lunedì 30 giugno 2025

Paralisi dell’anima – Madre Anna Maria Cànopi

 La Parabola Dei Talenti - Matteo 25,14 - 30
14. Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. 16. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. 17. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. 20. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. 21. Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. 22. Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. 23. Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. 24. Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; 25. per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. 26. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27. avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. 28 .Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29. Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.


Il messaggio della parabola dei talenti è chiaramente escatologico: riguarda l'esito finale della nostra esistenza. La vita è un dono;  essa ci è affidata come un seme da far fruttificare, come un talento da moltiplicare, come una scintilla da far divampare in una fiamma d'amore…. i doni di natura e di grazia e ci sono dati devono essere usati bene, con sapienza e sollecitudine, senza pigrizie e trascuratezze, ma anche senza ansia e agitazione. Ci è dato un tempo da vivere non con  cuore da schiavi, timorosi delle minacce di un duro padrone e giudice severo, ma con cuore di figli che attendono con crescente desiderio il ritorno del loro Padre, sapendosi da lui amati.
Partito il padrone, i servi della parabola si comportano in modo diverso: i primi due si attivano subito abilmente per guadagnare il più possibile con quanto hanno ricevuto; il terzo, invece, per paura di perdere il talento, non affronta il rischio di trafficarlo; lo nasconde in attesa di poterlo restituire “intatto” al vero padrone.
È evidente che l'approvazione è per il saggio comportamento dei primi due servi, benché nel loro caso ci possa essere il rischio di sentirsi tanto abili e intraprendenti da trafficare in talenti da possessori anziché amministratori, come si constata nella nostra società efficientista. Il terzo servo, non attivandosi per estrema cautela, cade nell'inerzia, l'atteggiamento pure trova riscontro nella società del nostro tempo, minacciata dall'angoscia esistenziale e dal disamore alla vita fino al rifiuto di essa. Si tratta di una grave malattia dello spirito che si insinua anche nella psiche, cui gli antichi padri e maestri di vita spirituale hanno dato il nome di acedia: una specie di "paralisi dell'anima" (Giovanni Climaco), una "indefinita pigrizia, una rilassatezza intollerante delle fatiche, compagna della tristezza" (Evagrio Pontico). Varie possono essere le cause di tale comportamento, ma alla radice - per quanto possa sembrare strano - spesso si trovano nella superbia e l'amor proprio. Presi dal timore di non riuscire e di poter essere giudicati e squalificati dagli altri, gli accidiosi evitano il rischio del fallimento e si difendano gettando la colpa sul "padrone severo" o sulle  circostanze sfavorevoli. In tal modo essi si privano della pura gioia insita nel generoso impegno di spendere la propria vita al servizio di Dio e dei fratelli.
Il rimedio dell'accidia - di cui tutti possiamo più o meno essere contagiati - è la conversione del cuore che si ottiene mediante la preghiera umile e fiduciosa di tutta la Chiesa e si fa carico del malato reso impotente anche a pregare. Rimane così sempre aperta la speranza che dal cuore dell'accidioso possa levarsi un grido d'aiuto e di umile offerta del proprio niente; un niente che il Signore accoglie per riempirlo di amore e in parte lo slancio della vita e del bene operare.
 (Madre Anna Maria Cànopi)
Abbadessa dell'Abbazia Benedettina "Mater Ecclesiae" ,Isola San Giusto – Orta (Novara)
fonte: I Vizi, Collana diretta da Piero Ciardella e Maurizio Gronchi,
Paoline Editoriale Libri,  pagg.59,60,61)


Vocazione di san Matteo realizzato nel 1599
Michelangelo Merisi detto Caravaggio
Cappella Contarelli nella chiesa di san Luigi dei Francesi, Roma (Italy)

Buona giornata a tutti :-)

www.leggoerifletto.it


venerdì 27 giugno 2025

Preghiere al Sacro Cuore di Gesù, 27 giugno 2025

 O Cuore amatissimo di Gesù, 
perché ti sei fatto squarciare dalla lancia,
se non per mostrarmi l'eccesso dell'amor tuo 
e per essere l'abitazione dell'anima mia? 
E quando entrerò io in Te e solennemente protesterò:
“Questo è il mio eterno riposo; 
qui abiterò perché mi sono scelto io
stesso questa dimora?”.

