’impressione di luminosità e di serenità: una grande luce compare sulla terra (Lc 2,9), si ode il cantico di pace di una moltitudine dell’esercito celeste (Lc 2, 13-14), mentre con i pastori andiamo ad adorare il bambino che è nato (Lc 2, 15) e incontriamo Maria e Giuseppe che contemplano il loro primogenito (Lc 2, 16).

Tutto questo è vero e fa parte del mistero del Natale. Ma è importante anche ricordare il contesto oscuro in cui tutto ciò avviene. Un viaggio faticoso da Nazaret a Gerusalemme per soddisfare la vanità di un imperatore, le pesanti ripulse ricevute da Giuseppe che cerca un posto dove possa nascere il bambino, il freddo della notte, il disinteresse con cui il mondo accoglie il figlio di Dio che nasce. E su tutto questo grava una pesante cappa di grigiore, di incredulità, di superficialità e di scetticismo, evidenziata nelle gravissime ingiustizie presenti allora nel mondo. Non si può dire che il contesto del primo Natale fosse un contesto di luce e di serenità, ma piuttosto di oscurità, di dolore e anche di disperazione.

IL MISTERO DEL PECCATO
Anche oggi, come allora, possiamo lamentarci di vivere in un periodo particolarmente oscuro e difficile. Basta pensare alla pesante crisi economica che mette tante famiglie in difficoltà, all’ingiustizia globale, alla crescente intolleranza verso gli stranieri e i poveri. Si aggiungano le tensioni religiose, gli smarrimenti delle giovani generazioni. Non sappiamo dire se il nostro contesto sia più oscuro e pesante di quello del primo Natale. D’altra parte è difficile che si possa trovare nella storia dell’umanità un contesto veramente favorevole all’uomo e alla sua dignità. Questo fa parte del mistero del peccato, che è un mistero di assurdità e di irrazionalità.
In tale quadro possiamo chiederci: come opera il mistero del Natale? Come affronta un contesto ostile o indifferente? Che cosa sa dire per il vero bene e la dignità dell’uomo?
In primo luogo appare chiaro che il mistero del Natale è un mistero di modestia e di piccolezza. Non ha la pretesa di introdurre modifiche di grande livello, che mutino il contesto in tempi brevi. E tuttavia il mistero del Natale introduce nel cammino storico dell’uomo quegli atteggiamenti quasi impercettibili, ma che permettono di cogliere la verità dei rapporti e di modificarli nel senso di un rispetto dell’altro, di una riverenza e di un’accettazione tali da poter influire anche su contesti più ampi.

TRE SEGNALI DI SPERANZA
Alcuni di questi atteggiamenti riguardano ogni tempo e situazione. Altri sono più specifici del nostro tempo e ad essi vorrei invitare a dare uno sguardo privilegiato. Ne segnalo tre.
Anzitutto un crescente amore e desiderio della Parola di Dio, specialmente di quella contenuta nella Bibbia. Essa si è manifestata sia nel recente Sinodo universale dei vescovi sia, in Italia, nella Bibbia letta notte e giorno, senza interruzione, per una settimana. Quest’ultima iniziativa, quasi una sorta di maratona biblica, non mancava di qualche ambiguità. Ma il comportamento dei lettori e dei fedeli e l’accoglienza silenziosa e riverente del pubblico hanno mitigato i timori della vigilia. Soprattutto vorrei ricordare, in questo amore alla Parola di Dio, la crescente capacità dei laici di leggere le Scritture e di pregare a partire da esse. Se si giungerà così a compiere finalmente il voto del Concilio Vaticano II (cfr Dei Verbum, n. 26), avremo un segnale di speranza che non deluderà.
Vorrei ricordare, come secondo segnale, il crescente desiderio di apertura ecumenica e interreligiosa, che vuole contrastare efficacemente le chiusure etniche e confessionali.
Ma soprattutto vorrei menzionare una serie di gesti che ho conosciuto in Israele che, non nascendo da un terreno propriamente biblico o cristiano, mi sono sembrati fiori purissimi germinati per opera dello Spirito Santo, che mostra la sua presenza anche nelle pieghe più difficili del mondo di oggi. 

