I passanti sono la gente che sapeva sì e no, che aveva sentito parlare di Gesù
e magari aveva qualche volta ascoltato i suoi insegnamenti; pur se aveva
pensato che parlava bene; se ne era andata poi per la sua strada e ora,
ritrovandolo in croce, si meraviglia di come sia andata a finire.
Naturalmente comincia a venir fuori
quel gusto della malignità che è sempre presente in
noi: se Dio era veramente in lui, non avrebbe avuto questa morte; vuol dire che
ci ha ingannati, e le ore passate ad ascoltarlo sono state una perdita di
tempo. Il Vangelo infatti annota: “Scuotevano la testa”.
C’è una parvenza di
ragione in questa gente; quando il giusto e perseguitato è all’estremo delle
forze, i benpensanti dicono: “Se è finito così male, qualcosa ci dev’essere
sotto”. […] Un tale ragionamento, che appare di buon senso, sottende una certa
idea di Dio: Dio è il grande, il potente, il vittorioso; chi si affida a lui,
pur se sarà provato da momenti oscuri, alla fine trionferà.
Se non trionfa, vuol
dire che Dio non è con lui. A partire da quella idea di Dio nasce l’insulto che
diviene addirittura bestemmia. […] Ancora una volta di fronte a Gesù, anche
nella morte, ogni uomo rivela se stesso, manifesta la sua meschinità, la
mediocrità dei propri pensieri, ed essa si esprime con tale spontaneità che le
persone credono di dire le cose più sensate.
Domandiamoci dunque “Qual è il Dio in cui crediamo?” […] spontaneamente e paganamente, senza volerlo, ritorniamo sempre a un’immagine di Dio “al nostro servizio”, al servizio della nostra potenza, della nostra riuscita, non a un Dio a cui possiamo e dobbiamo affidarci totalmente, così come Gesù si è affidato.
Dio è per noi un mare in cui vogliamo buttarci, però con qualche strumento di salvataggio, perché così, se il mare non ci sostiene, riusciremo a salvarci.
Gesù ci pone di fronte al nostro paganesimo e ci interroga: “Sei disposto ad aprire il cuore al Dio del Vangelo e a tutto ciò che tale accettazione comporta?”.
- Card. Carlo Maria Martini -
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