Gesù mio, introduci quanto prima quest'anima mia 
attraverso la ferita
dell'aperto costato nel segreto del tuo amabilissimo
e amantissimo Cuore, affinché essa si purifichi, 
si abbellisca e tutta si
infiammi nella tua carità; 
in modo che, dimentica delle terrene
sollecitudini, pensi solo ad amar Te, 
mio Dio crocifisso.

- San  Bonaventura - 




Litanie al Sacro Cuore di Gesù

Signore, pietà
Cristo, pietà
Signore, pietà
Cristo, ascoltaci
Cristo, esaudiscici
Padre celeste, Dio abbi pietà di noi
Figlio redentore del mondo, Dio
Spirito Santo, Dio
Santa Trinità, un solo Dio
Cuore di Gesù, Figlio dell'Eterno Padre abbi pietà di noi
Cuore di Gesù, formato dallo Spirito Santo nel seno della Vergine
Maria Padre abbi pietà di noi
Cuore di Gesù, sostanzialmente unito al Verbo di Dio Padre abbi pietà di noi
Cuore di Gesù, maestà infinita Padre abbi pietà di noi
Cuore di Gesù, tempio santo di Dio Padre abbi pietà di noi
Cuore di Gesù, tabernacolo dell'Altissimo Padre abbi pietà di noi
Cuore di Gesù, casa di Dio e porta del cielo Padre abbi pietà di noi
Cuore di Gesù, fornace ardente di amore Padre abbi pietà di noi
Cuore di Gesù, fonte di giustizia e di carità Padre abbi pietà di noi
Cuore di Gesù, colmo di bontà e di amore Padre abbi pietà di noi
Cuore di Gesù, abisso di ogni virtù Padre abbi pietà di noi
Cuore di Gesù, degnissimo di ogni lode Padre abbi pietà di noi
Cuore di Gesù, re e centro di tutti i cuori Padre abbi pietà di noi
Cuore di Gesù, in cui si trovano tutti i tesori di sapienza e di scienza Padre abbi pietà di noi
Cuore di Gesù, in cui abita tutta la pienezza della divinità Padre abbi pietà di noi
Cuore di Gesù, in cui il Padre si compiacque Padre abbi pietà di noi
Cuore di Gesù, dalla cui pienezza noi tutti abbiamo ricevuto Padre abbi pietà di noi
Cuore di Gesù, desiderio della patria eterna Padre abbi pietà di noi
Cuore di Gesù,paziente e misericordioso Padre abbi pietà di noi
Cuore di Gesù, generoso verso tutti quelli che ti invocano Padre abbi pietà di noi
Cuore di Gesù, fonte di vita e di santità Padre abbi pietà di noi
Cuore di Gesù, ricolmato di oltraggi Padre abbi pietà di noi
Cuore di Gesù, propiziazione per i nostri peccati Padre abbi pietà di noi
Cuore di Gesù, annientato dalle nostre colpe Padre abbi pietà di noi
Cuore di Gesù, obbediente fino alla morte Padre abbi pietà di noi



Signore libera dal male

Signore Gesù Cristo,
redentore degli esseri umani,
ci volgiamo al tuo Sacro Cuore
con umiltà e onestà,
con venerazione e speranza,
con un profondo desiderio
di darti gloria, onore e lode.
Signore Gesù Cristo, Salvatore del mondo,
ti ringraziamo per tutto ciò che tu sei
e per tutto ciò che fai per il piccolo gregge,
Signore Gesù Cristo, figlio del Dio vivente,
ti lodiamo per l'amore che ci hai rivelato
con il tuo Sacro Cuore,
trafitto per noi è diventato la fonte
della nostra gioia,
la sorgente della nostra vita eterna.
Raccolti insieme nel Tuo Nome,
che è più in alto di tutti gli altri nomi,
ci consacriamo al Tuo Sacro Cuore,
nel quale dimora la pienezza della verità
e della carità.
Signore Gesù Cristo,
Re dell'amore e principe della Pace,
regna nei nostri cuori e nelle nostre case.
Allontana tutti i poteri del male
e portaci a dividere la vittoria
del Tuo Sacro Cuore.

Tutti noi diciamo e diamo gloria e lode a Te,
al Padre ed allo Spirito Santo, unico Dio vivente
che regnerà per sempre.
Amen.