Si tratta di famiglie ebraiche e palestinesi, che hanno subito ciascuna un lutto grave a causa della violenza (per esempio una ragazza uccisa in un attentato terroristico o un giovane ucciso in operazioni di guerra). Ora, invece di crogiolarsi nel desiderio di vendetta, queste persone si sono chieste: ma se io soffro tanto a causa di questa violenza ingiusta, quale sarà la sofferenza dell’altra parte per una violenza analoga? Così queste persone si sono cercate, hanno parlato e pianto insieme, e hanno elaborato insieme iniziative di pace e di riconciliazione coinvolgendo anche altri.

Questo fiore del Vangelo nato in un terreno non religioso mi è sembrato un segnale importantissimo della presenza di Dio in ogni cuore e mi dà motivo di speranza anche in un contesto oscuro e difficile come il nostro.

- Carlo Maria Martini SJ - 

dicembre 2008

Tratto dal sito: http://www.popoli.inf


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domenica 10 ottobre 2021

Integrazione e annuncio del Vangelo – card. Carlo Maria Martini

Nel dicembre 1990, undici anni prima degli attentati alle Torri Gemelle che hanno riportato in primo piano lo «scontro di civiltà» e i problemi dell’integrazione, l’arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini tenne il suo discorso alla città dedicandolo proprio all’islam. E le sue parole rimangono ancora attuali, anche se possono apparire distanti da certi cliché cuciti addosso al cardinale.

«Vorrei richiamare qui, un punto che mi è sembrato finora poco atteso  e cioè la necessità di insistere su un processo di “integrazione”, che è ben diverso da una semplice accoglienza e da una qualche sistemazione. Integrazione comporta l’educazione dei nuovi venuti a inserirsi armonicamente nel tessuto della nazione ospitante, ad accertarne le leggi e gli usi fondamentali, a non esigere dal punto di vista legislativo trattamenti privilegiati che tenderebbero di fatto a ghettizzarli e a farne potenziali focolai di tensioni e violenze. 
Finora l’emergenza - continuava l’arcivescovo di Milano - ha un po’ chiuso gli occhi su questo grave problema».

«È necessario in particolare far comprendere a quei nuovi immigrati che provenissero da Paesi dove le norme civili sono regolate dalla sola religione e dove religione e Stato formano un’unità indissolubile, che nei nostri Paesi i rapporti tra lo Stato e le organizzazioni religiose sono profondamente diversi. Se le minoranze religiose hanno tra noi quelle libertà e diritti che spettano a tutti i cittadini, senza eccezione, non ci si può invece appellare, ad esempio, ai principi della legge islamica (shari’ah) per esigere spazi o prerogative giuridiche specifiche».

«Occorre perciò elaborare un cammino verso l’integrazione multirazziale,che tenga conto di una reale integrabilità di diversi gruppi etnici. Perché si abbia una società integrata è necessario assicurare l’accettazione e la possibilità di assimilazione di almeno un nucleo minimo di valori che costituiscono la base di una cultura, come ad esempio i principi della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e il principio giuridico dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge».

tratto dall' Intervento del cardinale Carlo Maria Martini
Basilica di Sant'Ambrogio, 1990, Milano



Per quanto riguarda invece l’annuncio della fede cristiana, Martini aveva affrontato questo tema proponendo l’esempio di San Francesco d’Assisi, che nella sua Regola, al capitolo XVI Di coloro che vanno tra i saraceni, scriveva: «I frati che vanno tra i saraceni col permesso del loro ministro e servo possono ordinare i rapporti spirituali in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti e dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L’altro è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio... e tutti i frati, ovunque sono, si ricordino che hanno consegnato e abbandonato il loro corpo al Signore nostro Gesù Cristo e che per suo amore devono esporsi ai nemici sia visibili che invisibili».

