Il cristiano è geloso della domenica, «giorno di gioia e di riposo»: così la definisce il Vaticano II nella costituzione Sacrosanctum Concilium. Deve esserne geloso: cioè deve diventarlo, o tornare a esserlo. Ma attenzione: non tanto della domenica come giorno libero, riposo collettivo, festa di popolo, ma soprattutto della domenica come
«giorno del Signore», cioè come giorno dell'assemblea eucaristica, da cui parte e verso cui converge (fonte e culmine), in unità di tempo e di luogo, tutta la vita cristiana.
di Luigi Accattoli
La domenica non era giorno festivo prima di Costantino, ma era già il «giorno del Signore» e tale è restata nei regimi che l'hanno abolita come giorno di riposo e tale deve restare nella nostra civiltà del fine settimana, che l'ha profondamente trasformata. La domenica cristiana non è vincolata al riconoscimento statale di questo giorno come giorno festivo. La civiltà del fine settimana è una sfida, per la domenica cristiana, altrettanto grave dell'obbligo di lavorare. Ma né l'una, né l'altro ci possono togliere davvero il «giorno del Signore». Riaffermare questa fedeltà è profezia tra le più preziose per il cristiano comune della nostra epoca.
Questo è il tempo in cui noi occidentali ci stiamo giocando la domenica come eredità storica: all'Est l'hanno appena recuperata, all'Ovest la stiamo
vendendo per trenta denari. È urgente recuperare l'attaccamento alla domenica, che ha contrassegnato tutta la storia cristiana. [... ]
Il cristiano non ha - per la domenica - i divieti che l'ebreo ha per il sabato e non è costretto all'obiezione di coscienza che i suoi fratelli maggiori attuano in difesa del sabato. Egli può accettare che gli vengano chieste prestazioni di varia natura in giorno di domenica, ma non può in alcun modo accettare che gli venga impedita la partecipazione all'assemblea eucaristica. Per una piena garanzia da tale impedimento egli difende - per quanto può - la domenica come giorno festivo e non solo in campo politico e legislativo, ma anche nell'organizzazione della vita privata: la difende contro l'industria del lavoro, dello sport e delle vacanze, non la monetizza, non la scambia con nessun altro bene.
La gelosia deve scattare soprattutto nei confronti del lavoro, che è la tentazione più forte (e qualche volta può essere una necessità): il lavoro domenicale è pagato il doppio, ma ci toglie assai di più.
L'idolo del lavoro e del guadagno può toglierci la libera e festosa partecipazione all'assemblea eucaristica, nella triplice dimensione personale, familiare e di popolo. Ha detto una volta il papa che la sosta nel lavoro dovrà essere «possibilmente contemporanea per tutti i membri della famiglia».
La famiglia, chiesa domestica, la domenica si unisce alla chiesa madre che celebra l'eucaristia.
Ma c'è anche la dimensione di popolo: le strategie produttive tendono a privilegiare ritmi continuati di lavoro, in modo che la settimana di presenza in fabbrica o in ufficio sia per alcuni da lunedì a venerdì, per altri da martedì a sabato, per altri ancora da mercoledì a domenica e così via, senza più il giorno libero per tutti: è la cosiddetta «società permanentemente attiva». Essa non toglie la possibilità che il popolo dei credenti liberamente si riunisca, nel giorno del Signore, però certo la ostacola. Ma la domenica come festa di popolo non va difesa solo in funzione liturgica: essa è un valore umano, oltre che un dono cristiano. Fare i giorni uguali (e solo la domenica ha il segreto della diversità), togliere il tempo della festa collettiva è una via efficace allo schiacciamento dell'uomo sulla macchina, che può anche essere la macchina del divertimento, ma è pur sempre una macchina. Se cancelliamo la domenica dal calendario, allontaniamo la festa dalla nostra vita comune. [... ] Si tratterà di prepararli - i figli - anche a rinunciare a possibilità di carriera legate al lavoro domenicale.
Perché il riposo può essere più importante del denaro e la festa più importante del lavoro. Infatti non è vero che il lavoro sia la prima opera - cioè il primo dovere - dell'uomo.
«II lavoro è solo la seconda delle opere dell'uomo. Prima viene la sapienza, il riconoscimento cioè di ciò che dà ragione alla speranza. Il tempo della sapienza è tempo della festa, dell'otium, del cultum.»: così Giuseppe Angelini, ed è bene che sia un teologo dell'operosa Milano a scrivere queste giuste parole sulla giusta priorità nei doveri dell'uomo.
C'è una bella espressione di Giovanni Paolo - a volte egli è poeta, quando meno te l'aspetti - che ci può aiutare ad amare la domenica con amore geloso. Egli ha parlato tante volte del 'Giorno del Signore" e gli ha dedicato anche una «lettera apostolica.», intitolata appunto Dies Domini (luglio 1998). Una volta ha detto ai cattolici austriaci, con il tono di battaglia che l'ha aiutato in tante occasioni a scuotere il mondo: «Fate tutto il possibile per salvaguardare la domenica! Dimostrate che questa giornata non può essere lavorativa, perché viene celebrata come giorno del Signore!»
(Luigi Accattoli)
Fonte: Luigi Accattoli, Io non mi vergogno del Vangelo, EDB, Bologna 1999. il dialogo II/05
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“Tendiamo insidie al giusto, perché ci è di imbarazzo
ed è contrario alle nostre azioni;
ci rimprovera le trasgressioni della legge
e ci rinfaccia le mancanze
contro l’educazione da noi ricevuta.
Proclama di possedere la conoscenza di Dio
e si dichiara figlio del Signore.
È diventato per noi una condanna dei nostri sentimenti;
ci è insopportabile solo al vederlo,
perché la sua vita è diversa da quella degli altri,
e del tutto diverse sono le sue strade.
Moneta falsa siamo da lui considerati,
schiva le nostre abitudini come immondezze.
Proclama beata la fine dei giusti
e si vanta di aver Dio per padre" (Sap 2, 12-16) |