 – San Giovanni Paolo II, papa - 


Buona giornata a tutti. :-)



mercoledì 25 giugno 2025

L'aquila che si credeva un pollo - Padre Anthony De Mello

 Un uomo trovò un uovo d'aquila e lo mise nel nido di una chioccia.
L'uovo si schiuse contemporaneamente a quelli della covata e l'aquilotto crebbe insieme ai pulcini.
Per tutta la vita l'aquilotto fece quel che facevano i polli nel cortile, pensando di essere uno di loro.
Frugava il terreno in cerca di vermi e insetti, chiocciava e schiamazzava, scuoteva le ali alzandosi da terra di qualche decimetro.
Trascorsero gli anni e l'aquila divenne molto vecchia.
Un giorno vide sopra di sé, nel cielo sgombro di nubi, uno splendido uccello che planava, maestoso ed elegante, in mezzo alle forti correnti d'aria, muovendo appena le robuste ali dorate.
La vecchia aquila alzò lo sguardo, stupita. "Chi è quello?", chiese.
"E' l'aquila, il re degli uccelli", rispose il suo vicino. "Appartiene al cielo. Noi invece apparteniamo alla terra, perché siamo polli".
E così l'aquila visse e morì come un pollo, perché pensava di essere tale.

- Padre Anthony De Mello -
fonte: "Messaggio per un'aquila che si crede un pollo" (1990)


Come qualcuno ha detto una volta: "Per ottenere la pace del cuore, dimettetevi dall'incarico di direttore generale dell'universo".
Non sono il direttore generale, ma faccio quello che posso.
Mi immergo e il risultato dipende da Dio, dalla vita, dal destino.

- Padre Anthony De Mello -
Da: Messaggio per un pesciolino che ha sempre sete, Editore Piemme



In che modo pensate che la maggior parte delle persone trascorra la vita? Cercando di fare buona impressione, ecco come.
Assicurandosi di non essere criticata. Tentando di affermarsi. Mi chiedo quanti siano gli essere umani che non sono ossessionati da queste cose, per ventiquattro ore al giorno, consapevolmente o meno.
Pochissimi, oserei dire. Qual è la conseguenza? Che pochissimi vivono davvero.

- Padre Anthony De Mello -
Da: Messaggio per un pesciolino che ha sempre sete, Editore Piemme

sabato 21 giugno 2025

A me dà fastidio perfino parlare di due culture - Oriana Fallaci

 "A me dà fastidio perfino parlare di due culture: metterle sullo stesso piano come se fossero due realtà parallele, di uguale peso e di uguale misura. 
Perché dietro la nostra civiltà c’è Omero, c’è Socrate, c’è Platone, c’è Aristotele, c’è Fidia. C’è l’antica Grecia col suo Partenone e la sua scoperta della Democrazia. 
C’è l’antica Roma con la sua grandezza, le sue leggi, il suo concetto della legge. Le sue sculture, la sua letteratura, la sua architettura. 
I suoi palazzi e i suoi anfiteatri, i suoi acquedotti, i suoi ponti, le sue strade.

C’è un rivoluzionario, quel Cristo morto in croce, che ci ha insegnato (e pazienza se non lo abbiamo imparato) il concetto dell’amore e della giustizia. 

C’è anche una Chiesa che mi ha dato l’Inquisizione, d’accordo. Che mi ha torturato e bruciato mille volte sul rogo, d’accordo. 

Che mi ha oppresso per secoli, che per secoli mi ha costretto a scolpire e dipingere solo Cristi e Madonne, che mi ha quasi ammazzato Galileo Galilei. Me lo ha umiliato, me lo ha zittito. 

Però ha dato anche un gran contributo alla Storia del Pensiero: sì o no?

E poi dietro la nostra civiltà c’è il Rinascimento. C’è Leonardo da Vinci, c’è Michelangelo, c’è Raffaello, c’è la musica di Bach e di Mozart e di Beethoven. Su su fino a Rossini e Donizetti e Verdi and Company. 

Quella musica senza la quale noi non sappiamo vivere e che nella loro cultura o supposta cultura è proibita Ed ora ecco la fatale domanda: dietro all’altra cultura che c’è? 

Boh! Cerca cerca, io non ci trovo che Maometto col suo Corano e Averroè coi suoi meriti di studioso".

- Oriana Fallaci -

 "La rabbia e l'orgoglio".


"No, non è vero che il fine giustifica i mezzi. Se i mezzi sono sporchi, anche il fine più nobile diventa sporco.”