tratto dall' Intervento del cardinale Carlo Maria Martini
Basilica di Sant'Ambrogio, 1990, Milano


L’arcivescovo di Milano proseguiva quindi indicando alcune posizione «errate» delle comunità cristiane e in particolare dei preti di fronte al fenomeno. 
Tra queste, Martini citava «lo zelo disinformato» di chi fa «di ogni erba un fascio»: «Si propugna l’uguaglianza di tutte le fedi senza rispettarle nella loro specificità, si offrono indiscriminatamente spazi di preghiera o addirittura luoghi di culto senza aver prima ponderato che cosa significhi questo per un corretto rapporto interreligioso. Al riguardo saranno necessarie norme precise e rigorose, anche per evitare di essere fraintesi»
«La posizione corretta - spiegava il cardinale - è lo sforzo serio di conoscenza, la ricerca di strumenti e l’interrogazione di persone competenti. Penso, in particolare, ai casi molto difficili e spesso fallimentari dei matrimoni misti...».

tratto dall' Intervento del cardinale Carlo Maria Martini
Basilica di Sant'Ambrogio, 1990, Milano




«Nessuna contesa dunque, nessun uso della forza, esposizione sincera e a tempo opportuno di ciò che credono». 
«Può la Chiesa cattolica rinunciare a proporre il Vangelo a chi ancora non lo possiede? Certamente no, come ai musulmani non viene chiesto di rinunciare al desiderio di allargare la ‘umma, la comunità dei credenti». 

tratto dall' Intervento del cardinale Carlo Maria Martini
Basilica di Sant'Ambrogio, 1990, Milano






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martedì 30 marzo 2021

Chi passa sotto la croce? - Card. Carlo Maria Martini

I passanti sono la gente che sapeva sì e no, che aveva sentito parlare di Gesù e magari aveva qualche volta ascoltato i suoi insegnamenti; pur se aveva pensato che parlava bene; se ne era andata poi per la sua strada e ora, ritrovandolo in croce, si meraviglia di come sia andata a finire.

Naturalmente comincia a venir fuori quel gusto della malignità che è sempre presente in noi: se Dio era veramente in lui, non avrebbe avuto questa morte; vuol dire che ci ha ingannati, e le ore passate ad ascoltarlo sono state una perdita di tempo. Il Vangelo infatti annota: “Scuotevano la testa”.

C’è una parvenza di ragione in questa gente; quando il giusto e perseguitato è all’estremo delle forze, i benpensanti dicono: “Se è finito così male, qualcosa ci dev’essere sotto”. […] Un tale ragionamento, che appare di buon senso, sottende una certa idea di Dio: Dio è il grande, il potente, il vittorioso; chi si affida a lui, pur se sarà provato da momenti oscuri, alla fine trionferà.

Se non trionfa, vuol dire che Dio non è con lui. A partire da quella idea di Dio nasce l’insulto che diviene addirittura bestemmia. […] Ancora una volta di fronte a Gesù, anche nella morte, ogni uomo rivela se stesso, manifesta la sua meschinità, la mediocrità dei propri pensieri, ed essa si esprime con tale spontaneità che le persone credono di dire le cose più sensate.



Verso quale Dio alziamo gli occhi?

Domandiamoci dunque “Qual è il Dio in cui crediamo?” […] spontaneamente e paganamente, senza volerlo, ritorniamo sempre a un’immagine di Dio “al nostro servizio”, al servizio della nostra potenza, della nostra riuscita, non a un Dio a cui possiamo e dobbiamo affidarci totalmente, così come Gesù si è affidato. 

Dio è per noi un mare in cui vogliamo buttarci, però con qualche strumento di salvataggio, perché così, se il mare non ci sostiene, riusciremo a salvarci. 

Gesù ci pone di fronte al nostro paganesimo e ci interroga: “Sei disposto ad aprire il cuore al Dio del Vangelo e a tutto ciò che tale accettazione comporta?”.