- Oriana Fallaci - 


Buona giornata a tutti :-)





martedì 17 giugno 2025

Il miracolo - don Bruno Ferrero

Questa è la storia vera di una bambina di otto anni che sapeva che l'amore può fare meraviglie. Il suo fratellino era destinato a morire per un tumore al cervello. I suoi genitori erano poveri, ma avevano fatto di tutto per salvarlo, spendendo tutti i loro risparmi.

Una sera, il papà disse alla mamma in lacrime: "Non ce la facciamo più, cara. Credo sia finita. Solo un miracolo potrebbe salvarlo".

La piccola, con il fiato sospeso, in un angolo della stanza aveva sentito.

Corse nella sua stanza, ruppe il salvadanaio e, senza far rumore, si diresse alla farmacia più vicina. Attese pazientemente il suo turno. Si avvicinò al bancone, si alzò sulla punta dei piedi e, davanti al farmacista meravigliato, posò sul banco tutte le monete.
"Per cos'è? Che cosa vuoi piccola?".

"È per il mio fratellino, signor farmacista. È molto malato e io sono venuta a comprare un miracolo".
"Che cosa dici?" borbottò il farmacista.

"Si chiama Andrea, e ha una cosa che gli cresce dentro la testa, e papà ha detto alla mamma che è finita, non c'è più niente da fare e che ci vorrebbe un miracolo per salvarlo. Vede, io voglio tanto bene al mio fratellino, per questo ho preso tutti i miei soldi e sono venuta a comperare un miracolo".
Il farmacista accennò un sorriso triste.
"Piccola mia, noi qui non vendiamo miracoli".

"Ma se non bastano questi soldi posso darmi da fare per trovarne ancora. Quanto costa un miracolo?".

C'era nella farmacia un uomo alto ed elegante, dall'aria molto seria, che sembrava interessato alla strana conversazione.

Il farmacista allargò le braccia mortificato. La bambina, con le lacrime agli occhi, cominciò a recuperare le sue monetine. L'uomo si avvicinò a lei.
"Perché piangi, piccola? Che cosa ti succede?".

"Il signor farmacista non vuole vendermi un miracolo e neanche dirmi quanto costa…. È per il mio fratellino Andrea che è molto malato. Mamma dice che ci vorrebbe un'operazione, ma papà dice che costa troppo e non possiamo pagare e che ci vorrebbe un miracolo per salvarlo. Per questo ho portato tutto quello che ho".
"Quanto hai?".

"Un dollaro e undici centesimi…. Ma, sapete…." Aggiunse con un filo di voce, "posso trovare ancora qualcosa….".

L'uomo sorrise "Guarda, non credo sia necessario. Un dollaro e undici centesimi è esattamente il prezzo di un miracolo per il tuo fratellino!". Con una mano raccolse la piccola somma e con l'altra prese dolcemente la manina della bambina.

"Portami a casa tua, piccola. Voglio vedere il tuo fratellino e anche il tuo papà e la tua mamma e vedere con loro se possiamo trovare il piccolo miracolo di cui avete bisogno".

Il signore alto ed elegante e la bambina uscirono tenendosi per mano.

Quell'uomo era il professor Carlton Armstrong, uno dei più grandi neurochirurghi del mondo. Operò il piccolo Andrea, che potè tornare a casa qualche settimana dopo completamente guarito.

"Questa operazione" mormorò la mamma "è un vero miracolo. Mi chiedo quanto sia costata…".

La sorellina sorrise senza dire niente. Lei sapeva quanto era costato il miracolo: un dollaro e undici centesimi…. più, naturalmente l'amore e la fede di una bambina.

Se aveste almeno una fede piccola come un granello di senape, potreste dire a questo monte: "Spostati da qui a là e il monte si sposterà". Niente sarà impossibile per voi (Vangelo di Matteo 17,20).

- don Bruno Ferrero - 

dal libro: C'è ancora qualcuno che danza - edizioni Elledici


Buona giornata a tutti :-)





domenica 15 giugno 2025

Terzo: ricordati di santificare le feste – Luigi Accattoli

Il cristiano è geloso della domenica, «giorno di gioia e di riposo»: così la definisce il Vaticano II nella costituzione Sacrosanctum Concilium. Deve esserne geloso: cioè deve diventarlo, o tornare a esserlo. Ma attenzione: non tanto della domeni­ca come giorno libero, riposo collettivo, festa di popolo, ma soprattutto della domenica come
  «giorno del Signore», cioè come giorno dell'as­semblea eucaristica, da cui parte e verso cui converge (fonte e culmine), in unità di tempo e di luogo, tutta la vita cristiana.

di Luigi Accattoli
 
La domenica non era giorno festivo prima di Costantino, ma era già il «giorno del Signore» e tale è restata nei regimi che l'hanno abolita come giorno di riposo e tale deve restare nella nostra civiltà del fine settimana, che l'ha profondamente trasformata. La domenica cristiana non è vincolata al riconosci­mento statale di questo giorno come giorno festivo. La civiltà del fine settimana è una sfida, per la dome­nica cristiana, altrettanto grave dell'obbligo di lavo­rare. Ma né l'una, né l'altro ci possono togliere dav­vero il «giorno del Signore». Riaffermare questa fedeltà è profezia tra le più preziose per il cristiano comune della nostra epoca.

Questo è il tempo in cui noi occidentali ci stiamo giocando la domenica come eredità storica: all'Est l'hanno appena recuperata, all'Ovest la stiamo
ven­dendo per trenta denari. È urgente recuperare l'at­taccamento alla domenica, che ha contrassegnato tutta la storia cristiana. [... ]

Il cristiano non ha - per la domenica - i divieti che l'ebreo ha per il sabato e non è costretto all'obiezio­ne di coscienza che i suoi fratelli maggiori attuano in difesa del sabato. Egli può accettare che gli vengano chieste prestazioni di varia natura in giorno di dome­nica, ma non può in alcun modo accettare che gli venga impedita la partecipazione all'assemblea euca­ristica. Per una piena garanzia da tale impedimento egli difende - per quanto può - la domenica come giorno festivo e non solo in campo politico e legis­lativo, ma anche nell'organizzazione della vita priva­ta: la difende contro l'industria del lavoro, dello sport e delle vacanze, non la monetizza, non la scambia con nessun altro bene.

La gelosia deve scattare soprattutto nei confronti del lavoro, che è la tentazione più forte (e qualche volta può essere una necessità): il lavoro domenicale è pagato il doppio, ma ci toglie assai di più.
L'idolo del lavoro e del guadagno può toglierci la libera e festo­sa partecipazione all'assemblea eucaristica, nella tri­plice dimensione personale, familiare e di popolo. Ha detto una volta il papa che la sosta nel lavoro dovrà essere «possibilmente contemporanea per tutti i membri della famiglia».
La famiglia, chiesa domestica, la domenica si unisce alla chiesa madre che celebra l'eucaristia.

Ma c'è anche la dimensione di popolo: le strategie produttive tendono a privilegiare ritmi continuati di lavoro, in modo che la settimana di presenza in fab­brica o in ufficio sia per alcuni da lunedì a venerdì, per altri da martedì a sabato, per altri ancora da mer­coledì a domenica e così via, senza più il giorno libe­ro per tutti: è la cosiddetta «società permanentemen­te attiva». Essa non toglie la possibilità che il popolo dei credenti liberamente si riunisca, nel giorno del Signore, però certo la ostacola. Ma la domenica come festa di popolo non va difesa solo in funzione liturgica: essa è un valore umano, oltre che un dono cristiano. Fare i giorni uguali (e solo la domenica ha il segreto della diversità), togliere il tempo della festa collettiva è una via efficace allo schiacciamento del­l'uomo sulla macchina, che può anche essere la mac­china del divertimento, ma è pur sempre una mac­china. Se cancelliamo la domenica dal calendario, allontaniamo la festa dalla nostra vita comune. [... ] Si tratterà di prepararli - i figli - anche a rinunciare a possibilità di carriera legate al lavoro domenicale.
Perché il riposo può essere più importante del dena­ro e la festa più importante del lavoro. Infatti non è vero che il lavoro sia la prima opera - cioè il primo dovere - dell'uomo.

«II lavoro è solo la seconda delle opere dell'uomo. Prima viene la sapienza, il riconoscimento cioè di ciò che dà ragione alla speranza. Il tempo della sapienza è tempo della festa, dell'otium, del cultum.»: così Giuseppe Angelini, ed è bene che sia un teologo del­l'operosa Milano a scrivere queste giuste parole sulla giusta priorità nei doveri dell'uomo.