- Card. Carlo Maria Martini  -


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sabato 27 marzo 2021

Ti chiediamo Signore Gesù - Cardinale Carlo Maria Martini

                                                       Ti chiediamo, Signore Gesù,

di guidarci in questo cammino
verso Gerusalemme e verso la Pasqua.
Ciascuno di noi intuisce che tu,
andando in questo modo a Gerusalemme,
porti in te un grande mistero,
che svela il senso della nostra vita,
delle nostre fatiche e della nostra morte,
ma insieme il senso della nostra gioia
e il significato del nostro cammino umano.
Donaci di verificare sui tuoi passi
i nostri passi di ogni giorno.
Concedici di capire, 
in questa settimana che stiamo iniziando,
come tu ci hai accolto con amore,
fino a morire per noi,
e come l'ulivo vuole ricordarci
che la redenzione e la pace da te donate
hanno un caro prezzo,
quello della tua morte.
Solo allora potremo vivere nel tuo mistero
di morte e di risurrezione,
mistero che ci consente di andare
per le strade del mondo
non più come viandanti
senza luce e senza speranza,
ma come uomini e donne
liberati della libertà dei figli di Dio.

+ cardinale Carlo Maria Martini - 


L'unica speranza

Secondo Luca, nel Nome di Gesù, e in virtù di esso, si aprono tutte le Scritture, Israele viene glo­rificato e tutte le genti sono illuminate (Le 2,32). In effetti Gesù è il Messia secondo le tre parti delle Scritture, Mose, i Profeti e gli Scritti e questo pro­prio grazie a tre segni: egli è colui che «doveva sof­frire ed essere messo a morte» (cf Le 24,26). Egli è colui che «il terzo giorno doveva risorgere dai morti» (cf Le 24,46). Inoltre «deve essere annun­ciato a tutti i popoli come Salvatore» (cf Le 2,11; 24,47). 
I primi due segni sono già compiuti, solo il terzo rimane ancora aperto. Chi ascolta i tre segni, se si lascia convincere, è anch'egli reso responsabi­le nel portare avanti l'annuncio della buona noti­zia. 
Fino a quando il terzo segno non è realizzato la nostra fede cristologica è imperfetta. Lo spazio della Chiesa che deve compiere la sua missione fino ai confini della terra» scaturisce direttamente dalla confessione: Gesù è il Messia. Gesù è l'unica speranza.

- Benoìt Standaert -




 “Perdonare fa parte di quella particolare «economia» dell'amore che non calcola, ma dona, e proprio così moltiplica i suoi effetti.” 

- Gianfranco Ravasi -
da: “Grammatica del perdono”





Che cosa vuoi di più, o anima, e che cos'altro cerchi fuori di te, dal momento che dentro di te hai le tue ricchezze, le tue delizie, la tua soddisfazione, la tua sazietà e il tuo regno, che è il tuo Amato, che la tua anima desidera e cerca? 


+ Cardinale Carlo Maria Martini -




Buona giornata a tutti. :-)