C'è una bella espressione di Giovanni Paolo - a volte egli è poeta, quando meno te l'aspetti - che ci può aiutare ad amare la domenica con amore geloso. Egli ha parlato tante volte del 'Giorno del Signore" e gli ha dedicato anche una «lettera apo­stolica.», intitolata appunto Dies Domini (luglio 1998). Una volta ha detto ai cattolici austriaci, con il tono di battaglia che l'ha aiutato in tante occasioni a scuotere il mondo: «Fate tutto il possibile per salvaguardare la domenica! Dimostrate che questa giornata non può essere lavorativa, perché viene cele­brata come giorno del Signore!»

(Luigi Accattoli)
  Fonte: Luigi Accattoli, Io non mi vergogno del Vangelo, EDB, Bologna 1999. il dialogo II/05


“Tendiamo insidie al giusto, perché ci è di imbarazzo
ed è contrario alle nostre azioni;
ci rimprovera le trasgressioni della legge
e ci rinfaccia le mancanze
contro l’educazione da noi ricevuta.
Proclama di possedere la conoscenza di Dio
e si dichiara figlio del Signore.
È diventato per noi una condanna dei nostri sentimenti;
ci è insopportabile solo al vederlo,
perché la sua vita è diversa da quella degli altri,
e del tutto diverse sono le sue strade.
Moneta falsa siamo da lui considerati,
schiva le nostre abitudini come immondezze.
Proclama beata la fine dei giusti
e si vanta di aver Dio per padre" (Sap 2, 12-16)


Buona giornata a tutti :-)








 

venerdì 13 giugno 2025

Preghiere a Sant'Antonio da Padova per la Famiglia e d'intercessione

                                                            Glorioso Sant’Antonio
Invitto propugnatore delle verità cattoliche 
e della fede di Gesù Cristo,
tesoriere e distributore di grazie e di portenti,
con tutta umiltà e fiducia
vengo ad implorare il tuo patrocinio in vantaggio 

della mia famiglia.
Io la metto oggi nelle tua mani, accanto a Gesù Bambino.
Tu assistila nelle sue temporali necessità;
Tu tieni lungi da essa il calice dei dolori e delle amarezze.
Che se non le potesse sempre e del tutto evitare,
almeno ottienile il merito della pazienza 

e della rassegnazione cristiana.
Soprattutto poi, salvala dall’errore e dal peccato!
Tu sai, o caro Santo, che i tempi che corrono
Sono avvelenati dall’indifferenza e dalla incredulità,
che gli scandali e le bestemmie insolentiscono per ogni dove;
deh! che non ne resti contaminata la mia famiglia;
ma vivendo sempre fedele alla legge di Gesù Cristo, 
e ai dettami della Chiesa Cattolica,
meriti un giorno di ritrovarsi tutta riunita
a godere il premio dei giusti in Paradiso.
Così sia!



Riflessione spirituale di S. Antonio da Padova: «La predica è efficace quando parlano le opere»

«Chi è pieno di Spirito Santo parla in diverse lingue. Le diverse lingue sono le varie testimonianze su Cristo: così parliamo agli altri di umiltà, di povertà, di pazienza e obbedienza, quando le mostriamo presenti in noi stessi. 
La predica è efficace, ha una sua eloquenza, quando parlano le opere.
Cessino, ve ne prego, le parole, parlino le opere. Purtroppo siamo ricchi di parole e vuoti di opere, e così siamo maledetti dal Signore, perché egli maledì il fico, in cui non trovò frutto, ma solo foglie. «Una legge, dice Gregorio, si imponga al predicatore: metta in atto ciò che predica». Inutilmente vanta la conoscenza della legge colui che con le opere distrugge la sua dottrina. […]
Parliamo quindi secondo quanto ci è dato dallo Spirito Santo, e supplichiamolo umilmente che ci infonda la sua grazia per realizzare di nuovo il giorno di Pentecoste nella perfezione dei cinque sensi e nell’osservanza del decalogo. Preghiamolo che ci ricolmi di un potente spirito di contrizione e che accenda in noi le lingue di fuoco per la professione della fede, perché, ardenti e illuminati negli splendori dei santi, meritiamo di vedere Dio uno e trino.»

Dai «Discorsi» di sant’Antonio di Padova, sacerdote (I, 226)
Cantarini Simone, il Pesarese. "Sant'Antonio da Padova e San Francesco di Paola", c. 1640. Pinacoteca Nazionale, Bologna.