martedì 8 dicembre 2020

Maria segno di benedizione, 8 dicembre - card. Carlo Maria Martini



Dalle “maledizioni” umane, alla partecipazione della “benedizione” di Maria

In questa festa liturgica della Madonna ascoltiamo una pagina della Scrittura che è davvero impressionante.
Mi ha colpito perché in essa c’è, per la prima volta nella Bibbia, la parola della maledizione: Maledetto il serpente più di tutte le bestie selvatiche (Gn 3, 14). La maledizione del serpente è simbolo della maledizione di tutte quelle cose che rovinano gli uomini.
Mi ha colpito perché penso a quante altre volte la parola «maledizione» è stata, da allora, ripetuta, a quante volte sono state lanciate nel mondo delle maledizioni gli uni contro gli altri, a quante volte siamo giunti a maledire noi stessi e addirittura a maledire Dio.
A partire dal racconto che la Scrittura ci riporta, il segno doloroso del peccato e della tristezza è entrato nel mondo e, per così dire, ci perseguita. Forse non arriviamo sempre a pronunciare quella parola ma ci sono tante cose in noi, intorno a noi, nella società che non vanno, che noi non vogliamo e che suscitano in noi un moto di ribellione.
Ci ribelliamo contro noi stessi perché non siamo sempre ciò che vorremmo essere; ci ribelliamo contro gli altri che riteniamo la causa di ciò che in noi non va; ci ribelliamo anche contro Dio perché non sappiamo capire quanto Dio ci ama.
È, dunque, una parola terribile che si riproduce nella storia umana, così come si riproduce il peccato.
È il peccato la vera causa di tutte le scontentezze, di tutte le tristezze, di tutte le guerre, di tutte quelle cose che sono in realtà la maledizione dell’uomo.
Ed ecco che il Vangelo ci porta il ricordo delle parola contraria alla maledizione:


«Benedetta tu, benedetta tu tra le donne!» (Lc 1, 42).


Questa parola rivolta alla Madonna è simbolo del meglio di noi stessi.
Noi siamo chiamati non a maledire noi stessi e gli altri:
noi siamo chiamati in realtà a benedire Dio,
a benedire la vita, a benedire il futuro.
La Madonna è il simbolo di tutto questo,
è il simbolo di tutte quelle cose che noi vorremmo essere,
è il simbolo di quello che vorremmo che il mondo fosse,
che vorremmo che gli altri fossero, che vorremmo che fosse la società.
Pregando oggi la Madonna noi preghiamo, quindi, col meglio di noi stessi, con tutto ciò che di bene c’è in noi.
Preghiamo perché questo bene si allarghi, preghiamo perché ciò che in noi è magari soltanto uno spazio di luce diventi più largo,
preghiamo perché ciò che in noi è uno spiraglio di serenità cresca.
Possiamo augurarci che la Madonna entri nella nostra vita con la sua benedizione in modo da poter dire, in tutta verità:

Benedetta sei, o Maria, tra tutte le donne!
Fammi partecipe della tua benedizione,
fa’ che anch’io senta quanto c’è in me che può diventare parte della tua benedizione!


- +Cardinale Carlo Maria Martini - 




Lectio libri Sapientiae (Prov. VIII, 22-35).

Dominus possedit me in initio uiarum suarum, antequam quidquam faceret a principio. Ab aeterno ordinata sum, et ex antiquis, antequam terra fieret. Nondum erant abyssi, et ego iam concepta eram: necdum fontes aquarum eruperant: necdum montes graui mole constíiterant: ante colles ego parturiebar: adhuc terram non fecerat, et flumina, et cardines orbis terrae. Quando praeparabat caelos, aderam: quando certa lege et gyro uallabat abyssos: quando aethera firmabat sursum, et librabat fontes aquarum: quando circumdabat mari terminum suum, et legem ponebat aquis, ne transirent fines suos: quando appendebat fundamenta terrae. Cum eo eram cuncta componens: et delectabar per singulos dies, ludens coram eo omni tempore: ludens in orbe terrarum: et deliciae meae esse cum fíliis hominum. Nunc ergo, fílii, audite me: Beati, qui custodiunt uias meas. Audite disciplinam, et estote sapientes, et nolite abiicere eam. Beatus homo, qui audit me, et qui uigilat ad fores meas quotidie, et obseruat ad postes ostii mei. Qui me inuenerit, inueniet uitam, et hauriet salutem a Domino.




"Alla materna intercessione di Maria, 

Vergine dell’Avvento, 
affidiamo il nostro cammino 
incontro al Signore che viene, 
per essere pronti ad accogliere, 
nel cuore e in tutta la vita,
l’Emmanuele, 
Dio-con-noi." 

- Papa Benedetto XVI -
Angelus del 9 dicembre 2012



“Rallegrati, vergine Maria,
figlia della mia terra,
sorella dell’anima mia,
rallegrati, gioia della mia gioia.
Sono come un vagabondo nella notte,
ma tu sei un tetto sotto il firmamento.
Sono una coppa assetata,
ma tu sei il mare aperto del Signore.
Rallegrati Vergine Maria,
ala della mia terra,
corona dell’anima mia;
rallegrati, gioia della mia gioia:
felici coloro che ti proclamano felice!”

- Gertrud von Le Fort -




Buona giornata a tutti. :-)

www.leggoerifletto.it

martedì 27 ottobre 2020

La preghiera fragile dei vecchi vicini a Dio - p. Carlo Maria Martini S.J.

Ho ben 82 anni di vita e la malattia di Parkison e gli acciacchi dell’età si fanno sentire. Ma probabilmente, per quanto riguarda la preghiera, sono ancora a metà del guado. Sento che la mia preghiera dovrebbe trasformarsi, ma non so bene in che modo, e sento anche una certa resistenza a compiere un salto decisivo. So che posso dire come Isacco: «Io sono vecchio e ignoro il giorno della mia morte» (Gen 27,2), ma di questo non ho ancora tratto le conclusioni.

Cerco comunque di chiarirmi le idee riflettendo un po’ sull’argomento. Mi pare che si possa parlare in due modi della preghiera dell’anziano. Si può considerare l’anziano nella sua crescente debolezza e fragilità, secondo la descrizione metaforica (ed elegante) del Qohèlet (12, 1-4):

Ricordati del tuo Creatore
nei giorni della tua giovinezza
prima che vengano i giorni tristi
e giungano gli anni di cui dovrai dire:
non ci trovo alcun gusto.
Prima che si oscurino il sole,
la luna, la luce e le stelle
e tornino ancora le nubi dopo la pioggia;
quando tremeranno i custodi della casa
e si curveranno i gagliardi
e cesseranno di lavorare le donne che macinano,
perché rimaste poche
e si offuscheranno quelle che guardano dalle finestre
e si chiuderanno i battenti sulla strada:
quando si abbasserà il rumore della mola
e si attenuerà il cinguettio degli uccelli
e si affievoliranno tutti i toni del canto .

In questo caso il tema sarà la preghiera (qui evocata dalle parole «Ricordati del tuo Creatore») di colui che è debole e fragile, di colui che sente il peso della fatica fisica e mentale e si stanca facilmente.

La salute e l’età non consentono più di dedicare alla preghiera i tempi lunghi di una volta: si sonnecchia facilmente e ci si appisola. Mi pare quindi sia necessario imparare a utilizzare al meglio il poco tempo di preghiera di cui si è in grado di disporre.

Non riuscendo più a dedicare alla preghiera lo stesso tempo di quando si avevano più energie, e sentendola spesso come un po’ distante e poco consolante, è possibile che il proprio spirito venga catturato da un certo senso di scoraggiamento. Allora la tentazione sarà di accorciare ulteriormente i tempi da consacrare alla preghiera, limitandosi allo strettamente necessario.

Tuttavia questo accorciare i tempi dell’orazione potrebbe essere molto pericoloso. Infatti la preghiera, per dare qualche conforto, deve essere di norma un po’ prolungata. Se si restringe il tempo, anche le consolazioni sorgeranno con maggiore difficoltà e si creerà una sorta di circolo vizioso, che porterà a pregare sempre meno.

Ma la preghiera dell’anziano potrebbe anche essere considerata la preghiera di qualcuno che ha raggiunto una certa sintesi interiore tra messaggio cristiano e vita, tra fede e quotidianità.

Quali saranno allora le caratteristiche di questa preghiera? Non è facile stabilirlo in astratto e aprioristicamente: occorrerebbe piuttosto riflettere sull’esperienza dei santi, in particolare dei santi anziani.

Perciò bisognerebbe dedicare, con pazienza, un po’ di tempo alla ricerca. Anzitutto nella Bibbia . In molti Salmi si parla apertamente dell’anziano e della sua condizione con espressioni molto significative e suggestive. 