 “La carità è l’anima della fede, la rende viva; senza l’amore, la fede muore” (Sermones Dominicales et Festivi II, Messaggero, Padova 1979, p. 37)




Preghiera a Sant'Antonio da Padova

Indegno per le colpe commesse di comparire davanti a Dio
Vengo ai tuoi piedi, amorosissimo Sant’Antonio,
per implorare la tua intercessione nella necessità in cui verso.
Siimi propizio del tuo possente patrocinio,
liberami da ogni male, specie dal peccato, 
e impetrami la grazia di (chiedere la grazia)
Caro Santo, sono anch’io nel numero dei tribolati 
che Dio ha commesso alle tue cure, 

e alla tua provvidente bontà.
Sono certo che anche io per mezzo tuo avrò quanto chiedo
e così vedrò calmati i miei dolori, confortate le mie angustie,
asciugate le mie lacrime, ritornato alla calma 

il mio povero cuore.
Consolatore dei tribolati
non negarmi il conforto della tua intercessione presso Dio.
Così sia!


Buona giornata a tutti. :-)


mercoledì 11 giugno 2025

Le mamme anziane

Quando un’anziana morì in una casa di riposo vicino a Dundee, in Scozia, tutti erano convinti che non avesse lasciato nulla di valore.
Ma tra i suoi pochi effetti personali, le infermiere trovarono una lettera. Era un poema. Semplice, sì, ma capace di toccare l’anima. Diceva così:
“Cosa vedete, infermiere?
Cosa vedete davvero, quando mi guardate?
Una vecchia scorbutica, confusa, con lo sguardo perso nel vuoto?
Quella che non risponde, che sputa il cibo, che sembra non capire?
Che perde guanti, scarpe, dignità?
Quella che vi lascia fare tutto: lavarla, vestirla, rimproverarla?
È questo che vedete? È questo che pensate?
Allora aprite gli occhi. Perché quella non sono io.
Io sono la bambina di dieci anni, con mamma e papà, fratelli e sorelle che si vogliono bene.
Sono la ragazza di sedici che sogna l’amore con le ali ai piedi.
Sono la sposa di vent’anni, il cuore pieno di promesse eterne.
La madre di venticinque, con bambini che chiedono guida e amore.
La donna di trent’anni, con la casa piena di risate e legami profondi.
A quarant’anni i figli crescono, ma c’è ancora lui, mio marito, che mi tiene la mano.
A cinquanta tornano le risate: i nipoti giocano sulle mie ginocchia.
Poi arrivano le nuvole. Mio marito non c’è più. Il futuro fa paura.
I figli hanno la loro vita, e io la mia solitudine.
E mi ritrovo qui. Vecchia.
La natura è crudele: il corpo si spegne, il volto si fa ombra.
Eppure, dentro queste rovine, la ragazza vive ancora.
Il mio cuore, anche stanco, sa ancora amare.
Ricordo. Rivivo. Sorrido. Piango.
E accetto che nulla dura per sempre.
Per questo, quando mi guardate, guardate davvero.
Non vedete una vecchia brontolona.
Vedete me.
La prossima volta che incontrate un anziano, non voltatevi.
Guardate negli occhi la sua anima giovane.
E ricordatevi… di non dimenticare mai le vecchiette apparentemente scorbutiche.”**

Un messaggio che va dritto al cuore.
Un promemoria silenzioso, ma potente: ogni ruga nasconde una vita intera.
- autore sconosciuto - 


"Il destino di una mamma è aspettare i figli. 
Li aspetti in gravidanza, li aspetti al ritorno dall'asilo. 
Li aspetti all'uscita di scuola.
Li aspetti quando iniziano la loro vita al ritorno a casa dopo una festa. 
Li aspetti quando rientrano dal lavoro per fargli sempre trovare una minestra calda. 
Li aspetti con amore, con ansia a volte con rabbia che passa subito quando li vedi e puoi abbracciarli.
Fate in modo che la vostra mamma anziana non debba aspettare più.
Fatele visita, amatela, abbracciate colei che vi ha amato come nessun altro farà mai.
Non fatela aspettare, questo si aspetta lei da voi.
Perché invecchiano le membra ma il cuore di una mamma non invecchia mai.
Amatela voi che potete."


Buona giornata a tutti :-)