Ad esempio: «Sono stato fanciullo e ora sono vecchio; non ho mai visto il giusto abbandonato né i suoi figli mendicare il pane» (Sal 36,25). 

Si veda anche l’esortazione del Salmo 148,12: «I vecchi insieme ai bambini lodino il nome del Signore».

La Scrittura ci offre anche preghiere tipiche di un anziano. La più nota è la preghiera dell’anziano Simeone al tempio quando prende tra le sue deboli braccia il piccolo Gesù (Lc 2,29 ss.) :

«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli»

La ricerca dovrebbe allargarsi ai Padri apostolici, come Ignazio e Policarpo, quindi ai Padri del deserto e ai grandi oranti di tutti i secoli.

Non essendo qui possibile percorrere una tale via analitica, mi limiterò ad alcune riflessioni generali, aiutato anche dalla testimonianza di qualche confratello più anziano di me. Mi chiederò, cioè, quali potrebbero essere alcune caratteristiche positive nella preghiera di un anziano. Mi pare che possano emergere tre aspetti: un’insistenza sulla preghiera di ringraziamento; uno sguardo di carattere sintetico sulla propria vita ed esperienza; infine una forma di preghiera più contemplativa e affettiva, una prevalenza della preghiera vocale sulla preghiera mentale.

Sul primo di questi tre punti riporto la testimonianza di un confratello: "Riguardo ai contenuti della mia preghiera in questi anni di vecchiaia – ho 85 anni – si distingue la preghiera di ringraziamento. Si sono sviluppati due motivi per ringraziare Dio: anzitutto per avermi concesso un tempo in cui mi posso dedicare (vorrei quasi dire “a tempo pieno”) a prepararmi alla morte. E ciò non è dato a tutti. In secondo luogo per avermi mantenuto finora nel pieno dominio delle risorse mentali e, largamente, anche di quelle fisiche" .

Là dove invece non c’è questo vigore fisico e/o mentale la preghiera si colorerà soprattutto di pazienza e di abbandono nelle mani di Dio, sull’esempio di Gesù che muore dicendo: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46).

È così che i Salmi ci insegnano a pregare: 

«Tu salvi dai nemici chi si affida alla tua destra» (Sal 16,7); 

«Mi affido alle tue mani: tu mi riscatti, Signore, Dio fedele» (Sal 30,6); 

«Lo salverò, perché a me si è affidato» (Sal 90,14).

Chi ha raggiunto una certa età è anche nelle condizioni di volgere uno sguardo sintetico sulla propria vita, riconoscendo i doni di Dio, pur attraverso le inevitabili sofferenze. Veniamo quindi invitati a una lettura sapienziale della nostra storia e di quella del mondo da noi conosciuto.

E beati coloro che riescono a leggere il proprio vissuto come un dono di Dio, non lasciandosi andare a giudizi negativi sui tempi vissuti o anche sul tempo presente in confronto con quelli passati!

La terza caratteristica della preghiera dell’anziano dovrebbe essere un crescere della preghiera vocale (e quindi una diminuzione della preghiera mentale) insieme a un inizio di semplice contemplazione che esprime con mezzi molto poveri la propria dedizione al Signore. Diminuisce la preghiera mentale per la minore capacità di concentrazione dell’anziano. Ma contemporaneamente bisogna aver cura di aumentare la preghiera vocale. Anche se un po’ assonnata o distratta, essa è comunque un mezzo per avvicinarci al Dio vivente.

Sarebbe ideale arrivare a contemplare molto semplicemente il Signore che ci guarda con amore, oppure pensare a Gesù che ha bisogno di noi per rendere piena la sua lode al Padre.

Ma qui sarà lo Spirito Santo che si farà nostro maestro interiore. A noi non resterà che seguirlo che docilmente» .

- card. Carlo Maria Martini -

Tratto da: "Qualcosa di così personale. Meditazioni sulla preghiera" – Mondadori editore


Buona giornata a tutti. :-)